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Autore: AnnabethJackson    20/02/2014    5 recensioni
| Percabeth | Angst | Bad Ending |
La guerra dei Giganti è terminata... con un sacrificio. Percy si incolpa e Annabeth gli fa capire che, dopotutto, non ha colpe. Perché lui è il suo eroe.
Storia senza pretese ma cui tengo veramente molto. No Spoiler.
[Arrivata Terza al contest “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf]
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Dal testo:
"Quella negazione, quel gesto così semplice ma allo stesso tempo così complesso, fece crollare definitivamente il guerriero stanco che faceva parte del suo essere.
-Dimmi, Annabeth, perché lui? Perché proprio lui? Non aveva nessuna responsabilità. Non aveva colpa!- la voce già debole, si spezzò definitivamente sul finire della frase.
La ragazza appoggiò il capo alle ginocchia, piegandolo leggermente. Gli occhi erano una pozza grigia di consapevolezza mista a sollievo colpevole.
-Ero io quello che doveva morire, quello che doveva sacrificarsi. IO! Non lui... - colpevole perché una piccola parte di Annabeth era contenta che lui fosse lì con lei. Che lui fosse vivo."
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A come amore, P come Percabeth'
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[Partecipante al contest: “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf su forum di EFP]

Nome autore (sia EFP sia Forum): Forum--> Roses98/ EFP--> AnnabethJackson
Titolo della storia: And this is enough for a lifetime
Tipo di storia: One Shot, Malinconico, romantico, triste, Future!fic
Rating: Giallo
Coppia scelta: Percabeth (Percy/Annabeth)
Citazione scelta: «Io sì.» dico «Io ho bisogno di te.» (La ragazza di fuoco - Susanne Collins)
Breve introduzione: Quella negazione, quel gesto così semplice ma allo stesso tempo così complesso, fece crollare definitivamente il guerriero stanco che faceva parte del suo essere.
-Dimmi, Annabeth, perché lui? Perché proprio lui? Non aveva nessuna responsabilità. Non aveva colpa!- la voce già debole, si spezzò definitivamente sul finire della frase. 
La ragazza appoggiò il capo alle ginocchia, piegandolo leggermente. Gli occhi erano una pozza grigia di consapevolezza mista a sollievo colpevole.
-Ero io quello che doveva morire, quello che doveva sacrificarsi. IO! Non lui... - colpevole perché una piccola parte di Annabeth era contenta che lui fosse lì con lei. Che lui fosse vivo.
Note dell’autore: Allora, per scrivere questa shot ho impiegato un intero pomeriggio, e ho dovuto sacrificare la mia long ma, ehi, non avevo ispirazione. La storia si colloca subito dopo la fine della guerra dei Giganti (praticamente un paio di giorni dopo) secondo un finale che mi sono immaginata io. Inutile dire che mi è stato difficile scriverla perché... beh nel finale che mi sono immaginata io, muore un personaggio che mi sta molto a cuore, ma voi potete benissimo pensare ad un altro personaggio mentre leggete il testo. È piuttosto vago come riferimento. (es. volete che muoia Jason? Nel testo è morto Jason. Volete che muoia Grover? Nel testo è morto Grover).
E' una gran cavolata, lo so, sopratutto perché sono abituata a scrivere storie comiche e a sfondo quasi demenziale, ma non mi è uscito di meglio. Per tutti i dubbi che, sicuramente, avrete sul contenuto, leggete in calce al testo ;) Buona lettura.






 
And this is enough for a lifetime




 
Ambientato appena dopo la guerra dei Giganti,
nella speranza che zio Rick non li uccida.




Le tremule foglie dei pioppi danzavano liberamente, mosse da quel vento troppo forte perché potessero rimanere attaccate ancora per molto sul ramo dell'albero. Il loro movimento creava interessanti sfumature rossastre, come se, all'improvviso, del sangue avesse macchiato quelle foglie che, ormai, riposavano longeve sul ramo da troppo tempo. Il sangue, poi, gocciava verso il terreno, seguendo il lento ma perpetuo cadere di ogni singola fronda.
Sangue. Troppo sangue.
Una delle tante lacrime rossastre danzò fino a toccare terra, quella terra così divina da richiedere un sacrificio grande. Troppo grande.
Un'altra lacrima cadde, come un guerriero trafitto, e la sua superficie raggrinzita venne a contatto con la scarpa sporca di fango e terra.
Un corpo senza vita che si adagiava sul campo di battaglia.
Il ragazzo rimase così, in piedi, senza muovere un muscolo per un tempo troppo lungo. Eterno.
Lo sguardo era fisso su un punto imprecisato del suolo, come se stesse studiando attentamente quella materia cellulare morta per una ricerca biologica.
Lo si poteva scambiare quasi per un piccolo soldatino sull'attenti, in attesa di un ordine dal proprio superiore. Così, da lontano, chiunque avrebbe affermato che quel ragazzo era solo... un ragazzo. Ma non lei.
Con una lentezza che non la caratterizzava affatto, si avvicinò, un passo dopo l'altro, una gamba davanti all'altra. La caviglia destra le doleva ancora, ma le fitte diminuivano giorno dopo giorno grazie ad una buona dose di ambrosia e, pregando gli Dei, anche di riposo.
Dopotutto la guerra era finita proprio quando pensava che non avrebbe mai più visto la fine di quel tunnel buio e stretto.
Laconica, arrivò alle spalle del ragazzo immobile, il viso che superava appena il suo collo. Silenziosamente gli poggiò una mano sua spalla, irrobustitasi negli anni grazie ad allenamenti su allenamenti e alla guerra, che era il miglior esercizio per apprendere il combattimento. In tutti i sensi.
A quel contatto così leggero e quasi impercettibile, il ragazzo sussultò, ma non si volse. Al contrario, piegò le ginocchia con un burattino e cadde a terra.
Si raggomitolò come un bruco nel proprio baco, portando le lunghe gambe al petto e le braccia muscolose ad avvolgere quel corpo troppo piccolo per contenere tutto. Tutto il dolore.
Annabeth gli si sedette a fianco, lasciando scorrere lo sguardo in lontananza, sull'orizzonte, dove una nave era attraccata, abbandonata al fato di chi, un padrone, non ce l'ha.
Il tempo scorreva inarrestabile mentre i due ragazzi restavano semplicemente così, avvolti nel perpetuo silenzio del vento, beneficiando di quei pochi momenti sabbatici concessi loro.
Una mano brucò sul terreno andando a stringerne un'altra, più esile e più calda.
Il sangue era caldo.
«Ricordi quando tua madre disse che il mio difetto fatale era la lealtà?» un bisbiglio, una domanda che non aveva bisogno di risposta.
Annabeth strinse la mano del ragazzo, in una replica muta.
«Beh, aveva ragione.» un sorriso per nulla felice increspò le labbra di Percy. «Ma, dopotutto, è la dea della saggezza, giusto? Lei non sbaglia mai.»
Era costato molto ammetterlo a sé stesso e, ancora di più, dirlo a voce alta. Lui che pensava di poter gestire quella sua debolezza.
«Perché?» per la prima volta nella vita, Annabeth non aveva una risposta pronta. Non credeva nemmeno che esistesse. Era successo e basta.
Si limitò a scuotere il capo, sempre con lo sguardo all'orizzonte.
Quella negazione, quel gesto così semplice ma allo stesso tempo tanto complesso, fece crollare definitivamente il guerriero stanco che era parte del suo essere.
«Dimmi, Annabeth, perché lui? Perché proprio lui? Non aveva nessuna responsabilità. Non aveva colpa!» la voce già debole, si spezzò definitivamente sul finire della frase.
La ragazza appoggiò il capo alle ginocchia, piegandolo leggermente. Gli occhi erano una pozza grigia di consapevolezza mista a sollievo colpevole.
«Ero io quello che doveva morire, quello che doveva sacrificarsi. IO! Non lui...» colpevole perché una piccola parte di Annabeth era contenta che lui fosse lì con lei. Che fosse vivo.
«Da quando sono arrivato al Campo Mezzosangue, sin dalla mia prima impresa, tutti si sono sacrificati soltanto per me. Perché io ero il figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi. Perché dovevo salvare l'Olimpo da Crono.» ora che aveva iniziato a parlare nessuno sarebbe riuscito più a fermarlo.
«Chi volontariamente, chi no, tutti hanno ceduto la vita al mio posto. Prima Bianca, poi Zoe, Luke... e ora lui
Un pausa fin troppo prolungata per sembrare vera. Percy nascose il capo tra le braccia e le gambe, mentre quei capelli corvini, fin troppo lunghi, gli coprirono gli occhi. Erano già tre mesi che non li spuntava. Tre mesi che non tornava a casa.
«Se fossi stato io ad andargli incontro*, forse non sarebbero morte tutte quelle persone. Lui sicuramente sarebbe ancora vivo.» intrecciò le mani dietro al collo. «Ora nessuno ha più bisogno di me. Ho deluso tutti.» quelle ultime parole erano state pronunciate così piano da risultare quasi impercettibili all'orecchio umano.
Ma, dopo tutto quel tempo passato all'Inferno, Annabeth l'udì chiaramente.
E, altrettanto chiaramente, sentì una lama invisibile trafiggerle il cuore, rompendolo in mille pezzi.
Quella frase la distrusse più di qualsiasi altra cosa avesse affrontato fino a quel momento.
Con un movimento fulmineo, allungò le braccia per stringere quel corpo massiccio che l'aveva sorretta nei mesi difficili, sempre e comunque, e che, in quel momento, avevano bisogno del suo sostegno.
Avvicinò le labbra rosee all'orecchio del ragazzo, sussurrando parole, trasmettendo emozioni e comunicando... amore.
«Io sì.» disse. «Io ho bisogno di te.»
Appoggiò la fronte sulla sua spalla coperta dalla sottile stoffa arancione della maglietta.
«Senza di te io non sarei la stessa persona. Tu mi hai salvata quando tutti pensavano che per me la fine era già stata segnata.* Tu mi hai salvata letteralmente dall'Inferno perché, senza di te, non ne sarei mai uscita viva. Per gli Dei, Percy! Sei caduto con me per non lasciami di nuovo.» uno sbuffo, il tono incredulo. Annabeth si stupiva ancora. «Tu mi salvi ogni singola notte. Non riuscirei a superarne nemmeno una senza la tua presenza in quel letto così grande e freddo.» un ciuffo d'erba secca torturata per tutta la durata del discorso venne sradicata tragicamente dalle dita sapienti di Annabeth.
La bocca tornò al suo orecchio. Altre parole, altre trasfusioni di vita che entrarono direttamente nel cuore dell'eroe.
«Questo dimostra che hai torto perché tu, Percy, ti sei sacrificato per me. E questo basta per una vita intera.»
Il ragazzo alzò il volto, occhi negli occhi, cuore nel cuore.
Con un impercettibile movimento della testa, appoggiò la sua fronte a quella della ragazza, andando a sfiorare il suo piccolo naso con il proprio.
E, un attimo prima di lambire quei boccioli rosa da cui erano uscite radiazioni di vita, visse il suo momento di idillio.
«Ti amo.»








* Allora, essendo ambientato immediatamente dopo la fine della battaglia, ho presupposto che chi si è sacrificato è andato incontro alla morte.
* Annabeth si riferisce al suo rapimento ne “La maledizione del Titano” quando tutti pensavano che per lei non c'era speranza di salvezza.
  
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