Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Claire23    24/02/2014    0 recensioni
Gioia e Cecilia, due adolescenti si ritrovano catapultate in un mondo che non pensavano esistesse, abitato da Ombre (o come li chiamano le due ragazze, pastelli colorati ambulanti) e dai loro piccoli amici: piccole Ombre, morbide, colorate e tenerissime. Conoscono anche i loro mortali nemici, privi di nome, conosciuti come 'gli uomini di Zafar'. Zafar, come l'Ombra che anni or sono sfidò l'altra famiglia pretendente al trono.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1. Gioia
 
Sabato, ultima ora di scuola.
“Finalmente ha finito di parlare a vanvera!” esclamai girandomi verso Cecilia, mia compagna di banco e migliore amica.
“Ma seria Gioia! Oggi era proprio insopportabile!” rispose lei.
“Già, soprattutto con la storia degli antichi roma… ma che cazzo!?!” dissi spaventandomi.
“Che diavolo è quella roba Gio?” disse Cecilia indicando la palla di pelo verde che avevo sulle gambe.
“Non ne ho la  più pallida idea. Passami la matita per favore, non mi fido a toccarlo: non vorrei che fosse uno scherzo di uno di quegli stupidi compagni di classe che ci troviamo.” Istintivamente abbassai la voce.
“Non penso, guarda, sono tutti occupati a fare le cartelle e a provarci con quella specie di tubetto di silicone ambulante di Cindy. Se ha tutti quei soldi per il silicone, perché non va in una scuola per ricchi? Un problema in meno per noi.” Ribattè lei, ridendo al tubetto di silicone.
“A volte mi chiedo se tu sei scema di natura o perché la fai. Poi mi ricordo che hai sbattuto la testa quando eri piccola.” Scoppiai a ridere. “Dai, passami la matita.”
Armate di penna e matita punzecchiamo per un pochino quel cosino che mi era caduto da non si sa dove sulle gambe. Non si mosse. Immobile come un pupazzo.
“Ma secondo te è vivo o è un gioco?” sussurrò preoccupata.
“Non ho mai visto nulla del genere in vita mia, e non lo so, proviamo a girarlo, aiutami.”
“Visto che mangiare dal cinese serve? Ti insegna a usare le bacchette!” e rise di nuovo. La squadrai con occhio indagatore.
“Ti sei sniffata la colla, per caso?”
“No, sono solo impaurita e isterica, tutto qui. Ecco, girato! Mi dicono che è cambiato molto, è uguale al sopra! O questo è il sopra e quello il sotto?” pensierosa fissò la palla di pelo.
“Perché ti devi creare problemi inutili? Vediamo se è vivo va.”
Lo punzecchiamo ancora un po’, e stemmo a guardare. All’inizio nulla, poi il corpicino vibrò e iniziò a uscire liquido verde.
“Oh merda!” esclamammo spaventate.
“Pensi che sia sangue quello?” chiese.
“Il sangue in genere è rosso, però guarda, sta perdendo colore. Non è più color evidenziatore, è pastello adesso.”
“Come noi quando facciamo i prelievi di sangue: diventiamo più pallidi.” Confermò lei.
“Che facciamo adesso? Non possiamo certo lasciarlo qui e andarcene.”
“Certo che no, lo prendiamo e andiamo a curarlo come meglio possiamo a casa. Nascondilo però, non è il caso che quei poveri esseri senza cervello lo vedano.” Concluse lei.
Annuii d’accordo con lei, quindi avvolsi il batuffolino in un fazzoletto di carta e delicatamente lo misi nella tasca del giubbotto, presi per mano Cecilia e aspettammo il suono della campana, incapaci di smettere di guardarci in torno per vedere se qualcuno ci avesse viste. La campana suonò e insieme corremmo verso casa mia, se casa si poteva chiamare: quattro muri, un bagno e un fornello da campeggio come cucina. Ci sedemmo su quel letto sgangherato, ci spogliammo e tirai fuori il pelosino dalla mia tasca.
“Ceci, in bagno c’è il kit di pronto soccorso, puoi prenderlo per favore? Intanto cerco di capire che cos’è sto cosino qui.” Con la punta dell’indice gli sfiorai il dorso e lui si premette contro la mia mano, come in cerca di affetto e calore. Lentamente aprii gli occhietti e mi guardò, tirò fuori la linguetta e cercò di rotolarsi come se volesse leccarmi il dito. Solo allora mi accorsi di due piccole protuberanze sulla testa: gli stavo facendo i grattini dietro le orecchie.
“Gli piacciono i grattini dietro le orecchie Ceci. E’ troppo carino!” dissi continuando a fargli le coccole.
“Ha anche delle orecchie? Oh mamma, ma quelli sono i suoi occhietti!” esclamò tutta presa dal piccolo batuffolo.
“Già, è proprio carino. Hai preso il kit?”
“Si, tieni.”
Presi la scatolina rossa che mi porgeva Ceci e la ringraziai con un sorriso.
“Gioco di squadra?” Lei annui.
“Io spruzzo il cicatrizzante, tu tieni la garza premuta contro la ferita. Speriamo che non gli bruci troppo la ferita. Hai capito da dove esce sangue?”
“No, adesso lo cerco” poi aggiunsi rivolta al piccolo ospite “Scusaci piccolo ma dobbiamo curarti.”
Lo rigirai delicatamente tra le mani, finchè non trovai il taglio che gli procurava la fuoriuscita di sangue. Pulimmo il taglio con acqua ossigenata e il suo corpicino si irrigidì tutto. Per quanto mi era permesso continuai a fargli i grattini per distrarlo. Dopo averlo pulito iniziammo a spruzzare il cicatrizzante: a ogni spruzzata emetteva gemiti di dolore e dovetti cambiare più volte le garze per la perdita di sangue abbondante. Cinque minuti dopo, e tre spruzzate doloranti riuscimmo a far fermare il flusso di sangue, solo allora tirammo un sospiro di sollievo. Presi il corpicino tra le mani e lo alzai all’altezza dei nostri occhi, per poter vedere la ferita con chiarezza.
“Non è un taglio netto, è tutto frastagliato.” Guardai Ceci.
“Magari mentre veniva verso di te si è impigliato in qualcosa e si è tagliato.” Suggerì la mia migliore amica.
“Ma secondo te stava venendo proprio da me? Potrebbe essere che stesse anche andando da un’altra parte e ferendosi si sia fermato su una persona a caso.”
“Impossibile, per me sapeva dove stava andando. Sapeva che tu l’avresti curato e che non l’avresti buttato via come spazzatura.”
“Ecco dove ti eri cacciato!” esclamò una voce maschile dietro di noi. Per lo spavento lanciammo un gridolino acuto, per poi cercare di nascondere l’animaletto peloso dietro di me. Un uomo alto circa un metro e novanta, con occhi blu come il mare e i capelli biondi, un petto che era ampio come il mio armadio e mani sui fianchi ci fissava. Con indosso jeans, maglietta attillata e giubbotto da motociclista, padroneggiava nel mio salotto/camera da letto.
“Tu chi sei?” chiesi sconcertata, come diavolo aveva fatto a entrare in casa mia senza che noi ce ne accorgessimo?
“Le domande le faccio io: come fai ad avere quel piccolo mascalzone verde?” ribattè lui indicando il batuffolo di pelo che era spuntato da dietro la mia schiena per osservarlo.
“Hai sbagliato a capire, casa mia regole mie. Chi diavolo sei e che cavolo ci fai in casa mia. Rispondi immediatamente.” Lo trucidai con lo sguardo. Il ragazzo mi guardo, poi indicò il piccolino dietro di me.
“Lui deve tornare a casa con me, subito. Perciò vedi di staccarti subito dalla ragazza e vieni qui!” ordinò lui.
Non capendo a chi si stesse riferendo, aprì la bocca per parlare ma con la coda dell’occhio vidi qualcosa volare, mi girai e guardai il pelosino alzarsi in volo finchè non arrivò ad altezza faccia del ragazzo, per poi prendere velocità e schiantarsi contro un suo occhio. Fatto ciò, tornò da me, si riaccocolò dentro la mia sciarpa e si mise a dormire. Il ragazzo imprecò mettendosi una mano sull’occhio che già stava diventando rosso e gonfio.
“Penso che possa essere inteso come un pugno nell’occhio, no?” dissi.
“Si, penso proprio di si. Forse è il caso di mettere un po’ di ghiaccio, non trovi?” gli disse Cecilia rivolgendosi all’intruso.
“Lo metterò a casa, grazie.” Poi fissando me, aggiunse “E tu vieni con me, non posso lasciarti in giro con un plu-pluff da sola. Andiamo.” Guardò negli occhi la mia amica, le passo una mano davanti al viso e come un automa, lei uscì dalla stanza senza degnarci di uno sguardo. Sconcertata e impaurita guardai lo sconosciuto.
“Che cosa le hai fatto?!”
“Nulla che possa farle male, andiamo.” E indicò la porta, come se fosse normale andare via con degli sconosciuti.
“Ma io non vengo proprio da nessuna parte con te, non so chi sei!” ribattei.
“Sono una guardia, adesso muovi quel bel tuo culo che ti ritrovi e andiamo.” Le buone maniere sono morte?
“Ragazzino abbassa i toni, prima mi spieghi perché devo venire via con te, poi magari ci penso.” Puntai i piedi per terra e incrociai le braccia. Lui sospirò esasperato.
“Devi venire con me perché il plu-pluff che hai sulla spalla è un cucciolo che è scappato da casa, ha cinque giorni, è troppo piccolo per stare in giro da solo e deve mangiare ogni ora. E si è anche ferito per raggiungerti, perciò non fare storie.” Preoccupata per la salute del pelosino decisi di seguirlo, ma misi subito in chiaro una cosa.
“Senti carino, non dare la colpa a me se si è ferito. Io non sapevo, e continuo a non sapere, cosa diavolo siano i plu-qualcosa e di certo non sono andata in giro a chiamarlo a gran voce: è venuto lui da me. Quindi poche storie e portami dal suo medico.”
 
 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Claire23