The
End
Sono
4 mesi
9 giorni 12 ore e 34 secondi, che una stupida auto lo ha investito.
Sono appena entrato in ospedale, come ogni giorno sono qui per lui,
salgo le
scale.
La sua camera si trova al terzo piano, in fondo al corridoio a destra.
Ormai
potrei camminare anche ad occhi chiusi, conosco più questo
posto che la mia
casa.
Entro, è nel letto. Non potrebbe essere altrimenti, quando
una persona è in
coma non può alzarsi e ballare al centro della
stanza.
Sono 4 mesi 9 giorni 13 ore e 3 secondi, che lo guardo tutti i giorni steso su
quel
letto, i dottori dicono che solo un miracolo potrebbe fargli aprire gli
occhi.
Ed io mi chiedo, perché Dio non dovrebbe fare un miracolo
per lui?
Mi siedo accanto al letto, su quella sedia che ormai è
diventata mia.
Prendo la
sua mano con la speranza che lui la stringa, ma non accade mai. La sua
mano è
fredda e non si muove, come il resto del suo corpo.
Resto li a guardarlo, perché è tutto quello che
posso fare, è tutto quello che mi
rimane. Sperando che riaprirà i suoi occhi, ricambiano lo
sguardo.
Lascio vagare lo sguardo da una parte all'altra del suo viso,
del suo corpo. È
ricoperto da lenzuola rosa, quel rosa chiaro da sembrare
bianco.
Non so come sia possibile che in questo momento pensi a questo, ma
guardandolo,
pensò che somigli a Biancaneve.
Sarebbe bello se stesse solo dormendo e potessi svegliarlo con un
bacio. Ma
baciarlo non risolverà niente.
Mi
farebbe soltanto percepire le sue labbra
fredde, fredde come la sua mano e come il resto del suo corpo.
La sua temperatura non è mai stata molto calda. Le sue mani
erano sempre
fredde, ma bastava che le stringessi per riscaldare. Adesso non basta.
Quando un persona muore la sua temperatura si raffredda. Ma non voglio
pensare
che lui sia freddo perché sta morendo.
Voglio pensare che sia solo perché ha freddo, solo che
questa volta ci vorrà di
più per riscaldarlo. Ma non resterà freddo. Non
può.
Alzo lo sguardo verso il suo volto, osservare la sua mano mi porta alla
mente
pensieri che non voglio ascoltare.
È pallido, ma lo è sempre stato. Le sue labbra
sono secche, quasi del tutto
bianche, ma riesco a vedere ancora del rosa oltre alle sfumature
viola.
Pensò a
tutte le volte che quelle labbra sono state mie, erano così
rosa e calde.
Cosa proverei adesso posando le mie labbra sulle sue. Non voglio
saperlo.
Alzo lo sguardo, osservo il suo naso e sorrido, o meglio, gli angoli
delle mie
labbra si curvano verso l’alto, ma il mio sguardo e spento.
Non rido da quando lui è qui. L'ultima volta che ho sorriso,
un sorriso di
quelli veri, è lontana.
Ricordo che ridevo sempre, quando involontariamente arricciava il naso,
ridevo
perché era adorabile. Sembrava un bambino.
Ma adesso nessun movimento involontario muove il suo naso.
Alzo ancora lo sguardo. I suoi occhi. Potrei dire mille cose sui suoi
occhi.
Le palpebre sono chiuse, posso osservare solo le sue ciglia. Ma le
aprirà, deve
riaprirle. Per me.
Era così semplice, prima, specchiarmi nei suoi occhi. Ma
adesso i suoi occhi sono
chiusi.
Non posso guardare le sue iridi e domandarmi per l’ennesima
volta di che colore
siano. Perché non avevano un colore in particolare. Era
“color unico” per
me.
Semplicemente il colore dei suoi occhi, non serviva saperlo con
certezza, ma se
adesso me lo chiedessero non saprei rispondere.
Ma non importa. Vorrei soltanto
poterli riguardare.
La
prima
volta che lo vidi era seduto, su un prato, aveva un album da disegno
sulle
ginocchia e la sua mano si muoveva su quel foglio.
I cappelli gli ricadevano davanti al viso, non potevo vedere quanto
fosse
meraviglioso, l’avrei scoperto solo dopo.
Mi avvicinai a lui per sapere cosa stesse disegnando, pensatela come
volete, ma
io so che era destino, che lo notassi per la prima volta proprio in
quel
momento.
Non si rese conto che mi stavo avvicinando, finche non feci ombra sul
suo
foglio. Alzò il volto e per la prima volta incontrai i suoi
occhi.
Persi un battito, perché quelli erano gli occhi
più belli che avessi mai visto.
Lui era la persona più bella che avessi mai visto.
Solo dopo mi resi conto che
era anche la persona migliore che avessi mai conosciuto.
Restai a fissarlo, non distogliendo lo sguardo. Lo fece lui,
abbassandolo sul
suo disegno, questo portò anche me a farlo.
Guardai il suo disegno. Ero io, non ero sicuro, ma quel ragazzo su quel
foglio
sembravo proprio io.
Riportai lo sguardo su di lui, aveva ancora la testa bassa. Mi
inginocchiai
davanti a lui, gli chiesi se ero io, lui annuì.
Mi misi seduto accanto a lui. Fu in quel momento che mi porse la mano
dicendomi
il suo nome e chiedendomi il mio.
Gerard non era timido, bisognava solo dargli il tempo di essere a suo
agio.
Gli chiesi come mi conoscesse, ma lui disse che non sapeva neanche il
mio nome,
prima di quel momento.
Disse che mi aveva visto seduto ad un tavolo dello
Starbucks, mi aveva trovato bello e da allora non aveva smesso di
disegnarmi.
Mi chiese di posare per lui e io accettai subito. Inutile dire che da
quando
avevo accettato di posare per lui, passammo molto tempo insieme.
Innamorarmene fu la cosa più semplice del mondo. Come si
poteva non amare
Gerard.
Non era perfetto, ma erano le sue imperfezioni a piacermi. A volte
riusciva a
farmi arrabbiare, ma trovava sempre il modo di farsi
perdonare.
Infondo erano
solo sciocchezze.
Non potevo avercela con lui. Lui che aveva dato un senso alla mia vita.
La mia vita che prima di lui era vuota, insignificante, inutile. Lui mi
ha
insegnato ad amare, lui mi ha insegnato l’arte. Lui mi ha
insegnato a lottare.
Ma lottare senza di lui adesso sembra impossibile.
Vorrei soltanto che si alzasse da questo letto, chiedendomi di andare a
prendere un caffè.
Vorrei soltanto che questi quattro mesi fossero un incubo da
cui sto per svegliarmi. Ma ciò che voglio non cambia la
realtà.
Passo i giorni osservandolo e ricordando tutto quello che abbiamo
vissuto,
sperando che lui si svegli, facendo diventare anche questi quattro mesi
un
ricordo.
Un ricordo orribile, da dimenticare insieme.
I
giorni
passano e io sono sempre qui. Spero. Lui deve svegliarsi, non
può morire.
Sono
5 mesi
8 giorni 6 ore e 24 secondi che è in coma.
I dottori dicono che dovremmo spegnere i macchinari. Ormai è
inutile continuare
a tenere un corpo senza vita in una stanza.
Ma non può essere possibile. Il suo
corpo non può essere senza vita.
Ma mi sbaglio. I macchinari vengono spenti, ma un attimo prima che
questo
accada, il suo cuore smette di battere e i macchinari diventano davvero
insignificanti.
Lo osservo. È morto. Non piango, perché piangere
non lo riporterà da me.
Non piango perché ormai non sono più capace di
fare niente.
Non mi muovo, sono immobile a guardarlo. È morto.
Non aprirà mai più i suoi occhi, ed io non li
rivedrò più.
Sono
passati
7 giorni da quando è morto. Probabilmente dovrei contare
anche il tempo che ha passato
in coma. Ma sono soltanto numeri.
Oggi
è il
giorno del suo funerale.
Piove.
Sono tutti qui. Riuniti attorno alla sua bara che verrà
sepolta. Piangono.
È finita. Stanno andando tutti via. Ma io resto
qui.
La pioggia continua a cadere, mi sta bagnando. Bagna il mio volto.
Piango, so
che è inutile ma non riesco a smettere.
Mi sento vuoto, perché seppellendo lui hanno seppellito
anche tutto ciò che
c’era dentro di me.
Lui non c'è più. Mi sveglierò tutti i
giorni senza averlo accanto. È morto ed
io con lui.
Non
serve
contare i giorni, perché ormai aspetto solo il momento per
unirmi a lui.