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Prologo -
Novembre
2006
«Siete
solo degli egoisti. Degli schifosissimi
egoisti del cazzo!» strinse forte i pugni, conficcandosi le
unghie nei palmi
delle mani; li sbatté più volte sul muro.
«Egoisti
bastardi!» ripeté ancora, spostando
poi la sua rabbia sul tavolino del salotto, accanto al divano. Si
sentì un
forte tonfo per tutta la stanza. Gli oggetti in ceramica che vi erano
sopra
tremarono; alcuni caddero a terra e si ruppero. Nessuno osò
fiatare. Una volta scaricata
la rabbia sul tavolino, si portò i pugni vicino la bocca, si
picchiò sulla
testa, strizzando forte gli occhi per trattenere le lacrime. Senza
riuscirci.
«Non
potete farci questo. Non potete farlo!»
ormai le lacrime cominciarono ad uscire. Non era più capace
di finire le frasi
perché interrotte da profondi singhiozzi. Il viso era
già completamente
bagnato.
«È
perché ci amiamo in modo diverso, vero? È
per quello, giusto?» gli occhi del padre erano bassi, la
madre sussultava ad
ogni frase, ad ogni parola ‘pungente’ del figlio.
Era
davvero per
quello? Perché loro due si amavano? Dopotutto. Non
l’avevano mai accettato. Né
Jorg, né lei. Ma come avrebbe potuto dirlo.
«Rispondimi,
cazzo!» Tom afferrò il padre dal
colletto della camicia e lo spinse contro il muro. Lo
sollevò leggermente da
terra. Bill, in piedi dietro Tom, si strinse fra le braccia,
gridò per lo
spavento. Strinse forte gli occhi, si mise le mani sulle orecchie. È un incubo. È solo un
maledettissimo
incubo.
«Tom,
per favore. Lascialo! Ti prego!» Simone
si precipitò verso di lui, prendendo Tom per le spalle e
tirandogli leggermente
la maglietta per fargli mollare la presa. Fu inutile. Strinse
più forte.
«Non
ti è mai importato un cazzo di noi. E
adesso vuoi che Bill venga con te? Non sei nessuno per
deciderlo.» ringhiò a
pochi centimetri dal volto del padre. «Fattene una ragione.
Sei una nullità.»
soffiò infine, lasciando la presa con un forte strattone.
Cadde a terra.
«Tu
non hai il diritto di trattarmi in questo
modo. Sono pur sempre tuo padre.» Jorg cercò di
rialzarsi. Si sistemò il
colletto della camicia, inserendovi all’interno
l’indice, poi il medio. Lo
allargò leggermente. In quel momento, gli stava troppo
stretto. Tom lo ignorò
completamente. Si avvicinò a suo fratello ancora con gli
occhi chiusi e le mani
sulle orecchie, gli afferrò delicatamente i polsi,
portandogli le braccia lungo
i fianchi. Con il pollice e l’indice gli sollevò
il mento. Bill aprì
leggermente gli occhi gonfi, rossi e ancora pieni di lacrime. Non si
era
truccato quel giorno anzi, non lo faceva da molto tempo ormai. Tom
poté vedere
meglio quanto dolore gli stava provocando quella situazione, quanto
dolore quel
grandissimo bastardo gli stava
recando, quanta disperazione gli stava causando l’intera
indifferenza da parte
della madre. Non va affatto bene
così.
Per niente.
Non
mi lasciare.
Mimò Bill con le
labbra, stringendole forte successivamente. Una lacrima gli
rigò lo zigomo
destro, altre due quello sinistro.
«Non
lo farò mai.» sorrise poi, dandogli un
bacio sulla fronte. Era sudata, seppure il freddo era pungente. Fuori
diluviava. Gli scostò qualche ciocca di capelli e gliela
mise dolcemente dietro
l’orecchio.
«Gli
egoisti siete voi. Come potete comportarvi
in questo modo? Non è una cosa normale. Siete la vergogna
della nostra famiglia.»
ringhiò Jorg. Simone lo rimproverò di fare
silenzio. Tom indurì la mascella,
Bill socchiuse gli occhi e sospirò. Non
avrebbe dovuto dire una cosa del genere. Che idiota! Tom
lasciò
delicatamente il mento del fratello. Ti
amo. Gli sussurrò in seguito, prima di scagliarsi
contro il padre. Con uno
spintone si ritrovò su di lui, cominciò a
colpirlo sul viso, sullo stomaco. Era
invano proteggersi. Simone provò ad allontanarlo,
strattonandolo per la
maglietta. Non ci fu verso di smuoverlo. Le sue gambe erano arpionate
perfettamente agli esili fianchi di Jorg. Gli bastò un colpo
di spalla per far
allontanare la madre, facendola finire per terra. Bill si mise le mani
tra i
capelli. Basta!
«A
cosa pensi che mi siano servite le lezioni
di pugilato? Eh? A cosa pensi che mi siano servite?» un pugno
sullo stomaco. «Dicevi
che stavo perdendo il mio tempo. Che dovevo dedicarmi allo studio.
Sapevi
almeno per chi lo stavo facendo?» un pugno sul viso. Jorg era
sanguinante. Non
rispose. Guardava dritto negli occhi il figlio. Quel figlio che lo
stava
picchiando.
«Rispondimi,
animale!» un altro pugno. Simone si
arrese. Si mise in ginocchio e cominciò a piangere. Jorg lo
fissò qualche altro
secondo, prima di rispondere sputò sulla maglia del figlio
sporcandola di
sangue.
«Io
non voglio avere un figlio finocchio.»
sputò ancora. Ricevette un altro pugno, questa volta dritto
sul naso. Jorg urlò
dal dolore: glielo aveva rotto.
«Esatto!
È proprio per questo motivo che ho
preso lezioni di box. Per picchiare gli animali come te.» si
alzò di scatto,
gli tirò un calcio nei fianchi, facendolo contorcere dal
dolore. Con le mani si
copriva il setto nasale dolorante e sanguinante. Bastardo
me l’hai rotto. Mugugnò Jorg. Devi solo ringraziare che non ti abbia ucciso
davanti a mamma e Bill.
Schifoso omofobo. Ricambiò lo sputo. Era la cosa
più umiliante che potesse
esistere. Picchiati, insultati, sputati dal proprio figlio.
Era
quello che si meritava.
Fissò
qualche altro secondo il padre ancora
disteso, dopodiché guardò la madre. Era ancora in
ginocchio e piangeva. Nei
suoi occhi, Tom poté intravedere tanta disperazione,
delusione, umiliazione.
Non l’avrebbe voluta vedere così.
Guardò Bill, ora seduto sul divano con la
testa fra le mani. Singhiozzava: lo capì dai rapidi
movimenti su e giù che
faceva la schiena. Si passò una mano sul viso, poi fra i
rasta ormai sciolti e
scompigliati.
«Non
doveva dire una cosa del genere, mamma.
Non doveva farlo.» cominciò «Non avete
idea di quello che abbiamo passato. A
scuola, qui, fra di noi. Non è colpa nostra se...»
dette una fugace occhiata a
Bill, per cercare appoggio. Lo trovò. Come
sempre.
«Potete
anche non accettarlo…io…noi.» Lo
guardò
a sua volta. Sorrise a quella parola. ‘Noi’.
Sembrava così familiare. Come se
fosse sempre esistita. «Non possiamo farci niente. Ci amiamo.
E va bene così.»
si asciugò una lacrima con due dita. Simone restò
impassibile a tutte quelle
parole. Bisogna chiamare il pronto
soccorso. Jorg morirà dissanguato altrimenti. Disse,
cambiando discorso. Si
alzò e si avvicinò al marito o meglio, sarebbe
diventato l’ex marito dopo
l’udienza. Gli accarezzò i capelli. Il giudice
aveva già deciso che Tom sarebbe
rimasto con la madre e Bill sarebbe stato affidato a Jorg. Entrambi
potevano
vedersi nel fine settimana. Non di più, non di meno. Prese
il cordless.
Compose
il numero. Risposero al terzo squillo.
Pronto
soccorso!
«C’è
un emergenza al 57° Stadtteile,
Leipziger Straßen
c’è stato un
incidente. Mio marito si è rotto il setto nasale in una
rissa. Fate in fretta
per favore.»
Le
manderemo subito
un’ambulanza.
Cosa
avrebbe detto non appena sarebbe arrivata
l’ambulanza? Non avrebbe mai detto che il padre era stato
picchiato dal figlio.
Avrebbe inventato una scusa. Mio marito
è
tornato barcollando qui a casa. Ho chiamo subito il pronto soccorso. Sì,
sarebbe stata una scusa perfetta. Se avesse detto la verità,
avrebbero chiuso
in riformatorio suo figlio, e lei sarebbe rimasta da sola.
Completamente. Per
non parlare di Bill. Non l’avrebbe mai più voluta
vedere. Dopotutto, erano pur
sempre i suoi figli.
«Perché
hai mentito?» Jorg cercò di alzarsi in piedi. Si
appoggiò con la schiena sullo
stipite della porta del salotto. Aveva trovato un tampone per il naso.
Almeno
quello.
«Non
voglio che Tom vada in riformatorio. E non
voglio che Bill non mi rivolga più la parola. E non voglio
rimanere da sola.
Sono pur sempre i miei figli. Li vorrò bene per il resto dei
miei giorni.
Qualsiasi scelta loro facciano.» Simone li guardò
entrambi. Seppure tristemente,
abbozzò un sorriso forzato. Non
accetterò
mai questa cosa. Mai. Pensò tra sé e
sé. È sbagliato. Non
è un bene per loro. Ma se sono felici. Va bene
così.
Tom
guardò la madre, poi guardò Bill. Si
avvicinò e si piegò davanti a lui, poggiando le
mani sulle sue ginocchia. Si
perse in quelli occhi nocciola così profondi. Per un attimo
ricordò la prima
volta che, vedendoli, aveva sentito le farfalle allo stomaco. Lo stava
guardando così, proprio come all’ora.
Tre
anni prima
«Tom!
Tom ti prego vieni!» il moro gemette
leggermente nel chiamarlo. Il fratello si precipitò subito
nel cortile, da dove
proveniva la sua voce. Cosa
c’è?
«Sono
caduto su quella maledetta pietra. Mi
sono sbucciato un ginocchio. Brucia. »
Tom
sorrise. Il fratello era davvero un
imbranato certe volte. Lo tranquillizzò accarezzandogli il
ginocchio non sbucciato.
«Vedi
che è l’altro che mi fa male.» Rise poi.
Tom annuì. Lo sapeva. Semplicemente non voleva che sentisse
bruciore, se
l’avesse toccato lì.
«Ti
porto in cucina e lo disinfettiamo, hm?»
scosse rapidamente il capo.
Fa
troppo male. Non
riesco a muoverlo. Non camminerò più. Tom
rise di gusto. Era di una tenerezza immensa
quando si preoccupava per queste stupidaggini.
«Okay.
Vorrà dire che porterò qui fuori la
garza e lo spirito per…»
«Lo
spirito? Che sei pazzo? Mi vuoi scorticare
la pelle per far uscire l’osso del ginocchio da fuori? Non se
ne parla proprio.
Prendi il ghiaccio secco dal congelatore.» Tom rise ancora. Sì certo. Forse nemmeno
l’acido muriatico
avrebbe questi effetti collaterali. Pensò poi tra
sé e sé. Ma così fece. Si
dette una spinta con il ginocchio per rialzarsi e si diresse in cucina
per
prendere una garza e del ghiaccio.
«Ahia!
Brucia da morire.» gemette Bill,
strizzando forte gli occhi e gettando il capo all’indietro,
stringendo con
entrambe le mani il ginocchio ferito.
«Sei
stato tu a dirmi di prendere del ghiaccio
secco. »
«Ma
non pensavo facesse così fottutamente male.
Guarda qua!!» indicò il ginocchio con lo sguardo e
lo indicò con entrambe le
mani. «La garza e la pelle sono diventati un
tutt’uno. Si è appiccicato tutto!
Che palle!» Tom strabuzzò gli occhi. Bill si
preoccupò. Cominciò a squadrarsi
il ginocchio, girandolo a destra e a sinistra.
«Cosa
c’è? È grave? Morirò?
Dov’è l’emorragia?»
Tom rise di gusto. «Ma cosa cazzo ridi? Ma non vedi che sto
per morire
dissanguato?» Indicò nuovamente con entrambe le
mani la garza appena macchiata di sangue. Tom
corrugò
la fronte e successivamente alzò le sopracciglia.
«Non
morirò, vero?» Bill lo guardò con gli
occhi lucidi. Si morse ripetutamente il labbro inferiore, quasi
torturandolo.
Tom sorrise debolmente. Avvicinò le labbra al ginocchio
‘ferito’ e gli diede un
bacio. Così guarirà
più in fretta. Aggiunse.
«Grazie.»
i suoi occhi si riempirono di
speranza mentre guardavano intensamente Tom. Lui fece lo stesso. E
quando Bill
li chiuse e li riaprì lentamente, sentì il suo
cuore fare un tuffo carpiato e
il suo stomaco riempirsi di formicolii improvvisi. Non
ricordo di aver mangiato farfalle a merenda.
-
Cercò
di trovare una soluzione, in quegli
occhi; un qualcosa che gli permettesse di fare la mossa finale. Sarebbe
stato
disposto a tutto, pur di salvarlo. Bill lo fissò
intensamente e bastò un suo
sorriso per far capire a Tom quale sarebbe stata la scelta
più giusta. «Ti fidi
di me?» sussurrò poi, cercando consenso. Dal canto
suo, Bill, aveva già capito
qual era la sua intenzione. Anche lui era pronto a tutto. Si fidava
ciecamente
di lui. Perdutamente. L’aveva sempre fatto, fin da bambino.
Non avrebbe smesso
proprio ora che lui era diventato ancora più importante di
quanto già non lo
fosse stato mai. Si sentiva protetto, al sicuro, nessuno gli avrebbe
mai fatto
del male ora che Tom era lì, accanto a lui. Gli
poggiò le mani sulle spalle, si
avvicinò giusto il necessario per poggiare la fronte sulla
sua. Gli cinse il
collo e sorrise, guardandolo dritto negli occhi.
«Questo
è un sì, vero?» rise poi, avvolgendogli
il volto e baciandolo delicatamente, fregandosene altamente della
reazione che
avrebbero avuto i genitori. «Quindi saresti disposto a
fuggire con me? Adesso?»
non se lo fece ripetere due volte, senza accorgersene si
ritrovò ad annuire
ripetutamente. ‘Sì!
Sì! Sì!’
Si
alzò, prendendo delicatamente la mano del fratello.
Era così fredda e magra.
«Che
vi piaccia o no, ce ne andremo. Questa
sera, adesso!» Simone scattò in piedi, Jorg
indurì la mascella. Ancora il naso
era dolorante. L’ambulanza non era arrivata. Tentò
di far cambiare idea al
figlio, dicendogli che avrebbero trovato insieme una soluzione. Tom
scosse il
capo, più volte. Nulla
potrà farmi
cambiare idea.
«Nemmeno
se andassi a dire al giudice che siete
due disgustosi che praticano l’incesto? Sai benissimo che
sono capace di farlo,
Tom! E se il giudice dovesse venire a sapere questa cosa, sta pur certo
che
Bill non lo rivedresti mai più. Perché entrambi
verreste rinchiusi in qualche
ospedale psichiatrico per il resto dei vostri giorni.» Simone
lo guardò con gli
occhi sbarrati e la bocca semi schiusa. Non
farebbe mai una cosa del genere. Pensò poi. Ma
sapeva benissimo che ne
sarebbe stato capace, pur di vendicarsi.
Tom
rimase impassibile, freddo, immobile, nella
stessa posizione in cui era pochi attimi prima che Jorg lo avvertisse.
Fece
un’espressione di disgusto, guardandolo dalla testa ai piedi.
La mano stringeva
sempre quella di Bill, ora più forte. «Ed
è per questo motivo che togliamo il
disturbo. Fa quello che cazzo ti pare. Mandaci tutti gli esorcisti e
gli
strizzacervelli che vuoi. Io, a differenza tua...» disse
prima indicandosi, per
poi rivolgere l’indice verso il padre, con fare minaccioso.
«…Ci tengo a lui,
lo amo, e non mi vergogno assolutamente di questa scelta che ho fatto
nella mia
vita. Siete solo degli egoisti. Tu in primis. Non siete stati mai
orgogliosi di
noi, nemmeno prima di scoprire la relazione fra me e lui.
Addio!» non aggiunse
altro. Non prese né valige, né vestiti,
né soldi, né cellulare. Niente. Aprì
la
porta. Era sull’uscio. Jorg afferrò per il braccio
Bill stringendolo forte e
guardandolo con aria minacciosa. Bill era terrorizzato. Strinse ancora
di più
la mano del fratello.
«Sappi
che se varcherete quella soglia, non vi
considereremo più nostri figli.»
ringhiò Jorg, stringendo ancora di più la
presa. Tom lo allontanò con una forte spinta sulla spalla.
Il padre era
piuttosto magro ed esile. Non ci volle molto per farlo.
«E
sappi che se lo toccherai ancora una volta,
non ti considererai più un uomo vivo.» lo
minacciò, puntandogli contro il dito.
Senza aggiungere altro prese le chiavi dell’auto senza
farsene accorgere e
chiuse di scatto la porta.
«Ti
prego, Tom! Aspetta!» Simone si avvicinò
alla porta, per aprirla, ma Jorg si piazzò davanti ad essa. Lasciali andare. Non andranno molto lontano
con questo tempo. Li cercheremo domattina.
«Fottuta
macchina del cazzo! Parti maledizione.
Parti!» Tom girò con più forza la
chiave all’interno dell’auto di Jorg. Una
Mercedes un po’ troppo vecchia. Due, tre, quattro volte. La
macchina non
partiva.
«Ti
prego Tom, portami via.» Bill guardò fuori
dal finestrino. I capelli gli gocciolavano seppure fossero stati pochi
attimi fuori.
Tremava dal freddo; era vestito troppo leggero. Era bagnato fradicio e
non
aveva nemmeno una giacca. Tom non disse niente, continuava a spingere
con forza
la frizione e a girare la chiave. Dopo uno scoppio del motore e una
nube di
fumo nero uscita dalla marmitta, la macchina partì. Bene, un faro non funziona. E l’altro?
Sembra una lucetta dei morti.
«Tom,
Tom non correre così tanto.» Bill si
allacciò più veloce che poté la
cintura. Dette una rapida occhiata al quadro di
comando dell’auto, soffermandosi sulla lancetta dei km/h.
Segnava 140. Ripeté
di nuovo di moderare la velocità, era pericoloso con il
temporale. 150.
Cominciò ad agitarsi. Spinse forte la schiena contro il
sedile, aggrappandosi
con le unghie sulla fodera di quest’ultimo. 180.
«Tom,
ti prego. Mi stai facendo paura così.
Fermati!» urlò, in preda al panico. Spinse le
ginocchia al petto e le avvolse
fra le braccia. Il viso sprofondò fra le gambe.
Frenò, lasciandosi dietro uno
stridere di pneumatici quasi assordante a contatto con
l’asfalto bagnato.
Si
voltò verso di lui. Notò che stava tremando.
Forse dal freddo. Che idiota! Certo che
è
per il freddo! Non ho preso nessun cappotto. O forse, anche
per lo
spavento. Doppio idiota. A momenti finivo
per ammazzarlo. Allungò una mano per toccargli la
spalla, ma la ritrasse
subito dopo. Urlò, picchiando più volte le mani
sul volante, facendo tremare
l’automobile. Lasciò cadere la fronte sullo
sterzo, le braccia erano poggiate
su di esso prive di forza. Scoppiò a piangere.
«Mi
dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace!»
continuava a ripetere, scuotendo a destra e a sinistra la testa,
sbattendola
volutamente sul volante. «Sono un’idiota. Solo un
povero idiota. Non volevo
spaventarti. Scusami. Scusami!» improvvisamente si
lanciò sul fratello,
poggiando il viso sulle sue ginocchia. Lo strinse forte. La schiena si
alzava e
abbassava velocemente. Sudava, sebbene facesse freddo.
Bill
dal canto suo, alzò leggermente la testa e
abbassò le ginocchia, in modo tale che Tom potesse poggiare
il viso sulle
cosce. Cominciò ad accarezzargli un rasta per volta, poi gli
sfiorò la schiena.
«Nessuno mai avrebbe fatto questo per me. Mai.»
sussurrò poi, abbassandosi su
di lui e poggiando il viso sulla schiena. «Ti amo, Tom. Ti
amo tanto.»
Restarono
così qualche altro istante, dopodiché
Tom si alzò leggermente e si asciugò le lacrime
dal viso. «Che cazzone che
sono. Sei fradicio, scricciolo.»
Sorrise poi, scompigliando i capelli bagnati del fratello, sfregando
poi le sue
mani sulle braccia per riscaldarlo. Quest’ultimo lo
guardò divertito. «Ma lo
sai qual è la cosa più assurda, Bill?»
Scosse il capo, assottigliò le labbra. No.
«E che non so nemmeno dove andare,
questa notte.» accarezzò una sua guancia.
«Dove vuoi andare? »
«Per
me potremmo anche andare a vivere sotto i
ponti, a dormire sui cartoni, andare a mangiare alla mensa dei poveri.
Nulla
conta, finché noi due resteremo insieme. Se a te va bene,
certo.» sovrappose la
sua mano a quella di Tom, rimasta ancora sulla sua guancia. Si
guardarono
intensamente. Poterono vedere quanto amore c’era
l’uno negli occhi dell’altro.
Si vedeva lontano un miglio che, entrambi, avrebbero fatto qualunque
cosa pur
di salvarlo. Giusto, sbagliato, che importava? Che significato poteva
avere la
parola sbagliato per loro?
Sbagliato
poteva essere una madre che abbandona il figlio in un orfanotrofio;
sbagliato
poteva essere chi uccideva un innocente; sbagliato poteva essere chi
rubava, ma non chi amava qualcuno.
Da quando in
qua amare una persona è sbagliato? Perché
è sbagliato? È vero, per legge non si
può amare un fratello; non in quel modo. Non si deve fare.
Perché per loro,
quello è sbagliare. No!
Non era
affatto così. Quello si chiamava semplicemente eccezione; loro erano
l’eccezione. Erano diversi dagli altri. Si
distinguevano dalle semplici coppie di persone che, secondo loro,
credevano di
amarsi. Ma forse, non conoscevano nemmeno il significato della parola
amore. A
loro bastava guardarsi negli occhi per capire cosa provava
l’uno per l’altro;
bastava sorridere. La gente non capiva. E non l’avrebbe mai
fatto.
«Finché
ci sarai tu con me, non importa se sarò
all’inferno, o nella reggia più bella di tutto il
mondo. Perché il mio posto,
il posto più bello che abbia mai visitato, in cui abbia mai
vissuto. Sei tu.»
un altro sorriso, un altro triste sorriso.
Bill
lo guardò, ancora un istante.
Improvvisamente però, venne illuminato da un forte faro.
Quasi accecante. Era
vicino, sempre più vicino. Solo quando divenne troppo tardi,
Tom mise a fuoco
che quelli, erano due fari di un camion fuori controllo che li stava
venendo
addosso. Non si accorse di nulla. Sentì soltanto suo
fratello urlare il suo
nome.
Tom!
‘Il
dottor Müller in
terapia intensiva, il dottor
Müller in terapia
intensiva, il
dottor Müller
è richiesto in
terapia intensiva. ’
«Vuole
chiudere quella boccaccia!? L’ha
ripetuto dieci volte. La smetta!» Simone, in preda ad una
crisi di nervi, stava
aspettando in sala d’attesa. Non per Jorg; lui era
già stato curato. Attendeva
insieme a lei. L’infermiera la guardò con gli
occhi spalancati, restando
qualche altro attimo con la bocca vicino il microfono,
dopodiché si ritirò e
cominciò a ripicchiettare sulla tastiera del computer. Il
dottor Frost uscì
dalla sala operatoria, dopo tre lunghe ore.
«Come
stanno?» chiese ansimante la madre,
scattando in piedi come se qualcuno le avesse dato la carica. Il
dottore scosse
il capo. «O mio dio! Sono morti! O mio dio!» Simone
si gettò fra le braccia di
Jorg, che la strinse istintivamente.
«Oh
no signora Kaulitz, stia tranquilla. È solo
come temevo. Sono entrati entrambi in coma. Hanno sbattuto troppo forte
la
testa. Temo abbiano subito un trauma cranico e, per cucire le ferite,
ci son
voluti molti punti di sutura. Ora sembrano stabili. Non so quanto possa
durare
il coma. Ma temo che...» fece una pausa.
«Temo
che? Che cosa teme, dottore?» chiese
Jorg, preoccupato.
«Dalle
notevoli esperienze che ho avuto, temo
che al loro risveglio non ricorderanno nulla. Non
dell’incidente. Perché molto
probabilmente l’incidente, la maggior parte delle volte, lo
ricordano tutti;
parlavo della loro vita. Dubito persino che si ricorderanno il loro
nome. Non
credo vi riconosceranno, né tanto meno si ricorderanno
l’uno dell’altro. Ma
questo è tutto da vedere, con il tempo, la memoria potrebbe
tornar loro. C’è
una buona probabilità. Circa il 70% dei pazienti, dopo un
certo periodo di
tempo, ricorda tutto. Spero che i vostri figli rientrino in quel 70%.
Ora se mi
volete scusare…»
Il
medico con un cenno del capo tolse il
disturbo. I genitori dei gemelli si guardarono intensamente.
Bastò un semplice
cenno di assenso da parte di Jorg. «Sì, Simone.
Sarebbe la cosa più giusta da
fare. Se davvero al loro risveglio non dovessero ricordarsi
né di noi né gli
uni degli altri, faremo così. »
Un
mese dopo
«Pronto?»
Signora
Kaulitz? Sono
il dottor Frost. Suo figlio, Thomas, si è appena svegliato
dal coma. Suo
figlio Wilhelm, ancora no. Ma le sue
condizioni sono comunque stabili ed è migliorato.
«O
mio dio! Arrivo subito.»
A
signora,
dimenticavo una cosa.
«Mi
dica! »
Ha
chiesto del
ragazzo che stava con lui in macchina. Non ricorda il suo nome.
Né chi fosse.
Come temevo, non sa che con lui, c’era suo fratello. Non ho
detto nulla,
nemmeno qual è il suo nome. Ho soltanto controllato i valori
e me ne sono
andato. Ho pensato che sarebbe stato meglio se gli aveste parlato voi
per
primi.
«La
ringrazio!»
Terminò
la chiamata senza salutare nemmeno il
dottore. Era così entusiasta che dopo un mese suo figlio si
era risvegliato…
Ma, in un certo senso, era anche preoccupata ed ansiosa. Se davvero non
si
fosse ricordato nulla, avrebbe fatto finta che Bill fosse morto. O mai
esistito… lo avrebbe fatto davvero? Sì. Per il
bene del figlio. Dei figli. Sì.
Così Bill sarebbe stato affidato a Jorg. Ma il problema, era
che non avrebbe
più potuto vederlo, almeno, non assieme a Tom. Se si fosse
ricordato di lui,
tutto sarebbe andato a rotoli. No. Non doveva capitare. Non di nuovo.
Era
sicura che quello che stava facendo, era la cosa giusta. Secondo
lei. Secondo Jorg.
«Venite
signori, entrate pure. È sveglio.» il
dottore si fece da parte e lasciò aperta la porta in modo
tale che i genitori
potessero entrare nella stanza. Non appena entrarono, Simone mise le
mani sul
petto dell’ex marito, dicendogli di far finta di non
conoscerlo. Lui annuì.
C’era un triste silenzio. Si sentiva solo il leggero vociare
di fuori e i ‘bip’
della macchina accanto a Tom. I suoi battiti erano regolari. Simone
vedeva la barra
verde dell’elettrocardiogramma alzarsi ed abbassarsi. Se
avessero attaccato a
lei un simile macchinario, di sicuro i battiti non sarebbero oscillati
tra i sessanta
e i settanta. Sarebbero stati molto più elevati.
Inspirò
ed espirò profondamente. Le tremavano
le mani e le ginocchia. Jorg guardò prima Tom. Per fortuna,
- secondo lui - non
se ne accorse neppure. Spostò il suo sguardo verso Bill,
ancora incubato. Gli
venne un nodo alla gola che non riusciva a deglutire. Aveva un piccolo
tubo di
plastica trasparente che gli entrava da entrambe le narici. Deve essere il respiratore. Si sentiva
in colpa, tremendamente. Se non fosse stato per il pessimo carattere
che aveva,
a quest’ora i figli non sarebbero in ospedale. Simone si
avvicinò piano al
lettino dove Tom era disteso. Si guardava intorno, senza parlare.
Simone
sorrise, Tom la ignorò. Chi
è?
«Tom?»
lo chiamò, accarezzandogli leggermente
la fronte. Tom la guardò stralunato. Non
mi riconosce? Pensò tra sé e
sé. «Tom, sono la mamma.» Tom continuava
a non
rispondere. Aveva gli occhi semi chiusi: la luce bianca della lampada
posta
dietro il suo lettino lo accecava. Si mise una mano sulla fronte per
poter far
ombra sugli occhi e vedere meglio quella sagoma davanti a lui. Vedeva
ancora
sfuocato per via degli antidolorifici che gli erano stati
somministrati. Forse
era anche dovuto al fatto che, la garza che gli avvolgeva gran parte
della
testa, era maledettamente stretta. E si sentiva soffocare, schiacciare,
premere
con forza. Gli batteva, gli doleva da morire. Era come se un martello
pneumatico gli stesse martellando violentemente sulle tempie, non
lasciandolo
in pace nemmeno per un secondo. Persino gli antidolorifici non
riuscivano a
calmare del tutto il dolore.
«È
questo il mio nome? Tom?» bisbiglio
leggermente. Simone ebbe un tuffo al cuore. Non immaginava che la
situazione
fosse così complicata. Era più difficile di
quanto immaginasse. «Il dottore ha
detto che sono in coma da un mese. Sei...» si interruppe.
«Dio questa fottuta
testa mi fa un male cane.» portò le braccia in
alto e, chiudendo i pugni, li
poggiò sulla fronte, premendo forte, come se questo servisse
ad alleviare il
dolore. «Io non ti conosco!» aggiunse poi.
Simone
ebbe un blocco. Singhiozzò leggermente.
Si portò una mano davanti la bocca e si voltò
dall’altra parte. Faceva davvero
troppo male vedere il figlio in quelle condizioni.
Jorg
restò in disparte. Non poteva farsi vedere.
Si avvicinò a Bill accarezzandogli dolcemente la testa. Si
chinò in avanti per
potergli baciare la fronte. ‘Perdonaci’
sussurrò.
«Signora.
Sa per caso del ragazzo che era
assieme a me in macchina il giorno dell’incidente? Quel
coglione del dottore
non mi ha detto nulla. Lo odio. E poi puzza di vecchio.»
Simone si lasciò
sfuggire una risata. Si inumidì le labbra. Posò i
suoi occhi su Jorg, lui li
socchiuse ed annuì. Doveva farlo.
Sangue
freddo.
«Devi
chiamarmi ‘mamma’, Tom. Sono tua madre.
Hai perso la memoria, figlio mio.» si sedette sul lettino,
accanto a lui. Gli
accarezzò delicatamente la fronte. «E
comunque...» sospirò. Non ci riusciva.
«Cosa?
Lei…tu...conosci il ragazzo che era con
me?»
Simone
continuava a fissare Jorg. Nei suoi
occhi cercava una risposta, anche se già la conosceva. Doveva farsi coraggio e dirglielo. Non
era poi così difficile
mentire spudoratamente solo per puro egoismo. Era così
semplice dire: ‘non c’è
mai stato nessuno lì con te. Avrai i ricordi
confusi’, quando proprio lì,
accanto a lui, stava la persona per cui aveva rischiato la vita; la
persona per
cui sarebbe morto; la persona che amava più di qualsiasi
altra cosa al mondo.
Non riuscivano a capire l’errore madornale che stavano per
compiere in quel
dato momento, cosa avrebbe potuto provocare se, un giorno, Tom o Bill
fossero
venuti a conoscenza dell’inganno. Si domandarono come
avrebbero potuto reagire?
No. L’egoismo era troppo forte. Così come
l’orgoglio. Per loro, quella era la
scelta giusta per i ragazzi. Non
volevano ammettere a se stessi che quella scelta, non era giusta per i
figli. Ma
era giusta per loro.
Ritornò
a guardare Tom, con un sorriso dolce,
falso. Stava per mentire. «No, tesoro. Ti sbagli. Non
c’era nessuno assieme a
te. Avrai ancora i ricordi confusi.» continuò ad
accarezzargli la fronte.
«No.
Ti sbagli. C’era qualcuno. Davvero. Me lo
ricordo.» disse flebilmente. Gli antidolorifici stavano
esaurendo il loro
effetto. «Io...» continuò a guardarsi
intorno. Fino a quando non posò gli occhi
su Bill. Simone perse un battito. Se lo
riconosce.
È la fine. Guardò di nuovo sua madre.
«Anche quel ragazzo ha avuto un
incidente? Chi è?»
Simone
egoisticamente tirò un sospiro di
sollievo. Sorrise ancora una volta, stringendo la mano di Tom
più forte. «Non
lo so, Tom. Non lo conosco. Quell’uomo che è
entrato con me, presumo sia suo
padre. Ma non conosco nessuno dei due. L’avrai solo
immaginato, tesoro mio. Solo
immaginato.» Tom spostò lo sguardo verso i due sconosciuti poi lo rivolse di nuovo
verso la madre. Sorrise.
«Molto
probabilmente avrò i ricordi confusi.
Chi può saperlo meglio di te, mamma!» Tom sorrise
e strinse di più la mano di
Simone. La donna ricambiò, sovrapponendo anche
l’altra.
«Ti
prometto che farò riaffiorare tutti i tuoi
ricordi più belli. Te lo garantisco, Tom.»
«Quando
potrò uscire? »
«Questo
al dottore ‘puzzolente’ non l’ho ancora
chiesto.» ad entrambi scappò una risata.
«Ma sono sicura che ti rimetteranno
presto. Abbiamo un sacco di cui parlare. »
Tom
sorrise, ed annuì. Non diede più importanza
a quei due che erano nella stanza assieme a lui. Era tutto normale. Lui
avrebbe
riacquistato la memoria grazie alle fandonie che la madre gli avrebbe
raccontato giorno dopo giorno, infangando il prezioso ricordo del
fratello,
l’indimenticabile ricordo, di un amore perduto.