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Autore: meggie681    20/02/2014    4 recensioni
In una New York agli inizi del 2000, la particolare storia di un giovane condannato ad un'esistenza particolare, per salvare il fratello ed anche sè stesso.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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ILMAREBLUCOMEUNARANCIA
One shot – Il mare è blu come un’arancia



Premessa ed omaggio.

Doveroso, a Philip Seymour Hoffman, visto il richiamo di una parte del film “Onora il padre e la madre”, nella quale si vede un ragazzo (asiatico credo) accogliere i propri clienti in un lussuoso loft di New York, dove dispensa loro preziose dosi di eroina, iniettandola direttamente in vena ai diversi professionisti, appartenenti alla categoria di “gente per bene ed in carriera” nella grande e marcia mela.

Relativamente all’attore, l’avevo scoperto ed adorato in Magnolia, in un’interpretazione intensa e dolce, amato nell’irritante ruolo di giornalista del Tattler, in Red Dragon, poi non l’ho mai seguito più di tanto, ma, alla sua morte, i vari canali tv l’hanno ricordato, trasmettendo, tra gli altri, anche il film sopra detto.

Un’interpretazione notevole, dove, appunto, lo si vedeva come frequentatore di questo posto particolare, in fuga dalla realtà, che gli andava sempre più stretta.

Nella shot, il giovane diventa il nostro Jared Leto (semplicemente Jared), mentre gli avventori hanno il volto di Colin Farrell, Matthew McConaughey, che impersonano loro stessi, Chris Meloni (che anche qui sarà l’avvocato Glam Geffen, ma di NYC) per poi arrivare a Shannon Leto (semplicemente Shan), fratello del protagonista, ma, entrambi, in vesti totalmente diverse dalla realtà.

Il titolo, è una battuta di un’attrice, nell’ambito di un episodio del Commissario Maigret, senza dimenticare l’opera “Blu come un’arancia”, della straordinaria poetessa Alda Merini.


Buona lettura e grazie per le recensioni.



New York, primavera del 2005


Il loft era al ventiquattresimo piano, in quel lussuoso palazzo al centro della città.

Di solito ci si arrivava in taxi, solo su appuntamento.


Quell’attore se ne stava sdraiato a pancia in su, a fissare il soffitto da circa dieci minuti.

Jared, il ragazzo dell’appartamento, gli aveva appena iniettato una dose e stava ripulendo il ripiano in ebano, dove di solito posizionava il fornellino, per scaldare l’eroina, in un cucchiaio, sempre di acciaio e sempre sterile.

Siringhe monouso, ampolla di cristallo, dove spiccava il colore rosa di un liquido infiammabile, dall’aroma persino gradevole e poi accanto, a quel piccolo arsenale, un vassoio in argento, con la mazzetta di soldi, che Colin Farrell gli aveva appena elargito.

Si pagava in anticipo.
Ordine tassativo di quelli.


Jared parlava poco, il meno possibile.
Era solito non dare confidenza, ma lo sguardo di quel tizio lo turbava dalla prima volta, che Colin aveva varcato la soglia di quello strano posto, segnalatogli da un collega, Matthew McConaughey: erano entrambi ad inizio carriera artistica, frequentavano la gente giusta della grande mela, però l’ambiente era saturo di squali e tentazioni.

Farrell ne aveva una paura fottuta del successo, Matt non era da meno, anche se il suo carattere sembrava più coriaceo e strafottente.

Per esserlo, Colin, invece, doveva attaccarsi alla bottiglia oppure alla sua razione settimanale di polvere bianca.

Ormai ne usava di ogni tipo, il suo armadietto in bagno sembrava una farmacia.

Tremava e sudava, solo, nelle camera d’albergo, ma, con Jared, era tutto diverso.


“Ehi … perché non vieni qui un attimo …?” – biascicò, strofinandosi la faccia sudata.

Gli avventori erano soliti farsi un giro per le stanze, bere qualcosa, spogliarsi quasi completamente e poi assopirsi su di un letto ampio, dove Jared cambiava il lenzuolo di sotto, marcio di sudore, ad ogni giro.

Era una giostra macabra, tendeva spesso a pensare.

Lui pensava troppo, stando zitto, guardando quei relitti, che all’apparenza avevano tutto, ma non possedevano altro che la propria disperazione quotidiana.

Lavori che non piacevano, mogli che li tradivano, figli che deludevano ogni minima aspettativa.

Jared faceva finta di ascoltarli o meglio, di interessarsi un minimo ai loro problemi.

Dava quelle che soleva definire come risposte standard, ad ogni loro casino, confessato senza il timore di essere traditi.


“Allora ci vieni qui … sì o no …?” – insistette il moro, ridacchiando e mettendosi a pancia in giù.

“No”

Jared rimase seduto su di uno sgabello, alternando lo sguardo da un diario al panorama esterno.

Le vetrate davano su di una vista mozzafiato.


“Cosa scrivi, le tue memorie, ragazzino?” – Farrell storse la bocca, deluso.

“Non lo sono”

“Cosa? Memorie o tu non sei un ragazzino?” – chiese serio.

“Entrambi” – lo tagliò secco, sparendo in una sorta di anfratto, per riporre il denaro in cassaforte.


“Jared … cazzo torna qui!” – insistette debole Colin, nel suo accento di Dublino, inconfondibile.

“Ma cosa vuoi?” – replicò un po’ stanco.

“Posso chiederti una cosa?”

“Oggi non dormi? Non ho voglia di parlare”

“Io sì Jared … senti …”

Il giovane si mise a distanza, cambiandosi quello che sembrava un kimono od una vestaglia, rivelando un corpo asciutto e tonico.

Andò poi ad allungarsi sopra un davanzale spazioso.

“Ti sto a sentire …”

“Ok … Ok, volevo sapere se anche tu … sei finocchio come me”

Quel termine gli sembrò così volgare, poi ridicolo, infine patetico.

Com’era Farrell, in fondo.

“A scuola non ti hanno insegnato a dire gay?”

“Cosa cambia? … Allora lo sei o”

“No.” – replicò secco, sparendo di nuovo chissà dove.


***


Era un uomo bellissimo.
Anche se gli teneva aperte le gambe, con l’arroganza della sua fisicità, ma Jared non gli opponeva alcuna resistenza.

Glam Geffen si piegò in avanti, sino a baciarlo.
Jared si appese al suo collo taurino, capendo che stavano per venire.
Insieme.

In un certo senso, poteva anche essere diverso da quell’insegnante di pallacanestro, che quando Jared aveva sedici anni, con la scusa di un allenamento fuori orario, lo tenne chiuso in uno sgabuzzino sino a mezzanotte, facendogli di tutto.

La cosa non finì lì.

Andò avanti per mesi.

Infine Jared lo disse finalmente a qualcuno.
E fu un errore.
A suo fratello Shan.


“Cazzo … tu sei incredibilmente stretto … e caldo”

Geffen gli ansimò nella bocca, tirandolo su come se Jared fosse di carta.

Tutti gli scrivevano addosso qualcosa o lasciavano un segno.

Incancellabile.


Jared lo baciò ancora, forse cercando un po’ di tenerezza, perché in Glam esisteva, nascosta da qualche parte.
Lui ne era sicuro o voleva esserlo a tutti i costi.

Geffen preferì fargli scendere quelle labbra perfette sino al proprio inguine.
Senza riguardo.

“Ti voglio ancora, non vedi?” – sorrise un po’ bieco.

Perché doveva essere così squallido?
Jared provò rabbia, ma non si ribellò.

Era il suo migliore cliente, era il suo legale, gratis, lo copriva passando mazzette alla polizia, senza contare che mediava conquelli, che costringevano Jared a fare ciò che faceva da un decennio.

Un’eternità.

Il debito, però, era quasi estinto.
Quasi.


“Tu sei meglio di questa merda … peccato io non riesca a fare a meno di lei e di … di te …”

Jared gli sfilò il laccio emostatico; Geffen era quasi andato.

“Ora riposati …” – gli disse timido, dandogli persino una carezza sulla guance arrossate.

“Non trattarmi bene, Jared, non ci sono abituato” – rise.

“Hai litigato di nuovo con Amber?”

“No … delle mie cinque ex mogli è la più simpatica …” – scherzò alienato.

Jared scosse la testa, tornando al suo trespolo.

In quel kimono multicolore sembrava un pappagallo raro, di quelli che si vedono allo zoo.

Geffen gli fece la battuta alla seconda seduta.


Dalla terza cominciarono anche a scopare.
Jared non si faceva toccare da altri.

Geffen lo avrebbe ammazzato: glielo disse una sola volta, fatto ed ubriaco di vodka.
Eppure l’avvocato non scherzava.

Ed a Jared fece piacere, interessare a qualcuno.


“Torna qui …” – l’uomo gli tese la mano.

“Per oggi basta, Glam, sono stanco …”

“Che hai capito? Voglio che tu stia qui e basta, cazzo” – Geffen si innervosì, ma stava per piangere, inspiegabilmente.

Gli obbedì.

Glam lo fissò.

“Tu … tu hai gli occhi come il mare Jared … un mare blu, come un’arancia”



***

Matthew preferiva tirare di coca, prima di farsi.

Jared gli aveva consigliato di smettere.

“Dovrebbe bastarti questa”

“Figurati, per sballarmi al meglio ho bisogno di tutte e due!” – ribatté già un po’ alterato, saltellando sul materasso, in boxer, abbronzato ed in forma strepitosa.

Faceva un sacco di palestra.
Era per un ruolo.

“Hai già iniziato il film?” – domandò Jared, incolore.

“No, settimana prossima, a Los Angeles … Non ci vedremo per un paio di mesi … dove posso trovare qualcosa di simile anche lì?” – bissò inginocchiandosi al centro di quel giaciglio dove nessuno sognava mai.

Jared rise.
Era insolito.

“Sono unico, mi spiace … Comunque chiederò in giro” – lo rassicurò.

Matt lo scrutò, inclinando di poco il volto verso destra.
Era un bel tipo.

“Che c’è?”

“Nulla … Allora è pronta?”

Jared annuì, avvicinandosi – “Mettiti giù, rilassati …”

“Sì ok …” – mormorò, tirando su dal naso.

Appena Matt chiuse gli occhi, il mondo nel suo cervello divenne viola.



Jared stava guardando un film.
Matt dormiva.

Era inutile stargli accanto.

Quando spuntò dal corridoio, avvolto in un telo bianco, dalla vita in giù, Jared ebbe un sussulto.

“Ah sei qui … Scusa, mi sono fatto una doccia, puzzavo come una capra” – scherzò l’attore.

“Nessun problema. Hai sete?”

“Parecchia … Mi dai una tonica? – e si grattò la nuca, affiancandolo sopra il divano in alcantara nero pece.

“Che guardi Jared? Ah c’è Colin in questa pellicola qui …”

“Sì … Come sta? Non lo vedo da giorni …” – domandò incerto.

“L’ho beccato ieri in un club, scopa nei cessi … Era con una bionda …”

“Una donna?”

“Sì … Quando è sobrio neppure le guarda, ma pieno di Jack Daniel non se ne lascia scappare una …” – rivelò assorto.

“Contento lui …” – deglutì a vuoto, passandogli la bibita.

“Grazie Jay … Ti posso chiamare così?”

“Fai come ti pare … Comunque dovresti andartene … tempo scaduto e c’è un’altra persona, tra poco …”

“Ma chi quel ciccione della city? Lo becco in ascensore, puntualmente, quando scendo, sai?” – rise fragoroso.

“Sì, lui … E’ martedì …”

“Già … Magari ti telefono dalla California … Che ne dici?” – domandò nervoso, mentre Jared gli porgeva gli abiti firmati.

“Ok …”

“Che entusiasmo …”

“Fallo alla sera, quando sono da solo …”

“Sei da solo alla sera? Allora magari usciamo, ti va un cinema, una pizza, robe così?”

Il suo accento texano rimbombava tra le scapole di Jared, che aveva preferito riporre la cassetta, piuttosto che sostenere lo sguardo di Matt.

“No, scusami, non posso … Quando torni ne riparliamo” – si voltò abbozzando un sorriso – “Ok Matt?”

“D’accordo …” – bissò flebile, poi si avvicinò, abbracciandolo furtivo, come il bacio, che gli stampò sulla fronte spaziosa – “Abbi cura di te ragazzino”


***

Il campanello lo svegliò nel cuore della notte.

Jared si precipitò al citofono, per scoprire chi fosse.

“Sono Colin, per favore fammi salire!!”

Era angosciato, ma non sembrava fumato o sbronzo.


“Che cazzo ti succede?”

“Ho fatto una stronzata … Credo di avere investito qualcuno”

“Come credi? Eri fatto?”

“No Jared … No, ma stavo parlando al cellulare … questi maledetti affari!” – e scagliò il portatile contro la parete, mandandolo in frantumi.

Anche lo stomaco di Jared si trovava nelle stesse condizioni.
Mangiava poco e quel poco lo vomitava, da un paio di settimane.

Aveva fatto le analisi, anche una tac, ma, alla fine, lo specialista di turno lo definì “stato di somatizzazione acuta”.
Da lì una valanga di domande, un questionario, per capire le abitudini e gli stress di quel ragazzo dagli occhi così penetranti.

Jared se ne fuggì via dall’ambulatorio, senza esaudire la legittima curiosità del medico e senza risolvere niente.


“Adesso datti una calmata Colin … Miseria, ti prendo un valium”

“No, no, non prendo quella roba, non voglio più questo schifo!!” – urlò, per poi azzerare la distanza tra loro, fermi nel living, per abbracciarlo forte.

Forse Jared stata solo immaginando la scena.

***


Un mese dopo …


Shannon arrise alla sua vista, appena individuò Jared sulla panchina in fondo a quel parco, nei pressi della clinica privata Delaware.

Si corsero incontro, stringendosi.

“Mi ero quasi perso … Cavoli che posto JJ …” – solo lui lo apostrofava in quel modo, da quando erano bambini.

“Colin esce domani … Te l’avevo scritto … Dai sediamoci …”

“Sì c’era anche questo nella tua lettera … Oltre al resto … Non riesco ancora a crederci, che ne siamo usciti …” – e gli cinse i polsi, scostando senza volerlo i braccialetti, che Jared non toglieva mai: erano perfetti a celare le cicatrici, mai sparite del tutto.

Fuori e dentro di lui.

Solo quando venne ricoverato, dopo essersi tagliato le vene, Shannon scoprì il suo segreto.

La sera stessa, quell’insegnante, benvoluto, stimato, accasato con prole, finì la sua vita, tra le mani di Shannon, che gli spezzò il collo, senza alcuna pietà.

Purtroppo non senza testimoni.
Shan frequentava un brutto giro, per mantenere sé stesso e Jared, abbandonati dal padre e trascurati dalla madre, che si barcamenava tra mille lavori inconcludenti ed umili, i cui proventi finivano puntualmente in bottiglie e sigarette.

Un’esistenza ai margini, la loro, in un degrado malsano, da cui Jared voleva emergere andando a scuola e non rinunciando agli studi, come il fratello.

Un contesto così diverso, nel quale Shan lo credeva al sicuro.

I capi di quella piccola, ma pericolosa organizzazione, lo tennero in pugno per un po’, minacciandolo di denunciare l’omicidio e farlo marcire in galera.

Quando, però, si accorsero di Jared, proposero un’alternativa e questi accettò, al fine di ripagare Shannon, non solo per il cibo, i vestiti, i libri, che mai gli aveva fatto mancare, ma, soprattutto, per averlo vendicato e liberato da quell’incubo.

Peccato che da quell’istante, se ne apriva uno peggiore.

Con un prezzo stimato e stabilito, che Jared poteva estinguere adattandosi alle loro esigenze.

Era avvenente, era scrupoloso, non si metteva nei guai e piaceva alla clientela.



Quella mattina, nei giardini della Delaware, c’era il sole.

Un sole caldissimo.

“Colin ha pagato la differenza … Ha saldato insomma, a Geffen direttamente …” – spiegò in lieve imbarazzo, mentre Shan gli spostava i capelli dalle tempie.
“Geffen … Lo frequenti ancora?”
“No … Sì è di nuovo sposato … credo …”

“E con Colin come va?”

“Ci stiamo conoscendo …” – arrossì.

“Ok …” – Shan inspirò.


“Tu e Debra? Mio nipote quando nasce?” – domandò trepidante.

“Tra un mese … Perché non venite a Chicago da noi, tu e Colin … Ormai è pulito, no?”

“Assolutamente sì ... In ogni caso la nostra destinazione è Hollywood … Il suo agente dice che ho un certo carisma … Secondo te mi prende per il culo?” – rise, tormentandosi le dita affusolate.

“Non sbaglia … In compenso, non credi sia una pessima idea? Hollywood intendo”

“Chissà … A me sembra di non avere neppure vissuto in questi dieci anni, Shan … Ero come segregato, anche se ero libero di andarmene quando volevo … Non senza lasciarti in pasto a quelli …”

“Hai fatto troppo per me JJ …”

“No” – e guardò oltre le sue spalle, sorridendo – “C’è Colin”

Gli andò incontro, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia robuste.

Shannon li guardò a lungo, prima di aggregarsi alle loro risa, ai discorsi carichi di aspettative.

A quel mare blu, come un’arancia, che dalle iridi di Jared, lambiva il futuro.

Finalmente.



The End









   
 
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