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Autore: Lunatica_92    21/02/2014    5 recensioni
[CarolineChild! KlausCavaliere!]
Caroline sedeva ai piedi di un sempreverde, un ragazzo sentì il suo odore e la raggiunse. Si conobbero, trascorsero la stagione estiva insieme, e prima che lui potesse lasciarla, le fece due giuramenti. Il cavaliere promise alla bambina che non avrebbe mai potuto dimenticarla, e sicuramente sarebbe ritornato da lei. Caroline crebbe, divenne donna, e la sua mente rimosse il ricordo del cavaliere. La sua mente, ma non il suo cuore.
CIT: perché il cuore è anarchico, non ubbidisce a nessuno, ama, non sente ragioni.
Vaghi riferimenti al Piccolo Principe, e a Cenerentola. Perché Klaus bisogna addomesticarlo, e contortamente parlando, la fiaba di Cenerentola è così simile alla sua esistenza. Così simile a quella di Caroline.
KLAROLINE!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Caroline Forbes, Caroline\Klaus, Klaus, Originari, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Caroline era triste, perché il suo papà non vi era più. Aveva lasciato la sua mamma, sua moglie, aveva preferito un’altra persona, un uomo, e se non fosse stato per le urla della sua mammina, la bambina non avrebbe mai compreso la gravità della situazione. Lei aveva tanti amici, una migliore amica, due migliori amiche, alcune volte preferiva giocare con Elena, altre con Bonnie, ma mai nessuna delle due si arrabbiava con lei. Erano amiche, erano migliori amiche, perché litigare? Non avrebbe avuto senso, no.

Caroline non capiva il motivo per cui il suo papà avesse lasciato la sua mamma, perché non potesse avere anche un amico, oltre la sua mammina, e se avesse avuto entrambi, sia sua moglie che il suo amico, cosa sarebbe successo di tanto terribile? Alcune volte avrebbe potuto uscire con la sua mamma, altre con il suo amico, continuare a restare con lei, e se le giornate primaverili non fossero state uggiose, sarebbero potuti andare al parco giochi insieme. Tutti insieme, come un’unica e grande famiglia.

Caroline era piccola, aveva cinque anni, non sapeva molto della vita, ignorava il significato della parola amore, fedeltà, rispetto, coerenza, sessualità, e se non avesse ignorato tali significati, avrebbe capito il motivo della scelta del suo papà. Avrebbe compreso perché il suo papà, il suo cavaliere, avesse preso tale decisione. Il suo babbo era bello, intelligente, simpatico, forse aveva un senso dell’umorismo un po’ troppo inglese, ma era una persona bravissima. Aiutava sempre i suoi amici, rischiava anche la sua vita, e se non fosse stato per un suo vecchio amico liceale, non avrebbe abbandonato il suo amore. Lui aveva incontrato il suo amico in una pizzeria, avevano parlato, scherzato insieme, e deciso di rivedersi. Il suo babbo era stato conquistato dal sorriso del suo amico, dalla sua parlantina, dal brillio di malizia nel suo sguardo, e comprendendo quanto tali cose fossero capaci di donargli serenità, aveva parlato con sua moglie e le aveva spiegato la situazione.

La sua mammina non aveva reagito bene, aveva gridato, pianto, lanciato qualche piatto contro il suo babbo, ma lui era stato irremovibile. Aveva preparato la sua valigia, baciato la fronte della sua mamma, stretto la piccola Caroline a sé, e prima di lasciare la casa dello sceriffo Forbes, aveva pianto. Se Caroline fosse stata un po’ meno piccola, più consapevole, avrebbe capito il motivo della decisione di suo padre. Il reale motivo. Il suo babbo non amava più la sua mamma, ma non perché lei non fosse bella, o desiderabile, ma perché lui aveva capito di non poter resistere al sorriso del suo vecchio amico. Aveva compreso di amare un uomo, il suo amico, e indipendentemente dal cosa sessualmente fosse, era incapace di rinunciare al suo nuovo amore. Per tali motivi aveva lasciato la sua mammina, anche lei, e con il volto bagnato dalle lacrime, aveva raggiunto il suo nuovo amore.

Ora Caroline era lì, seduta ai piedi di un sempreverde, aveva un libro delle fiabe tra le mani e un sorrisino spento sulle labbra. La sua mammina era a lavoro, impegnata ad arrestare i ladri, incapace di trascorrere il suo tempo in casa, o con sua figlia, perché non voleva rivivere il periodo più bello della sua vita. Era stata felice con suo marito, amava infinitamente il suo consorte, e se lui non avesse incontrato quel suo amico, o non avesse compreso di preferire lui a lei, sarebbe stata ancora felice. Invece era una donna triste, un po’ imbruttita, con il cuore gonfio di dolore, il viso bagnato dalle mille lacrime versate, e se non fosse stata per la sua bambina, forse avrebbe preso una decisione drastica. Era una donna distrutta, incapace di progettare la sua vita, di superare l’assenza di suo marito, e nonostante fosse lo sceriffo di Mystic Falls, sembrava la più inutile delle persone. Sentiva di aver fallito, e tale convinzione aveva il dono di distruggerla, oltre quello di allontanarla dalla sua bambina, così simile a suo marito.

Caroline era una delle bambine più belle di quella cittadina, forse la più bella, con i suoi capelli biondissimi e gli occhioni grandissimi. Aveva le iridi azzurre, come il mare più calmo, la pietra più preziosa, e nonostante fosse piccola, troppo piccola, nessuno riusciva a non guardarla. Contortamente, depravatamente, anche a desiderarla. La bambina aveva delle ciglia lunghissime, delle labbra carnose, un nasino alla francese e un corpo proporzionato. Era ancora acerba, così piccola, ma se non lo fosse stata, forse sarebbe stata la più bella ragazza del mondo. Sicuramente di Mystic Falls, anche più della sua migliore amica, della bella Elena.

Quel pomeriggio di fine primavera era un po’ strano, il vento era troppo freddo, gli uccellini non cinguettavano, non costruivano i nidi, e se non fosse stato per un gattino randagio, Caroline sarebbe stata l’unica occupante del parco giochi. Almeno apparentemente, ad occhio umano, o allo sguardo di una bambina.


Poco lontano da quel sempreverde vi era una panca, un po’ arrugginita, sulla quale sedeva un ragazzo. Era ritornato da qualche giorno in quella cittadina, nella sua cittadina, e nonostante non vi fosse più nulla di suo in quel luogo, continuava a sentirlo suo. Era così territoriale, che se non fosse stato un essere umano, sarebbe stato un cane. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, qualche collana di troppo al collo, un sorriso sornione sulle labbra, ed era terribilmente bello.

In lui vi era qualcosa di diabolico, inumano, e se non fosse stato tanto bello, sarebbe stato simile a un mastino infernale. Indossava un paio di jeans strappati, una maglietta troppo stretta, un giubbino di pelle e un paio di scarpe da ginnastica. Era vestito in blu, era tutto in blu, perché quello era il colore degli occhi di sua sorella. Erano anni che non vedeva sua sorella, la sua bellissima sorellina, e nonostante avvertisse la sua mancanza, avrebbe continuato a non rivederla. Lei giaceva addormentata in una bara, era sempre con lui, non solo nel suo cuore ricucito, distrutto dai mille tradimenti, ma proprio fisicamente. Portava la bara di sua sorella sempre con sé, come portava con lui anche quelle degli altri suoi fratelli, pure loro addormentati, e se fosse stata una persona normale, sarebbe stato accusato di vilipendio e schizofrenia.

Non era uno schizofrenico, un volgare folle, ma solo un ragazzo estremamente diffidente, incapace di fidarsi del prossimo, di concedere il beneficio del dubbio, e nonostante loro fossero i suoi fratelli, la sua famiglia, non riusciva a comportarsi in modo diverso. Era incapace di riporre fiducia nel suo stesso sangue, nei suoi fratelli, perché temeva costantemente un loro tradimento. E quando loro dicevano di voler costruire una propria vita, di desiderare indipendenza, di volersi allontanare da lui, il ragazzo li accoltellava e chiudeva nelle bare bianche. Non li uccideva, non avrebbe mai potuto realmente ucciderli, ma li addormentava solo, così che potesse portarli sempre con sé, vicino a lui e non solo al suo cuore.

Ora era lì, a Mystic Falls, era arrivato da qualche giorno e non sapeva come impiegare il suo tempo. Aveva locato un bilocale in periferia, nulla di troppo pretenzioso, o sfarzoso, aveva affittato anche un deposito, lì vi erano le bare dei suoi fratelli, e se fosse stato meno diffidente, avrebbe cercato di creare un rapporto con qualcuno. Lui era come la volpe del Piccolo Principe, e se qualcuno non lo avesse prima addomesticato, non sarebbe mai stato capace di stabilire un legame. Per tale motivo era seduto su quella panchina, osservava il terriccio del parco giochi, le giostre, e prima che decidesse di andare via, il suo sguardo si soffermò su una bambina.

Era una bambina graziosa, era bella, indossava un vestitino bianco e aveva i capelli legati in due codini. Sulle cosce aveva un libro di fiabe, una raccolta delle più belle, e se non fosse stato per il suo sguardo triste, il ragazzo non avrebbe continuato a degnarla della sua attenzione. La bambina recideva il gambo delle margherite, anche quello delle violette, non sorrideva e sembrava guardasse nel vuoto.

Vicino a lei vi era un gatto randagio, un po’ brutto, troppo grasso, vecchio, con il pelo sporco, ma la bambina non gli prestava neanche un po’ della sua attenzione. Una folata di vento un po’ forte portò al naso del ragazzo una fragranza floreale, non di fiori, ma di qualcosa maggiormente buono. Era un odore delicato, ricordava il giardino di casa sua, i suoi fratelli, la sua famiglia, e nonostante fosse reticente ad ammetterlo, il periodo più bello della sua vita. Anche lui aveva vissuto momenti belli, non era sempre stato diffidente, e onestamente parlando, la sua famiglia non era sempre stata tanto disfunzionale.

Un tempo lontano era stato un ragazzo estroverso, socievole, amante dei suoi genitori, dei suoi fratelli, di una giovane e della vita. Poi quella giovane era morta, le sue prerogative erano cambiate, l’equilibro naturale era stato alterato, i suoi genitori lo avevano tradito, anche i suoi fratelli, e lui era irrimediabilmente cambiato. E ora non era più seduto sulla panca, aveva raggiunto la bambina, quasi meccanicamente, e seppur desiderasse dirle qualcosa, non sapeva come iniziare una conversazione con lei. Temeva di spaventarla, agitarla e farla fuggire da lui. Voleva che restasse lì, che si facesse guardare, magari che rispondesse anche alle sue domande, e nonostante non comprendesse la ragione del suo volere, non ne era affatto allarmato. Forse solo un po’ preoccupato, come la volpe del Piccolo principe, prima di essere addomesticata.

La bambina alzò lo sguardo, cessò di recidere gli steli dei fiori, vide un ragazzo vicino a lei, accovacciato sulle ginocchia, e nonostante i suoi genitori le avessero detto di non dare mai confidenza agli estranei, la piccola sorrise e gli chiese chi fosse. Il ragazzo ricambiò il suo sorriso, cercò di ricambiarlo, e poi rispose alla sua domanda.

-Sono uno straniero, principessina. E tu chi sei?-

-Non sono una principessina, perché loro sono sempre felici e io non lo sono.-

-Per quale motivo non sei felice, piccola?-

-Perché il mio papà ha lasciato la mia mamma, forse anche me, la mia mammina lavora sempre, non gioca più con me, e i miei amici mi evitano. Solo le mie migliori amiche non lo fanno, ma io non voglio giocare con loro, voglio farlo con la mia mamma.-

-Anch’io volevo giocare con la mia mamma, quando ero piccolo. Lei non aveva tempo per me, era così impegnata con la casa, i miei fratelli, e nonostante fosse la mia mamma, pensavo che non mi volesse neanche un po’ di bene. La tua mamma ti vuole bene, sicuramente più bene di quanto mi volesse la mia, e appena sarà pronta, ritornerà a giocare con te.-

-Forse hai ragione, sì. E io nel frattempo con chi gioco, perché mi annoio così tanto, e poi non vi è nessuno che possa leggermi la mia fiaba preferita, perché io non so ancora leggere e ho bisogno di qualcuno che la legga per me.-

-Se vuoi posso leggerla, io. Sono abbastanza bravo a leggere, ho avuto troppi anni per imparare, piccola.-

-Mi piace la tua idea, mi piace tanto. Non chiamarmi piccola, però. Così mi chiamava il mio papà, ora lui non vi è più, e non voglio che qualcuno mi chiami ancora così.-

-Ti chiedo scusa, tesoro. E ora quale fiaba vuoi che ti legga?-

-Sceglila tu, grande puffo.-

-Grande puffo, tesoro?-

-Sì, sì, grande puffo. Sei tutto vestito di blu, hai la barba, e nonostante il grande puffo non abbia i capelli biondicci, tu gli somigli davvero tanto. Non ti piace il mio nome, grande puffo?-

-Mi piace, sì, ma non è questo il mio nome.-

-Neanche tesoro è il mio nome, però-

-Io sono Niklaus, mentre tu sei?-

-Io sono Caroline, Nick. Posso chiamarti Nick, vero?-

-Puoi farlo, tesoro.-

Il ragazzo sedé accanto alla bambina, prese il libro delle fiabe, sfogliò le pagine e poi scelse la fiaba. Scelse la fiaba di Cenerentola, quella dove vi era una bambina schiavizzata dalla matrigna, dalle sorellastre, che cresceva, diventava una giovane bellissima, e grazie all’aiuto della fata madrina, conquistava il principe azzurro.

Scelse quella fiaba, perché la storia di Cenerentola era così identica alla sua, forse anche a quella della piccola ascoltatrice, e se la protagonista della narrazione non avesse avuto gli occhi azzurri, come quelli di sua sorella, di Caroline, forse avrebbe anche potuto scegliere un’altra fiaba. Iniziò la narrazione, modellò la sua voce, adattandola a ogni personaggio, rispettò fedelmente la punteggiatura, e prima che potesse realizzarlo coscientemente, giunse alla fine del racconto. Al tanto bramato, ma soprattutto irreale, lieto fine.

-Cenerentola sposa il suo principe azzurro, vive nel suo castello, felice, contenta e per sempre. La fiaba è così bella, tanto bella, ma troppo finta.-

-Per quale motivo sarebbe troppo finta, tesoro?-

-Il mio babbo non è restato con la mia mammina, l’ha lasciata, ha preferito andare via con un suo amico, ora la mia mamma è triste, piange sempre, e anch’io sono triste. Loro non hanno avuto il loro lieto fine, Nick.-

-Diciamo che il loro lieto fine è finito, perché non tutto dura per sempre, e se vi fosse un prosieguo di Cenerentola, probabilmente anche lei si ritroverebbe a non avere più il suo lieto fine.-

-E tu hai il tuo lieto fine, o è finito?-

-L’ho avuto il mio lieto fine, ma ero così piccolo, tanto diverso da come sono ora, e nonostante siano trascorsi tanti anni, continuo a ricordare quel periodo. Ero felice, mio padre era un po’ severo, mia madre quasi mai mi dava attenzione, però avevo i miei fratelli, che amavo, e li consideravo la mia famiglia. Poi le cose sono cambiate, i miei genitori non vi sono più, ho fatto delle scelte particolari, a volte ho sbagliato, altre no, ma sono passati così tanti anni, che non vale più la pena di ricordare.-

-I tuoi fratelli vi sono ancora, Nick? O anche loro sono andati via, ti hanno lasciato da solo?-

-Vi sono ancora i miei fratelli, sono sempre vicino a me, alcune volte litighiamo, quasi mai concordiamo su qualcosa, altre volte collaboriamo, ma restano sempre accanto a me. Mi sono fedeli, tesoro.-

-I cani sono fedeli, e dubito che i tuoi fratelli siano cani. Penso che loro ti vogliano bene, che rispettano le tue decisioni, anche se non le condividono, almeno non sempre. E un po’ ti invidio, perché io non ho nessun fratello, ho le mie migliori amiche, che mi vogliono tanto bene, ma non è la stessa cosa.-

-Forse hai ragione, forse mi vogliono davvero bene, chissà. Un giorno lo chiederò a loro. Potrei essere io tuo fratello, se volessi, tesoro.-

La bambina aggrottò la fronte, reclinò il viso, poggiò le mani sulle cosce del ragazzo, avvicinò le labbra alle sue e analizzò meticolosamente il suo viso. Il ragazzo era biondo, aveva gli occhi marroni, un po’ troppa barba, un sorriso bellissimo sulle labbra, e una fragranza buonissima.

Le ricordava casa sua, le torte della sua mamma, il quotidiano del suo papà, le passeggiate in riva al lago, le domeniche trascorse nel lettone dei suoi genitori, e se non fosse stata tanto piccola, così ingenuamente bambina, non avrebbe esitato a baciarlo. Il ragazzo era impassibile, lasciava che la bambina lo osservasse, studiasse, e quando vide le sue mani spostarsi sul suo viso, non osò pensare di poter muovere un solo muscolo. Neanche uno.

-Non potresti mai essere mio fratello, perché io non lo vorrei mai.-

-Sono così mostruoso, tesoro?-

-Oh, no. Tu sei bellissimo, davvero bellissimo. Somigli così tanto a un cavaliere, che potresti essere il mio cavaliere, se lo volessi.-

-Solo le principesse hanno un cavaliere, un principe, tu hai detto di non essere una principessa, perché non sei felice, e quindi se pur lo volessi, non potrei mai esserlo.-

-Prima non ero felice, ma ora lo sono, grande puffo. Tu sei bello, troppo bello, e prima che qualche mia amica possa sceglierti per sé, voglio essere io a farlo. Da questo momento sei il mio cavaliere, il mio principe, e in quanto tale, non mi dovrai lasciare mai.-

-Sei proprio certa della tua decisione, tesoro? Perché potrei davvero decidere di non lasciarti mai, se solo tu lo volessi realmente.-

-Sono certissima della mia decisione, Niklaus. Dovrai ballare con me, chiedere la mia mano, quando sarò diventata grande. Ci sposeremo, vivremo nel tuo castello, saremo felici, contenti e lo saremo per sempre. Perché tu hai un castello, vero?-

-Ho tutti i castelli di questo mondo, tesoro. E appena sarai diventata grande, ballerò con te e chiederò la tua mano. Ti aspetterò, ti aspetterò per sempre, perché ho tutto il tempo di questo mondo.-

-Non ti dimenticherai mai di me, neanche se dovessi incontrare delle bambine più belle, Nick?-

-Non potrei mai dimenticarmi di te, neanche se incontrassi diecimila bambine, perché nessuna di loro sarebbe più bella di te.-

-E’ una promessa solenne questa?-

-Sì, che lo è. E’ una promessa solenne, tesoro.-

La bambina sorrise soddisfatta, giurò a se stessa di non dimenticarsi mai di quel ragazzo, del suo cavaliere, del suo principe, e se non fosse stata tanto impaziente di raccontare la novità alla sua migliore amica, di dirle di aver incontrato il suo principe, sarebbe restata ancora lì con lui. Avvicinò le labbra alla fronte del suo cavaliere, lo baciò, e prima che lui potesse notare le sue gote screziate di rosso, il battito del suo cuore accelerato, decise di andare via.

-Ora devo andare via, perché debbo raccontare di te alla mia migliore amica. Forse Elena sarà un po’ invidiosa, perché non potrà mai trovare un principe migliore di te, neanche se lo cercasse per tutto il mondo. Domani sarai di nuovo qui, Niklaus?-

-Per tutti i giorni che vorrai, tesoro. Sarò qui, seduto ai piedi di questo sempreverde e ti aspetterò.-

-Bene, bene. Domani pomeriggio, alla stessa ora, okay?-

-Okay, tesoro.-

La bambina raccolse il libro delle fiabe, salutò con la manina il suo principe e fuggì via. Il ragazzo inclinò le labbra in un sorrisino meno sornione del solito, restò ancora qualche secondo lì, e quando non avvertì più il battito del cuore della bambina, ma sentì i passi di un paio di ragazzi, decise di alzarsi e andare a caccia.

Individuò le sue prede, le soggiogò, addentò le loro giugulari, e se non avesse incontrato quella bambina, li avrebbe dissanguati. Erano due ragazzi banali, privi di alcuna particolarità, nessuno avrebbe pianto la loro morte, sicuramente non lui, e se il suo tesoro non avesse iniziato a cambiarlo, non avrebbe esitato ad ucciderli. Preferì non farlo, cicatrizzò le loro ferite, li lasciò andare e andò via anche lui.


 
Dobbiamo essere amici.
Disse il Piccolo principe alla volpe.
Devi prima addomesticarmi, bambino.
Rispose la volpe al Piccolo principe.

Cosa significa che debbo addomesticarti?
Replicò il Piccolo principe alla volpe.
Significa che devi creare un legame con me, devi conquistarmi, altrimenti io e te non saremo mai amici.
Ribatté la volpe al Piccolo principe.

 
Era così chiaro chi fosse il Piccolo principe, chi la volpe, e senza che il ragazzo potesse opporsi, si ritrovò ad essere addomesticato. La bambina era riuscita ad addomesticarlo, a creare un legame con lui, a legarlo indissolubilmente a sé, e nonostante vi avessero provato i migliori, nessuno era mai riuscito a fare qualcosa del genere.

La volpe aveva abbassato la testa, permesso al Piccolo Principe di accarezzarla, ammaliarla, e seppure avesse dovuto rischiare la sua vita, non avrebbe mai esitato ad aiutarlo. Il ragazzo aveva lasciato che la bambina toccasse il suo viso, arrivasse al suo cuore rattoppato, baciasse la sua fronte, e anche se avesse dovuto sacrificare la sua vita, rinunciare al suo potere, non avrebbe mai esitato ad aiutarla.

Klaus era stato addomesticato da una bambina umana, da una fragilissima bimba, e nonostante la sua razionalità gli imponesse lucidità, il suo cuore gongolava di gioia. Niklaus era stato conquistato da Caroline, e se il suo tesoro lo avesse ancora voluto, non avrebbe esitato a renderla la sua regina. La padrona del suo mondo, perché del suo cuore lo era già.

Lentamente la stagione estiva trascorse, tutti i pomeriggi i due si incontravano, parlavano, ridacchiavano e sorridevano insieme. Alcune volte il ragazzo leggeva qualche fiaba alla bambina, altre volte facevano merenda insieme, giocavano con le sue bambole, o se erano troppo stanchi, si limitavano a dormire ai piedi del sempreverde.

Niklaus aiutava la bambina con la lettura, le insegnava a leggere, mentre Caroline aiutava il ragazzo con la fiducia, gli insegnava ad avere fiducia nel prossimo. Insieme trascorsero la migliore estate di sempre, e nonostante il suo papà avesse lasciato la sua mamma, la sua mammina lavorasse troppo, quasi mai giocava con lei, la bambina era estremamente felice. Felice di avere il suo principe accanto a sé, pronto ad aiutarla, a sorreggerla, ad asciugare le sue lacrime, e a farla sorridere, quando il sorriso abbandonava le sue labbra. Il ragazzo era tanto felice di trascorrere la sua estate a Mystic Falls, vicino alla bambina, lontano dall’inferno della sua esistenza, e quando avvertiva la mancanza dei suoi fratelli, delle loro voci, vi era sempre la bambina pronta a farlo sorridere.

Poi l’estate quasi terminò, Caroline avrebbe dovuto iniziare a frequentare la scuola elementare, doveva comprare lo zaino, i quaderni, le penne, e nonostante le dispiacesse terribilmente, non poteva più trascorrere tanto tempo con il suo principe. Niklaus dal suo canto non poteva più restare lì, doveva ritornare alla realtà della sua vita, e nonostante non desiderasse lasciare il suo tesoro, non poteva procrastinare lo strazio della separazione. Era un pomeriggio uggioso, quando il ragazzo terminò la lettura di un’ennesima fiaba e comunicò la sua decisione alla bambina.

-Ormai devi iniziare la scuola, mentre io devo andare via, tesoro.-

-Lo so, Nick. Devo acquistare ancora i quaderni della sirenetta, pensa un po’. Devi andare via per forza, non potresti restare qui, invece?-

-Mi piacerebbe restare qui, lo vorrei più della mia stessa vita, ma non posso. E’ tempo che vada via, ma prima che tu possa dire qualcosa, voglio farti una promessa.-

-Un’altra, grande puffo?-

-Sì, un’altra. Ti prometto, anzi ti giuro, che ritornerò da te.-

-La prossima estate, Niklaus?-

-Non so quando ritornerò da te, se potrò ritornare la prossima estate, o il prossimo inverno, ma ti giurò che lo farò.-

-Non ritorneresti da me, se dovessi incontrare una bambina più bella.-

-Non potrei mai incontrarla, perché per me non esiste, non esisterà, una bambina più bella di te. Te lo ripeto, tesoro. Tu potresti dimenticarti di me, se dovessi incontrare un altro principe.-

-Non potrei mai farlo, non potrei incontrare mai un altro principe, perché non esiste, non esisterà,un altro principe più bello di te. Non per me, Niklaus.-

-Ottimo, principessa. Questo non è un addio, non pensarlo mai, ma è un semplice arrivederci. Ciao, dolcezza, ciao.-

-Ciao, grande puffo, ciao.-

Il ragazzo si alzò dai piedi del sempreverde, baciò la fronte della bambina, e prima che lei potesse dire qualcosa, scomparve nel nulla. Come se il vento freddo di fine estate avesse deciso di portarlo con sé, lontano da Mystic Falls, dalla sua principessa, da Caroline.

E la bambina dai codini biondi ritornò in quel parco giochi, vi ritornò ogni giorno, per tante estati, e poi smise di ritornarvi, non perché avesse trovato un altro principe, ma perché lo aveva dimenticato. Era cresciuta, aveva incontrato nuove persone, conosciuto nuovi ragazzi, ormai era una ragazza, e nonostante avesse giurato a se stessa di non dimenticarsi mai del suo principe, la sua mente aveva rimosso quel ricordo.

Perché rimuovere i ricordi è naturale, non si ricorda mai tutto della propria infanzia, e seppur sia triste da dire, tale cosa avvenne nella mente di Caroline. Lei dimenticò di aver incontrato il suo principe.

La sua mente lo dimenticò, ma il suo cuore no, perché il cuore è anarchico, non ubbidisce a nessuno, ama, non sente ragioni, e nonostante la bambina consapevolmente non ricordasse del suo cavaliere, inconsapevolmente continuava a ricordarlo, ad aspettare il suo ritorno, perché sicuramente un giorno sarebbe ritornato.

Sarebbe ritornato per lei, sì.
  
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