Fantomius: Le origini
La musica
del pianoforte si diffondeva pigramente nella sala, mentre una voce lontana
cantava canzoni malinconiche. Nella sala da ballo paperi in abiti alla moda
ballavano a tempo, mentre lui, sul balcone, sorseggiava champagne da un elegante
flute. Si annoiava. Come sempre.
I soliti
balli, la solita gente, i soliti discorsi... sempre uguale, come se quel mondo
di ricchi vanesi fosse immerso in un acquario variopinto...
«Lord
Quackett?»
John si
voltò lentamente. Era uno di quei nobili che passavano le giornate a
trastullarsi in mille modi.
«Volevo
invitarvi a giocare a golf nella mia tenuta.»
John
sorrise: «Siete molto gentile. Vi farò sapere.»
«Ci
conto.»
Frasi di
circostanza e cortesia che a Lord Quackett davano la
nausea. Sapevano entrambi che la risposta sarebbe stata un no. Eppure
l’etichetta imponeva la domanda. Stupida etichetta…
Ormai si
sapeva, Lord John Quackett era un solitario. I nobili
spesso lo invitavano, per il prestigio del suo nome e per il suo patrimonio, a
molte attività, ma lui rifiutava sempre. Si era diffusa la voce che fosse per
la sua imbranataggine, di cui si vergognava a tal punto da nascondersi agli
occhi di tutti. Credessero quello che pareva loro. A lui non importava. La
verità era solo che provava una profonda indolenza per un mondo a cui era
incatenato contro la sua volontà. Come un carcere. Anzi, forse anche peggio.
Almeno in prigione avevano l’ora d’aria.
Il
padrone di casa attirò l’attenzione del pubblico facendo tintinnare una posata
contro il calice: «Signore e signori, annuncio a voi, gentili miei ospiti, che
la prossima settimana organizzerò una festa in maschera, qui, nella mia umile
dimora.»
«Ma che maschera e maschera!
Queste non sono cose per te!»
Mormorii
di approvazione e di entusiasmo dal pubblico vennero smorzati da un profondo
sospiro del Lord. Le feste in maschera lo rendevano malinconico.
«So che non dovrei, ma… questo è per te!»
«Madre! È bellissimo!»
«Non possiamo portarti con
noi, John, ma almeno potrai divertirti qua, a Villa Rosa.»
Sì, forse
era davvero il caso di tornare a Villa Rosa. La festa aveva perso ogni
attrattiva, se mai ne aveva avuta una.
L’aria
fresca della sera lo svegliò del tutto. In automobile, mentre si dirigeva verso
la sua magione, i suoi pensieri si perdevano in mille anfratti, fra ricordi,
progetti e impegni. Una distrazione fatale.
«EHI!»
Lord Quackett inchiodò di colpo l’auto, evitando per un pelo di
investire un signore che stava attraversando la strada. Il papero impiegò
qualche secondo a rendersi conto dell’accaduto. Distratto dai suoi pensieri,
stava per investire una persona. L’aveva evitata solo per la sua prontezza di
riflessi. Cosa gli era preso?
Scese
dalla macchina, pronto a scusarsi in ogni modo con l’aquilotto che era ancora
seduto a terra.
«Perdonatemi,
so di non avere scusanti...»
Era
pronto agli insulti, o alle richieste di denaro. L’ultima cosa che si sarebbe
aspettato furono proprio le parole che udì.
«Uhm...
sapete, dovreste proprio cambiare l’olio.»
Lord Quackett lo guardò perplesso, ancora con la mano tesa per
aiutarlo a rialzarsi: «Eh?»
Il
signore continuò a ignorare la mano che gli veniva porta, concentrandosi sul
motore della vettura: «Vedete? Qua c’è una perdita... potreste avere un
incidente, se non fate attenzione.»
Il papero
lo guardò perplesso: «Veramente l’avrei appena causato a voi, l’incidente...»
«Eh? A
me? Oh, solo per avermi fatto cadere? Non vi preoccupate, non è nulla.»
«S-Se
lo dite voi…»
Solo a
quel punto l’aquilotto seduto si accorse della mano ancora tesa e la strinse:
«Oh, piacere, Copernico Pitagorico.»
Il papero
impiegò un po’ per rispondere. Non era esattamente per le presentazioni che era
rimasto fermo lì: «L-lord John Lamont
Quackett.»
«Avete
una gran bella macchina, sapete?»
Lord Quackett sorrise: «Se vi alzate dall’asfalto ve la faccio
ammirare ancora meglio a casa mia, così magari mi scuso per l’incidente…»
Solo a
quel punto Copernico sembrò rendersi conto di essere ancora seduto a terra:
«Oh, scusatemi voi se vi sto facendo perdere tempo! È che quando vedo qualcosa
che attira la mia attenzione, mi dimentico di tutto il resto.»
Il papero
rise, la prima risata sincera di tutta la serata: «Siete un tipo originale
senza dubbio!»
Copernico
s’imbarazzò appena, per poi tirarsi su da solo raccogliendo un tubo portadisegni rotolato poco più in là: «Oh, me lo dicono in
tanti. Quando sono gentili. Le persone a cui mi sono rivolto prima hanno usato
decisamente altri epiteti per definirmi…»
«Vi va di
parlarne di fronte a una tazza di tè?»
«Volentieri.
Vi ringrazio.»
Oh no, pensò Lord Quackett,
sono io che ringrazio voi per avermi
allontanato dai cattivi pensieri.
L’atmosfera
elegante e ricercata di Villa Rosa sembrò intimorire un poco l’aquilotto, che
perse un po’ della sua parlantina. Lord Quackett fece
preparare un tè e accompagnò l’ospite nel salotto buono.
John
sciolse lo zucchero nella sua tazza di tè: «E così siete un inventore, signor
Pitagorico?»
«Esattamente.
Ma datemi pure del tu.»
«Solo se
voi farete lo stesso.»
«Ma voi siete…»
«Niente
formalità, va bene? Fra voi uomini di scienza non si usa, giusto?»
Copernico
sorrise, posando la tazza di tè: «Va bene… Johnatan, allora?»
Il papero
rise: «John.»
«Chiedo
scusa, la mia memoria è un po’ ballerina… mi hanno
consigliato il succo di cicoria per migliorarla, appena avrò venduto qualche
invenzione proverò a comprarne una bottiglia per vedere se funziona…»
Il nobile
sorrise divertito. Copernico era così diverso dalle persone con cui aveva continuamente
a che fare. Era… vero, parlando con lui aveva
finalmente la sensazione di sostenere una conversazione autentica, non dettata
dall’etichetta.
«Prima mi
hai detto che alcune persone ti hanno trattato male. Cos’è successo?»
Copernico
sospirò: «Ho provato a proporre alcuni progetti alla polizia. Non so se hai
sentito dell’ondata di criminalità che ultimamente sta dilagando a Paperopoli… ho pensato che alcune delle mie invenzioni
potessero essere utili. Ma quando mi sono presentato al comando mi hanno riso
in faccia e senza neanche guardare cosa potevo proporre loro mi hanno cacciato
in malo modo. Sembravano volermi linciare, neanche avessi detto di essere io
uno dei ladri…»
John lo
guardò curioso: «Uhm… posso vederli? Mi hai davvero
incuriosito.»
Lo
sguardo dell’inventore s’illuminò: «Ma certo! Li ho tutti qua!»
Copernico
tirò fuori da un tubo che fino a quel momento aveva portato sottobraccio un bel
po’ di fogli e iniziò a parlare. Lord Quackett lo
ascoltò interessato e né l’uno né l’altro s’accorse che il tempo passava e che
il sole stava spuntando all’orizzonte. Solo quando l’orologio a cucù suonò le
sette, i due interlocutori si resero conto di aver passato la notte in bianco.
Copernico
trasalì: «Le sette? Oh, no, non ti ho fatto dormire, John!»
«Non ha
importanza, non ho impegni per oggi. E poi ho ottenuto un risultato
importante.»
«Eh?»
Lord Quackett sorrise: «Ti ho fatto imparare il mio nome.»
I due
ormai amici scoppiarono a ridere.
«Vai,
Copernico, torna a casa. Ma ti prego, torna a trovarmi. Villa Rosa per te sarà
sempre aperta.»
«Grazie.»
Lord Quackett seguì con lo sguardo il nuovo amico attraversare
il giardino della sua magione, Villa Rosa. La casa che era sempre stata sua. Il
suo rifugio. La sua prigione.
Il nobile
si diresse verso la sua camera, chiese al domestico di non disturbarlo e andò a
dormire, perdendosi fra pensieri e ricordi.
«Dovreste piantarla di leggergli queste
sciocchezze.»
«Non sono sciocchezze, sono fiabe.»
«Appunto, sciocchezze. Tutto ciò che non è
reale è una sciocchezza!»
«Andrew… nostro
figlio è un bambino. Ha l’età per le favole.»
Il papero indica un volume: «È un nobile,
Marie, e prima lo capisce e meglio sarà! E poi, dovete leggergli proprio
questa?»
«È la sua preferita. Che c’è di male?»
«C’è di male che è Robin Hood, uno che ruba
ai ricchi per dare ai poveri! Ma a quanto pare non capite…»
Il papero chiude la porta. Un paperotto esce
da dietro la tenda.
«Mio padre è arrabbiato con me?»
La papera sorride: «No, John, stai
tranquillo. È solo preoccupato per te, ma finché starai qui sarai al sicuro.
Nessuno può farti nulla qui a Villa Rosa.»
Lord Quackett apre
la porta: «Marie! Dobbiamo andare, la festa in maschera sta per cominciare!»
Il piccolo John lo guarda con gli occhioni da cerbiatto abbandonato che con la madre
funzionano sempre: «Posso venire anch’io? Mi piacerebbe mettermi in maschera!»
Il padre gli risponde con un’occhiataccia:
«Ma che maschera e maschera! Queste non sono cose per te!»
Il paperotto abbassa lo sguardo: «Come
volete, padre.»
Marie aspetta che il marito esca dalla
stanza, poi tira fuori un pacchetto che aveva nascosto.
«So che non dovrei, ma…
questo è per te!»
John apre il pacco, ansioso. Quello che trova
è un piccolo costume verde.
«Madre! È bellissimo!»
La papera sorride: «Non possiamo portarti con
noi, John, ma almeno potrai divertirti qua, a Villa Rosa.»
John lo ammira con gli occhi che brillano,
poi si rende conto di un dettaglio.
«Madre, ma Robin Hood non ha il mantello.»
«Ma tu sei un nobile, John, non scordarlo
mai. E il mantello simboleggerà la tua nobiltà d’animo, perché puoi usarlo in
mille modi. Puoi riparare qualcuno dal freddo, puoi creare un passaggio sulle
pozzanghere per far attraversare le persone senza che si sporchino. C’è modo e
modo per essere nobili, John…»
«Lord Quackett? Lord?»
Il papero
aprì gli occhi, assonnato: «Cosa c’è, Alfred?»
«Signore,
perdonatemi, ma l’ospite con cui avete conversato fino a poco fa è tornato
trafelato e insiste per parlarvi.»
«Copernico?
Arrivo subito, trattienilo per un attimo!»
John
indossò la vestaglia guardando l’orologio. Le nove. Copernico era a piedi, più
o meno aveva avuto il tempo di tornare a Paperopoli e
ritornare indietro. Si morse il becco. Poteva proporgli di accompagnarlo in
macchina, ma la stanchezza aveva prevalso sul buonsenso. Cosa poteva essere
successo?
Lord Quackett uscì dalla stanza e andò verso il salottino dove fino
a poche ore prima aveva parlato con l’inventore: «Copernico! Che succede?»
L’aquilotto
era agitato e nervoso: «Scusami, John, se torno a disturbarti, ma non sapevo
dove andare… a chi rivolgermi…»
Il papero
si fece subito serio: «Calmati e spiegami cosa è successo.»
«Qualcuno
è entrato a casa mia e ha distrutto tutti i miei progetti e i miei prototipi!»
«Cosa? E
perché?»
«Non lo
so, ma sono rovinato… c’erano i progetti di una vita… e non so più cosa fare.»
Lord
Quackett sorrise comprensivo: «Non fare così. C’è
sempre una soluzione.»
«E
quale sarebbe?»
«Dammi
il tempo di vestirmi e andiamo a vedere cosa si può salvare. E poi, finché non
avremo trovato un’altra sistemazione, puoi venire qui. La casa è grande e c’è
posto per tutti e due.»
«Qui?
Ma John, ci conosciamo solo da qualche ora, non puoi…»
Il
nobile lo guardò serio: «Villa Rosa è un rifugio dal mondo. È il posto che fa
per te ora.»
Copernico,
stranito, lo guardò allontanarsi, vestirsi di tutta fretta e dirigersi al
garage. Lord Quackett si mise al volante e s’avviò
verso Paperopoli.
«Allora,
Copernico, dove…»
Si
voltò verso il passeggero e sorrise intenerito. L’inventore era crollato
addormentato sul sedile. Dopotutto erano molte ore che non dormiva. Pazienza,
glielo avrebbe richiesto più tardi.
«Ehm… scusa il disordine. Anche se per buona parte non è
colpa mia.»
John
scese i gradini con cautela. Copernico l’aveva trascinato in un sottoscala in
un palazzo del centro città.
«Tu… vivi qui?»
L’inventore
scavalcò i cocci di una provetta: «Sì.»
Lord
Quackett non sapeva bene cosa dire. Non voleva
mostrarsi irrispettoso, ma il posto dove l’aveva trascinato non gli sembrava un
granché. Era buio e poco spazioso e, soprattutto, dal soffitto molto basso. Per
lui non era un problema, ma l’altezza di Copernico costringeva l’inventore a
chinarsi in continuazione. Chissà che mal di schiena alla sera…
L’aquilotto
si accorse del suo imbarazzo e sorrise: «So che non è bella come casa tua,
John, ma questo era l’unico spazio in cui non disturbavo i vicini con i miei esperimenti… e di cui potessi permettermi l’affitto.»
«Sei
così pericoloso da doverti isolare dal mondo?»
Copernico
rise: «Di solito no, ma vallo a spiegare ai padroni di casa…
temono sempre che gli faccia esplodere tutto!»
Lord
Quackett si decise ad entrare. Era tutto sottosopra:
i mobili rovesciati, i vetri infranti, i macchinari distrutti e qualunque pezzo
di carta era stato dato alle fiamme.
Copernico
si guardò intorno tristemente: «Che poi non ho capito cosa volessero rubare… non c’è molto di valore qui.»
Il
papero continuò a osservare ciò che lo circondava con aria attenta e
concentrata. Più che un furto, sembrava un atto vandalico.
«Ti
sei fatto qualche nemico, Copernico?»
«A
parte la padrona di casa per un mese di affitto arretrato, direi di no.»
John
non era convinto. Non gli piaceva. Forse avevano cercato qualcosa di
particolare. Oppure si trattava di un avvertimento.
Copernico
lo distrasse dai suoi ragionamenti: «Ok, ci sono!»
Il
nobile scoppiò a ridere vedendo la pila di oggetti che l’inventore reggeva a
fatica: «Non hai una valigia?»
«Mi
hanno bruciato anche quella.»
Il
papero sospirò: «E allora passami qualcosa, altrimenti alla macchina non ci
arriviamo.»
John
aprì il portabagagli in cui Copernico cercò d’incastrare i suoi averi.
«E
questa cassa?»
«L’ho
fatta prendere per te.»
L’inventore
lo guardò sorpreso: «Per me?»
Il
nobile sorrise e prese dall’interno della confezione una bottiglia: «Succo di
cicoria. Così vediamo se davvero aiuta la memoria.»
Copernico
rise e aprì la bottiglia, bevendone un lungo sorso. Lord Quackett
storse il becco nel sentirne l’odore.
«Uhm… buono!»
«Se
lo dici tu, Copernico… speriamo anche che funzioni!»
Tornarono
a Villa Rosa in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Lord Quackett mise a disposizione di Copernico due stanze, una
per dormirci e una per riallestire il suo studio e nella nobile dimora fino a
quel momento fin troppo tranquilla iniziarono giorni frenetici quanto vivaci, che
portarono un po’ di serenità a Copernico e di allegria a John. Ogni tanto, in
barba ad ogni etichetta, l’inventore irrompeva nelle sue stanze, spesso senza
nemmeno bussare, per mostrargli qualche invenzione che era riuscito a
recuperare dallo sfacelo della sua vecchia casa. Lord Quackett
non si arrabbiava mai, era felice di vederlo di nuovo sereno. Meno contenta era
la servitù, visto che nuovo ospite era molto disordinato e rumoroso, pronto a
sconvolgere la quotidiana e rodata routine di Villa Rosa. Lord Quackett non chiedeva di meglio, ma fu costretto ad
accettare le dimissioni di una parte dei suoi domestici, di cui scoprì di poter
fare tranquillamente a meno. Qualche nobile gli fece notare che giravano voci
sul fatto che avesse iniziato a frequentare gente del popolino, ma al papero
non importava. La presenza di Copernico rendeva la sua vita meno grigia e
noiosa, e questo gli bastava.
John
però nascondeva a tutti coloro che frequentavano la sua magione un segreto.
Spesso, con le scuse più varie e disparate, tornava nel sottoscala di Copernico
per capire cosa fosse successo. Sembrava che l’amico avesse già dimenticato
l’incidente, ma lui non ci riusciva. Troppe cose non gli quadravano e temeva
per l’inventore. Se non si fosse trattato solo di un furto? Forse Copernico era
ancora in pericolo…
Dovette
ammettere che si era un po’ intestardito su quella storia. Era diventata una
sfida con se stesso per scoprire la verità, una sfida da cui non intendeva
retrocedere di un solo passo. Era passato tanto tempo da quando aveva provato
interesse e passione per qualcosa e, soprattutto, era passato tanto tempo da
quando aveva potuto aiutare un amico, anche se a sua insaputa.
Avrebbe
risolto il mistero, ne era sicuro.
Lord
Quackett sospirò, aspettando ansioso in auto che
l’ormai inseparabile Copernico tornasse dall’ufficio brevetti, come quasi ogni
giovedì. L’inventore non sentiva l’impellente bisogno di registrare ogni sua
creazione, di cui sembrava dimenticare l’esistenza appena ne cominciava una
nuova, nonostante il succo di cicoria che ormai beveva a quantità industriali,
ma John lo obbligava quando la pila di fogli sulla scrivania diventava un po’
troppo alta.
Il
nobile, malinconicamente, osservava le persone che passeggiavano sulla via:
ricchi, poveri, borghesi, operai e…
«John!»
Lord
Quackett trasalì: «Copernico! Che succede?»
«Mi
hanno derubato! Cioè, hanno tentato di rapinarmi, non avevo niente da farmi
rubare, ma mi hanno già fregato e…»
«Copernico,
calma e sangue freddo. Hanno cercato di rapinarti? Cosa ti hanno preso?»
«Niente,
ma non è questo il punto! John, l’arma che mi hanno puntato contro…
era una delle mie invenzioni!»
«COSA???»
«La
pistola refrigerante, per conservare meglio il cibo! A pensarci bene, non ne
avevo più trovato il prototipo quando mi avevano messo sottosopra il sottoscala…»
«E
perché non me l’hai detto subito?»
Copernico
iniziò a grattarsi la testa: «Perché me lo sono dimenticato! Hai un’idea di
quanto materiale c’era là sotto?»
Lord
Quackett sospirò: «Ok, direi che devi tornare a fare
un giro dalla polizia, ma questa volta verrò anch’io. Questa storia non mi
convince per nulla.»
Un
poliziotto alto e robusto, non appena vide Copernico, fece un fischio a un
collega: «Ehi, Brad, è tornato il pazzo!»
L’uomo
chiamato Brad si avvicinò all’inventore: «Cosa vuoi proporci, stavolta? Manette
gonfiabili? Celle liofilizzate? Ladri in scatola?»
Copernico
iniziò ad agitarsi: «Ecco… io…»
Il
primo poliziotto lo guardò dritto negli occhi: «Fila via, microbo, prima che…»
Lord
Quackett si limitò a tossire rumorosamente alle
spalle di Copernico.
«Buongiorno.
Vorremmo sporgere denuncia per un furto.»
Brad
lo guardò di storto: «E voi chi…»
Il
papero sostenne lo sguardo: «Lord John Lamont Quackett. E mi fareste un grande favore se smetteste di
minacciare il mio amico.»
Un
poliziotto di passaggio s’intromise: «Per denuncie potete venire qui.»
Il
nobile si limitò a lanciare un’occhiata di ghiaccio ai due agenti e seguì l’ultimo
uomo in divisa. Copernico gli andò subito dietro.
«Forse
stavolta andrà meglio. Quel poliziotto sembrava a modo.»
John
guidava di nuovo distrattamente, con lo sguardo serio: «Quello sembrava un
poliziotto, punto. Dimmi una cosa, Copernico. Quei due agenti erano quelli che
ti avevano maltrattato la sera che ci siamo conosciuti?»
L’inventore
si grattò la testa: «Non saprei…»
«Ma
non lo escludi, vero?»
«No…»
«Come
immaginavo.»
«Come
immaginavo…»
Aveva
avuto gli indizi sotto gli occhi per tutto il tempo, ma non li aveva voluti
vedere. Aveva voluto credere nella risposta più bella, più utopica, più
favolistica.
Ma
la verità era molto più cruda e triste, e ora l’aveva sotto gli occhi. Lord Quackett sospirò, allontanandosi dal poliziotto che
prendeva una mazzetta dai criminali. Criminali che compravano agenti per poter rapinare
in pace la povera gente. Almeno avessero derubato loro nobili. Ma questi erano
sì più ricchi, ma anche meglio difesi…
Doveva
tornare a Villa Rosa. Era giusto il momento di spiegare un paio di cose anche a
Copernico.
«Non
ci credo…»
«Mi
dispiace, Copernico, ma è così. Ti chiedo scusa di non averti detto perché
andavo così spesso a Paperopoli, ma tu sembravi così
sereno che non mi sono sentito di rompere la tua felicità.»
L’inventore
si accasciò su una poltrona, mentre John continuò a parlare guardando fuori
dalla finestra. Non aveva cuore di guardarlo.
«Quando
sei andato ad offrire le tue invenzioni, quei poliziotti ti hanno preso i dati,
no? Si sono resi conto che con quella attrezzatura i loro complici avrebbero
avuto parecchi problemi… così mentre tu venivi da me,
loro, o i criminali con cui sono in combutta, hanno distrutto il tuo
laboratorio come monito e per evitare che t’impicciassi ancora nei loro affari,
prendendo solo quel che poteva servire loro… o quello
che hanno pensato potesse servire loro, dubito che abbiano conoscenze tecniche
così affinate… è stata una fortuna che tu non sia
tornato a casa, quella sera, chissà cosa avrebbero potuto farti se fossi
rincasato al momento sbagliato…»
«Magari
ti sbagli! Forse…»
Lord
Quackett sospirò: «Copernico, quante persone sapevano
il tuo indirizzo?»
L’inventore
abbassò lo sguardo: «Io mi ero fidato.»
«Chiunque
si sarebbe fidato di chi in teoria dovrebbe proteggerci.»
«No.
Io mi ero fidato di te, John!»
«Eh?»
Copernico
si alzò improvvisamente e andò incontro al nobile: «Perché non mi hai detto che
stavi facendo? Ti stavi mettendo in pericolo per me! Quella è gente che non
scherza, John, me l’hai detto tu stesso! Perché hai rischiato così tanto da
solo?»
Il
papero guardò il tappeto: «Perché sei mio amico. Perché volevo che fossi
felice. Almeno tu.»
«E
tu non eri felice? Hai tutto quello che desideri!»
«Quanto
è sopravvalutato il mondo nobiliare… io odio essere
nobile. Odio questo mondo patinato dove tutto è finto, si recita una parte e si
finge di vivere nel migliore dei mondi possibili quando tutti sappiamo benissimo
che non è così! È questa quella che chiami felicità, Copernico?»
Copernico
lo guardò, sorpreso dalla sua reazione così agitata: «No. Scusami. Ma adesso… cosa facciamo?»
Lord
Quackett trovò finalmente il coraggio di guardare
l’amico: «Tu cosa vorresti fare? A me sinceramente non va di fargliela passare
liscia, ma il diretto interessato sei tu, sei solo tu che devi scegliere.»
L’inventore
non gli rispose subito, preferì prendere prima una bottiglietta del suo adorato
succo di cicoria stappandola. Solo quando infilò la cannuccia e ne ebbe bevuto
un lungo sorso, disse: «Se ti dicessi che anch’io voglio fare qualcosa, cosa mi
risponderesti?»
Lord
Quackett sorrise, con uno sguardo determinato come
Copernico non gliene aveva mai visti: «Che speravo con tutto il cuore che me lo
dicessi! E allora…»
Copernico
gli afferrò un braccio: «… allora promettimi che d’ora in poi non agirai più di
testa tua da incosciente. Non lasciarmi più fuori da questa storia, ok?»
«Anche
se si trattasse di sforare nell’illegalità?»
L’inventore
lo guardò sorpreso. Non si aspettava quella risposta.
«Perché
se questo mondo va alla rovescia, amico mio, chi siamo noi per opporci alla
marea?»
L’aquilotto
iniziò ad afferrare l’idea: «E se i poliziotti fanno i criminali…»
«…
dovrà essere un criminale a risolvere la situazione.»
Copernico
rimase pensieroso per un po’, poi annuì.
John
sospirò: «In questo caso abbiamo un po’ di lavoro da fare.»
Lord
Quackett licenziò tutti i domestici con un’abbondante
gratifica di fine servizio. Non li avrebbe coinvolti nella sua follia
criminale. Copernico si costruì un nuovo laboratorio sotto il pavimento del
salotto, dove avrebbe potuto cimentarsi anche in qualche esperimento un po’ più
pericoloso, di quelli che se avesse condotto nel suo vecchio scantinato sarebbe
stato cacciato a colpi di scopa dalla sua vecchia padrona di casa. Era
necessario, perché lì, lontano da tutti e da tutto, doveva creare un vero e
proprio armamentario.
John
cucì il costume e lo fece vedere all’amico.
«Interessante…»
Lord
Quackett sorrise: «Nero come la notte e rosso come la
passione che mi muoverà.»
Copernico
mise un paio di stivaletti sul banco: «E io ti ho fatto le scarpe!»
«Gialle?»
«Almeno
vedrai dove metti i piedi…»
Il
nobile sospirò: «Alla fine sembrerò una maschera di carnevale…»
«E
a proposito di maschere… prova questa!»
Un
po’ titubante, Lord Quackett indossò quella che gli
aveva dato Copernico, color blu notte.
«Come
ti trovi?»
«Non
credevo, ma… benissimo! Sembra fatta su misura!»
Copernico
arrossì: «È fatta su misura… in realtà ti ho fatto un calco del volto mentre dormivi…»
«CHE???»
«Per
farti queste…»
L’inventore
depositò sul tavolo una serie di maschere raffiguranti vari volti.
John
ne prese in mano una: «Interessante…»
«Sei
un nobile, è meglio che non ti faccia riconoscere. Come te la cavi con la
recitazione?»
«Penso
bene, ma è passato molto tempo dall’ultima volta che ho fatto l’attore…»
Copernico
tirò fuori una cintura: «Questa ti servirà per tenere le armi che ti farò
vedere dopo.»
«Eccellente.
Manca solo una cosa.»
«Uh?»
Il
papero sorrise tirando fuori un pezzo di tessuto: «Questo!»
L’aquilotto
lo guardò perplesso: «Un mantello? Ma non t’impiccerà nei movimenti?»
A
John tremò la voce dall’emozione: «Sono pur sempre un nobile…»
«Ma
non odiavi il fatto di essere nobile?»
«Ho
detto che odio l’odierna classe nobiliare, ma non ho mai avuto problemi ad
essere un Lord.»
«Se
è così… perché non ti definisci gentiluomo,
piuttosto?»
«Il ladro gentiluomo…
mi piace come suona! Approvato!»
Copernico
sorrise: «Allora direi che siamo pronti. Si comincia?»
Si comincia, pensò
John Lamont Quackett in
piedi su un cornicione. L’ansia gli stava stringendo lo stomaco e per un attimo
si disse che stava facendo un’enorme sciocchezza. Un Lord come lui avrebbe
dovuto girare i tacchi, tornarsene a casa, mettere tutto in un baule dimenticandosi
della faccenda e tornare a fingere di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Ma
quello non era il migliore dei mondi possibili, lo sapeva, l’aveva sempre
saputo. E non poteva più fare finta di nulla.
Se
John Lamont Quackett non
aveva una risposta, forse era meglio lasciare fare al Ladro Gentiluomo. Si
trattava solo di calarsi nella parte. Il tempo di un respiro, di un profondo
respiro, e il papero era già entrato nell’edificio. Lentamente attraversò le
stanze e trovò ciò che stava cercando.
Copernico
non restava con le mani in mano. Era già all’interno della caserma di polizia,
come d’accordo, e sbraitava come un pazzo.
«Aiuto,
aiuto! Mi hanno aggredito un’altra volta, ce l’hanno con me, mi hanno minacciato!»
Un
poliziotto che era al telefono lo guardò attentamente: «Vi ho già visto… voi non siete l’inventore? »
«Sì.»
«E
vi stanno minacciando, avete detto?»
«Esattamente.»
Il
poliziotto sospirò, per poi rivolgersi alla cornetta: «Adelaide, tu comincia a
mangiare. Temo che stasera farò tardi.»
Brad
sorrise arrotolandosi le maniche della camicia. Certo, le divise della polizia
erano scomode fuori servizio, ma non aveva avuto il tempo di cambiarsi. I suoi
complici amavano la puntualità e scontentarli poteva significare perdere una
buona dose di guadagno.
«E
con questo dovremmo essere a posto. Se non vi dispiace me ne andrei a dormire,
domani ho il turno presto…»
Uno
dei rapinatori sorrise: «… e non vogliamo certo che la nostra guardia sia
stanca domani mattina, quando dovrà coprirci durante il furto, vero?»
Brad
fece per rispondere, ma si bloccò di colpo: «Ehi, che storia è questa?»
«Eh?»
«Perché
la porta è chiusa?»
Il
papero mascherato sorrise. Utile la colla di Copernico che bloccava le maniglie
e le serrature! E mentre i suoi gentili ospiti cercavano di uscire di lì, lui
poteva aggirarsi tranquillamente per la casa ad arraffare tutto quello che
avevano rubato.
Dovette
ammettere che era più facile e divertente di quanto avesse immaginato. Si
trovava molto bene nei panni del Ladro Gentiluomo, ad aggirarsi come un
fantasma nella casa…
Ridacchiò.
Forse era quella la sua vera identità. Forse fino a quel momento aveva solo
recitato la parte del nobile.
Il
poliziotto in auto cercò di tirare i fili del racconto confuso e agitato che
gli aveva fornito l’inventore: «Quindi i ladri che stanno tormentando questa
città hanno scoperto le vostre invenzioni, le hanno impiegate per i loro furti
e adesso vi hanno minacciato per averne altre?»
Copernico
annuì. Dovette dare ragione a John: le bugie erano più gestibili se avevano un
fondo di verità.
«Mi
hanno detto di portare i progetti in quella bella casa che c’è al fondo della
via. Ma temo che non mi lasceranno in pace anche se lo faccio.»
«E
quindi vi siete rivolto alla polizia. Avete fatto la cosa giusta.»
Copernico
lo guardò tristemente. Chissà, forse se avesse incontrato subito persone come
lui avrebbe fatto la cosa giusta…
Brad
si buttò contro la porta. Doveva uscire di lì, subito!
«È
una trappola, dannazione, lo sapevo che non poteva durare a lungo…»
«Tu sapevi? Cosa sapevi?»
Tutti
sussultarono a quella voce strana e contraffatta che sembrava venire da tutte
le parti.
«Chi
è là?»
«Forse un fantasma. Forse uno spirito. Forse
nessuno. Forse sono solo una voce nella vostra testa. La voce della vostra
coscienza, magari.»
Un
altro uomo sbuffò: «Ma per favore.»
«Giusto, voi la coscienza non l’avete.
Probabilmente non pensate neppure.»
«Ci
hai rinchiuso tu qua dentro?»
«Potreste esservi chiusi da soli. Non mi
sembrate così svegli, parlate anche al vento…»
«Esci
fuori, fantasmino, e vedi quanto siamo svegli!»
«Perché dovrei? Per quanto mi riguarda siete
un bello spettacolo. Potrei anche chiamare il pubblico, sapete? Un bel pubblico
pagante, oh sì… anzi, sapete che vi dico? L’ho
già fatto… e
avete anche già pagato il biglietto! Au revoir!»
«No,
ferm… ma che… sonno…»
Lord
Quackett chiuse il megafono speciale, mentre ritirava
dalla serratura il tubicino con cui aveva spruzzato il sonnifero all’interno
della stanza. Doveva andarsene, Copernico doveva già essere arrivato con la
polizia, quella seria, e lui non doveva farsi trovare lì. Sarebbe ripassato dal
tetto, era più sicuro. Dopotutto, chi guardava in alto di notte?
Il
poliziotto si tolse il cappello e si asciugò il sudore. Era impazzito. Stava
seguendo un inventore mezzo matto alla ricerca dei fantomatici ladri che
imperversavano per Paperopoli da solo, senza
avvertire nessuno del comando, ed era enormemente in ritardo per cena. L’uomo
alzò gli occhi al cielo sospirando. Adelaide, la sua dolce metà fresca di
matrimonio, non gliel’avrebbe perdonata, poco ma sicuro.
«Uh?
E quello cos’è?»
Un’ombra
si aggirava sul tetto. E di sicuro non si trattava di un gatto.
«Fermo
là! Mani in alto!»
Nel
vedere il poliziotto impugnare la pistola verso il suo amico, Copernico
sbiancò. Questo non l’avevano previsto. Il poliziotto avrebbe dovuto entrare ed
arrestare il gruppo mentre John se la dava a gambe. L’inventore maledisse la
sua scarsa memoria. Gli aveva dato qualcosa per proteggersi dai proiettili? Non
se lo ricordava.
Lord
Quackett provò a fuggire, ma dopotutto era un
dilettante come ladro. Aveva imparato a usare la carrucola di Copernico per
passare da un tetto all’altro, ma gli ci voleva tempo. Tempo che evidentemente
l’agente con la pistola non voleva concedergli.
Con
i ladri si era divertito a fare lo sbruffone e gli era venuto bene. Perché non
continuare?
Il
poliziotto lo incalzò: «Chi sei?»
«Un
fantasma, magari? Non hanno fatto che chiamarmi così, là dentro…»
Non
aveva parlato abbastanza forte, la sua voce non era giunta a terra e l’uomo in
divisa lo interpretò a modo suo: «Fantom che?»
Il
papero mascherato colse la palla al balzo e gridò: «Sono Fantomius, il Ladro Gentiluomo. E
sono venuto a prendermi ciò che non appartiene agli uomini chiusi qua dentro.»
Copernico
lo guardò sconvolto: «Eh?»
«La
refurtiva, tanto per cominciare. E anche il mestiere.»
L’agente
lo guardò male: «In che senso?»
«C’è
un tuo collega là dentro, che pare non aver capito bene il suo ruolo. I
poliziotti non rubano. Quello è lavoro per noi. Ma tranquillo, ora non vi
scappa più, è sedato.»
«E
io ora sederò te e mi seguirai in centrale.»
«Ma
davvero? E se io non volessi?»
«La
tua volontà mi è indifferente.»
«E
a me lo è la tua.»
E
Fantomius si gettò di sotto. Agli spettatori
sottostanti, che nel frattempo erano aumentati, prese un colpo. A Lord Quackett, stranamente, no. Aveva la testa vuota e si
muoveva per puro istinto. Sapeva cosa
fare, anche se non sapeva perché. Al
volo prese il rampino, lo agganciò al lampione, e si lanciò con assoluta
precisione, come se l’avesse programmato fin dall’inizio, nella volante
scoperta.
Quando
si ritrovò illeso sul sedile, il papero si concesse due secondi di stupore.
«Uao. La fortuna del principiante, credo. La prossima volta
mi sa che per par condicio finirò in un cespuglio di rose...»
Senza
perdere altro tempo, mise in moto la macchina e sgommò fuori città.
Il
poliziotto gli corse dietro: «LADRO!»
Il
papero mascherato gridò un ultima volta: «LO SO.»
L’agente
rimase imbambolato per un po’, come tutte le persone che lo circondavano. Solo
dopo un bel po’ si ricordò di Copernico.
«Voi,
cosa…»
L’inventore
non c’era più. Dopo un attimo di smarrimento, l’uomo alzò le spalle. Probabilmente
si era spaventato e se l’era data a gambe. Pazienza, aveva del lavoro da fare,
della volante rubata si sarebbero occupati i suoi colleghi.
Ed
entrò nell’edificio.
«Tu
sei pazzo.»
John
rise mentre si toglieva la maschera: «Non posso darti del tutto torto, amico
mio.»
Copernico
lo guardò rassegnato: «Cioè, niente da dire, sei stato bravissimo, ma hai idea
di quanto hai rischiato?»
«No
e preferisco non pensarci o mi vado a costituire. A un manicomio, però.»
L’inventore
si accasciò su una poltrona prendendo una bottiglia di succo di cicoria:
«Quando ti sei lanciato da quell’edificio mi hai fatto prendere un infarto… e poi, da dove è uscito il nome di Fantomius?»
«Ehm…»
Lord
Quackett si diresse verso la refurtiva: «Provvederò a
fare in modo che i derubati di cui abbiamo notizia riabbiano i loro averi. Di
quello che non sapremo nulla, una parte la diamo in beneficienza, e una parte
la teniamo per i tuoi esperimenti, che ne dici?»
Copernico
annuì mettendo una cannuccia nella bottiglietta e John prese l’edizione del
mattino del giornale giunta per posta. Non erano riusciti a chiudere occhio
dopo tutta l’adrenalina della serata.
«Ehi,
parlano di noi!»
Copernico
si strozzò con la cannuccia: «COSA?»
John
lesse ad alta voce: «”Un misterioso
ladro, questa notte, ha contribuito all’arresto di alcuni poliziotti corrotti e
dei loro complici. Dopo essersi sbeffeggiato delle forze dell’ordine, però, si
è impossessato della refurtiva e di una volante e si è dileguato. L’agente Pinko che ha contribuito alla cattura della banda è stato
promosso ispettore per la brillante operazione.”»
Copernico
sorrise: «Però! A quanto pare abbiamo aiutato anche lui.»
Solo
a quel punto notò che gli occhi di Lord Quackett
brillavano.
«John?»
«”Il neo ispettore ha dichiarato che non ha
intenzione di perdonare Fantomius (così si è
presentato il ladro) per la sua arroganza, e che la prossima volta lo catturerà
certamente.”»
L’inventore
lo guardò rassegnato: «Temo di aver capito cosa vuoi fare…»
«Sei
con me?»
«Visto
quanto sei avventato, te lo sogni che ti lascio da solo. Ma dovremo
organizzarci meglio di questa volta. Ho già qualche idea…»
«E
allora Fantomius tornerà a colpire. Non sia mai che
rinunci a una sfida così facilmente!»
«Allora
mi vado a mettere al lavoro. Magari dopo un pisolino…»
Lord
Quackett lesse interessato una lettera: «E io invece
accetterò quest’invito!»
Copernico
lo guardò perplesso: «Ma John, tu non odi gli eventi mondani?»
Lo
sguardo del papero divenne molto divertito: «Sì, ma se devo reggere anche
l’identità di Fantomius, sarà il caso che me ne crei
una più rispettabile da nobile. E dato che già girano voci sulla mia presunta imbranataggine… bè, chi sono io
per contraddire il mondo? E causare disastri apposta sarà un modo come un altro
per vivacizzare gli incontri…»
E
le risate dei due amici rimbombarono all’interno di Villa Rosa. In quella Villa
che per molto tempo era stata il rifugio e la prigione di Lord Quackett, ma che ora era solo più un rifugio. Il rifugio di
John, il nobile che non aveva scelto di esserlo. Il rifugio di Copernico,
l’inventore incompreso. Il rifugio di Fantomius, il
ladro gentiluomo che non temeva la prigione. Dopotutto, ci aveva vissuto fino a
quel momento.
Ed eccoci giunti alla fine di questa one-shot.
Un piccolo omaggio all’opera di Marco Gervasio e alla
sua fantastica serie sulle avventure di Fantomius.
Spero che vi sia piaciuta
e che sia riuscita a trasmettere un po’ della magia degli anni venti e del
ladro gentiluomo.
Alla prossima!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92