Premessa.
Questa storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza
dall’epilogo de “Il Canto della Rivolta". Gale è tornato a vivere nel
Distretto 12 da qualche mese, assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason,
che vive con loro. Haley Mellark è la primogenita di Peeta e Katniss. La storia
si riallaccia in minima parte a una precedente one-shot,
la cometa del Distretto 12, ma le due storie sono comunque scollegate fra loro.
Di comete, principesse e anime gemelle
Gale
assottigliò lo sguardo per difendersi dal sole, appoggiando la schiena alla
roccia. Erano giorni che non gli capitava di poter trascorrere un paio d’ore
nella quiete totale, come stava accadendo in quel momento; i boschi non erano
più silenziosi come una volta, specie nei fine settimana. Gli era già successo
più volte di perdere il vantaggio su una preda mentre cacciava, per via degli
schiamazzi improvvisi di qualche ragazzino a passeggio con i genitori. Quel
sabato, tuttavia, la porzione di bosco che fungeva da punto di incontro per lui
e Katniss sembrava tranquilla come in passato.
Gale chiuse gli
occhi e si aggrappò al silenzio con la mente. Ripensò a Katniss e ai pomeriggi trascorsi
assieme, appoggiati a quello stesso sperone, quando erano poco più che
ragazzini. Con il suo passaggio la cometa di Halley era riuscita a riunirli, alleviando i loro sensi di colpa e
mettendo assieme i primi tasselli per spingerli a ricostruire la loro amicizia.
Avevano impiegato mesi a cercare di ripristinare la complicità di un tempo, a
scoprire che potessero ancora fidarsi l’uno dell’altra, come avevano imparato a
fare il ragazzo e la ragazza che anni prima si erano incontrati per caso,
diventando inseparabili. Le poche ore trascorse assieme nei boschi, di tanto in
tanto, non li salvavano più come una volta, ma sapevano ancora di libertà e
sicurezza, sensazioni rimaste intatte nonostante il tempo trascorso.
In quel momento
Gale venne distratto da un fruscio improvviso e da un movimento alla sua
sinistra che riuscì a cogliere, nonostante le sue palpebre fossero ancora
serrate. Aprì gli occhi e scandagliò con lo sguardo la vegetazione nel punto da
cui era arrivato il rumore: la figura minuta di una ragazzina sporgeva da
dietro una roccia, messa in evidenza dalla bandana verde sgargiante che le
copriva i capelli.
“Haley?” esclamò
Gale, aggrottando perplesso le sopracciglia.
Gli occhi
chiari della bambina incrociarono i suoi per un istante. Pochi secondi più
tardi la ragazzina sbucò fuori dal nascondiglio, sbuffando sonoramente.
“Beccata!” dichiarò Haley Mellark, sollevando
le mani in cenno di resa. Diede poi uno strattone alle maniche della felpa che
portava legata in vita, avvicinandosi allo sperone di roccia. “Non è giusto,
pensavo di essermi nascosta bene!”
L’espressione
interdetta di Gale mutò per ospitare un lieve sorriso.
“La tua mamma
lo sa che gironzoli da sola per i boschi?” le chiese, osservandola sistemarsi
le trecce scure che spuntavano sotto la bandana.
Haley annuì.
“Certo che sì!” confermò con un sorrisetto
vispo. “Posso sedermi con te?” aggiunse, senza attendere una risposta. Prese
posto a gambe incrociate di fianco a lui e appoggiò la schiena contro alla
roccia.
Gale sorrise
divertito, frugandosi poi in tasca per cercare il cellulare.
“Allora non
penso che ci saranno problemi se la chiamo per avvisarla che sei qui, giusto?”
chiese, pigiando numeri a caso sul tastierino.
La bambina
esitò.
“In realtà l’ho
detto a papà, non alla mamma” si corresse infine, dando una scrollata di
spalle. “Però ora papà sta lavorando, non lo puoi chiamare” gli fece notare
poi. “Altrimenti i clienti poi si arrabbiano con lui, dicono che è maleducato e
non vengono più a comprarci il pane. E sarebbe proprio un peccato, perché papà
fa il pane più buono del mondo, e anche delle gran belle torte! E dei biscotti
buonissimi… Insomma, se lo chiami combineresti un bel po’ di pasticci, non
credi anche tu?” concluse la bambina, prendendo a giocherellare con dei fili
d’erba.
“In effetti
combinerei proprio un bel guaio” commentò Gale, scoccandole un’occhiata
divertita di sottecchi. “Per questa volta non chiamerò nessuno, ma non voglio
più trovarti in giro per i boschi da sola. Va bene, cometa di Halley[1]?”
Lo sguardo
della bambina sembrò farsi più luminoso per un istante.
“Va bene, papà bello di Joel!” rispose allegra,
con espressione malandrina.
Gale sorrise
ancora, scuotendo il capo con finta rassegnazione. Haley aveva sua madre e suo
padre nei tratti ma c’era qualcosa nelle sue espressioni sbarazzine che
apparteneva soltanto a lei e che riusciva a rubare sorrisi con facilità a
chiunque le stesse accanto. Era vivace e luminosa come la cometa che ricordava
il suo nome, ed era anche per quello che Joel, suo figlio, aveva preso a
soprannominarla Halley.
“E comunque non gironzolavo da sola. Sapevo che c’eri
tu, nel bosco” aggiunse la bambina, portandosi le ginocchia al petto e
avvolgendole con le braccia. “Me l’aveva detto Joel; così ti ho cercato.”
Il sorriso di
Gale si smorzò leggermente. Si era sempre trovato a suo agio con i ragazzini,
avendo avuto tre fratelli più piccoli, ma dalla morte di Prim
aveva spesso dei momenti in cui l’impaccio e il la tensione si mettevano
d’impegno per infastidirlo, quando si trovava da solo con un bambino. Si
innervosiva, quando Haley e Rowan Mellark scorrazzavano a ruota libera per il
soggiorno di casa sua o quando li portava nei boschi assieme a Joel: c’era
sempre il rischio che si facessero male sotto i suoi occhi, senza che potesse
fare nulla per impedirlo. Aveva paura di ferire Katniss così facendo: paura di
deluderla, di perderla, di ucciderla
di nuovo. Perché era a quello che avevano portato le sue scelte del passato:
l’aveva uccisa, fallendo nel prendersi cura di Prim.
“Gale?” lo
chiamò improvvisamente Haley, inclinando appena il capo per poter esaminare
meglio la sua espressione. Gale sospirò, voltandosi nuovamente verso la
ragazzina.
“Sì?”
“Sembri triste.
Hai bisticciato con qualcuno?”
La sua domanda
lo fece sorridere.
“Sono solo un
po’ pensieroso” rispose, stringendosi nelle spalle. “Capita spesso a noi adulti. Pensiamo tanto, forse troppo, a
volte.”
Haley lo
squadrò con attenzione: non sembrava molto convinta.
“Stavi pensando
a un brutto sogno?” chiese all’improvviso, strappando un filo d’erba e
facendoselo scorrere fra le dita.
Gale aggrottò
le sopracciglia, colto di sorpresa.
“Cosa?”
“Joel mi ha
detto che ogni tanto li fai anche tu. Ho pensato che potessi essere triste per
quello… Ma tranquillo, è normale” si affrettò ad aggiungere, con aria
comprensiva, “Certe volte li faccio anch’io ed è sempre molto brutto. Però so
anche che gli incubi degli adulti fanno più paura, perché io non urlo mai
quando mi sveglio: la mamma, invece, sì.”
Gale tornò a
voltarsi verso la bambina; le parole di Haley e il riferimento a Katniss
riuscirono ad infondergli una punta di preoccupazione Sapeva che non spettasse
più a lui proteggerla; che non era compito suo assicurarsi che lei stesse bene,
che fosse felice e al sicuro. Che fosse amata. Ma preoccuparsi per Katniss era
una di quelle abitudini che avevano attecchito talmente a fondo, dentro di lui,
da renderne impossibile l’estirpazione. Aveva capito che l’avrebbe protetta sin
dal giorno in cui si erano incontrati per la prima volta nei boschi. Aveva
appena quattordici anni, all’epoca, ma volle prendersi comunque l’impegno di
guardarle le spalle. Di prendersi cura di lei e della sua famiglia. L’aveva
fatto per anni, fino a quando gli era stato possibile. Fino a quando il nome di
Prim Everdeen non era stato
estratto dalla boccia della mietitura, assieme a quello di Peeta Mellark.
“Mi dispiace…
Per gli incubi della tua mamma” mormorò infine Gale, tornando a voltarsi verso
la bambina.
Haley strappò
ancora qualche filo d’erba e schiuse il pugno per farli scivolare lentamente a
terra, prima di alzarsi in piedi.
“Anche a me. Ma non devi preoccuparti, alla
fine torna sempre tutto a posto” spiegò con aria pratica, spolverandosi i
pantaloni sporchi di terra con le mani. “C’è papà che la protegge, sai?”
aggiunse con un sorriso.
Gale annuì, distogliendo
lo sguardo.
“Lo so.”
“Quando la
mamma si sveglia dopo aver avuto un incubo le basta abbracciare papà per stare
un po’ meglio. Papà è più bravo di chiunque altro a scacciare gli incubi”
proseguì la ragazzina.
L’ammirazione
che nutriva nei confronti del padre era evidente dal modo che aveva di parlare
di Peeta. Gale riconobbe nella sua espressione lo sguardo fiero che esibiva suo
figlio, quando parlava di lui con i coetanei. Ripensò anche a suo padre, e a
come il cuore gli si riempisse di orgoglio, da bambino, quando qualcuno
constatava quanto gli somigliasse; un sorriso affiorò spontaneo alle sue
labbra. I figli venivano al mondo da sempre con un amore incondizionato nei
confronti dei genitori ed era una cosa a cui non era mai riuscito ad abituarsi.
Era padre da otto anni, ormai, ma non credeva ancora di meritare la fiducia
cieca di Joel, il suo affetto, la gioia che comportava la presenza di un figlio
nella vita di qualcuno come lui.
“Anche la
mamma, ogni tanto, scaccia i brutti sogni di papà” proseguì Haley, mettendosi a
saltellare su un piede solo e poi a piedi uniti, come se stesse improvvisando
una partita di campana. Lo faceva spesso: riempiva il vuoto di movimenti e il
silenzio di parole continue, come se non potesse farne a meno. “Ci riesce
perché loro due si amano tanto e gli incubi, specie quelli più brutti, hanno
paura delle persone innamorate. L’amore li schiaccia, lo sapevi? I brutti
sogni” specificò la bambina, interrompendo il suo gioco per tornare a sedersi
di fianco a Gale.
L’uomo scosse
il capo, tornando ad appoggiarsi alla roccia.
“No, non lo
sapevo.”
“Lo immaginavo”
ammise la ragazzina, dando una scrollata di spalle. “I maschi, di certe cose,
ci capiscono proprio poco… Beh, quasi tutti i maschi. Gale?”
“Che cosa c’è, Halley?”
Haley si
strinse le ginocchia al petto e si mordicchiò il labbro con espressione
pensierosa.
“Papà e mamma sono anime gemelle?” chiese
infine, tornando a voltarsi verso di lui. Gale sgranò gli occhi, colto di
sorpresa. “A scuola June Hawthorne[2] mi ha
raccontato che quando due persone si amano davvero tanto, le loro anime si
uniscono, come se fossero due metà, e vengono chiamate anime gemelle” spiegò
meglio la bambina. “Mamma e papà lo sono, vero?”
Gale rimase in
silenzio per qualche istante, sostenendo a fatica lo sguardo insistente della
ragazzina. Gli occhi di Haley erano una doppia condanna, un promemoria costante
delle scelte sbagliate che aveva compiuto in passato. Avevano dentro
l’innocenza di Prim e la sensibilità di Peeta e alle
volte era doloroso incrociare quello sguardo. Soffermarsi sulle trecce scure e
sulla carnagione olivastra della bambina, tuttavia, faceva solo più male: in
quello Haley era come lui. Stessi capelli lisci, stessa aria da Giacimento. Se
uno sconosciuto fosse passato di lì in quel momento, probabilmente l’avrebbe
scambiata per sua figlia.
“Credo di sì” riuscì a mormorare infine,
passandosi una mano dietro alla nuca.
La sofferenza
che era riuscito a seppellire bene a fondo, nel corso degli anni, era riemersa
all’improvviso grazie alla voce squillante di una bambina di sette anni. Darle
la conferma che stava cercando fu una delle cose più difficili con cui si era
trovato a fare i conti nel corso dell’ultimo mese. Haley, tuttavia, sembrò non
accorgersi del suo conflitto interiore. Sorrise, visibilmente soddisfatta, e si
mise a giocherellare con una delle sue trecce.
“Johanna è la
tua anima gemella?” domandò all’improvviso, tornando a scrutarlo con
attenzione. Gale la squadrò con aria sorpresa.
“Ma sei proprio
una curiosona!” la rimbeccò infine, scuotendole giocosamente una treccia.
Haley
ridacchiò, rivolgendogli poi un sorrisetto malandrino.
“La chiami principessa?” chiese concitata,
sollevandosi sulle ginocchia. Gale si mise a ridere.
“Non penso che
le piacerebbe se la chiamassi così” rispose scuotendo il capo, divertito al
solo pensiero.
Haley inarcò le
sopracciglia.
“Come no? È una
femmina!” ribatté allibita, mettendosi a braccia conserte. “A tutte le femmine
piace essere chiamate principessa!”
si impuntò.
“Beh, Johanna è
una femmina un po’ speciale” commentò l’uomo, cercando di trattenere una
seconda risata. Haley si concesse un paio di minuti di silenzio, prima di
tornare alla carica con le sue domande.
“La proteggi?”
chiese all’improvviso, girandosi verso di Gale e mettendosi a gambe incrociate.
“Come papà protegge la mamma?”
Gale ammutolì
per qualche istante, messo a disagio – ancora una volta – dal candido
interrogatorio di Haley.
“Sempre”
rispose infine, distogliendo lo sguardo da quello della bambina. “E in un certo
senso anche lei protegge me.”
“Allora è proprio la tua anima gemella” osservò
Haley annuendo lentamente, come se gli stesse diagnosticando una qualche
malattia.
Gale tornò ad
appoggiare la schiena contro alla roccia; non era abituato a porsi certe
domande. I sentimenti che provava per Johanna erano nitidi e ben definiti, ma
metterli a nudo e dichiararli ad alta voce non era facile, forse perché, in
fondo, nessuno gli aveva mai chiesto di farlo. Lui e Johanna non avevano mai
avvertito il bisogno di darsi un’etichetta, né si erano mai interrogati esplicitamente
sul significato della loro convivenza; vivevano insieme, si stavano accanto a
vicenda e anche Joel sembrava contento di avere Johanna nella loro famiglia:
questo bastava a tutti e tre.
“Forse sì”
ammise infine, tornando a voltarsi verso la bambina. D’un tratto si sorprese a
sorridere. “Ma tu non glielo dire.”
Haley gli
rivolse un’occhiata furbetta.
“Ehi, papà di Joel, lo sai che sei diventato
tutto rosso?” lo prese poi in giro, punzecchiandogli una guancia con un dito. Gale si mise a ridere.
“E tu lo sai
che proprio una birbante?” rispose, facendole il solletico.
La bambina si
divincolò ridendo, fino a quando Gale
non mollò la presa. Si lasciò poi
scivolare a terra, stendendo le braccia e le gambe e nell’erba.
“Che ore sono?”
chiese infine, alzandosi, per controllare l’orologio che Gale portava al polso.
“È tardi”
rispose l’uomo, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia. “Penso sia ora di
tornare a casa, che ne dici?”
“Umh…” la bambina ci rifletté su per un po’, agitando i
piedi nell’erba. “No, dai, resto ancora dieci minuti.”
Gale le rivolse un sorrisetto divertito.
“Sei sicura?
Perché c’è sempre quella telefonata che volevo fare alla tua mamma, per dirle…”
“E va bene, ci
vado, ci vado!” lo interruppe la bambina, roteando esasperata gli occhi. “Come
sei antipatico quando fai così!” borbottò, facendolo ridere.
Fece per
alzarsi, incantandosi poi a fissare l’uomo per qualche istante, con le
sopracciglia lievemente aggrottate. Gale sospirò, preparandosi all’ennesima
domanda indiscreta della bambina.
“Che cosa c’è,
adesso?”
Haley continuò
a squadrarlo con attenzione.
“Certo che sei
proprio bello, oh!” dichiarò infine con schiettezza, esibendo una smorfia
compiaciuta. “Ma quanti anni hai?”
Gale le rivolse
un’occhiata disorientata, prima di rimettersi a ridere, scuotendo incredulo il
capo.
“Vai a casa,
Haley” ordinò con dolcezza, sforzandosi comunque di apparire fermo. La bambina
sbuffò.
“D’accordo!”
acconsentì infine, mettendosi a saltellare verso la roccia dietro la quale si
era nascosta appena una mezz'ora prima e proseguendo verso il margine del
bosco.
“Lo sai, papà di Joel…” gridò all’improvviso,
fermandosi a una decina di metri di distanza da lui. “…a me piace essere
chiamata principessa!”
“Me ne
ricorderò” le promise l’uomo, salutandola con un gesto della mano. Haley le
rivolse l’ultimo sorriso sbarazzino, prima di sparire oltre gli alberi.
Gale sorrise a
sua volta, scuotendo il capo divertito, prima di tornare a chiudere gli occhi.
Si concentrò sul rinnovato silenzio dei boschi, sicuro del fatto che Haley
sarebbe tornata presto a riempirlo con le sue parole, rischiarando il nero
delle sue riflessioni.
Proprio come la
cometa di cui portava il nome.
[i] Riferimento a: la cometa del Distretto 12. Il figlio di Gale
chiama la bambina Halley, come la cometa cui passaggio ha
un significato particolare per Gale e per Katniss.
[ii] June è una dei figlioletti di Vick Hawthorne ed è coetanea di Haley.
Note dell’autrice.
Questa storia è nata principalmente per due motivi; intanto, mi era
venuta una voglia matta di scrivere qualcosa dove Gale interagisse con la
piccola Mellark, dopo aver rimpinzato la povera Giraffetta di
stralci di dialogo fra Gale, Johanna e Haley – va detto che Johanna e Haley non
vanno molto d’accordo xD Il secondo motivo è che,
dopo aver spiegato a Sunflowerbud (che
inondo sempre di sproloqui infiniti c.c) che Gale
chiama la piccola Mellark principessa mi era venuta voglia di
spiegarne il perché. E dunque la ringrazio per avermi dato quest’input,
consentendomi di affezionarmi un po’ di più anche a questa monella, visto che
di solito il mio cuore ripiega sempre verso Joel <3 E così è nata questa
storia che, tecnicamente… è solo metà della storia. Per come l’ho plottata
questa conversazione avrebbe dovuto essere lunga quasi a il doppi e non avrebbe
avuto senso, così ho pensato di dividerla in due conversazioni
diverse, che comunque sono collegate fra loro. La parte di discorso che più ci
tenevo ad includere verrà introdotta nella seconda one-shot
che spero di riuscire a scrivere presto. Credo che nella seconda parte Haley
riprenderà a fare domande indiscrete e si focalizzerà un po’ sul rapporto fra
Gale e la sua mamma, temo xD E già soffro per il
povero Hawthorne. Questa prima parte, invece, si è
allacciata un po’ al discorso degli incubi che ha ripreso spesso Joel nelle
precedenti storie dedicate a lui, Gale e Johanna. Ho immaginato che, essendo
migliori amici, si confidassero sempre cose simili i due marmocchietti. Grazie
infinite a chiunque sia passato a
leggere questa storia
<3
Un abbraccio!
Laura
[1] Riferimento a: la cometa del Distretto 12. Il figlio di Gale chiama la bambina Halley, come la cometa cui passaggio ha un significato particolare per Gale e per Katniss.
[2] June è una dei figlioletti di Vick Hawthorne ed è coetanea di Haley.