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Autore: Colli58    22/02/2014    8 recensioni
"...se non fosse perché sono tragicamente morti per mano di un paio di tossici strafatti, sarei anche geloso.”
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle, Roy Montgomery
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Da quando era rientrata non lo aveva visto in circolazione e nonostante una parte di lei ne fosse sollevata, un’altra parte, quella che fingeva accuratamente di non avere, un po’ ne era delusa.
Del resto il suo ronzarle tra i piedi le stava un po’ piacendo. Un piacere un po’ perverso per la verità, forse solo nel torturarlo verbalmente o poterlo tiranneggiare con qualsiasi tipo di battuta audace o provocazione.
Era uno che si lasciava provocare, e per dio nemmeno si offendeva quando sarcasmo e battutacce erano quasi al limite della sopportazione. Se ne rendeva conto, ma quel gioco aveva un qualcosa di divertente, la giornata era più leggera. Ma non poteva abbassarsi a chiedere ai ragazzi come mai lui non ci fosse, soprattutto perché metà delle volte passava il tempo a fare battute proprio sul fatto stesso di avere questo molesto scrittore sempre intorno. No, non era il caso di chiedere, non aveva molta voglia di spronare Esposito e Ryan a farle battute su Castle e un suo interesse per lui.
Ok, quell’uomo era il suo scrittore preferito e lei aveva dovuto raccontare una mezza frottola quando aveva detto loro che era un’appassionata del genere. No, lei era fan di Richard Castle ma l’avrebbe ammesso solo sotto tortura pesante o una piscina di Penthotal.
Così sedette alla sua scrivania, facendo lo sforzo di non voltarsi verso l’ascensore ogni volta che il segnale acustico dell’apertura delle porte segnalava l’accesso al piano.
Raccolse distrattamente i documenti sul tavolo e cercò di porvi attenzione anche se la mente non sentiva ragioni sulle sue richieste di concentrazione.
Scrollò il capo e decise che un caffè non le avrebbe fatto male.
Si alzò finendo di smistare il documenti. Avrebbe finito di compilarli con una tazza d caffè fumante in mano.
Si incamminò verso la saletta ristoro voltandosi un’ultima volta verso la porta dell’ascensore al suono dell’ennesimo “ding”.
Niente. Era solo Karposky.
“Beckett sei tornata.” Il capitano Montgomery le sorrise sulla porta del suo ufficio.
“Sì, nulla di fatto in tribunale. L’udienza è stata spostata su richiesta della difesa.” Rispose con calma sollevando i capelli dal viso.
Montgomery annuì stringendo le labbra. “Ok, allora vai in archivio e stanalo. E’ lì da tutta la giornata.” Replicò indicando con il pollice la direzione lungo il corridoio che portava all’archivio delle prove.
Beckett strinse gli occhi. “Stanare chi signore?”
“Castle. Sta leggendo un vecchio incartamento in archivio da tutto il giorno. Arnold lo rinchiude li se non se ne va.” Montgomery tornò nel suo ufficio con un sorriso in volto e senza che lei avesse l’opportunità di replicare.
Ecco svelato il mistero. Lui c’era eccome. Che cosa aveva trovato in archivio di così affascinante?
Vi si diresse a passo svelto. Però una volta giunta sulla porta esitò. Si morse un labbro e poi l’aprì lentamente ed entrò percorrendo il corridoio stretto in silenzio fino alla piccola saletta con il tavolo che serviva ad appoggiarvi i documenti durante le ricerche.
Castle era seduto sulla scomoda sedia di legno appoggiata con lo schienale al muro e inclinata a tal punto da reggersi sulle sole gambe posteriori. Il peso di lui completamente diviso tra quei due precari appoggi e il muro stesso. In quella posizione Beckett giudicò che se qualcosa avesse fatto agitare lo scrittore, la sedia avrebbe ceduto sotto il suo peso e lui si sarebbe schiantato al suolo. Fece un sorriso furbo cercando di escogitare un modo per spaventarlo. In fondo era completamente preso dalla lettura di un documento ingiallito e spiegazzato, tenuto sollevato davanti a lui con una mano mentre l’altra ciondolava accanto al suo corpo. Una incredibile quantità di documenti analoghi erano sparsi sul tavolo, accanto a quelle che sembravano buste aperte. Avanzò di qualche passo cercando di essere meno rumorosa possibile, ma senza abbassare il foglio lui esclamò. “Beckett, finalmente!”
Lei mise le mani sui fianchi. Il suo scherzo era andato in fumo. L’uomo abbassò il documento e si raddrizzò portando a posare tutte e quattro le gambe della sedia a terra.
“I tuoi tacchi sul linoleum fanno un suono particolare, come una gomma che appiccica.” Spiegò in risposta allo sguardo interrogativo di lei.
“Sei stato qui tutto il giorno?” Chiese lei avvicinandosi al tavolo per poter scoprire quale torbido caso lo stava entusiasmando.
Lui sorrise con gli occhi chiari e lucidi. Annuì. “Ho trovato queste lettere nel materiale da restituire alle famiglie delle vittime. Sono una cosa meravigliosa.”
Beckett aprì leggermente la bocca stupita. “Di cosa si tratta?”
“Lettere d’amore. Pura poesia.” Rispose Castle posando quella che aveva in mano con cura sul tavolo.
Lo stupore della detective doveva essere fin troppo evidente sul suo volto, tanto che Castle sorrise sornione.
“Che c’è ti stupisce che io le trovi poetiche?” Il suo sguardo furbo e un po’ indagatore la fece trasalire.
“Un po’, Pensavo andassi in brodo di giuggiole solo per omicidi ben orchestrati. Minacce di morte pittoresche…” commentò prendendo in mano una di quelle missive.
“Mi sottovaluti.” Rispose con più serietà. La cosa le rese anche più curiosa.
Lesse alcune righe di quella che aveva in mano. La calligrafia allungata era gradevole a vedersi, le parole perfettamente distanziate tra loro. L’eleganza di parole scritte in un tempo diverso. In un mondo probabilmente diverso.
Lo scrittore tolse gli occhi da lei per tornare agli scritti e lei si sentì più a suo agio nel sapersi meno sotto osservazione.
“Sono lettere scritte da un uomo a sua moglie lungo tutta una vita. In questi fogli è descritto un amore vero speciale, durato a lungo e privo di qualsiasi dubbio o esitazione. Almeno trent’anni di devozione, riportate in parole e frasi di una passionalità disarmante. Sembrano sincere e senza artifici.” Spiegò Castle con entusiasmo, scorrendo la lettere velocemente con gli occhi.
“Le hai lette tutte? Non credi che siano una cosa privata?” Chiese lei sempre più sorpresa da quel suo genuino trasporto.
“Non credo. Sono stati entrambi uccisi e non c’è nessuna famiglia che le possa reclamare.” Rispose con un velo di amarezza. “Mi sono informato.” Chiarì.
Beckett prese una sedia e si sedette davanti a lui nel piccolo stanzino. Lui alzò gli occhi per incontrare i suoi per qualche secondo e le regalò un sorriso dolce. Ne fu spiazzata. Decise di ascoltarlo, di ascoltare quella storia, perché era convinta che lui morisse dalla voglia di raccontargliela.
Attese in silenzio.
Lui scosse il capo facendo scivolare le dita su uno dei fogli sparsi sul tavolino. Con l’altra mano vi appoggiò il viso, sorretto dal gomito puntellato sul piano del tavolo stesso.
“Una banale rapina in casa, li hanno uccisi entrambi per una manciata di gioielli di scarso valore e qualche centinaio di dollari in contanti.” Commentò abbassando il tono di voce, quasi a voler aggiungere rispetto al cordoglio che evidentemente provava per quella coppia.
Beckett lesse un altro brano e sorrise. Erano davvero belle parole e si prese di nuovo il tempo di osservare lo scrittore, le sue espressioni, il suo stupore genuino.
E quel che l’uomo disse dopo la lasciò di stucco.
“Nei nostri tempi, dove la lingua e l’educazione sono sempre meno sentite, leggere una perfezione tale fa commuovere. Ma non solo per quanto sono ben scritte, ma per quello che rappresentano.”
Si prese una pausa e inspirò. Beckett non mosse un muscolo. Esalò un respiro lento e attese.
“E un amore così profondo, così sincero da lasciare a bocca aperta. Credi che certe sublimi odi ad una donna siano presenti nei grandi classici della letteratura o della poesia, e poi scopri che esistono ancora persone capaci al mondo di scrivere con così tanta passione da… umiliarti.”
Beckett spalancò gli occhi. “Scusa?” Chiese stupita dalla sue parole.
Lui la guardò con un sorriso. Il viso ancora appoggiato alla sua mano e il ciuffo ribelle sulla fronte. E gli occhi erano dolci, fermi. L’espressione priva di malizia o di scherno.
“Questa è arte. E poi c’è qualcosa di così bello… che se non fosse perché sono tragicamente morti per mano di un paio di tossici strafatti, sarei anche geloso.”
Beckett sorrise. “Non ti senti all’altezza di questi scritti?” Domandò con fin troppo stupore nella voce, tanto che Castle reagì portando la mano avanti verso di lei.
“Ah! Non è solo per la forma o la letteratura. E’ per…” si fermò di colpo deglutendo. Sospirò.
“Per?” Incalzò Beckett.
“Per l’amore che raccontano. Un amore intenso, vero, che il tempo e la vita non hanno scalfito.” Chiarì.
Alzò di nuovo gli occhi su di lei. “Non lo vorresti anche tu un amore così?”
Beckett si mosse sulla sedia, in difficoltà davanti a quello sguardo. “Non lo so Castle. Non me lo sono mai chiesto. E poi quelle sono lettere, la realtà potrebbe essere stata diversa…”
Lui sbuffò. “Beckett, non hai mai sognato di vivere la storia d’amore perfetta? Di Incontrare l’uomo adatto a te e viverci tutta la tua vita? Tutte le ragazze per bene lo fanno…”
Beckett rise. “No. Forse non sono una ragazza per bene.” Ripose. Cominciava a fare caldo in quel luogo.
“Ahhhh!” Si lamentò Castle esasperato. “Tu uccidi il romanticismo.”
“Lo hanno ucciso un eternità fa. Pensavo che ne sapessi qualcosa visti i tuoi precedenti. Ma non credevo che tu fossi un cultore del genere…” Aggiunse lei per rendere più leggero il dialogo.
Castle si aggiustò il ciuffo in fronte con un gesto meccanico. “Io invece spero ancora.” Disse tornando a guardare le lettere. Si alzò e cominciò a rimetterne una alla volta nella propria busta.
“In cosa speri?” Chiese Beckett incuriosita. Non sapeva se aveva fatto la mossa giusta. Castle sembrava un po’ turbato, forse era solo stanco, del resto aveva letto tutto il giorno e forse aveva bisogno di un po’ d’aria e uscire da quel buco per mangiarsi un boccone.
Lui non alzò gli occhi su di lei. Strinse le labbra dedicando molta cura a quelle pagine delicate.
“Spero ancora di trovare la persona giusta. La donna della mia vita. Quella per sempre.” Lo disse con un filo di voce, quasi rendendosi conto della confessione che le aveva appena fatto.
“Castle…” Mormorò Beckett contrita. Perché non se ne era stata zitta? Perché fare quella schifosa battuta allusiva ai suoi matrimoni falliti? Del resto lei stessa era un vero casino sulle relazioni personali e non poteva proprio essere la persona adatta a fare a lui la morale su certe cose. Almeno lui un paio di volte ci aveva provato seriamente. Lei… beh per lei erano tutti palliativi ad una vita di solitudine.
Con attenzione Castle ripose le lettere nella scatola del caso e la richiuse con cautela. Appoggiò le mani sul coperchio una volta rimesso a suo posto.
“Già. Due volte è andata male. Ma non era certo quel genere di amore scritto qui. Non era nemmeno amore. Era solo illudersi che lo fosse.” Rispose. La guardò con serietà, scrutandola a tal punto che Beckett si trovò in apnea. “Forse non ci credi, non lo cerchi e nemmeno ci speri. Ma te lo auguro lo stesso. Ti auguro di trovare l’uomo che ti faccia battere il cuore a tal punto da stare male. Che ti insegni a vivere con lui, per lui, e di poterne sentire la mancanza quando se ne va anche solo per un’ora. Un amore che ti faccia volare su ali candide e sicure, in un vento di primavera. E che ti faccia sentire leggera e in pace con te stessa.” 
Gli diede un bacio sulla guancia, gentile, quasi fraterno. E poi la soprese prendendo semplicemente la sua giacca, l’appoggiò al braccio e uscì dall’archivio senza aggiungere altro.
Beckett lo osservò scomparire dietro la porta. Sedette pensierosa. Era un sognatore. Era un maledetto sognatore ed era riuscita a stupirla più volte con quella sua dolcezza così profondamente discordante dall’immagine che dava di sé normalmente. E lei non era riuscita a passare nemmeno una mezza giornata senza cercarlo.

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Questa shot la scrissi tempo fa, credo nel periodo della seconda o della terza stagione. Era finita su un vecchio Hard disk di quelli con di tutto e di più in un armadio.
Quando l’altro giorno Germangirl ha pubblicato quella dolcissima shot che ha tradotto, mi sono ricordata della sua esistenza.
A sto punto ve la posto così com’è…

 

 

  
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