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Autore: Bill Kaulitz    23/02/2014    3 recensioni
«Sai, Tom, c’è un vecchio mito giapponese...e dice che: se due amanti sfortunati commettono un suicidio, si reincarneranno come gemelli.» fece una pausa. «Ed io sono convinto che, quei due amanti, quei due gemelli, siamo proprio noi due.» - Questa è una FF twincest quindi, se non gradite il genere, siete pregati di non leggere. Peace&Love Thanks!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ti ricordi di me?'
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- Prologo -

 

Novembre 2006

«Siete solo degli egoisti. Degli schifosissimi egoisti del cazzo!» strinse forte i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani; li sbatté più volte sul muro.

«Egoisti bastardi!» ripeté ancora, spostando poi la sua rabbia sul tavolino del salotto, accanto al divano. Si sentì un forte tonfo per tutta la stanza. Gli oggetti in ceramica che vi erano sopra tremarono; alcuni caddero a terra e si ruppero. Nessuno osò fiatare. Una volta scaricata la rabbia sul tavolino, si portò i pugni vicino la bocca, si picchiò sulla testa, strizzando forte gli occhi per trattenere le lacrime. Senza riuscirci.

«Non potete farci questo. Non potete farlo!» ormai le lacrime cominciarono ad uscire. Non era più capace di finire le frasi perché interrotte da profondi singhiozzi. Il viso era già completamente bagnato.

«È perché ci amiamo in modo diverso, vero? È per quello, giusto?» gli occhi del padre erano bassi, la madre sussultava ad ogni frase, ad ogni parola ‘pungente’ del figlio.

Era davvero per quello? Perché loro due si amavano? Dopotutto. Non l’avevano mai accettato. Né Jorg, né lei. Ma come avrebbe potuto dirlo.

«Rispondimi, cazzo!» Tom afferrò il padre dal colletto della camicia e lo spinse contro il muro. Lo sollevò leggermente da terra. Bill, in piedi dietro Tom, si strinse fra le braccia, gridò per lo spavento. Strinse forte gli occhi, si mise le mani sulle orecchie. È un incubo. È solo un maledettissimo incubo.

«Tom, per favore. Lascialo! Ti prego!» Simone si precipitò verso di lui, prendendo Tom per le spalle e tirandogli leggermente la maglietta per fargli mollare la presa. Fu inutile. Strinse più forte.

«Non ti è mai importato un cazzo di noi. E adesso vuoi che Bill venga con te? Non sei nessuno per deciderlo.» ringhiò a pochi centimetri dal volto del padre. «Fattene una ragione. Sei una nullità.» soffiò infine, lasciando la presa con un forte strattone. Cadde a terra.

«Tu non hai il diritto di trattarmi in questo modo. Sono pur sempre tuo padre.» Jorg cercò di rialzarsi. Si sistemò il colletto della camicia, inserendovi all’interno l’indice, poi il medio. Lo allargò leggermente. In quel momento, gli stava troppo stretto. Tom lo ignorò completamente. Si avvicinò a suo fratello ancora con gli occhi chiusi e le mani sulle orecchie, gli afferrò delicatamente i polsi, portandogli le braccia lungo i fianchi. Con il pollice e l’indice gli sollevò il mento. Bill aprì leggermente gli occhi gonfi, rossi e ancora pieni di lacrime. Non si era truccato quel giorno anzi, non lo faceva da molto tempo ormai. Tom poté vedere meglio quanto dolore gli stava provocando quella situazione, quanto dolore quel grandissimo bastardo gli stava recando, quanta disperazione gli stava causando l’intera indifferenza da parte della madre. Non va affatto bene così. Per niente.

Non mi lasciare. Mimò Bill con le labbra, stringendole forte successivamente. Una lacrima gli rigò lo zigomo destro, altre due quello sinistro.

«Non lo farò mai.» sorrise poi, dandogli un bacio sulla fronte. Era sudata, seppure il freddo era pungente. Fuori diluviava. Gli scostò qualche ciocca di capelli e gliela mise dolcemente dietro l’orecchio.

«Gli egoisti siete voi. Come potete comportarvi in questo modo? Non è una cosa normale. Siete la vergogna della nostra famiglia.» ringhiò Jorg. Simone lo rimproverò di fare silenzio. Tom indurì la mascella, Bill socchiuse gli occhi e sospirò. Non avrebbe dovuto dire una cosa del genere. Che idiota! Tom lasciò delicatamente il mento del fratello. Ti amo. Gli sussurrò in seguito, prima di scagliarsi contro il padre. Con uno spintone si ritrovò su di lui, cominciò a colpirlo sul viso, sullo stomaco. Era invano proteggersi. Simone provò ad allontanarlo, strattonandolo per la maglietta. Non ci fu verso di smuoverlo. Le sue gambe erano arpionate perfettamente agli esili fianchi di Jorg. Gli bastò un colpo di spalla per far allontanare la madre, facendola finire per terra. Bill si mise le mani tra i capelli. Basta!

«A cosa pensi che mi siano servite le lezioni di pugilato? Eh? A cosa pensi che mi siano servite?» un pugno sullo stomaco. «Dicevi che stavo perdendo il mio tempo. Che dovevo dedicarmi allo studio. Sapevi almeno per chi lo stavo facendo?» un pugno sul viso. Jorg era sanguinante. Non rispose. Guardava dritto negli occhi il figlio. Quel figlio che lo stava picchiando.

«Rispondimi, animale!» un altro pugno. Simone si arrese. Si mise in ginocchio e cominciò a piangere. Jorg lo fissò qualche altro secondo, prima di rispondere sputò sulla maglia del figlio sporcandola di sangue.

«Io non voglio avere un figlio finocchio.» sputò ancora. Ricevette un altro pugno, questa volta dritto sul naso. Jorg urlò dal dolore: glielo aveva rotto.

«Esatto! È proprio per questo motivo che ho preso lezioni di box. Per picchiare gli animali come te.» si alzò di scatto, gli tirò un calcio nei fianchi, facendolo contorcere dal dolore. Con le mani si copriva il setto nasale dolorante e sanguinante. Bastardo me l’hai rotto. Mugugnò Jorg. Devi solo ringraziare che non ti abbia ucciso davanti a mamma e Bill. Schifoso omofobo. Ricambiò lo sputo. Era la cosa più umiliante che potesse esistere. Picchiati, insultati, sputati dal proprio figlio.

Era quello che si meritava.

Fissò qualche altro secondo il padre ancora disteso, dopodiché guardò la madre. Era ancora in ginocchio e piangeva. Nei suoi occhi, Tom poté intravedere tanta disperazione, delusione, umiliazione. Non l’avrebbe voluta vedere così. Guardò Bill, ora seduto sul divano con la testa fra le mani. Singhiozzava: lo capì dai rapidi movimenti su e giù che faceva la schiena. Si passò una mano sul viso, poi fra i rasta ormai sciolti e scompigliati.

«Non doveva dire una cosa del genere, mamma. Non doveva farlo.» cominciò «Non avete idea di quello che abbiamo passato. A scuola, qui, fra di noi. Non è colpa nostra se...» dette una fugace occhiata a Bill, per cercare appoggio. Lo trovò. Come sempre.

«Potete anche non accettarlo…io…noi.» Lo guardò a sua volta. Sorrise a quella parola. ‘Noi’. Sembrava così familiare. Come se fosse sempre esistita. «Non possiamo farci niente. Ci amiamo. E va bene così.» si asciugò una lacrima con due dita. Simone restò impassibile a tutte quelle parole. Bisogna chiamare il pronto soccorso. Jorg morirà dissanguato altrimenti. Disse, cambiando discorso. Si alzò e si avvicinò al marito o meglio, sarebbe diventato l’ex marito dopo l’udienza. Gli accarezzò i capelli. Il giudice aveva già deciso che Tom sarebbe rimasto con la madre e Bill sarebbe stato affidato a Jorg. Entrambi potevano vedersi nel fine settimana. Non di più, non di meno. Prese il cordless.

Compose il numero. Risposero al terzo squillo.

Pronto soccorso!

«C’è un emergenza al 57° Stadtteile, Leipziger Straßen c’è stato un incidente. Mio marito si è rotto il setto nasale in una rissa. Fate in fretta per favore.»

Le manderemo subito un’ambulanza.

Cosa avrebbe detto non appena sarebbe arrivata l’ambulanza? Non avrebbe mai detto che il padre era stato picchiato dal figlio. Avrebbe inventato una scusa. Mio marito è tornato barcollando qui a casa. Ho chiamo subito il pronto soccorso. Sì, sarebbe stata una scusa perfetta. Se avesse detto la verità, avrebbero chiuso in riformatorio suo figlio, e lei sarebbe rimasta da sola. Completamente. Per non parlare di Bill. Non l’avrebbe mai più voluta vedere. Dopotutto, erano pur sempre i suoi figli.

 «Perché hai mentito?» Jorg cercò di alzarsi in piedi. Si appoggiò con la schiena sullo stipite della porta del salotto. Aveva trovato un tampone per il naso. Almeno quello.

«Non voglio che Tom vada in riformatorio. E non voglio che Bill non mi rivolga più la parola. E non voglio rimanere da sola. Sono pur sempre i miei figli. Li vorrò bene per il resto dei miei giorni. Qualsiasi scelta loro facciano.» Simone li guardò entrambi. Seppure tristemente, abbozzò un sorriso forzato. Non accetterò mai questa cosa. Mai. Pensò tra sé e sé. È sbagliato. Non è un bene per loro. Ma se sono felici. Va bene così.

Tom guardò la madre, poi guardò Bill. Si avvicinò e si piegò davanti a lui, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Si perse in quelli occhi nocciola così profondi. Per un attimo ricordò la prima volta che, vedendoli, aveva sentito le farfalle allo stomaco. Lo stava guardando così, proprio come all’ora.

Tre anni prima

«Tom! Tom ti prego vieni!» il moro gemette leggermente nel chiamarlo. Il fratello si precipitò subito nel cortile, da dove proveniva la sua voce. Cosa c’è?

«Sono caduto su quella maledetta pietra. Mi sono sbucciato un ginocchio. Brucia. »

Tom sorrise. Il fratello era davvero un imbranato certe volte. Lo tranquillizzò accarezzandogli il ginocchio non sbucciato.

«Vedi che è l’altro che mi fa male.» Rise poi. Tom annuì. Lo sapeva. Semplicemente non voleva che sentisse bruciore, se l’avesse toccato lì.

«Ti porto in cucina e lo disinfettiamo, hm?» scosse rapidamente il capo.

Fa troppo male. Non riesco a muoverlo. Non camminerò più. Tom rise di gusto. Era di una tenerezza immensa quando si preoccupava per queste stupidaggini.

«Okay. Vorrà dire che porterò qui fuori la garza e lo spirito per…»

«Lo spirito? Che sei pazzo? Mi vuoi scorticare la pelle per far uscire l’osso del ginocchio da fuori? Non se ne parla proprio. Prendi il ghiaccio secco dal congelatore.» Tom rise ancora. Sì certo. Forse nemmeno l’acido muriatico avrebbe questi effetti collaterali. Pensò poi tra sé e sé. Ma così fece. Si dette una spinta con il ginocchio per rialzarsi e si diresse in cucina per prendere una garza e del ghiaccio.

 

«Ahia! Brucia da morire.» gemette Bill, strizzando forte gli occhi e gettando il capo all’indietro, stringendo con entrambe le mani il ginocchio ferito.

«Sei stato tu a dirmi di prendere del ghiaccio secco. »

«Ma non pensavo facesse così fottutamente male. Guarda qua!!» indicò il ginocchio con lo sguardo e lo indicò con entrambe le mani. «La garza e la pelle sono diventati un tutt’uno. Si è appiccicato tutto! Che palle!» Tom strabuzzò gli occhi. Bill si preoccupò. Cominciò a squadrarsi il ginocchio, girandolo a destra e a sinistra.

«Cosa c’è? È grave? Morirò? Dov’è l’emorragia?» Tom rise di gusto. «Ma cosa cazzo ridi? Ma non vedi che sto per morire dissanguato?» Indicò nuovamente con entrambe le mani la garza appena macchiata di sangue. Tom corrugò la fronte e successivamente alzò le sopracciglia.

«Non morirò, vero?» Bill lo guardò con gli occhi lucidi. Si morse ripetutamente il labbro inferiore, quasi torturandolo. Tom sorrise debolmente. Avvicinò le labbra al ginocchio ‘ferito’ e gli diede un bacio. Così guarirà più in fretta. Aggiunse.

«Grazie.» i suoi occhi si riempirono di speranza mentre guardavano intensamente Tom. Lui fece lo stesso. E quando Bill li chiuse e li riaprì lentamente, sentì il suo cuore fare un tuffo carpiato e il suo stomaco riempirsi di formicolii improvvisi. Non ricordo di aver mangiato farfalle a merenda.

-

Cercò di trovare una soluzione, in quegli occhi; un qualcosa che gli permettesse di fare la mossa finale. Sarebbe stato disposto a tutto, pur di salvarlo. Bill lo fissò intensamente e bastò un suo sorriso per far capire a Tom quale sarebbe stata la scelta più giusta. «Ti fidi di me?» sussurrò poi, cercando consenso. Dal canto suo, Bill, aveva già capito qual era la sua intenzione. Anche lui era pronto a tutto. Si fidava ciecamente di lui. Perdutamente. L’aveva sempre fatto, fin da bambino. Non avrebbe smesso proprio ora che lui era diventato ancora più importante di quanto già non lo fosse stato mai. Si sentiva protetto, al sicuro, nessuno gli avrebbe mai fatto del male ora che Tom era lì, accanto a lui. Gli poggiò le mani sulle spalle, si avvicinò giusto il necessario per poggiare la fronte sulla sua. Gli cinse il collo e sorrise, guardandolo dritto negli occhi.

«Questo è un sì, vero?» rise poi, avvolgendogli il volto e baciandolo delicatamente, fregandosene altamente della reazione che avrebbero avuto i genitori. «Quindi saresti disposto a fuggire con me? Adesso?» non se lo fece ripetere due volte, senza accorgersene si ritrovò ad annuire ripetutamente. ‘Sì! Sì! Sì!’

Si alzò, prendendo delicatamente la mano del fratello. Era così fredda e magra.

«Che vi piaccia o no, ce ne andremo. Questa sera, adesso!» Simone scattò in piedi, Jorg indurì la mascella. Ancora il naso era dolorante. L’ambulanza non era arrivata. Tentò di far cambiare idea al figlio, dicendogli che avrebbero trovato insieme una soluzione. Tom scosse il capo, più volte. Nulla potrà farmi cambiare idea.

«Nemmeno se andassi a dire al giudice che siete due disgustosi che praticano l’incesto? Sai benissimo che sono capace di farlo, Tom! E se il giudice dovesse venire a sapere questa cosa, sta pur certo che Bill non lo rivedresti mai più. Perché entrambi verreste rinchiusi in qualche ospedale psichiatrico per il resto dei vostri giorni.» Simone lo guardò con gli occhi sbarrati e la bocca semi schiusa. Non farebbe mai una cosa del genere. Pensò poi. Ma sapeva benissimo che ne sarebbe stato capace, pur di vendicarsi.

Tom rimase impassibile, freddo, immobile, nella stessa posizione in cui era pochi attimi prima che Jorg lo avvertisse. Fece un’espressione di disgusto, guardandolo dalla testa ai piedi. La mano stringeva sempre quella di Bill, ora più forte. «Ed è per questo motivo che togliamo il disturbo. Fa quello che cazzo ti pare. Mandaci tutti gli esorcisti e gli strizzacervelli che vuoi. Io, a differenza tua...» disse prima indicandosi, per poi rivolgere l’indice verso il padre, con fare minaccioso. «…Ci tengo a lui, lo amo, e non mi vergogno assolutamente di questa scelta che ho fatto nella mia vita. Siete solo degli egoisti. Tu in primis. Non siete stati mai orgogliosi di noi, nemmeno prima di scoprire la relazione fra me e lui. Addio!» non aggiunse altro. Non prese né valige, né vestiti, né soldi, né cellulare. Niente. Aprì la porta. Era sull’uscio. Jorg afferrò per il braccio Bill stringendolo forte e guardandolo con aria minacciosa. Bill era terrorizzato. Strinse ancora di più la mano del fratello. 

«Sappi che se varcherete quella soglia, non vi considereremo più nostri figli.» ringhiò Jorg, stringendo ancora di più la presa. Tom lo allontanò con una forte spinta sulla spalla. Il padre era piuttosto magro ed esile. Non ci volle molto per farlo.

«E sappi che se lo toccherai ancora una volta, non ti considererai più un uomo vivo.» lo minacciò, puntandogli contro il dito. Senza aggiungere altro prese le chiavi dell’auto senza farsene accorgere e chiuse di scatto la porta.

«Ti prego, Tom! Aspetta!» Simone si avvicinò alla porta, per aprirla, ma Jorg si piazzò davanti ad essa. Lasciali andare. Non andranno molto lontano con questo tempo. Li cercheremo domattina.

 

«Fottuta macchina del cazzo! Parti maledizione. Parti!» Tom girò con più forza la chiave all’interno dell’auto di Jorg. Una Mercedes un po’ troppo vecchia. Due, tre, quattro volte. La macchina non partiva.

«Ti prego Tom, portami via.» Bill guardò fuori dal finestrino. I capelli gli gocciolavano seppure fossero stati pochi attimi fuori. Tremava dal freddo; era vestito troppo leggero. Era bagnato fradicio e non aveva nemmeno una giacca. Tom non disse niente, continuava a spingere con forza la frizione e a girare la chiave. Dopo uno scoppio del motore e una nube di fumo nero uscita dalla marmitta, la macchina partì. Bene, un faro non funziona. E l’altro? Sembra una lucetta dei morti.

 

«Tom, Tom non correre così tanto.» Bill si allacciò più veloce che poté la cintura. Dette una rapida occhiata al quadro di comando dell’auto, soffermandosi sulla lancetta dei km/h. Segnava 140. Ripeté di nuovo di moderare la velocità, era pericoloso con il temporale. 150. Cominciò ad agitarsi. Spinse forte la schiena contro il sedile, aggrappandosi con le unghie sulla fodera di quest’ultimo. 180.

«Tom, ti prego. Mi stai facendo paura così. Fermati!» urlò, in preda al panico. Spinse le ginocchia al petto e le avvolse fra le braccia. Il viso sprofondò fra le gambe. Frenò, lasciandosi dietro uno stridere di pneumatici quasi assordante a contatto con l’asfalto bagnato.

Si voltò verso di lui. Notò che stava tremando. Forse dal freddo. Che idiota! Certo che è per il freddo! Non ho preso nessun cappotto. O forse, anche per lo spavento. Doppio idiota. A momenti finivo per ammazzarlo. Allungò una mano per toccargli la spalla, ma la ritrasse subito dopo. Urlò, picchiando più volte le mani sul volante, facendo tremare l’automobile. Lasciò cadere la fronte sullo sterzo, le braccia erano poggiate su di esso prive di forza. Scoppiò a piangere.

«Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace!» continuava a ripetere, scuotendo a destra e a sinistra la testa, sbattendola volutamente sul volante. «Sono un’idiota. Solo un povero idiota. Non volevo spaventarti. Scusami. Scusami!» improvvisamente si lanciò sul fratello, poggiando il viso sulle sue ginocchia. Lo strinse forte. La schiena si alzava e abbassava velocemente. Sudava, sebbene facesse freddo.

Bill dal canto suo, alzò leggermente la testa e abbassò le ginocchia, in modo tale che Tom potesse poggiare il viso sulle cosce. Cominciò ad accarezzargli un rasta per volta, poi gli sfiorò la schiena. «Nessuno mai avrebbe fatto questo per me. Mai.» sussurrò poi, abbassandosi su di lui e poggiando il viso sulla schiena. «Ti amo, Tom. Ti amo tanto.»

Restarono così qualche altro istante, dopodiché Tom si alzò leggermente e si asciugò le lacrime dal viso. «Che cazzone che sono. Sei fradicio, scricciolo.» Sorrise poi, scompigliando i capelli bagnati del fratello, sfregando poi le sue mani sulle braccia per riscaldarlo. Quest’ultimo lo guardò divertito. «Ma lo sai qual è la cosa più assurda, Bill?» Scosse il capo, assottigliò le labbra. No. «E che non so nemmeno dove andare, questa notte.» accarezzò una sua guancia. «Dove vuoi andare? »

«Per me potremmo anche andare a vivere sotto i ponti, a dormire sui cartoni, andare a mangiare alla mensa dei poveri. Nulla conta, finché noi due resteremo insieme. Se a te va bene, certo.» sovrappose la sua mano a quella di Tom, rimasta ancora sulla sua guancia. Si guardarono intensamente. Poterono vedere quanto amore c’era l’uno negli occhi dell’altro. Si vedeva lontano un miglio che, entrambi, avrebbero fatto qualunque cosa pur di salvarlo. Giusto, sbagliato, che importava? Che significato poteva avere la parola sbagliato per loro? Sbagliato poteva essere una madre che abbandona il figlio in un orfanotrofio; sbagliato poteva essere chi uccideva un innocente; sbagliato poteva essere chi rubava, ma non chi amava qualcuno. Da quando in qua amare una persona è sbagliato? Perché è sbagliato? È vero, per legge non si può amare un fratello; non in quel modo. Non si deve fare. Perché per loro, quello è sbagliare. No! Non era affatto così. Quello si chiamava semplicemente eccezione; loro erano l’eccezione. Erano diversi dagli altri. Si distinguevano dalle semplici coppie di persone che, secondo loro, credevano di amarsi. Ma forse, non conoscevano nemmeno il significato della parola amore. A loro bastava guardarsi negli occhi per capire cosa provava l’uno per l’altro; bastava sorridere. La gente non capiva. E non l’avrebbe mai fatto.

«Finché ci sarai tu con me, non importa se sarò all’inferno, o nella reggia più bella di tutto il mondo. Perché il mio posto, il posto più bello che abbia mai visitato, in cui abbia mai vissuto. Sei tu.» un altro sorriso, un altro triste sorriso.

Bill lo guardò, ancora un istante. Improvvisamente però, venne illuminato da un forte faro. Quasi accecante. Era vicino, sempre più vicino. Solo quando divenne troppo tardi, Tom mise a fuoco che quelli, erano due fari di un camion fuori controllo che li stava venendo addosso. Non si accorse di nulla. Sentì soltanto suo fratello urlare il suo nome.

Tom!

 

‘Il dottor Müller in terapia intensiva, il dottor Müller in terapia intensiva, il dottor Müller è richiesto in terapia intensiva. ’

«Vuole chiudere quella boccaccia!? L’ha ripetuto dieci volte. La smetta!» Simone, in preda ad una crisi di nervi, stava aspettando in sala d’attesa. Non per Jorg; lui era già stato curato. Attendeva insieme a lei. L’infermiera la guardò con gli occhi spalancati, restando qualche altro attimo con la bocca vicino il microfono, dopodiché si ritirò e cominciò a ripicchiettare sulla tastiera del computer. Il dottor Frost uscì dalla sala operatoria, dopo tre lunghe ore.

«Come stanno?» chiese ansimante la madre, scattando in piedi come se qualcuno le avesse dato la carica. Il dottore scosse il capo. «O mio dio! Sono morti! O mio dio!» Simone si gettò fra le braccia di Jorg, che la strinse istintivamente.

«Oh no signora Kaulitz, stia tranquilla. È solo come temevo. Sono entrati entrambi in coma. Hanno sbattuto troppo forte la testa. Temo abbiano subito un trauma cranico e, per cucire le ferite, ci son voluti molti punti di sutura. Ora sembrano stabili. Non so quanto possa durare il coma. Ma temo che...» fece una pausa.

«Temo che? Che cosa teme, dottore?» chiese Jorg, preoccupato.

«Dalle notevoli esperienze che ho avuto, temo che al loro risveglio non ricorderanno nulla. Non dell’incidente. Perché molto probabilmente l’incidente, la maggior parte delle volte, lo ricordano tutti; parlavo della loro vita. Dubito persino che si ricorderanno il loro nome. Non credo vi riconosceranno, né tanto meno si ricorderanno l’uno dell’altro. Ma questo è tutto da vedere, con il tempo, la memoria potrebbe tornar loro. C’è una buona probabilità. Circa il 70% dei pazienti, dopo un certo periodo di tempo, ricorda tutto. Spero che i vostri figli rientrino in quel 70%. Ora se mi volete scusare…»

Il medico con un cenno del capo tolse il disturbo. I genitori dei gemelli si guardarono intensamente. Bastò un semplice cenno di assenso da parte di Jorg. «Sì, Simone. Sarebbe la cosa più giusta da fare. Se davvero al loro risveglio non dovessero ricordarsi né di noi né gli uni degli altri, faremo così. »

Un mese dopo

«Pronto?»

Signora Kaulitz? Sono il dottor Frost. Suo figlio, Thomas, si è appena svegliato dal coma.  Suo figlio Wilhelm, ancora no. Ma le sue condizioni sono comunque stabili ed è migliorato.

 «O mio dio! Arrivo subito.»

A signora, dimenticavo una cosa.

«Mi dica! »

Ha chiesto del ragazzo che stava con lui in macchina. Non ricorda il suo nome. Né chi fosse. Come temevo, non sa che con lui, c’era suo fratello. Non ho detto nulla, nemmeno qual è il suo nome. Ho soltanto controllato i valori e me ne sono andato. Ho pensato che sarebbe stato meglio se gli aveste parlato voi per primi.

 «La ringrazio!»

Terminò la chiamata senza salutare nemmeno il dottore. Era così entusiasta che dopo un mese suo figlio si era risvegliato… Ma, in un certo senso, era anche preoccupata ed ansiosa. Se davvero non si fosse ricordato nulla, avrebbe fatto finta che Bill fosse morto. O mai esistito… lo avrebbe fatto davvero? Sì. Per il bene del figlio. Dei figli. Sì. Così Bill sarebbe stato affidato a Jorg. Ma il problema, era che non avrebbe più potuto vederlo, almeno, non assieme a Tom. Se si fosse ricordato di lui, tutto sarebbe andato a rotoli. No. Non doveva capitare. Non di nuovo. Era sicura che quello che stava facendo, era la cosa giusta. Secondo lei. Secondo Jorg.

 

«Venite signori, entrate pure. È sveglio.» il dottore si fece da parte e lasciò aperta la porta in modo tale che i genitori potessero entrare nella stanza. Non appena entrarono, Simone mise le mani sul petto dell’ex marito, dicendogli di far finta di non conoscerlo. Lui annuì. C’era un triste silenzio. Si sentiva solo il leggero vociare di fuori e i ‘bip’ della macchina accanto a Tom. I suoi battiti erano regolari. Simone vedeva la barra verde dell’elettrocardiogramma alzarsi ed abbassarsi. Se avessero attaccato a lei un simile macchinario, di sicuro i battiti non sarebbero oscillati tra i sessanta e i settanta. Sarebbero stati molto più elevati.

Inspirò ed espirò profondamente. Le tremavano le mani e le ginocchia. Jorg guardò prima Tom. Per fortuna, - secondo lui - non se ne accorse neppure. Spostò il suo sguardo verso Bill, ancora incubato. Gli venne un nodo alla gola che non riusciva a deglutire. Aveva un piccolo tubo di plastica trasparente che gli entrava da entrambe le narici. Deve essere il respiratore. Si sentiva in colpa, tremendamente. Se non fosse stato per il pessimo carattere che aveva, a quest’ora i figli non sarebbero in ospedale. Simone si avvicinò piano al lettino dove Tom era disteso. Si guardava intorno, senza parlare. Simone sorrise, Tom la ignorò. Chi è?

«Tom?» lo chiamò, accarezzandogli leggermente la fronte. Tom la guardò stralunato. Non mi riconosce? Pensò tra sé e sé. «Tom, sono la mamma.» Tom continuava a non rispondere. Aveva gli occhi semi chiusi: la luce bianca della lampada posta dietro il suo lettino lo accecava. Si mise una mano sulla fronte per poter far ombra sugli occhi e vedere meglio quella sagoma davanti a lui. Vedeva ancora sfuocato per via degli antidolorifici che gli erano stati somministrati. Forse era anche dovuto al fatto che, la garza che gli avvolgeva gran parte della testa, era maledettamente stretta. E si sentiva soffocare, schiacciare, premere con forza. Gli batteva, gli doleva da morire. Era come se un martello pneumatico gli stesse martellando violentemente sulle tempie, non lasciandolo in pace nemmeno per un secondo. Persino gli antidolorifici non riuscivano a calmare del tutto il dolore.

«È questo il mio nome? Tom?» bisbiglio leggermente. Simone ebbe un tuffo al cuore. Non immaginava che la situazione fosse così complicata. Era più difficile di quanto immaginasse. «Il dottore ha detto che sono in coma da un mese. Sei...» si interruppe. «Dio questa fottuta testa mi fa un male cane.» portò le braccia in alto e, chiudendo i pugni, li poggiò sulla fronte, premendo forte, come se questo servisse ad alleviare il dolore. «Io non ti conosco!» aggiunse poi.

Simone ebbe un blocco. Singhiozzò leggermente. Si portò una mano davanti la bocca e si voltò dall’altra parte. Faceva davvero troppo male vedere il figlio in quelle condizioni.

Jorg restò in disparte. Non poteva farsi vedere. Si avvicinò a Bill accarezzandogli dolcemente la testa. Si chinò in avanti per potergli baciare la fronte. ‘Perdonaci’ sussurrò.

«Signora. Sa per caso del ragazzo che era assieme a me in macchina il giorno dell’incidente? Quel coglione del dottore non mi ha detto nulla. Lo odio. E poi puzza di vecchio.» Simone si lasciò sfuggire una risata. Si inumidì le labbra. Posò i suoi occhi su Jorg, lui li socchiuse ed annuì. Doveva farlo. Sangue freddo.

«Devi chiamarmi ‘mamma’, Tom. Sono tua madre. Hai perso la memoria, figlio mio.» si sedette sul lettino, accanto a lui. Gli accarezzò delicatamente la fronte. «E comunque...» sospirò. Non ci riusciva.

«Cosa? Lei…tu...conosci il ragazzo che era con me?»

Simone continuava a fissare Jorg. Nei suoi occhi cercava una risposta, anche se già la conosceva. Doveva farsi coraggio e dirglielo. Non era poi così difficile mentire spudoratamente solo per puro egoismo. Era così semplice dire: ‘non c’è mai stato nessuno lì con te. Avrai i ricordi confusi’, quando proprio lì, accanto a lui, stava la persona per cui aveva rischiato la vita; la persona per cui sarebbe morto; la persona che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non riuscivano a capire l’errore madornale che stavano per compiere in quel dato momento, cosa avrebbe potuto provocare se, un giorno, Tom o Bill fossero venuti a conoscenza dell’inganno. Si domandarono come avrebbero potuto reagire? No. L’egoismo era troppo forte. Così come l’orgoglio. Per loro, quella era la scelta giusta per i ragazzi. Non volevano ammettere a se stessi che quella scelta, non era giusta per i figli. Ma era giusta per loro.

Ritornò a guardare Tom, con un sorriso dolce, falso. Stava per mentire. «No, tesoro. Ti sbagli. Non c’era nessuno assieme a te. Avrai ancora i ricordi confusi.» continuò ad accarezzargli la fronte.

«No. Ti sbagli. C’era qualcuno. Davvero. Me lo ricordo.» disse flebilmente. Gli antidolorifici stavano esaurendo il loro effetto. «Io...» continuò a guardarsi intorno. Fino a quando non posò gli occhi su Bill. Simone perse un battito. Se lo riconosce. È la fine. Guardò di nuovo sua madre. «Anche quel ragazzo ha avuto un incidente? Chi è?»

Simone egoisticamente tirò un sospiro di sollievo. Sorrise ancora una volta, stringendo la mano di Tom più forte. «Non lo so, Tom. Non lo conosco. Quell’uomo che è entrato con me, presumo sia suo padre. Ma non conosco nessuno dei due. L’avrai solo immaginato, tesoro mio. Solo immaginato.» Tom spostò lo sguardo verso i due sconosciuti poi lo rivolse di nuovo verso la madre. Sorrise.

«Molto probabilmente avrò i ricordi confusi. Chi può saperlo meglio di te, mamma!» Tom sorrise e strinse di più la mano di Simone. La donna ricambiò, sovrapponendo anche l’altra.

«Ti prometto che farò riaffiorare tutti i tuoi ricordi più belli. Te lo garantisco, Tom.»

«Quando potrò uscire? »

«Questo al dottore ‘puzzolente’ non l’ho ancora chiesto.» ad entrambi scappò una risata. «Ma sono sicura che ti rimetteranno presto. Abbiamo un sacco di cui parlare. »

Tom sorrise, ed annuì. Non diede più importanza a quei due che erano nella stanza assieme a lui. Era tutto normale. Lui avrebbe riacquistato la memoria grazie alle fandonie che la madre gli avrebbe raccontato giorno dopo giorno, infangando il prezioso ricordo del fratello, l’indimenticabile ricordo, di un amore perduto.

   
 
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