Straordinariamente, non
sentiva dolore.
Né rimpianto, mentre
stroncava altre vite, richiedendo di più, sempre di più. Perché era la sua
katana ad esigerlo, a volere di più, ancora altro sangue. Infinito sangue a
gocciolare dalla punta acuminata.
Eppure avrebbe dovuto
provarne. Sul serio. Avrebbe dovuto. Sarebbe stato ineccepibile, sarebbe stato
legittimo, sarebbe stato…giusto. Ecco, sarebbe stato giusto. Ma non veritiero,
perché per quanto si sforzasse e per quanto potesse scavare in quel vuoto
stagnatosi al posto del suo cuore, non c’era niente. N i e n t e. Nemmeno la
traccia, per quanto minima, dei sensi di colpa. Quasi non fosse neppure lui, il
responsabile di quel massacro. Quasi non avesse le mani macchiate
indelebilmente di un rosso vivo, marchio della dannazione eterna.
E allora affondava, di
nuovo, la katana. Distruggendo vite, spezzando speranze. Stroncando anche
l’ultimo brandello di quel filo che lo aveva sempre tenuto legato a quel posto.
A quella Foglia. Senza avere il benché minimo ripensamento, mentre gli ultimi
respiri delle sue vittime gli ricordavano che sarebbe stato in possibile, d’ora
in avanti, ritornare indietro. Ritornare ad essere uno di loro, uno della
Foglia.
Forse per questo non
faceva male?
C’aveva rinunciato,
soltanto.
C’aveva semplicemente
rinunciato, a voler essere uno di loro.
Soltanto questo…
Davvero…
Solo questo…
Of
course
(Inside the paths)
C’era
qualcosa di strano.
Anche
così, nel dormiveglia, poteva avvertire chiaramente che c’era qualcosa che non
tornava. Qualcosa che sfuggiva alla sua intorpidita comprensione. Eppure,
nonostante tutto, gli era difficile riuscire a capire e a classificare di cosa
si trattasse. Era come se i suoi sensi fossero rimasti troppo a lungo inattivi
e adesso, costretti al risveglio, faticavano ad uscire dallo stato di letargo
catatonico in cui erano oziosamente scivolati. Per un istante, mentre il
formicolio alle mani si dipanava per tutto il braccio, Sasuke si chiese quanto
avesse mai dormito.
Le
sensazioni erano quelle anchilosate di un sonno infinito, tuttavia si sentiva
stanco quasi non chiudesse occhio da una vita.
Lentamente,
con la testa che andava per i fatti propri, si rimise seduto. La luce del sole
bruciava, bruciava di un bianco stordente, e gli feriva gli occhi ancora troppo
neri per riuscire a resistere a quel
chiarore. Si accorse con uno stupore lieve, appena percettibile (una folata di vento ad increspare un mare
altresì piatto), di non essere affatto stupito della sua inettitudine a
reagire, a spalancare gli occhi nonostante la luminosità sfibrante come avrebbe
dovuto fare.
Eppure
lui non era un codardo. Non si era
mai tirato indietro, non aveva mai fatto retrofronte neppure ad un passo dalla
morte. Non si era mai lasciato intimorire dai pericoli e lui, a dire il vero,
era una calamita in quanto a pericoli.
Intanto
l’aria si era fatta più pesante, o forse era soltanto lui che riusciva a
percepire sempre più – man mano che ne riacquistava la capacità – il sentore
invisibile ma prepotente che qualcosa era per forza cambiato. Avrebbe voluto
smettere di lambiccarsi il cervello a quel modo, sul serio, avrebbe voluto
fregarsene e gettarsi quella sensazione alle spalle. Avrebbe voluto non provare
niente, mentre invece ogni giorno lo richiedeva a combattere una lotta impari
contro qualcosa che pensava di aver estirpato.
Ed
erano solo sciocchezze. Sul serio. Nient’altro che sciocchezze, adatte più ad
una femminuccia che all’erede del clan Uchiha.
Stupido
lui, a rimanerci tanto a pensare.
Sorrise
e nella luce accecante della stanza, si sforzò di adattare il nero dei suoi
occhi al bianco del sole. Che strano, aveva sempre pensato fosse giallo, il
sole. Ma forse era un altro di quei stupidi luoghi comuni che t’insegnano da
piccolo, quando sei ancora troppo inesperto per avere idee personali sul mondo.
Sasuke
si alzò. Si alzò e la scarica che gli scosse le membra, lo trovò impreparato,
costringendolo a ritrovare nel letto un fedele giaciglio.
Stava
diventando un mollaccione, valutò, se non riusciva ad alzarsi nemmeno più da
uno stupido letto.
Il
pensiero bastò a fargli ritrovare quell’innato orgoglio da Uchiha, che gli fece
spalancare gli occhi incurante della ferita inferta dal chiarore.
[Masochista di un
Sasuke…]
In
un primo momento, la tentazione di riabbassare le palpebre era semplicemente
troppo invitante per non farci un pensierino. Ma dal momento che lui non era un
codardo, Sasuke si costrinse a vincere la tentazione, per quanto doloroso
potesse essere il contatto con la realtà. L’adattamento sopravvenne con
lentezza esasperante, quasi con un ghigno ferino a voler piuttosto schernire la
prova di coraggio offerta tanto gratuitamente.
La
stanza in cui si accorse di trovarsi, era come la ricordava. Forse appena un
po’ più polverosa. La foto sul comodino, però, era rimasta la stessa di quella
che conservava nei meandri di una memoria creduta perduta.
Sasuke
scosse la testa, ammonendosi per quella sorta di sentimentalismo non richiesto,
e non gli parve strano più di tanto il ritrovarsi in quella stanza, mentre riprovava la fatica di alzarsi dal letto.
Ci
riuscì e la porta era così vicina, che indugiare sembrava uno scherzo.
Ciò
nondimeno, mentre le gambe vacillavano sulla soglia, si accorse di sentirsi
spaesato. Quasi si fosse appena reso conto di essersi dimenticato qualcosa di
rilevante. Di veramente rilevante.
Si
guardò indietro, giusto per non avere rimorsi, ma non riuscì a trovare una
risposta negli oggetti disposti con ordine austero lungo la stanza. Il letto,
l’armadio, la scrivania, il comodino, la foto…tutto perfettamente in ordine.
Nemmeno l’ombra di un’anomalia che avesse potuto mandarlo in allarme.
Ma
allora perché, si domandò in uno sprazzo di lucidità, quella sensazione?
Forse
stava solo diventando un credulone. Forse. O forse no, ma che senso aveva
indugiare?
Lui
non era un codardo.
Sasuke
Uchiha…
…non era un codardo.
Il
corridoio era stretto e in penombra come lo era sempre stato. Il parquet
scricchiolante sotto i suoi passi strascicati. Le porte delle stanze, chiuse
come il suo cuore.
Sasuke
camminava, camminava in una casa che il suo fisico riconosceva senza il bisogno
di ricordare, facendosi spazio verso una destinazione che si ostinava a non
decidere. Solo, camminava, come se non avesse niente di meglio da fare. Come se
non avesse altra scelta che quello, camminare.
E
poi si fermò, così, all’improvviso, mentre la penombra lasciava di nuovo sfogo
alla luce di avvolgerlo, abbacinante. Dolorosa. Un gioco eterno,
indistruttibile, insaziabile.
I
suoi piedi si erano bloccati come inchiodati al pavimento, mentre lo sguardo
vagava, vacuo, lungo la stanza. Senza riuscire a provare dolore, senza neppure
capire perché avrebbe dovuto provarne (ma
avrebbe dovuto, almeno di questo ne era certo), senza sentire altro che
un’illimitata stanchezza infiacchirgli le membra, già lungo le ossa, fino alle
vene.
Eppure
tutto era al suo posto. Niente di diverso o di compromettente. Era tutto
dannatamente al suo posto, come avrebbe dovuto essere.
Nemmeno
un piatto fuori posto, nemmeno un coltello, né una forchetta, né un bicchiere,
né le bacchette.
A
posto.
Tutto
dannatamente a posto.
C’era
davvero stato qualcuno, lì?
Sasuke
non lo ricordava. Non era neppure sicuro di doverlo ricordare, a dire il vero.
E comunque non aveva voglia di stare a pensarci. Non aveva voglia di fare
niente, a ben pensarci. Non aveva neppure voglia di sentirsi spaesato, per
quanto avrebbe dovuto. Soltanto… Voleva soltanto rimanersene così, in piedi su
quella porta, a fissare qualcosa che non c’era, che non capiva e che,
probabilmente, non voleva lui per primo capire.
Se
fosse stato un tipo pigro, avrebbe detto che era semplice apatia. Ma Sasuke non
era nemmeno quello. Sasuke era tante cose, ma non quello.
“Ehi,
bastardo, sonno pesante oggi?”
Sasuke
si voltò in modo meccanico, quasi fosse stato un robot cigolante (un rottame vecchio, stanco di mille anni
spesi in un letto che non avrebbe dovuto esserci), ma dal corridoio nemmeno
la traccia di un cambiamento. Di un passaggio. Di qualcosa.
Stava
impazzando, o erano solo i postumi del sonno. Doveva aver dormito parecchio,
sul serio. Anche se lui, non dormiva mai così tanto la notte.
“Si
può sapere che diavolo fai lì impalato?”
Un
Sasuke un po’ meno stanco, si sarebbe spaventato, quanto meno sussultato nel
ritrovarsi il viso accigliato di Naruto davanti agli occhi, nella propria
cucina, a mangiare ramen al proprio tavolo. La verità era che non aveva la
forza neanche per quello. Né la voglia.
“Comunque
vedi di darti una mossa.” Cambiò ad un tratto discorso il biondo,
dimenticandosi della domanda per ritornare a concentrarsi sulla ciotola
fumante. “Che siamo già in ritardo. Per colpa tua. Bastardo!”
Avrebbe
dovuto mandarlo al diavolo, a quel punto. Andava bene anche chiedergli di che
diavolo stesse parlando in effetti. Tuttavia Sasuke se ne rimase in silenzio,
nessuna esigenza travolgente a convincerlo a parlare, a lacerare quel sottile
strato di trance in cui era cascato sin dal risveglio, nonostante il dubbio ad
insinuarsi fluttuante nelle viscere.
Sasuke
non era mai stato neppure una persona curiosa e di sicuro, non vedeva il motivo
per cui cominciare ad esserlo (era
stanco, era troppo stanco anche per quello, perfino per quello).
So, so you think you can tell Heaven from Hell,
blue skies from pain.
Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil?
Do you think you can tell?
Le
strade di Konoha erano affollate, ghermite di persone. Qualche bambino giocava
a rincorrersi, tra le grida dei grandi che tentavano invano di mettere freno a
tanta esuberanza. Qualcun altro chiacchierava amabilmente, due si salutavano
distratti, il chiosco di ramen sovraffollato.
Come
al solito.
Ancora
come al solito.
Sasuke
guardava la sfilza di volti con noncuranza, quasi con distacco, come se gli
scivolassero addosso. Acqua. Niente più che acqua. Nonostante la percezione di sbagliato a raggrovigliarsi nello
stomaco chiuso alla fame. Il pezzo fondamentale del puzzle, chissà dov’era
finito, poi.
“Ciao,
Naruto!” Il piccolo Konohamaru che da lontano salutava il suo idolo,
scoprendosi come il diavoletto che aveva innescato la corsa.
“Ehilà!”
L’Uzumaki gli sorriso, il solito esagerato anche in quello, mentre con una mano
sventolava e menava l’aria.
Sasuke
avrebbe voluto dirgli che era un idiota, davvero, se non si fosse appena
accorto di qualcosa. In ritardo, certo, con i riflessi di un bradipo in stato
confusionale. Ma pur sempre l’aveva notato ed ironia della sorte, il merito era
proprio di quel ragazzino.
Oh,
no, non Konohamaru. Non lui. Di un altro
ragazzino. O presunto tale. Era difficile giudicare quando come metro di
paragone, si aveva soltanto l’altezza.
Sasuke
aguzzò la vista, in cammino, senza avere la forza e la voglia di fermarsi.
Aveva
il cappuccio della mantella nera ben calcato sul capo, a nascondergli in modo
sostanziale i tratti del volto e quindi a celarne l’identità. Ma era basso.
Quasi quanto Konohamaru, perciò non poteva essere tanto più grande di lui. E lo
fissava. Non Naruto, non la signora grassa lì accanto o l’inespugnabile chiosco
di ramen. Fissava lui. Da sotto il
cappuccio, nonostante gli occhi coperti in modo quasi totale da esso, lo stava
fissando.
Lo
poteva avvertire chiaramente, perché era uno di quei contatti visivi che
potevano essere quasi tangibili. Lo sentiva addosso, sulla propria pelle,
scuoterlo dentro e fuori come nessuno, nessuno mai era riuscito a fare.
“Si
può sapere che hai? Oggi sei proprio strano, bastardo! Anche più del solito!”
Sasuke
si voltò, perché il richiamo di Naruto aveva sempre l’effetto di stordirlo, e
quando ritornò con lo sguardo al punto in cui aveva lasciato quegli occhi, si
stupì di non trovare più nulla. La strada era perfettamente deserta lì, in
quella zona. Come se non avesse mai visto niente, o nessuno.
Solo
una manciata d’istanti ancora, prima di lasciar cadere la cosa. Non aveva
importanza. Non gliene fregava niente comunque.
Acqua.
Soltanto
acqua.
And did they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cold breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?
“Allora
vecchiaccia, che volevi?” Naruto sbuffò contrariato, guadagnandosi le
occhiatacce di Shizune e di Kakashi.
Tsunade
semplicemente sperò che lo sguardo potesse ucciderlo.
“Il
Kazekage ha mandato un messaggero…”
“Scommetto
Temari, così ne ha approfittato pure per vedere Shikamaru, tsk!”
L’Hokage
gli gettò un’occhiata torva, preferendo tuttavia fare finta di nulla. “…per
avvertirci che hanno avvistato dei membri dell’Akatsuki ai confini del Paese
del Vento.”
“Non
sapevo che Gaara fosse diventato un cacasotto.” Non perse occasione per stare
zitto Naruto, di nuovo.
Sasuke
di norma gli avrebbe assestato un pugno in testa per farlo tacere. Di norma.
Quel giorno, rimase impassibile a fissare la scrivania ingombra di scartoffie
davanti ai suoi occhi con aria annoiata, senza alcuno interesse per la
faccenda.
Tsunade
sospirò, chiedendosi per l’ennesima volta perché mai avesse deciso di accettare
quell’incarico quando stava centomila volte meglio prima.
“Non
è questo, ovviamente.” Sottolineò,
aspra e inacidita dal sonno perso accumulatosi.
Sasuke
la fissò, distratto, e poi guardò Shizune, infine Kakashi, il suo maestro.
La
solita maschera, il solito occhio bendato, la solita aria (aria da Obito, ecco)…
Doveva
essere cambiato qualcosa?
Forse.
Probabile.
Non
lo ricordava.
A
dire il vero, a ben pensarci, erano molte le cose che non ricordava, quel
giorno. Doveva aver preso una qualche botta in testa, o simile, per aver
cancellato così tante cose in una notte. Si chiese quante altre ancora doveva
aver dimenticato, ma lasciò perdere nel rendersi conto che era davvero infruttuoso
soffermarsi su simili stupidaggine.
Era
un Uchiha.
Doveva
comportarsi da Uchiha, anche se quel giorno, tutto sembrava particolarmente
strano.
“Ah
no?”
Ritrattò.
Tutto,
meno che Naruto.
Lui,
purtroppo, era rimasto lo stesso idiota di sempre.
Tsunade
si sforzò di controllare la voglia di ucciderlo apparsa inequivocabilmente ai
suoi occhi, prima di concentrare le proprie attenzioni e le restanti energie
verso di lui. Lui, che aveva pensato di essere quasi invisibile. O che l’aveva
semplicemente sperato, difficile dirlo con esattezza.
“Niente
di allarmante, comunque. Però li hanno riconosciuti e pensavo vi interessasse
sapere che si trattava dei nukenin Kisame Hoshigaki e Itachi Uchiha. Soltanto
questo.” L’Hokage lo fissava, ma era di nuovo soltanto acqua a scivolare sul
suo fisico irrigidito.
Sbalordimento.
Solo…
Solo quello. Sbalordimento.
“Non può essere.
Non può essere, io, l’ho visto io, è
colpa mia, sono stato io, non può essere.
Lui non è, non è, e sono stato io.
Non può, non può.
Non può esistere…”
E
di nuovo quello sguardo, a trapassarlo, invisibile. Perché non c’era nessun
bambino, non c’era nessun altro a parte l’Hokage, e Shizune, e Kakashi, e
Naruto. Ma quegli occhi, quegli occhi
erano lì. Lo sentiva. Li sentiva.
How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.
“Sasuke,
Naruto!”
Si
fermarono, il primo per abitudine, il secondo per espressa volontà, mentre una
capigliatura rosa si avvicinava trafelata nella loro direzione.
“Siete
stati da Tsunade-hime?”
Sakura
non si era neppure fermata, senza nemmeno riprendere fiato, che già aveva
iniziato con le domande. Sasuke fece una smorfia incomprensibile
[Stai sorridendo,
Sasuke?]
mentre
Naruto rispondeva per lui.
“Sì,
proprio adesso.” Annuì, veemente.
“Oh.”
E Sakura cercò l’altro, come sempre.
Le
abitudini sono dure a morire, eh?
“Ve
l’ha detto?” Domandò, nella voce la nota di un sospettoso dispiacere.
“Cosa?”
Chiese a sua volta Naruto, ingenuo, prima di capire dallo sguardo mesto della
compagna di team ancora, perennemente puntato sul volto del moro, di cosa si
trattasse. “Ah, quello. Sì.”
Un
colpo. Sasuke la vide sussultare e gli venne istintivo chiedersi il motivo di
tanto fragore. Lei, che nemmeno era un’Uchiha, che si mortificava per quello
mentre lui non era stato capace di muovere muscolo. Troppo, troppo stordito.
Troppo confuso, per capire davvero.
“Sarebbe dovuto essere morto.
Sarebbe dovuto essere morto.
Itachi, sarebbe dovuto essere morto.”
“Sasuke,
mi riaccompagni a casa, vero?”
Lui
la fissò, sentendosi chiamare, perso in un mondo tutto suo. Sakura lo fissava
con sospetto, Naruto semplicemente con sconcerto. Doveva aver perso qualche
passaggio, chissà da quanto tempo avevano ripreso a parlare.
“Dovrei?”
Domandò solo, ma non era una domanda retorica, era una vera.
L’aveva
mai accompagnata prima? Prima di quel giorno, intendeva. Boh, non ricordava
neppure quello. Neppure cosa avesse fatto il giorno prima, o quello prima, o
quello prima ancora. Si sentiva ancora intontito, di un sonno inconciliabile
con la realtà.
“Oh,
Sasuke!” E Sakura rideva, come non l’aveva mai sentita, sprizzando un gioia che
non riusciva a capire.
Avrebbe
voluto chiederle come faceva, perché lo faceva, ma non poteva. Si era appena
accorto che lei era cambiata. Forse lo era da tempo, forse era solo lui ad aver
dimenticato. Ma gli sembrava diversa. Gli sembrava più…bella. Stava diventando
sdolcinato, ecco la verità. Roba da fare schifo, se solo non fosse rimasto
tanto spiazzato dal modo in cui lei
appariva tanto diversa.
Quasi
che la stesse conoscendo adesso per la prima volta.
“Ci
vediamo domandi, Naruto?”
Le
si era legata al braccio, con nonchalance (da
quanto tempo, lo faceva?), ma le sue ultime attenzioni erano verso
l’Uzumaki. Sasuke non ne era geloso, né turbato. Era confuso. Confuso, e basta.
“Sicuro,
mia Sakura splendente! E tu non fare il solito bastardo, eh bastardo?” Naruto gli mostrò la
linguaccia, un semplice gesto amichevole (fraterno,
ecco, era quello il termine esatto), mentre si allontanava correndo verso
un punto imprecisato di Konoha.
Sasuke
lo fissò, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione di stranezza del
risveglio, mentre Sakura stringeva un po’ più forte la presa attorno al suo
braccio.
“Andiamo,
Sasuke?”
Di
nuovo verso di lei, di nuovo a stupirsi di scoprirla diversa, di nuovo a cedere
senza un briciolo di forza al suo volere. Lui che non aveva mai detto sì a
niente. A nessuno.
Sakura
però non aveva perso il vizio di chiacchierare. Quello no, decisamente. Era
soltanto lui, che aveva perso il vizio di intimarle il silenzio. Oppure, aveva
iniziato ad imparare ad ascoltare.
Lei
gli aveva raccontato della sua giornata, di come quella svampita di Ino si fosse
accorta, così all’improvviso, di provare forse qualcosa di più per un certo
compagno di team dalle indubbie capacità ma da voglia di metterle in pratica
pressoché uguale allo zero assoluto. Di come lei ne avesse riso. Di come
l’altra le avesse fatto giurare e stra-giurare di non dire nulla a nessuno,
soprattutto a lui, l’oggetto di un’ambigua contesa tutta al femminile tra due
bionde dal carattere simile.
Sakura
parlava, parlava, continuava a parlare e non si era accorta nel frattempo di
essere arrivata davanti casa Haruno. Era stato Sasuke a fermarsi, un po’ per
abitudine, un po’ per fatalità.
“Oh,
sono arrivata.” Constatò dopo poco lei, sorridendo di nuovo prima di guardarlo
con rinnovata preoccupazione. “Mi assicuri di stare bene?”
Lui
la guardò, incerto della domanda. “Non dovrei?” Chiese, di nuovo, la solita
domanda imparata a memoria.
Sakura
arrossì, sotto al suo sguardo penetrante, ma lui non distolse la presa. “Beh,
per…per Itachi.”
Qualcosa
lo colpì, di nuovo, l’ennesima volta. Sasuke pensò che stava dimenticando
qualcosa d’importante, stavolta, se
lo sentiva. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a rimembrare collegamenti
capaci di aprirgli la mente. Di indurlo a ricordare. Perciò annuì con il capo,
trovandosi incapace ad utilizzare la voce, o meglio, ad utilizzare toni
bruschi.
“S-Sono
contenta. Sai, ero in pensiero. Quando l’ho saputo, ho pensato che…ecco, che tu
volessi fare una pazzia. U- Un’altra.”
Puntualizzò Sakura, ancora rossa in viso, lo sguardo ostinatamente basso.
Sasuke
la fissò, senza riuscire a fare altro, mentre la scia di una domanda non detta defluiva
come un macigno tra di loro.
Avrei
Dovuto
?
“Sasuke?”
“Uhm?”
Sakura
iniziò a contorcersi le mani, chiaro sintomo che era nervosa. “M-Mi prometti
che non te ne andrai più?”
Lui
era perplesso, confuso, ma annuì. Davvero, non capiva. Gli sembrava di vivere
fuori dal mondo, di aver vissuto in un oblò per tutto quel tempo.
“N-Niente
più pazzie? Me lo premetti, Sasuke, vero?” Lei aveva alzato la testa, stavolta,
guardandolo nel profondo degli occhi neri con un coraggio che lui non aveva mai
saputo attribuirle.
Ed
era semplicemente troppo fragile quello sguardo per poterle dire di no. Per
poterla deludere. Per avere la forza di spezzarla.
“Okay.”
Acconsentì, soltanto, senza riuscire a trovarsi fuori luogo, perché lui non
faceva mai simili promesse, lui non doveva rendere conto a nessuno.
Sakura
gli sorrise e il viso le si illuminò, con gli occhi di Foglia che sembravano
smeraldi preziosi, e Sasuke la sentì qualcosa agitarsi dentro di lui, muoversi
come un serpente strisciante ad infierire sullo stato catatonico da cui non
riusciva ad uscire.
Poi
lei fece una cosa, una cosa strana a
dire il vero, che lui non riuscì a capire.
A
spiegare.
Sakura
lo aveva baciato.
Così,
facendo leva sui piedi per arrivare alle sue labbra e cancellando quel breve
distacco che li aveva sempre tenuti lontano. Come lui aveva sempre voluto?!
Forse, un altro dubbio ad aumentare la confusione.
Lei
lo aveva baciato e senza pretendere troppo, senza chiedere di più, era scivolata
via ancora prima di lasciargli il tempo per capire. Per gustarne il sapore
dolce delle labbra. E gli aveva sorriso, quasi fosse stata un’abitudine per
lei, prima di entrare in casa e lasciarlo a marcire lì, sul marciapiede. In una
strada che mai gli era apparsa tanto diversa e uguale insieme.
Poi
i piedi si mossero da soli. Le gambe, avanzavano senza un ordine preciso. Le
mani, che cercavano solide la sicurezza delle tasche della divisa nera e verde
che solitamente indossavano i sensei (strano,
non si era accorto nemmeno di quello).
C’erano
così tante domande, così tante perché che non trovava la forza di mettersi a
catalogare. Ad ascoltare. Perché la luce era ancora accecante e il nero dei
suoi occhi, nonostante tutto, non riusciva ad abituarsene. Perché Naruto
mangiava ramen al suo tavolo, e
Itachi si faceva vedere al Paese del Vento, quando non avrebbe nemmeno potuto
esserci. E Sakura lo baciava. Sì, Sakura lo baciava. Mentre la sensazione,
quella, rimaneva sempre la stessa. Ancora la stessa. Da quella mattina.
E
Sasuke non lo vide neppure, il Gatto avvicinarsi. Non lo sentì quasi, lo
scontro con il suo braccio. Ma si voltò, ugualmente, perché un brivido che
percorre la schiena è difficile da riuscire a provare quando ti senti così
stanco.
Il
Gatto lo fissava.
Senza
un volto, senza un nome, né un perché.
Lo
fissava.
Istintivo,
chiederselo.
Lo
conosceva?
Ma
poi il Gatto proseguì, voltandosi, rivelando una capigliatura nera come la
notte più cupa da sotto al cappuccio cascato sulle spalle prima di ritornare ad
infilarlo, così come si conveniva.
Lo
conosceva?
Non
lo sapeva. Non… Era tutto così…
Di
nuovo quegli occhi, quello sguardo a trapassarlo da parte a parte.
Sasuke
si voltò, di scatto, e la mantella nera scivolò dispettosa al suo sguardo,
riparandosi al buio di un vicolo. Gli sembrava di sentire quelle labbra mentre
ghignavano, mentre ridevano di lui, lui che stupidamente aveva preso ad
inseguirlo, a cercarlo. Lo stava denigrando, eppure ciò nonostante gli stava
dando il vantaggio di seguirlo. Perché? Perché?
Il
perché, lo sapeva.
Sa
Tutto.
Sa
Tutto.
Sa
Tutto.
L’Incappucciato
lo stava aspettando. Oltre il vicolo. Aspettava lui, e intanto ghignava, lo
poteva sentire anche da lì, alla luce sinistra di quel lampione.
Sasuke
non aveva bisogno di domande, né di parole. C’era consapevolezza in lui. Per la
prima volta da quando si era alzato, quella mattina, sapeva perfettamente
quello che stava succedendo.
“Ti
è piaciuto?”
Sussultò,
seppur impercettibilmente. Senza rispondere. Cercando uno sguardo che si ostinava
a nascondersi dietro un cappuccio troppo, troppo grande per lui.
“Sasuke.”
Un ghigno, un altro, e forse una risatina celata abilmente, ma lui rimase
composto, lasciandosi penetrare (perché
era impossibile, impossibile lasciarsi scivolare). “È stato bello, vero?
Nessuno che ti guardava diverso, o come…”
“…un
nukenin.”
L’Incappucciato
sorrise, anche così, dal buio del vicolo dove la luce non riusciva ad arrivare.
“Esatto.”
Sasuke
non si mosse, ma gli occhi continuavano a scrutare quel cappuccio alla ricerca
di un volto. Di un perché. Senza trovarne, infondo ci vuole estrema abilità a
finire i puzzle.
“Stai
iniziando a capire.” Non era una domanda, era una constatazione.
Sasuke
annuì, un automa in balia degli eventi.
“Non sono un codardo, non sono un codardo,
non sono un codardo.”
“È
soltanto una possibilità. Ciò che avrebbe potuto essere. Soltanto questo,
Sasuke. Non è reale. Nemmeno il bacio di Sakura, lo era. Lo sai bene.”
Sasuke
annuì, di nuovo, incapace di fare altro, mentre l’Incappucciato continuava a
sorridere, enigmatico.
“Avrebbe
potuto esserlo. Ma tu hai preferito un’altra via, un altro percorso. Vero
Sasuke?”
Annuì.
Ancora. Automa.
“E
cosa ti è rimasto?”
Sorriso.
L’ennesimo.
“Cosa
ti è rimasto?”
Insistente.
Era insistente.
“Cosa?
Cosa ti è rimasto tra le mani?”
Era
duro. Era irrisorio. Era…consapevole.
“Niente. Niente, Sasuke. Niente.”
E
di nuovo annuire. Meccanicamente. Automa.
“Non sono un codardo, non sono un
codardo, non sono un codardo.”
“Lo
sapevamo entrambe, che sarebbe finita così. Ricordi? Quel giorno, quando hai
deciso che la Foglia non era affar tuo e hai lasciato che Madara lo uccidesse.”
“Di
chi stai parlando?” Stavolta era impossibile rimanere in silenzio. Aveva
bisogno di sapere. Sasuke aveva un dannato bisogno di sapere. “Di chi stai
parlano? Rispondi.”
L’Incappucciato
ghignò, cinico. “Naruto.”
Una
parola era sufficiente. Una parola poteva bastare per far crollare il castello.
Soltanto una parola, e il risveglio dei sensi accelerava l’andatura.
“No, no, no, no, no, no, no, no…”
“È inutile,
sai? C’ho provato. C’ho provato anch’io. Ma è tutto inutile. Dovresti saperlo,
Sasuke. Avresti dovuto impararlo, quando hai deciso che nemmeno lei meritasse le tue attenzioni.”
Sasuke
sgranò gli occhi, il panico che divampava come il fuoco perenne. Il serpente
nelle viscere, stava mangiando tutto. Tutto.
“Non
sono stato io. N-Non sono stato io.” Mormorò solo, la voce ridotta ad un
sussurro, ma non aveva bisogno di cercare quel volto, per capire che stava
annuendo.
Era
stato lui.
Era
stato lui.
Lui.
“Hai
lasciato che si uccidesse, non ricordi? Quando era venuta ad implorarti di
ripensarci. Dopo che tu, le avevi distrutto ogni speranza.”
L’Incappucciato
sogghignò, stavolta, quasi scanzonato e a Sasuke l’aria si era fermata nei
polmoni, il cuore si era arrestato, e le orecchie esigevano soltanto il
silenzio.
“Sei
stato tu. Tu. Tu.” Biascicò, arretrando di un passo, quando quello sorrise
maligno.
La
consapevolezza. Ecco cosa gli era mancata. I ricordi, che portavano alla
consapevolezza.
“No,
non io, Sasuke.” Lo corresse l’Incappucciato, passo dopo passo sempre più
vicino alla luce. “Ma noi.”
E
il sangue si gelò nelle vene, il vento smise di soffiare, il mondo si fermò,
mentre il cappuccio scivolava dalla fronte e quella cosa assumeva una forma. Un
volto. Un nome.
“S-Sei…”
“Sono
te.”
La
verità era sconvolgente almeno quanto vedere il proprio volto, o almeno quello
che un tempo era stato il proprio aspetto, catapultato come per magia dinanzi
ai tuoi occhi.
Sasuke
adesso li sentiva i brividi. Fitti. Infimi.
“Non
è possibile. Non è possibile. Non è possibile.” Continuò a ripetere, tracciando
linee concentriche sulle tempia, con le dita. I capelli strizzati a voler
implorare il silenzio. Dov’era, dov’era finito il torpore di prima? La pace, il
senso di tranquillità indefinita? Andava bene anche quella sensazione relegata
in un angolo, onnipresente questo sì, ma non fastidiosa come scontrarsi con
l’ebano dei propri occhi, senza avere uno specchio.
Era
follia.
Follia.
Pura
follia.
“Non sono un codardo, non sono un codardo,
non sono un codardo.”
Non
poteva essere vero. Non poteva, non poteva essere davvero un…
Lui
non era…
…un codardo.
Non
era…
…un codardo.
Non
era…
Sangue.
Sangue. Un lago di sangue.
Era
immerso nel rosso e le mani… Si guardò le mani e le scoprì macchiate. Di un
rosso vivo. Sangue. Altro sangue.
Infinito, indelebile, non riusciva a ripulirsene, se ne sentiva imbevuto,
avvolto.
“Non sono un codardo, non sono un
codardo, non sono un codardo.”
E
le urla, dolore, dolore, grida di paura e di dolore. Basta, basta, per pietà,
basta!
“Non è colpa mia, non è colpa mia, non
sono un codardo.”
Il
suono di uno scontro e ancora sangue, altro sangue, sempre sangue.
“N o n s o n o u n c o d a r d o.”
E
poi più niente. Così, all’improvviso. Tutto il dolore, e le grida, e quel
sangue, era tutto scomparso.
La
luce. Soltanto la luce e…
…e poi, il buio.
[Avresti dovuto saperlo,
Sasuke, avresti dovuto capirlo che non sarebbe rimasto più niente. Più niente,
Sasuke. Niente.]
Codardo.
N/A
Dopo tante flash, finalmente una one-shot. Dal tema controverso,
a dire il vero, piuttosto strana temo. Ma è venuta fuori così e mi dispiaceva
modificarla. Il finale, non so, lo vedevo così. Come una fine dell’inizio, e
tutta quella stanchezza, non è altro che il riflesso di una vita passata nel
rimpianto e nel rimorso per aver seguito la via della vendetta, piuttosto che
l’altra.
Ecco, questa è solo una trasposizione di ciò che, secondo me,
sarebbe potuto essere se Sasuke avesse deciso di non tradire. Di ritornare sui
suoi passi. Anche se in chiave di “universo parallelo”, in cui lui è così
stordito e stanco dagli avvenimenti, che non riesce a capire il cambiamento,
anzi, a concepire.
È soltanto un altro percorso.
Anche se adesso sono davvero poco soddisfatta del risultato. Ma
comunque, come dicevo, mi dispiace modificarla. Voi che dite?
Ah, faccio un piccolo spazio spoiler.
[Che diavolo sta combinando Kishimoto? Gli sono saltati i
neuroni per caso? Mah, non ci capisco più niente. Adesso con la decisione di
far tradire Sasuke ancora di più, poi…boh. Almeno Itachi e Naruto ci fanno la
loro porca figura! Bello l’ultimo capitolo, specie la parte in cui si
incontrano. *-* Ma per il SasuSaku…carenza! Drastica carenza. Deve proprio
farsi perdonare, eh! Okay, la chiudo qua.]
Ringrazio in anticipo chiunque si azzardi a leggere. L’idea mi
piaceva, il risultato un po’ meno, ma dubito di riuscire a fare di meglio.
Perciò la posto così e ancora grazie, a tutti!
Oh, il Gatto era Sai. In qualità di ANBU. E il contatto che gli
ha provocato una ventata d’aria, era una reminescenza, una specie di ricordo.
Ecco, adesso è davvero tutto. Alla prossima! Baci.
Memi J
[Disclaimer: Naruto © Kishimoto. “Wish
you were here” © Pink Floyd.]