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Autore: Draivanhoe    24/02/2014    5 recensioni
"Io... ho dimenticato. Ho dimenticato per cosa combattiamo."
Non riesco a dire né fare altro.
Mi accorgo che un grido comincia a levarsi dalla folla:
- DEMACIA: ORA E SEMPRE!
Rimango semplicemente lì…ad aspettare che le lacrime finiscano. Ad aspettare una risposta che non arriverà.
Genere: Drammatico, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jarvan IV, Shyvana
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Era da tempo che volevo scriverla e, finalmente, ho trovato il tempo per farlo. Questa Fan Fiction è, principalmente, due cose: un capriccio ed un esperimento… vi suggerisco di andare a leggere le storie di Jarvan e Shyvana prima di proseguire con la lettura.
Se volete, potete ascoltare questa canzone mentre leggete l'ultimo "capitolo": è una canzone di Skyrim. Non ci ho giocato però, tralasciando i luoghi, il testo mi sembrava molto correlato alla storia...buona lettura!
 

Demacia: ora e sempre!
 
“È finita”, penso.
Mi tolgo l’elmo e, mentre lo sfilo, il suo peso sembra aumentare improvvisamente.
Sono le mie braccia che si rifiutano di reggerlo un secondo di più, perciò mollo la presa.
Ormai quel pezzo di metallo non ha più alcun valore…tutti lo guardano come se splendesse di luce propria, come se un faro li stesse guidando nella nebbia più fitta.
Per me, invece, quel bagliore si è spento oggi. Quell’elmo è diventato un niente ai miei occhi.
Un niente atterra sul lastricato, producendo un suono attutito dal sangue sulla strada.
Anche se dura solo un attimo, nella mia testa rimbomba per un’eternità.
Improvvisamente, sento il peso dell’aria che grava sulle mie spalle farsi insostenibile.
Al rumore dell’elmo caduto a terra segue il clangore della mia armatura, anch’essa ormai priva di utilità.
Realizzo di essere crollato in ginocchio sul pavimento bagnato di rosso, di fronte a quell’orrore.
“Non doveva…non doveva finire così…”
Non riesco a guardare ciò che ho davanti…proprio non ce la faccio.
La scena è insopportabile, ma non posso chiudere gli occhi né spostare lo sguardo altrove. Per questo motivo fisso il vuoto davanti a me, rimanendo immobile, inespressivo.
Continuo a guardare senza mettere a fuoco, finché tutto non diventa appannato. La gola mi brucia e, tutto a un tratto, non ho più fiato.
Pare quasi che il mio corpo voglia implodere.
Sto piangendo. A stento riesco ad ordinare alla mia bocca di aprirsi:
 
- Per cos-
 
Un singhiozzo m’interrompe, così attendo diversi secondi prima di riprovare a parlare.
Riesco persino a sentire il sapore delle lacrime giunte sulle mie labbra.
 
- Per cosa…
 
A causa dei tremiti, dico addio alla fluidità delle parole…ma non m’importa. Non importa a nessuno, ormai.
 
- …combattiamo?
 
Non so nemmeno se è una domanda, questa.
“Che razza di domanda…”, penso.
 
- Perché io-
 
Un altro singhiozzo. La mia gola è talmente infiammata che mi sembra di ingoiare una ciotola di aghi ogni volta che pronuncio una parola.
 
- Perché io…ho dimenticato…per cosa combattiamo.
 
Non riesco a dire né fare altro.
Mi accorgo che un grido comincia a levarsi dalla folla:
 
- DEMACIA: ORA E SEMPRE!
 
Rimango semplicemente lì…ad aspettare che le lacrime finiscano. Ad aspettare una risposta che non arriverà.
 


Qualcuno bussa alla porta.
 
- Chi è?
- Sono uno dei guaritori! Principe Jarvan, ho bisogno di parlarVi!
 
Vado ad aprire la porta e, assieme alle due guardie appostate all’entrata, vi è un uomo anziano.
 
- Sono già stato visitato ieri, sto bene.
 
Esordisco.
 
- So che state bene, ma non è per Voi che sono venuto. Si tratta di una delle guardie scelte…la donna-drago.
 
Questa sì che è una notizia inaspettata.
“Non è possibile…durante gli scontri ha riportato solo ferite superficiali.”
 
- Cos’è successo a Shyvana?
 
Cerco di ricompormi mentre pronuncio la domanda, sebbene il volto del vecchio non presagisca nulla di buono.
 
- Pare che una delle ferite si stia infettando nonostante le nostre medicazioni. La situazione è sotto controllo, quindi non è nulla di grave. Ho solo pensato di dovervi informare, conoscendo quanto vi stanno a cuore i membri della guardia d’èlite.
- Potrei vederla?
- Veramente... è contraria a qualsiasi tipo di visita. Ha chiesto espressamente di voler rimanere da sola.
 
“La solita testarda”
 
- Capisco. Dopotutto, un orgoglio come il suo non si mantiene mica alto da solo. Mantenetemi aggiornato sugli sviluppi e…grazie per avermi informato della situazione.
- Si figuri…faremo del nostro meglio per rimetterla in sesto.
- Mi raccomando a voi, allora. Se non potesse partecipare alla parata che si terrà in onore del compleanno del Re, ne rimarrebbe parecchio delusa…non immaginate nemmeno quanto lei tenga a questo evento.
- Non si preoccupi…il compleanno del Re è fra più di una settimana! Vedrete: riuscirà a rimettersi entro qualche giorno. Ora, vogliate scusarmi, ma dovrei tornare a lavoro…
- Fate pure, vi ho trattenuto fin troppo.
 
Dopo che il guaritore scompare dietro l’angolo del corridoio, guardo i due soldati ai lati della porta e mi rivolgo a uno di loro:
 
- Per un po’ non voglio essere disturbato. Devo finire di preparare alcuni inviti ufficiali che il Re mi ha chiesto di consegnare di persona.
- Sarà fatto, Vostra Altezza. Sappiamo bene quanto Vostro padre il Re abbia a cuore questi festeggiamenti.
 
Dopo averli ringraziati, rientro finalmente nella stanza. Fuori dalla finestra, il cielo è perfettamente limpido e la piacevole brezza entra nella camera scostando dolcemente le tende semitrasparenti.
“Speriamo che farà bel tempo anche la settimana prossima…”
Mi siedo davanti alla scrivania di legno scuro affollata di scartoffie e riprendo ciò che stavo scrivendo prima di essere interrotto.
Poco dopo, sento le voci delle due guardie che, nel frattempo, avevano cominciato a chiacchierare:
 
- Certo che la donna-drago è davvero potente…quando s’infuria lei, non c’è scampo!
- Sarà…a me fa venire i brividi, quella. Non vedi che parla solo con le altre guardie scelte e con il principe? È scontrosa con tutti. Non vorrei essere al posto del suo guaritore, in questo momento…
- Parla piano!
 
Scherza l’altro.
 
- Se dovesse sentirti, verrebbe qua a staccarti l’uccello a morsi!
 
Entrambi scoppiano a ridere.
“Buona, questa.”
Sorrido, poi alzo la voce per farmi sentire da quei due:
 
- Un’altra parola e le andrò a riferire personalmente le vostre impressioni!
 
Le risate si fermano di colpo.
 
- Ci scusi, Vostra Altezza! Stavamo solo scherzando!
- Allora vedete di non prenderci troppo l’abitudine, perché la mia non era una battuta.
- Non succederà più, signore!
 
“Non che abbiano torto…Shyvana è fin troppo riservata. Ora che ci penso sono quasi due anni che vive qui, eppure non ha mai familiarizzato con nessuno…le uniche eccezioni siamo io e le altre due guardie scelte sopravvissute alla caccia del drago. Beh, senz’altro questi festeggiamenti la tireranno su di morale. Una volta terminati gli incontri formali con mio padre e gli ospiti d’onore, vedrò di accompagnarla in qualche festicciola assieme ai nostri uomini…”
 


- Principe Jarvan! So che è appena rientrato dalle consegne degli inviti, ma…
 
La faccia del vecchio era avvolta da uno strano pallore.
 
- Lei sta bene?
 
La domanda esce automaticamente dalla mia bocca. La risposta del guaritore, invece, non si rivela altrettanto spontanea.
 
- Non porto buone notizie, signore.
- Cos’è successo?
 
Comincio a preoccuparmi. Quei pochi secondi di silenzio che l’anziano impiega a scegliere le parole giuste mi sembrano un’eternità.
 
- In questi giorni, durante la Vostra assenza, abbiamo fatto il possibile pe-
- Voglio sapere cos’ha. Adesso. È molto grave?
- Sembra sia stata causata da un nuovo tipo di veleno con cui non abbiamo mai avuto a che fare. L’infezione ha ormai raggiunto il punto critico.
 
Dopo aver tirato un sospiro di chi è impotente di fronte alla situazione, aggiunge:
 
- La sostanza sta praticamente…scavando nella carne. Se vogliamo fermarla, dovremo procedere con l’amputazione della gamba entro domani.
- Cosa?
 
“Forse…forse ho solo capito male”, penso.
 
- Per impedirne lo sviluppo, l’unica soluzione che abbiamo è questa. Mi creda quando le giuro che abbiamo provato tutti i possibili rimedi…purtroppo senza alcun successo.
 
“Non può essere…non proprio lei…”
Non appena realizzo il da farsi, le mie budella cominciano a contorcersi. Non c’è alternativa, perciò do l’ordine.
 
- Lo faremo oggi.
 
Poi aggiungo:
 
- Lei è al corrente della situazione?
 
A giudicare dall’espressione, l’anziano temeva l’arrivo di questa semplice domanda.
 
- Vede…c’è un motivo, se abbiamo aspettato il Vostro arrivo per decidere dell’intervento…
 
“Massa di codardi…”
Vengo pervaso da un’incredibile voglia di spaccare qualcosa ma, fortunatamente, riesco a trattenermi.
 
- Ho capito, basta così.
 
O, almeno, credevo di esserci riuscito.
 
- QUELLA DONNA CHE NON VOLETE AZZARDARVI A TOCCARE PER PAURA DI MORIRE HA SALVATO LE VOSTRE VITE IN PIÚ DI UN’OCCASIONE! SE NON FOSSE STATO PER LEI, PROBABILMENTE NÉ IO NÉ VOI SAREMMO QUI, A QUEST’ORA!
 
Per qualche istante, le mie parole rimbombano nel corridoio. Poi, dopo diversi secondi di assoluto silenzio, il vecchio apre la bocca per provare a scusarsi.
 
- NON UNA PAROLA! NE HO ABBASTANZA, DI QUESTE STRONZATE!
 
Non ci vuole molto prima che la mandibola del guaritore si richiuda. Le guardie alla porta sono sull’attenti, i loro sguardi fissi in avanti. Non osano fiatare perché sanno che il mio sfogo è, in parte, dovuto anche alla loro chiacchierata di due giorni fa.
Dopo aver fatto un respiro profondo per calmarmi, come se non fosse successo nulla, dico:
 
- Portami da lei…le parlerò io.
- Ai Suoi ordini, Vostra Altezza.
 
Percorriamo gli ampi corridoi del palazzo reale in silenzio, con i passi che risuonano fra le volte di marmo. Finalmente arriviamo davanti alla porta della stanza di Shyvana. So che, una volta entrato, non potrò tirarmi indietro per nessuna ragione.
 


Sollevo la mano e, prima di dare un paio di colpi al legno con le mie nocche, impiego svariati secondi per cercare il modo per bussare in un’occasione come questa. Ottengo ugualmente un risultato disastroso mentre, dentro la mia testa, un fiume in piena d’imprecazioni travolge tutto ciò che incontra nel suo corso.
 
- Avanti.
 
Il suo tono di voce è piatto, privo di vitalità.
“Sfiderei chiunque a non annoiarsi dopo essere stato su un letto per più di tre giorni…con una persona come Shyvana, avrei sicuramente vinto la scommessa in meno di metà del tempo”, penso.
In un altro frangente avrei persino sorriso solo all’idea di un pensiero simile, ma oggi difficilmente qualcosa mi farà tornare il buon umore.
Mentre chiudo la porta alle mie spalle, la figura sul letto esordisce commentando la mia entrata senza nemmeno voltarsi.
 
- Non credo sia necessario cambiare la fasciatura. Non sono passate neanche-
 
Ed ecco che mi vede. Non mi sono ancora mosso: sono all’entrata, in piedi.
 
- P-principe Jarvan…
- Ciao, Shyvana.
 
Accenno un sorriso, il migliore che riesco a tirare fuori in un momento del genere.
I suoi occhi sono spalancati e fissi su di me, increduli. Evidentemente, la mia visita l’ha colta alla sprovvista. Poi, la sua espressione cambia come quella di una bambina che, incontrato il suo più grande compagno di giochi, ricorda improvvisamente di essere in punizione.
 
- Avevo detto di voler stare da sola…
 
Il suo sguardo si sposta in basso, incupito. Il suo tono è tornato freddo come al solito.
 
- Lo so…ma volevo vedere come stavi. Il guaritore mi ha parlato della ferita sulla gamba.
 
Faccio, accennando alla sua gamba sinistra.
“Come faccio a dirle che dobbiamo…maledizione!”
Nessuna risposta. Mi avvicino all’ampio letto, dando un’occhiata in giro per la stanza.
Le camere della guardia d’èlite sono, subito dopo quelle della famiglia reale, le più comode e lussuose. L’ampia traversa del letto, intagliata nel legno più pregiato, riluce di un marrone chiaro nelle zone raggiunte dai raggi del sole che entrano dalla finestra.
La sobrietà dell’ambiente riflette perfettamente il suo stile di vita: nella stanza, infatti, non vi sono oggetti superflui né decorazioni alle quali potrebbe essere attribuito valore affettivo.
Lei è seduta con la schiena appoggiata sul legno della traversa, con una gamba in cima ad una pila di cuscini. La fasciatura si estendeva per l’intera lunghezza del polpaccio e, stranamente, l’odore sprigionato dalla ferita era solo quello della mistura disinfettante.
“Qualsiasi altra infezione avrebbe fatto marcire la carne…il guaritore ha ragione: si tratta di veleno.”
 
- Posso?
 
Chiedo se posso sedermi. La risposta arriva svogliata:
 
- Accomodati.
 
Prendo posto vicino alla pila di cuscini, dando le spalle alla gamba e stando attento a non provocare brusche depressioni nel materasso.
 
- Hai detto di essere venuto per vedere come stavo…bene: eccomi.
 
Pronunciando quelle parole, lo sguardo era rimasto fisso sulle sue mani adagiate sul ventre.
“Devi dirglielo, Jarvan.”
 
- Sono anche per un altro motivo, Shyvana.
 
Continuo a guardare il pavimento, anche se percepisco il fruscio che annuncia il suo voltarsi.
Dopo un po’, anch’io mi volto: i suoi occhi sono fissi sui miei, lucidi.
“Non farlo.”, mi ripeto, insistendo. “Non dirglielo.”
 
- È…è per la tua gamba. È grave, dobbiamo…
 
Non riesco a evitare una pausa. Faccio un respiro profondo, pur sapendo che non avrei dovuto interrompere la frase.
 
- …dobbiamo amputarla.
 
La sua espressione rimane immutata per tanti, interminabili secondi…finché non cominciano a scendere le prime lacrime. Sta ancora trattenendo il fiato, ma il primo singhiozzo irrompe in lei, facendola accasciare sulla traversa del letto.
Con le braccia abbandonate accanto ai fianchi, il suo volto trova riparo solo dietro i capelli amaranto, mossi dalle scosse che partono dal petto e che si ripercuotono su tutta la parte superiore del corpo.
“Non l’avevo mai vista in questo stato…”
Lentamente, le prendo la mano, sperando che non respinga il contatto. Le sue dita non mi rifiutano, non oppongono resistenza…stanno semplicemente lì: inerti e sorprendentemente calde.
 
- So che è difficile, ma-
- NO, CHE NON LO SAI!
 
Nello scatto d’ira, le sue dita sfuggono dalla mia presa.
 
- Diventerò inutile…
 
Fra i singhiozzi riesco a distinguere parole che, probabilmente, sta solo rivolgendo a se stessa.
 
- Per cosa…ho combattuto fin ora?
 
“Non posso dirle niente, ha ragione. Non potrà più combattere, in quelle condizioni.”
 
- Qui abbiamo un posto anche per chi non combatte…
- Per fare cosa? Essere insultata? L’unico posto dove vengo rispettata è il campo di battaglia…e ora…non ho più niente.
 
Riprende a piangere mentre, nella mia mente riaffiorano i ricordi delle battaglie combattute assieme.
“Quante battaglie…”
Poi, quasi per uno scherzo di cattivo gusto della mia memoria, tornano anche le parole della conversazione delle guardie.
 
- Dobbiamo farlo, Shyvana…altrimenti peggiorerà.
 
Le stringo di nuovo la mano, che stavolta ricambia il contatto. Pian piano, i singhiozzi si fanno più rarefatti e le lacrime si fermano. Tirando su con il naso, annuisce con convinzione: aveva preso la decisione. La voce era ancora rauca dal pianto.
 
- Facciamolo ora.
 
Dice, a malincuore.
“È questa la Shyvana che conosco…”
 
- Vado subito a chiamare i guarito-
- Resta qui! Ti prego…
 
Rimango sorpreso dal tono supplicante e dall’improvvisa forza con cui mi tiene stretto la mano, perciò acconsento, mandando la guardia fuori dalla porta a chiamare i medici.
Anche oggi, la piacevole brezza primaverile arriva dentro la stanza, scostando le tende di seta bianca.
 


Non molto tempo dopo, fanno il loro ingresso nella stanza i tre guaritori con appresso tutto il necessario per l’operazione. Lei sta tremando.
Insieme alle varie scodelle con misture dagli odori più disparati, il più giovane del gruppo porta sulle spalle delle cinghie di cuoio dalla palese quanto terrificante funzione.
Offro il mio aiuto per legarla, ripetendole che andrà tutto bene mentre faccio la mia parte.
Mentre applicano del disinfettante sul seghetto e sulla gamba, il vecchio le porge un liquido verdastro da bere, dicendo che la aiuterà.
 
- Signorina Shyvana, questo attutirà il dolore…sappia che farà comunque male.
 
Dice con timore reverenziale il vecchio.
La aiuto a sollevare la testa per vere l’intruglio, essendo per lei quasi impossibile muoversi.
Mi guarda con i suoi occhi rosso scuro. Sta sussurrando il mio nome, come fosse un addio.
 
- Jarvan…
 
Le prendo la mano, il polso stretto dalla robusta cinghia.
Una lacrima le scende giù per la guancia.
 
- Sono qui, Shyvana…sono qui con te.
 
Il giovane le fa addentare uno spesso panno.
 
- Guardami.
 
Le dico. Lei mi fissa, lo sguardo intriso di paura.
 
- Andrà tutto bene. Ora voglio che guardi solo me.
 
Non appena finisco di pronunciare quelle parole, il suo volto si deforma, contratto in una smorfia dal dolore lancinante: i medici hanno cominciato a tagliare.
Un urlo straziante esce con intensità crescente dalla sua bocca, filtrando attraverso il panno che tiene stretto fra i denti.
A giudicare dal suono, le cinghie stanno facendo il loro lavoro…io, invece, continuo a stringere la sua mano, impegnata nella vana lotta contro il cuoio teso al massimo.
Nel suo sguardo di supplica, sotto le lacrime, qualcosa non va: le iridi si stanno accendendo, assumendo il colore di tizzoni incandescenti.
“Non ora, ti prego…”
Mollo istantaneamente la presa per afferrarle la testa e portarla giù, sul cuscino. Con uno sforzo immane riesco a farla girare verso di me, così la guardo negli occhi e ruggisco:
 
- NON FARLO! SHYVANA, ASCOLTAMI! GUARDAMI! GUARDAMI NEGLI OCCHI!
 
I nostri sguardi, con i visi a una spanna di distanza, si incontrano.
Pian piano, il verso gutturale che segnalava l’inizio della trasformazione scema.
Mantengo il contatto visivo, controllando la sfumatura dei bulbi oculari per assicurarmi che il peggio sia passato.
Qualche secondo dopo l’interruzione del lamento, il suo sguardo si stacca dal mio, ruotando verso l’interno. Le forze che poco prima lottavano con tanto vigore per la libertà la abbandonano completamente, lasciandola priva di sensi.
“Brava, Shyvana…”
 


Osservo l’espressione sul suo viso, scostandole una ciocca dalla fronte sudata. Persino mentre è svenuta, il suo volto continua ad essere contratto per via del dolore che, con tutta probabilità, tormenta anche il suo sonno forzato.
All’improvviso, sento una mano poggiarsi sulla mia spalla.
 
- Abbiamo finito.
 
L’anziano pare soddisfatto dal successo dell’operazione. Poco dopo, aggiunge con gratitudine:
 
- Non ce l’avremmo mai fatta senza il suo aiuto, principe Jarvan…credo di doverle delle scuse per-
- No. È me che dovete perdonare.
 
Lo interrompo.
 
- Avevo sottovalutato il rischio dell’intervento. Voi, invece, avete fatto un ottimo lavoro.
 
Mentre parlo, osservo il giovane medico fasciare la zona del taglio appena sotto il ginocchio di lei. Non è la prima volta in cui assisto a un’operazione del genere.
 
- È stata fortunata…per quanto una situazione del genere possa essere definita tale.
 
Dice, tirando un sospiro affaticato, con la voce di chi ha fatto tutto il possibile. Sta guardando nella mia stessa direzione…eppure, i suoi occhi e la piega delle rughe sul suo volto lasciano trasparire vecchi ricordi tornati a galla.
 
- Spesso non abbiamo il tempo di medicare e disinfettare ferite e strumenti, perciò dobbiamo cauterizzare i tagli con dei ferri arroventati…e le assicuro che non è affatto piacevole udire le urla di quei poveretti.
 
Passano diversi secondi e l’unico suono nella stanza è il fruscio della garza che viene srotolata e applicata sulla ferita. Poi, come se si fosse improvvisamente destato da un sogno ad occhi aperti, l’anziano scuote il capo e va a slegare le cinghie di sicurezza.
Mentre armeggia con una fibbia ostinata, si rivolge a me:
 
- Le chiedo scusa, principe…ma ora sarebbe meglio lasciarla riposare. Verrò personalmente ad avvisarla non appena riprenderà conoscenza.
 
Li ringrazio nuovamente per il lavoro svolto e, prima di andare, saluto anche lei.
 
- …sei stata brava, Shyvana.
 


Una delle guardie mi cerca da dietro la porta.
 
- Principe, il guaritore vuole parlarvi.
 
Mi alzo di soprassalto dalla scrivania.
 
- Fatelo entrare.
 
Vedo l’uomo anziano oltrepassare la soglia e fare un inchino.
 
- Porto buone notizie, mio signore.
 
Esordisce. Mi lascio cadere sulla sedia, estremamente sollevato.
 
- La signorina Shyvana ha da poco ripreso conoscenza…
 
Apro la bocca per chiedere di vederla, ma il vecchio mi precede prima che possa emettere fiato.
 
- …ma non è ancora il caso di andare a farle visita. Ha dormito per quasi due giorni ed è normale che sia scossa. La sua gamba è in ottime condizioni: grazie al suo sangue misto, possiede una capacita rigenerativa molto più efficiente rispetto a quella di qualsiasi essere umano. Probabilmente, una persona normale non avrebbe superato la seconda notte con quel tipo di sostanza in corpo.
- Capisco.
 
Anticipando ancora una volta la mia domanda, il guaritore proseguì.
 
- Potrà andare a trovarla fra un paio di giorni. Seguendo gli attuali ritmi di guarigione, la ferita dovrebbe essere quasi completamente cicatrizzata per allora.
 
“Due giorni…”
La conclusione arriva spontanea.
 
- Il giorno dei festeggiamenti.
- Lo so bene, principe Jarvan. Purtroppo, ciò che è accaduto in questi giorni non era contemplato. Converrete con me se dico che una sua uscita è fuori discussione, al momento.
-Certo, ho capito…ora, vogliate scusarmi, ma sono piuttosto indaffarato per via dei preparativi.
 
Faccio, indicando le scartoffie che coprono l’intera superficie della scrivania.
 
- Oh, non ne dubito!
 
Risponde ridendo l’anziano.
 
- Vi lascio alle Vostre faccende.
 
E, congedandosi con un inchino, esce dalla stanza.
“Rimettiti presto Shyvana…”
 


Dopo aver attraversato ampi corridoi, arrivo davanti alla sua porta. A dispetto della loro età, le colonne decorative in marmo bianco rimangono elegantissime e lucide.
A causa dei festeggiamenti all’esterno, questa zona del palazzo è praticamente deserta… nonostante ciò, l’eco delle voci della folla riesce comunque a raggiungermi. Una volta di fronte all’entrata della camera, busso con decisione.
 
- Avanti.
 
Aprendo la porta, il mio sguardo si sposta immediatamente sul rettangolo di luce proiettato dalla finestra aperta. All’interno della cornice bianca, sostenuta da stampelle di legno, si erge una figura: sta guardando ciò che accade oltre il piccolo balcone, come se le tende fossero un sottile ma invalicabile confine che porta in un altro mondo.
 
- Che c’è?
 
La domanda mi giunge fredda e tagliente come una scheggia di vetro.
 
- Mi spiace che tu non possa ancora uscire…
 
Udendo la mia voce, capisce chi è venuto a trovarla e si gira di scatto.
 
- Jarva-ahhhh!
 
Per poco non perdeva l’equilibrio dalla sorpresa, facendomi trattenere il fiato dallo spavento.
 
- Sta’ attenta, mi hai fatto prendere un colpo!
 
Dopo un paio di secondi di silenzio, scoppiamo entrambi a ridere: una risata isterica, provocata più dalla tensione che dal divertimento.
Lentamente, ci riprendiamo… tuttavia, sul suo volto permane un sorriso carico di amarezza. È come se, all’improvviso, si fosse ricordata dell’assenza della sua gamba.
 
- Eh, sì… oggi è il grande giorno…
 
Commenta, quasi fra sé e sé. Poi domanda:
 
- La parata è fra poco, giusto?
- Sì, perché?
- E tu sei ancora qui. Dovresti andare a prepararti.
- Non ti preoccupare… ho ancora un po’ di tempo.
 
Preferisco non pensare al fatto che, di lì a poco, sarei dovuto andar via.
 
- Beh, se le cose stanno così…
 
Dice, avviandosi verso il letto. Dal tono di voce traspare il dolore provocato dallo sforzo compiuto per muoversi.
“Gli avranno detto di stare sdraiata a riposare, ma sicuramente li avrà ignorati.”
 
-… lascia che mi metta comoda.
 
Completando la frase si sdraia sul letto e, con estrema cautela, appoggia il moncherino sulla pila di cuscini.
Garza e federe sono entrambe macchiate di rosso scuro… evidentemente, la ferita non si è ancora rimarginata del tutto, nonostante la parte draconica del suo sangue abbia fatto miracoli.
Pur avendo completato l’azione in modo pressoché perfetto, una smorfia di dolore compare sul suo volto: un monito da parte del suo corpo che dice che non può fare più ciò che vuole.
Una volta sistematasi, mi fa segno di prendere posto sul letto, accanto a lei.
 
- Accomodati… però fa’ piano, mi raccomando.
- Forse è meglio se rimango-
- Siediti, non fare storie. Devo dirti una cosa importante.
 
Incuriosito, faccio ciò che mi è stato detto senza ulteriori obiezioni.
 
- Ricordi quando t’incontrai per la prima volta?
 
Sul suo viso è comparso un sorriso nostalgico. Mentre rispondo, un flusso di ricordi mi trascina lentamente verso il passato.
 
- Non potrei mai dimenticare… quel viaggio mi ha fatto diventare l’uomo che sono oggi. Senza contare che, senza il tuo aiuto, io e gli altri non ce l’avremmo fatta contro il drago.
 
Dopo essere tornato al presente, mi giro verso di lei. Il suo volto è rigato da una lacrima, che sta scendendo silenziosamente giù per la guancia.
 
- Io… non posso più combattere, è vero… ma ho capito una cosa importante.
 
Dicendo ciò, tirò su con il naso e si asciugò la lacrima, mentre il respiro tornava regolare.
 
- Durante l’operazione stavo per trasformarmi.
- Ti confesso che ho avuto un po’ di paura in quel momento… fortunatamente, sei riuscita a controllarti.
- Ti sbagli. È solo merito tuo se ci sono riuscita.
- Che intendi dire?
- È perché ti ho guardato negli occhi che mi sono calmata. Sai…
 
Aggiunge, spostando lo sguardo altrove come se le parole che stava cercando fossero sparse nella stanza.
“Non hai mai usato questo tono… forse è ancora sotto shock.”
 
- L’altro giorno, ho capito che l’unica cosa che mi ha fatto restare qui non era la battaglia…
 
“Non è possibile…”
Prego perché il suo discorso si concluda in maniera differente rispetto a ciò che immagino.
“Non dirlo neanche per scherzo.”
 
- … eri tu.
 
Con quelle parole, i suoi occhi tornarono a fissarmi, in attesa di una qualsiasi reazione.
“Non dovevi farlo…”
Poi, impaziente di aspettare per l’imbarazzo, prosegue.
 
- È stato per te che ho combattuto… e ora, anche se non posso più farlo, voglio rimanere al tuo fianco.
 
Dicendo ciò, mi prende la mano in una stretta affettuosa, appoggiando la testa sulla mia spalla.
 
- Voglio stare con te, Jarvan.
 
Rimango pietrificato mentre, nella mia testa, riesco a sentire letteralmente il suono del caos.
 
- Shyvana…
 
Con il suo pollice mi accarezza il dorso della mano, come se fosse abituata da sempre a quel gesto.
 
- Lo sai che non posso…
 
Non riesco a trovare un modo per dirle di no senza ferirla. Lei, nel frattempo, si volta nuovamente per guardarmi negli occhi.
 
- So che sei il principe…
 
Dice, con fare comprensivo.
 
- … ma sarà un segreto. Lo sapremo solo noi due.
 
“Tu non capisci…”
Mi sembra di essere in un incubo… vorrei tanto potermi risvegliare adesso.
 
- Ora non ci sta guardando nessuno.
 
Prosegue lei. Il suo tono di voce comincia a non piacermi.
 
- Puoi fare quello che vuoi…
 
Con queste parole, comincia a scostare i lembi della vestaglia dalle spalle. I movimenti delle sue mani sono provocanti, atteggiamento che mai avrei immaginato di vedere in lei.
La blocco immediatamente, afferrandole il braccio.
 
- Fermati, Shyvana.
 
Il mio tono non lascia spazio a incomprensioni.
 
- Non è perché sono il principe. Io non posso perché, semplicemente… non voglio questo. Non voglio che ci sia questo fra noi.
 
Lei mi fissa dritto negli occhi, ma pare stia ancora decifrando il significato delle mie parole.
 
- Scusa.
 
Dico, mollando la presa e distogliendo lo sguardo. Il senso di colpa comincia a invadermi.
 
- Ah… è per questo…
 
La voce esce meccanicamente dalla sua bocca, priva di qualsiasi emozione.
Poco dopo, nel silenzio, la sento sistemare la vestaglia, la testa abbassata e il viso coperto dai capelli scarlatti. Un sussurro giunge alle mie orecchie:
 
- Vattene.
 
Riesco a stento a sentirlo per via del brusio della folla che arriva dalla finestra aperta. Provo a parlarle.
 
- Io… non volevo-
- VATTENE!
 
Il suo urlo m’investe con la stessa forza di un’esplosione. Poi, fra i singhiozzi, arriva l una supplica:
 
- Vai via, ti prego…
 
Mi alzo, facendo attenzione al movimento del materasso e, a malincuore, mi avvio verso la porta: insistere peggiorerebbe solo le cose.
Esco, chiedendole di nuovo scusa, ma non vengo degnato nemmeno di uno sguardo.
“Mi dispiace, Shyvana.”
 


Come nel giorno in cui tornammo trionfanti dalla nostra ultima battaglia, petali, steli e interi mazzi di fiori decorano il suolo che stiamo calpestando in modo così orgoglioso.
Oggi, a differenza di allora, non ci sono feriti zoppicanti né persone addolorate per chi non ha fatto ritorno: tutti festeggiano, fatta eccezione per me.
Non riesco a smettere di domandarmi come Shyvana farà a rimettersi… a dire il vero, non so se si riprenderà.
Sembra sia passato tantissimo tempo dall’accaduto, ma la verità è che, per tutta la durata dell’evento, non sono riuscito a pensare ad altro.
Siamo prossimi alla fine del percorso e, finalmente, stiamo per giungere ai giardini del palazzo, accompagnati dalle urla dei cittadini e dagli odori più disparati: fiori, cibi e vino sono quelli che prevalgono maggiormente.
Come una cicatrice ancora dolorante, la bocca del mio stomaco si fa sentire.
“Vorrei tanto poter vomitare…”
Mi sa che al banchetto toccherò a malapena del cibo.
Il senso di disagio tipico di chi ha appena perso qualcuno d’importante corrode le mie viscere, impedendomi di concentrarmi sulla parata, così tiro fuori un sorriso di circostanza per sembrare meno abbattuto possibile e mi lascio trasportare dalle mie gambe, marciando accanto ai capifila del maestoso corteo.
Sembra che il tempo abbia smesso di scorrere, ma gli eventi si susseguono ugualmente privi di significato di fronte ai miei occhi.
Con un’andatura che si addirebbe a quella di una passeggiata, arriviamo ai cancelli dei giardini dove, all’interno dello spiazzo di fronte al palazzo, ci attende la folla in adorazione.
Ammassati sui bordi del sentiero lastricato, tutti esultano per il nostro arrivo: la fine della parata, infatti, precedeva il grande discorso del sovrano.
A metà strada, a una cinquantina di passi dal palazzo, qualcosa comincia a sovrastare le voci degli spettatori: sono urla, ma non stanno esprimendo gioia.
Provengono da destra dove, fra la gente, qualcosa si sta facendo strada velocemente.
Quella cosa ruggisce, scaraventando diverse persone sul lastricato a una decina di metri di distanza.
“No, ti prego…”
Gli Dei non ascoltano le preghiere. Sono stati sordi per tutto questo tempo, osservatori disattenti che guardano verso il basso, compiaciuti.
Non mi sono sbagliato: è lei. I soldati dell’intero corteo si preparano a ricevere l’assalto della bestia dall’andatura irregolare che ci sta per raggiungere. Il panico aveva ormai conquistato l’intero cortile.
 
- FERMI!
 
Ordino ai soldati, mentre mi lancio in una corsa disperata verso il drago. Sembra di risalire un fiume in piena: la calca cerca in tutti i modi di allontanarsi dalla scia di cadaveri che Shyvana sta tracciando.
Eccola, a meno di venti passi da me, al centro dello spiazzo vuoto che va allargandosi sempre di più. Lei mi osserva, immobile attorno ai cadaveri, i bulbi incandescenti come lava.
I suoi occhi mi scrutano per diversi secondi, ignorando temporaneamente la folla in dispersione e i soldati che, al contrario, ci stanno circondando.
Nella sua attuale postura, l’altezza della testa supera gli otto piedi. I guerrieri stanno aspettando un mio ordine, incerti sul da farsi: è vero, sono tanti, ma quello che hanno contro è pur sempre un drago.
 
- Shyvana…
 
Spostando il peso sulle zampe anteriori, comincia ad avanzare verso di me.
Rispetto a tutte le altre volte in cui l’ho vista nella sua forma non umana è priva di grazia: l’assenza della zampa rende la sua marcia goffa, poco fluida.
Una volta raggiuntomi, qualcosa cambia in lei. Una sorta di ringhio fuoriesce dalla sua bocca, accompagnato da una densa nube di fumo. I soldati fanno per intervenire, ma li fermo in tempo.
 
- Fermi!
 
Il suo corpo viene avvolto dalle fiamme e il colore delle squame diviene sempre più acceso, fino a raggiungere l’aspetto di magma liquido.
Ho paura. Lei è a qualche passo da me, abbastanza vicina da inondarmi con il suo calore.
Ho con me la mia arma, ma so che in uno scontro frontale non servirebbe a molto, perciò sto fermo a guardare, cercando di frenare l’impulso di darmela a gambe.
I suoi contorni cominciano a cambiare mentre la figura incandescente compie gli ultimi passi per raggiungermi. Ora, il corpo accasciato per terra per lo sfinimento è di una donna.
La pelle ha smesso di bruciare con la stessa rapidità con cui si era accesa: adesso il suo corpo sembra una statua di lava ormai solidificata, cosparsa di crepe scarlatte.
 
- Jarvan…
- Perché…perché hai fatto tutto questo?
 
Entrambi conosciamo il prezzo da pagare per le vite innocenti che ha portato via. Quella che esce dalla mia bocca è, al tempo stesso, un ordine e una supplica.
 
- Scappa, ti prego…puoi ancora farlo.
 
Lei, per terra, sta ridendo. Ancora una volta, la risata pare dettata dall’assurdità della situazione.
 
- Io volevo solo stare con te… sei stato ciò per cui ho combattuto per tutto questo tempo. Non mi puoi chiedere di fuggire… perché non voglio farlo. Non ho più niente, lo capisci?
 
Mi guarda. Le lacrime cominciano a sgorgarle dagli occhi, scivolando sulla pelle delle gote che, nel frattempo, aveva assunto una sfumatura lilla.
“Non farmelo fare, Shyvana.”
Cerco di trovare una scusa per dissuaderla, una qualsiasi… ma non ce ne sono, così indugio.
 
- Cosa stai aspettando? Se non mi uccidi, continuerò il massacro… se ti rimane un briciolo di compassione per me, fallo.
 
Sembra non essere del tutto convinta delle parole appena pronunciate. Pare più ritenesse un dovere farlo, per non darmi altra scelta.
Darei qualsiasi cosa per non trovarmi qui in questo momento.
La sua pelle, intanto, sta tornando alla normale colorazione umana. Non sta dando molta importanza al fatto di essere completamente nuda, ma nessuno ci sta facendo caso.
 
- Shyvana, non puoi chiedermi di-
- FALLO!
 
La sua voce è rauca per via del pianto, il volto deformato dal dolore. Quello che ha spaventato tutti è stato un ruggito di disperazione, una resa.
Non lascia altra scelta: i suoi occhi e la sua pelle stanno per accendersi nuovamente, ma non posso permettermi di sacrificare altre vite per il legame che ci lega.
Vorrei tanto non essere qui, ora.
 


“È finita”, penso.
Mi tolgo l’elmo e, mentre lo sfilo, il suo peso sembra aumentare improvvisamente.
Sono le mie braccia che si rifiutano di reggerlo un secondo di più, perciò mollo la presa.
Ormai quel pezzo di metallo non ha più alcun valore…tutti lo guardano come se splendesse di luce propria, come se un faro li stesse guidando nella nebbia più fitta.
Per me, invece, quel bagliore si è spento oggi. Quell’elmo è diventato un niente ai miei occhi.
Un niente atterra sul lastricato, producendo un suono attutito dal sangue sulla strada.
Anche se dura solo un attimo, nella mia testa rimbomba per un’eternità.
Improvvisamente, sento il peso dell’aria che grava sulle mie spalle farsi insostenibile.
Al rumore dell’elmo caduto a terra segue il clangore della mia armatura, anch’essa ormai priva di utilità.
Realizzo di essere crollato in ginocchio sul pavimento bagnato di rosso, di fronte a quell’orrore.
“Non doveva…non doveva finire così…”
Non riesco a guardare ciò che ho davanti…proprio non ce la faccio.
La scena è insopportabile, ma non posso chiudere gli occhi né spostare lo sguardo altrove. Per questo motivo fisso il vuoto davanti a me, rimanendo immobile, inespressivo.
Continuo a guardare senza mettere a fuoco, finché tutto non diventa appannato. La gola mi brucia e, tutto a un tratto, non ho più fiato.
Pare quasi che il mio corpo voglia implodere.
Sto piangendo. A stento riesco a ordinare alla mia bocca di aprirsi:
 
- Per cos-
 
Un singhiozzo m’interrompe, così attendo diversi secondi prima di riprovare a parlare.
Riesco persino a sentire il sapore delle lacrime giunte sulle mie labbra.
 
- Per cosa…
 
A causa dei tremiti, dico addio alla fluidità delle parole…ma non m’importa. Non importa a nessuno, ormai.
 
- …combattiamo?
 
Non so nemmeno se è una domanda, questa.
“Che razza di domanda…”, penso.
 
- Perché io-
 
Un altro singhiozzo. La mia gola è talmente infiammata che mi sembra di ingoiare una ciotola di aghi ogni volta che pronuncio una parola.
 
- Perché io…ho dimenticato…per cosa combattiamo.
 
Non riesco a dire né fare altro.
Mi accorgo che un grido comincia a levarsi dalla folla:
 
- DEMACIA: ORA E SEMPRE!
 
Rimango semplicemente lì…ad aspettare che le lacrime finiscano. Ad aspettare una risposta che
non arriverà.
Lontano, grigie nubi temporalesche tuonano minacciose.
 

Spero vi sia piaciuta…come al solito, i complimenti sono ben accetti e le critiche ancora di più! Se notate errori segnalatemeli, in modo che li possa correggere.
  
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