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Autore: Fay_8    20/02/2014    3 recensioni
La prima volta che lo vidi era seduto, su un prato, aveva un album da disegno sulle ginocchia e la sua mano si muoveva su quel foglio.
I cappelli gli ricadevano davanti al viso, non potevo vedere quanto fosse meraviglioso, l’avrei scoperto solo dopo.
Mi avvicinai a lui per sapere cosa stesse disegnando, pensatela come volete, ma io so che era destino, che lo notassi per la prima volta proprio in quel momento.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The End

Sono 4 mesi 9 giorni 12 ore e 34 secondi, che una stupida auto lo ha investito.
Sono appena entrato in ospedale, come ogni giorno sono qui per lui, salgo le scale.
La sua camera si trova al terzo piano, in fondo al corridoio a destra. Ormai potrei camminare anche ad occhi chiusi, conosco più questo posto che la mia casa.
Entro, è nel letto. Non potrebbe essere altrimenti, quando una persona è in coma non può alzarsi e ballare al centro della stanza. 
Sono 4 mesi 9 giorni 13 ore e 3 secondi, che lo guardo tutti i giorni steso su quel letto, i dottori dicono che solo un miracolo potrebbe fargli aprire gli occhi.
Ed io mi chiedo, perché Dio non dovrebbe fare un miracolo per lui?
Mi siedo accanto al letto, su quella sedia che ormai è diventata mia. 
Prendo la sua mano con la speranza che lui la stringa, ma non accade mai. La sua mano è fredda e non si muove, come il resto del suo corpo. 
Resto li a guardarlo, perché è tutto quello che posso fare, è tutto quello che mi rimane. Sperando che riaprirà i suoi occhi, ricambiano lo sguardo.
Lascio vagare lo sguardo da una parte all'altra del suo viso, del suo corpo. È ricoperto da lenzuola rosa, quel rosa chiaro da sembrare bianco. 
Non so come sia possibile che in questo momento pensi a questo, ma guardandolo, pensò che somigli a Biancaneve. 
Sarebbe bello se stesse solo dormendo e potessi svegliarlo con un bacio. Ma baciarlo non risolverà niente. 

Mi farebbe soltanto percepire le sue labbra fredde, fredde come la sua mano e come il resto del suo corpo.
La sua temperatura non è mai stata molto calda. Le sue mani erano sempre fredde, ma bastava che le stringessi per riscaldare. Adesso non basta.
Quando un persona muore la sua temperatura si raffredda. Ma non voglio pensare che lui sia freddo perché sta morendo. 
Voglio pensare che sia solo perché ha freddo, solo che questa volta ci vorrà di più per riscaldarlo. Ma non resterà freddo. Non può.
Alzo lo sguardo verso il suo volto, osservare la sua mano mi porta alla mente pensieri che non voglio ascoltare.
È pallido, ma lo è sempre stato. Le sue labbra sono secche, quasi del tutto bianche, ma riesco a vedere ancora del rosa oltre alle sfumature viola. 
Pensò a tutte le volte che quelle labbra sono state mie, erano così rosa e calde. 
Cosa proverei adesso posando le mie labbra sulle sue. Non voglio saperlo.
Alzo lo sguardo, osservo il suo naso e sorrido, o meglio, gli angoli delle mie labbra si curvano verso l’alto, ma il mio sguardo e spento.
Non rido da quando lui è qui. L'ultima volta che ho sorriso, un sorriso di quelli veri, è lontana.
Ricordo che ridevo sempre, quando involontariamente arricciava il naso, ridevo perché era adorabile. Sembrava un bambino. 
Ma adesso nessun movimento involontario muove il suo naso.
Alzo ancora lo sguardo. I suoi occhi. Potrei dire mille cose sui suoi occhi.
Le palpebre sono chiuse, posso osservare solo le sue ciglia. Ma le aprirà, deve riaprirle. Per me.
Era così semplice, prima, specchiarmi nei suoi occhi. Ma adesso i suoi occhi sono chiusi.
Non posso guardare le sue iridi e domandarmi per l’ennesima volta di che colore siano. Perché non avevano un colore in particolare. Era “color unico” per me. 
Semplicemente il colore dei suoi occhi, non serviva saperlo con certezza, ma se adesso me lo chiedessero non saprei rispondere.
Ma non importa. Vorrei soltanto poterli riguardare.

La prima volta che lo vidi era seduto, su un prato, aveva un album da disegno sulle ginocchia e la sua mano si muoveva su quel foglio.
I cappelli gli ricadevano davanti al viso, non potevo vedere quanto fosse meraviglioso, l’avrei scoperto solo dopo.
Mi avvicinai a lui per sapere cosa stesse disegnando, pensatela come volete, ma io so che era destino, che lo notassi per la prima volta proprio in quel momento.
Non si rese conto che mi stavo avvicinando, finche non feci ombra sul suo foglio. Alzò il volto e per la prima volta incontrai i suoi occhi. 
Persi un battito, perché quelli erano gli occhi più belli che avessi mai visto. Lui era la persona più bella che avessi mai visto. 
Solo dopo mi resi conto che era anche la persona migliore che avessi mai conosciuto.
Restai a fissarlo, non distogliendo lo sguardo. Lo fece lui, abbassandolo sul suo disegno, questo portò anche me a farlo.
Guardai il suo disegno. Ero io, non ero sicuro, ma quel ragazzo su quel foglio sembravo proprio io. 
Riportai lo sguardo su di lui, aveva ancora la testa bassa. Mi inginocchiai davanti a lui, gli chiesi se ero io, lui annuì.
Mi misi seduto accanto a lui. Fu in quel momento che mi porse la mano dicendomi il suo nome e chiedendomi il mio. 
Gerard non era timido, bisognava solo dargli il tempo di essere a suo agio. 
Gli chiesi come mi conoscesse, ma lui disse che non sapeva neanche il mio nome, prima di quel momento. 
Disse che mi aveva visto seduto ad un tavolo dello Starbucks, mi aveva trovato bello e da allora non aveva smesso di disegnarmi. 
Mi chiese di posare per lui e io accettai subito. Inutile dire che da quando avevo accettato di posare per lui, passammo molto tempo insieme.
Innamorarmene fu la cosa più semplice del mondo. Come si poteva non amare Gerard. 
Non era perfetto, ma erano le sue imperfezioni a piacermi. A volte riusciva a farmi arrabbiare, ma trovava sempre il modo di farsi perdonare. 
Infondo erano solo sciocchezze.
Non potevo avercela con lui. Lui che aveva dato un senso alla mia vita.
La mia vita che prima di lui era vuota, insignificante, inutile. Lui mi ha insegnato ad amare, lui mi ha insegnato l’arte. Lui mi ha insegnato a lottare. 
Ma lottare senza di lui adesso sembra impossibile. 
Vorrei soltanto che si alzasse da questo letto, chiedendomi di andare a prendere un caffè. 
Vorrei soltanto che questi quattro mesi fossero un incubo da cui sto per svegliarmi. Ma ciò che voglio non cambia la realtà.
Passo i giorni osservandolo e ricordando tutto quello che abbiamo vissuto, sperando che lui si svegli, facendo diventare anche questi quattro mesi un ricordo. 
Un ricordo orribile, da dimenticare insieme.

I giorni passano e io sono sempre qui. Spero. Lui deve svegliarsi, non può morire.

Sono 5 mesi 8 giorni 6 ore e 24 secondi che è in coma.
I dottori dicono che dovremmo spegnere i macchinari. Ormai è inutile continuare a tenere un corpo senza vita in una stanza. 
Ma non può essere possibile. Il suo corpo non può essere senza vita. 
Ma mi sbaglio. I macchinari vengono spenti, ma un attimo prima che questo accada, il suo cuore smette di battere e i macchinari diventano davvero insignificanti.
Lo osservo. È morto. Non piango, perché piangere non lo riporterà da me.
Non piango perché ormai non sono più capace di fare niente.
Non mi muovo, sono immobile a guardarlo. È morto.
Non aprirà mai più i suoi occhi, ed io non li rivedrò più.

Sono passati 7 giorni da quando è morto. Probabilmente dovrei contare anche il tempo che ha passato in coma. Ma sono soltanto numeri.

Oggi è il giorno del suo funerale.
Piove.
Sono tutti qui. Riuniti attorno alla sua bara che verrà sepolta. Piangono.
È finita. Stanno andando tutti via. Ma io resto qui. 
La pioggia continua a cadere, mi sta bagnando. Bagna il mio volto. Piango, so che è inutile ma non riesco a smettere.
Mi sento vuoto, perché seppellendo lui hanno seppellito anche tutto ciò che c’era dentro di me.
Lui non c'è più. Mi sveglierò tutti i giorni senza averlo accanto. È morto ed io con lui.

Non serve contare i giorni, perché ormai aspetto solo il momento per unirmi a lui.

  
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