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Autore: Nereis    23/02/2014    3 recensioni
Prima classificata al contest "La ragazza e... la spada".
Una ragazza; la sua solitudine; la sua follia.
Un'ombra nella notte, ossessionata dal desiderio di vendetta.
"Spesso, seduta su un contrafforte del tempio, si perdeva nell’ammirare l’intrico di tetti, archi, palazzi, torri merlate, fontane e cortili che si dispiegavano all’interno delle mura, formando un unico e grande labirinto di pietra. Allora le piaceva sguainare la sua spada e brandirla in aria, contemplando quello spettacolo stupefacente. Lei era una regina e la notte era il suo regno".
Genere: Dark, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest “La ragazza e… la spada”, indetto sul forum di EFP. Prima classificata.
 
 

 
La fine dell'ombra
 
 
 


 
Sua madre fu uccisa dall’uomo senza volto, in un giorno di nuvole e pioggia. Nelle sue narici di bambina si conficcò l’odore del sangue e della morte. Aveva cinque anni.
Crebbe da sola, senza regole.
Di giorno, quando la gente si riversava nelle strade e un vociare confuso animava le piazze, dormiva in un sottotetto umido e polveroso, spazzato senza sosta da spifferi gelati. Di notte, quando sulla cittadella calavano le tenebre e il silenzio, usciva allo scoperto.
Il buio era il suo più caro amico.
 
 
Quella notte di agosto sedeva su un contrafforte del tempio.
La cittadella riposava sotto un cielo stellato, distesa sul ciglio dello strapiombo. Soltanto le solide mura sembravano impedirle di gettarsi nel vuoto.
 
 
Divenne una ladra e ogni notte s’intrufolava, con l’agilità di un gatto, nelle botteghe e nelle abitazioni, alla ricerca di un po’ di cibo. Infilava tutto quello che riusciva a trovare in una bisaccia di cuoio e se la caricava sulle spalle. Poi spariva nella notte.
Era un’ombra. Correva sui tetti, nella pallida luce della luna, come uno spettro.
Una notte fu scoperta. Aveva dodici anni.
Vide un soldato fuori dalle mura. Dormiva in un prato, ai piedi di un ippocastano. Si avvicinò, intenta a rubargli le provviste, ma l’uomo aprì gli occhi. S’immobilizzò, trattenendo il fiato. Il soldato di scatto sguainò la spada, ma lei fu più veloce. Con un’abile mossa, si scostò di lato, gli balzò alle spalle e, strappatagli la spada di mano, gli tagliò la gola.
L’uomo cadde a terra, rantolando.
Lei lo guardò negli occhi, le mani sporche di sangue.
Il soldato farfugliò qualcosa, ma non emise che un mugolio soffocato. Si portò una mano al petto, stringendo una croce di legno che gli pendeva dal collo. Infine, un gelo improvviso calò sul suo volto.
Lei si annusò le mani insanguinate. Conosceva bene quell’odore.
 
 
Prese per sé la spada e da allora non se ne separò più.
Era cresciuta sola, senza compagnia. Non conosceva le leggi dell’uomo.
Crebbe ancora. Divenne più forte e più bella. Ma di quella bellezza non sapeva che farsene, non le interessava. Nulla aveva più importanza dell’abbraccio protettivo della notte e della lucentezza di quella lama.
Il buio e la spada. I suoi unici amici.
Spesso, seduta su un contrafforte del tempio, si perdeva nell’ammirare l’intrico di tetti, archi, palazzi, torri merlate, fontane e cortili che si dispiegavano all’interno delle mura, formando un unico e grande labirinto di pietra. Allora le piaceva sguainare la sua spada e brandirla in aria, contemplando quello spettacolo stupefacente. Lei era una regina e la notte era il suo regno.
 
 
A volte pensava a sua madre, al pallido ricordo che aveva del suo volto, della sua voce. Una nebbia sottile e giallastra avvolgeva quella figura dolce e aggraziata, le sue labbra rosee e la sua massa di ricci dorati e splendenti.
A volte, in sogno, le sembrava di sentire l’eco della sua risata. Allora si svegliava di soprassalto, tremando. Si tastava la fronte imperlata di sudore, si scostava i capelli scompigliati dal viso, in attesa che i battiti affannati del suo cuore si acquietassero.
Ricordava la pioggia, il suo scroscio incessante e ricordava l’uomo senza volto, il mantello che gli sfiorava gli stivali, il cappuccio ben calato sulla testa. Le sue dita allora correvano all’elsa della spada, che giaceva accanto a lei, accarezzandone gli intarsi floreali.
L’uomo senza volto finì per diventare la sua ossessione.
 
 
Sapeva che avrebbe ucciso di nuovo, ne era certa.
Il desiderio di vendetta a poco a poco s’insidiò nel suo cuore, consumandola lentamente. Smise di mangiare, di rubare provviste e viveri. Smise di pensare. C’erano solo il buio e la spada. C’era solo quell’irrefrenabile bramosia. L’uomo senza volto sarebbe tornato. Prima o poi.
 
 
Quella notte di agosto, una luna bianca ed evanescente rotolava fuori dalle montagne.
Era seduta su un contrafforte del tempio, lo sguardo perso a contemplare il suo regno personale, quando lo vide.
Tetro spettro nell’oscurità.
Si alzò in piedi, sguainò la spada e, silenziosa come un’ombra, gli si avvicinò. Si calò da una terrazza, atterrando di fronte a lui, pronta a trafiggerlo.
Qualcosa andò storto.
L’uomo senza volto, con un’abile mossa, si scostò di lato, le balzò alle spalle e, strappatale la spada di mano, le tagliò la gola.
Lei cadde a terra, rantolando.
Per la terza volta sentì l’odore del sangue e della morte.
L’uomo senza volto si chinò su di lei, le posò una mano sul cuore vuoto, come un pugno chiuso, e sussurrò il suo nome. Lei lo guardò e una lacrima, la prima da quando aveva cinque anni, le rigò una guancia.
Aveva vissuto nell’ombra di un passato che non le apparteneva più e il presente ormai era perduto.
Non aveva capito niente.
Distesa in un mare di sangue, la vita che scivolava via dal suo corpo, guardò a occhi larghi il cielo stellato.
La luna le sorrideva, pallida e immobile.
  
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