NdA Salve a
tutti.
Wow, sono
mesi che non pubblico e ora sto per farlo addirittura con una long-fic,
non ci
posso credere. E’ successo tutto all’improvviso
(Una cosa come ieri) e
nonostante questo riesco a vedere perfettamente la conclusione di
questa ff che
spero possa piacervi. Non è molto che seguo Magi ma me ne
sono innamorata e se
siete qui anche voi vuol dire che l’apprezzate come me.
Che dire,
non intendo tediarvi oltre se non per invitarvi ad esprimere la vostra
opinione
su quanto leggerete J
Ps. Per la
cadenza dei capitoli non vi prometto niente ma cercherò di
pubblicare il
secondo la prossima settimana ^.^
Pps: Il
titolo non è mio ma di una canzone degli Epica
così come la citazione a inizio
capitolo. Sono da sempre mia grande fonte d’ispirazioni, i
testi e le musiche
ogni volta tolgono il fiato.
Disclaimer:
penso sia ovvio ma i personaggi in questione non mi appartengono e la
storia
non è stata scritta a scopo di lucro.
Dedico
inoltre questa ff alla mia sfortunata compagna di avventura, pazza ed
egocentrica, maniaca e sclerata, malata di biondi, la dolcissima e cara
Arturia
Pendragon ;)
Grazie
infinite per avermi imposto di scrivere questa storia che senza di te
non
avrebbe mai visto la luce de sole.
Do you cry to the heaven's high
When you're confined in here?
Do you not ever wonder why
These leaden tears will never dry?
They'll leave behind so many shadows
The substance in time forced into life
Still exists because it's here
Living in me, living in all the memories in my life
Lost inside blank infinity
Chapter
1 - Lost inside blank
infinity
Un giovane
bruno e bell’aspetto camminava spedito per le vie affollate
della città.
Aveva
deciso, non sarebbe tornato indietro per niente al mondo.
Gli occhi
arrossati, il volto tirato, aveva ottenuto un passaggio da un
brav’uomo che
passava di lì con il suo carro colmo di mercanzie.
Aveva celato
la sua identità. Nessuno avrebbe saputo fino al momento
giusto. La solitudine
gli sembrava qualcosa di strano in quei momenti.
Il carro
procedeva lento lungo la strada.
Sollevò
il
capo e guardò scomparire in lontananza il profilo dorato
della città che solo
poco tempo prima l’aveva accolto calorosamente.
Nonostante
la diffidenza che aveva in corpo da sempre, il suo guscio protettivo
aveva
fatto presto a sfaldarsi per poi andare completamente in frantumi.
Pezzo dopo
pezzo aveva faticosamente ricostruito la sua identità. Ma
quanto dolore ancora
gli riservava il destino. E quanta sofferenza aveva visto negli occhi
di quella
giovane.
L’avevano
rapito completamente dal primo istante.
La sua
timidezza non era altro che una maschera. Erano più simili
di quanto non
credesse. E forse anche questo aveva contribuito ad avvicinarli.
Ricordava a
stento cosa fosse il calore di un abbraccio.
Nella sua
memoria solo sangue e urla silenti di morti che non era riuscito a
salvare.
Se solo
avesse… Ma cosa? Che Cosa?! Le grida risuonavano
continuamente nella sua testa
senza dargli un attimo di tregua. Le combatteva ogni notte fino allo
stremo.
E
perché
tutto questo? Non lo sapeva.
Non aveva
mai capito niente lui.
Sempre
troppo ingenuo.
Lui sarebbe
diventato imperatore un giorno, sì , e ogni cosa sarebbe
andata per il verso
giusto.
Questo gli
ripetevano continuamente.
Ricordava
ancora lo sguardo accorato della sorella maggiore mentre lo scortava
nello
studio, mentre gli si annunciava che un giorno avrebbe regnato
incontrastato. E
chissà lei dov’era.
Dolce,
forte, coraggiosa, ancora legata a felici ricordi del passato che fu.
Profumo
di piatti prelibati proveniente dalle grandi cucine reali, mattinate
trascorse
tutti insieme in riva al lago. Risate e scherzi per tutto il tempo.
E le corse
pazze su e giù per i lunghi e tortuosi corridoi del palazzo?
Come dimenticarle.
Sorrise.
L’avvolse
un
turbinio di emozioni.
Quanto tempo
era trascorso da allora. Non lo ricordava con precisione ma sembrava
un’eternità. Quasi che quel bambino contento fosse
un’altra persona, e, forse
lo era davvero.
Gli
sfuggì
una risatina pensando a tutte le avventure vissute insieme ad Alibaba,
Morgiana
e al piccolo Aladdin. Non aveva capito subito Alibaba in
realtà. O forse era il
ragazzo biondo a non aver capito lui. C’erano state
incomprensioni.
Lui era
sempre così allegro, solare cime se tutti i problemi del
mondo non lo
sfiorassero neanche. Solo una volta gli aveva visto quello sguardo sul
volto.
Uno sguardo
perso nelle profondità del passato anche se per il resto gli
era parso un
giovane spocchioso ed irritante perfino.
Quella
sicurezza, il modo di fare così arrogante non
l’avevano certo spinto ad amarlo
di più.
Sua cugina
invece, sembrava decisamente gradire la sua compagnia, e dopo aver
opposto un
po’ di resistenza i primi tempi, non aveva potuto fare a meno
di lasciarsi
andare.
‘Che
sciocca’. Aveva pensato di lei. Non lo conosceva che da poche
settimane. Come
riusciva a fidarsi di una persona estranea’
E spesso
aveva faticato a iniziare una conversazione con lui.
Con il tempo
aveva iniziato a capire qualcosa in più di quel misterioso
ragazzo la cui
giovialità celava ben altro.
Una notte di
luna piena, mentre s’erano accampati, sentendo un rumore
s’era sporto in avanti
e l’avevo visto che usciva di nascosto dalla sua tenda.
Era il suo
turno di guardia, per cui rimase immobile, appoggiato al tronco
d’una grande
quercia. In silenzio stette ad ascoltare i passi lievi sulle foglie ed
i fiori
umidi di pioggia.
L’aveva
seguito con lo sguardo mentre si arrampicava su uno sperone di roccia.
Solo per
un attimo aveva temuto il peggio.
Alla luce
della luna la pelle diafana e i capelli biondi spiccavano nel cielo
notturno.
L’espressione
decisa.
I pugni
serrati.
Un
sussurrò
scivolò nell’aria.
Che
cos’era?
Ancora.
Un Nome.
Kassim.
Un
singhiozzo scosse il petto.
Poi un
altro, più forte del primo e infine il pianto soffocato
nella manica candida
della casacca, come se avesse paura che la notte lo spiasse.
Geloso del
suo dolore nascondeva il viso piegato in una smorfia.
Poi,
silenzioso come un gatto si avvicinò alla fine della rupe.
Il ragazzo
rimasto indietro intanto s’era allontanati dal grande albero.
Avanzato di
pochi passi aveva fatto sì che non lo scoprisse.
Sarebbe
intervenuto se necessario.
E poi, lo
vide.
Gettò
qualcosa giù nello strapiombo.
Un oggettino
minuscolo, dal un brillio aveva detto che doveva trattarsi di una
qualche
pietra ma non sapeva altro.
All’improvviso
Alibaba scosse la testa, no, non c’era nessuno lì
con lui, era solo.
Il giovane
principe aveva fatto in fretta a ritornare alla sua postazione come se
nulla
fosse successo.
Un brivido
gli corse su per la schiena intirizzita.
Che cosa
aveva appena visto?
Era un
momento privato, e lui aveva violato l’intimità
profonda in cui si trovava
l’amico per mera curiosità. Si vergognò
di sé stesso. Era pur sempre un
principe per amor del cielo, e si era appena comportato come un bambino.
Aspettò,
respirando piano, che Alibaba facesse ritorno alla sua tenda, sperando
ardentemente che non lo scorgesse.
Finalmente i
passi del biondo divennero un’eco sottile e poi
più nulla.
Tirò
immediatamente un sospiro di sollievo, sentì i muscoli delle
gambe stendersi.
Dandosi
ancora dello stupido si guardò attorno un paio di volte
brandendo la lancia con
entrambe le mani, ma non c’era nessuno. Si sedette di nuovo
su un ciocco di
legno dietro di lui.
Rimase
così
per molte ore, il viso appoggiato alla mano sinistra, l’arma
stretta nella
destra, in attesa che l’alba tingesse il cielo di rosa. Che
spettacolo sarebbe
stato.
L’indomani
giunse troppo presto, non vide il sorgere del sole: era stato vinto dal
sonno
intorno alle 5.00 del mattino e il cinguettio degli uccelli
l’aveva ridestato
solo alcune ore dopo quando il sole era già alto. Ancora
mezzo addormentato
aveva proteso le braccia in avanti cercando a tentoni la sua lancia.
Ma dove
l’aveva
lasciata? Si domandò, imprecando silenziosamente in un
impeto di collera.
Se fossero
stati attaccati quella mattina, mentre gli altri ancora riposavano dopo
le
fatiche del viaggio… non osava immaginare.
Ma poi
eccola! L’arma tanto ricercata era sempre stata lì
accanto.
Subito
l’afferrò
e si mise in posizione da combattimento.
Lo sguardo
ormai vigile e attento scrutava le chiome rade degli alberi in fiore,
alla
ricerca di possibili nemici nascosti fra i cespugli di mirto.
Ad un tratto
, ancora perso nei suoi pensieri, senti la presa salda d’una
mano che gli
teneva la spalla destra.
Sussultò
preparandosi al peggio.
Voltatosi a
fronteggiare
il presunto avversario aveva aumentato la stretta sulla lancia
acuminata.
“Ehi!
Calma,
sono solo io, Alibaba”
Era proprio
lui, e se la rideva della grossa anche.
Gli
spiegò
che quel mattino s’era svegliato presto, non riuscendo
più a prender sonno e
accortosi della sua stanchezza aveva montato la guardia al suo posto.
Il giovane
dai capelli scuri rimase per un attimo immobile a guardare il suo
inaspettato
interlocutore.
Non capiva
assolutamente le sue ragioni né perché non gli
avesse detto di quella notte.
Tutte i suoi interrogativi vennero spazzati via da un enorme sorriso:
Alibaba
gli tese allegramente la mano e lui, gliela prese, ancora
più inaspettatamente.
Era stato un riflesso spontaneo. Il corpo aveva agito prima ancora che
la mente
gli imponesse di allontanarsi da quello strano ragazzo che non sapeva
far altro
che cacciarsi nei guai.
Gli era
sembrato che avesse mormorato un flebile “grazie”
mentre gli voltava le spalle,
allontanandosi a cercar legna insieme al piccolo Aladdin. Non avrebbe
saputo
spiegare con esattezza che cosa era veramente accaduto in quei due
giorni,
sapeva solo che da quel momento, qualcosa era cambiato per sempre.
Un violento
scossone lo ridestò dai suoi pensieri. Sarebbe arrivato in
città nel giro di
poche ore.
Gli sembrava
ancora lontana ma già scorgeva le alte torri del palazzo.
D’istinto strinse
forte con una mano il bordo di legno del carro, tanto da farsi male.
Nel
frattempo cercò di distrarsi e prese ad osservare gli
oggetti accatastati sul
fondo del mezzo. Ve n’erano di tutti i generi: lampade a
olio, chincaglierie
varie, monili dall’aspetto dozzinale, cesti di frutta e
tessuti di discreta
fattura.
L’occhio
cadde infine su un copricapo bianco, un bel turbante di seta che
giaceva lì
abbandonato. Lo ricopriva uno spesso strato di polvere.
Le labbra si
piegarono in un mezzo sorriso, ripensando che sarebbe davvero piaciuto
al
piccolo Aladdin, anzi, gliene avrebbe regalato uno alla prima occasione.
Non
conosceva bene neanche lui, ma sapeva che si trattava di un Magi che, e
la cosa
era curiosa, aveva l’aspetto d’un bambino.
Non gli era
sembra così potente all’inizio, a dire il vero, si
era trovato più volte a
chiedersi quali fossero i suoi reali poteri.
In vita sua
aveva conosciuto solo un altro Magi.
Stando
insieme aveva apprezzato grandemente la sua compagnia,
benché alcuni dei suoi
responsi fossero alquanto sibillini.
Percepiva
sempre un’aura positiva intorno a lui.
Spesso
Aladdin aveva dovuto far da paciere nelle frequenti discussioni che
l’avevano
visto contrapposto ad Alibaba.
E il tempo
era trascorso velocemente in loro compagnia, tanto che non vederli
più in giro
lo rattristava un po’, doveva ammetterlo.
Pur se con
difficoltà, aveva imparato che le persone non si possono mai
giudicare dalle
apparenze. “Perché non siamo mai quello che
mostriamo di essere”, gli aveva
detto sua sorella tanti anni prima.
Avevano
trascorso momenti sereni, altri più burrascosi, ma avevano
superato tutto,
insieme. Per la seconda volta nella sua vita aveva sentito di far parte
di una
famiglia dopo tanto tempo.
A malincuore
li aveva lasciati, ma soprattutto avrebbe sentito ogni giorno la
mancanza di
lei.
Morgiana.
Era una
Fanalis, l’aveva notato immediatamente a differenza del
biondo compagno d’avventura.
Aveva dentro
di sé una forza incredibile.
Era bella
sì. Occhi brillanti, guance rosee, viso piccolo, corpo
minuto. Ma non era il
motivo che l’aveva attratto: era indomabile, sapeva essere
una vera furia.
Nelle sue
vene scorreva il sangue di una delle più antiche stirpi che
avessero mai
abitato il mondo conosciuto.
I capelli di
fiamma ne era valida testimonianza.
L’aveva
amata dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati per
caso.
E lei aveva
sorriso, timida, non sapendo bene cosa rispondere.
Anche lui
aveva presto dimenticato cosa fosse la
“regalità” e s’era visto
impacciato come
non mai.
Faceva i
conti con un sentimento tutto nuovo.
Non aveva
mai provato nulla del genere e questo lo sconvolgeva.
Il cuore
batteva forte nel petto, la testa andava in confusione.
Avrebbe
voluto parlarle, dirle che la capiva! Che sapeva perfettamente che cosa
provava
e che conosceva la triste storia del suo popolo.
Quanta forza
di volontà c’era in quell’esserino
così delicato e fragile e tanto saldo come
diamante al tempo stesso. L’aveva vista lottare e ne aveva
ammirato i movimenti
veloci e precisi delle gambe, l’agilità con cui
colpiva l’avversario senza
lasciargli il tempo di reagire.
Era una
combattente nata.
La sua lotta
era più di un semplice scontro corpo a corpo, era una danza.
Elegante,
sicura, bellissima.
In ogni
attacco risiedeva l’impeto di tutta la sua gente.
E più
la
guardava, più sentiva il desiderio di imparare da lei, da
lei che era così
forte e fragile insieme.
E la rivide
ancora una volta mentre gli diceva che sì, gli voleva bene
come ad un fratello,
ma che no, non l’avrebbe seguito.
Era stato
forse uno sciocco a sperare che potesse ricambiare i suoi sentimenti.
In quei
mesi aveva visto come lei guardava il loro compagno.
E ne era
stato geloso.
E’
vero, ma capiva che non avrebbe mai potuto
forzarla ad amare un altro. Così come era consapevole che
non avrebbe mai e poi
mai provato un sentimento di eguale intensità per un'altra
donna.
L’aveva
baciata. Un bacio d’addio, dolce, appena accennato e
nonostante questo un
calore improvviso gli aveva infiammato le gote.
Le aveva preso
la mano, l’aveva stretta forte fra le sue, assaporandone il
tepore. Non avrebbe
avuto un’altra occasione. Lei non s’era opposta,
forse ancora sconvolta dal
gesto improvviso. Non le aveva dato modo di parlare.
Solo alla
fine aveva promesso, prima di andar via, che un giorno sarebbe tornato,
per
lei, per dimostrarle che il suo non era un amore passeggero.
E forse, non
avrebbe mai potuto mantenere quella promessa.
Gliel’avrebbero
certamente impedito con ogni mezzo.
Loro.
All’improvviso
una voce lo richiamò al presente: “Ehi ragazzo!
Ehi, dico a te! Guarda che
siamo arrivati ormai. Hai per caso intenzione di dormire nel mio
carro?”
“Io…
Certo
che no. Mi scusi davvero.
La ringrazio
anzi per la sua disponibilità” Si
affrettò a rispondere il giovane, ancora
frastornato.
Fece un
inchino subito dopo e dopo esser sceso, vide l’uomo
allontanarsi per una ripida
stradicciola.
Sollevò
gli
occhi per un attimo.
Eccola.
Splendida e terribile.
La vedeva in
tutta la sua magnificenza, la città che aveva lasciato tempo
prima e che aveva
considerato il suo unico mondo.
Si stagliava
imponente sull’orizzonte la sagome del palazzo. I marmi
preziosi rilucevano
agli ultimi raggi del sole morente.
Il vento
soffiava portando con se l’aria fresca della sera.
Era
lì,
strinse forte i pugni.
Ormai non
poteva più tirarsi indietro.