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Autore: CaskaLangley    24/02/2014    10 recensioni
«Che cos’è l’amore, se non ci si fa del male?»
«Che razza di amore è, se ci si fa del male?»
[RinHaru] [side-MakoHaru]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La gente normale per il proprio compleanno si scrive il porno, mentre io...in effetti sono normalissima e vorrei scrivermi il porno, ma devo studiare, quindi niente. Però le fanfics che non ho postato si stanno accumulando, e quindi lascio qui questa. L'ho scritta durante la terza Notte Bianca di No ma Free! lo guardo per la trama, eh, quindi non l'ho ricorrenta sia perché non ne ho tempo, sia perché non sarebbe leale u_ù, però non so, per quanto sia scritta di cazzo e di fretta voglio bene a questa cosina, principalmente perché è piaciuta molto e mi ha fatta molto riflettere sulla scrittura, sulle persone e su...no, beh, su nient'altro. Oltre la scrittura e le persone, in effetti, non c'è molto altro. Il prompt era You only know you love him when you let him go, and you let him go.
 
*

«Che cosa credi che dovremmo fare?» era riuscito a chiedergli in una sera d’estate, in cui l’aria era calda e appiccicosa di ognuno dei loro ricordi. Avevano diciassette anni. Makoto stava guardando Haruka, era evidente. Makoto guardava sempre Haruka. Haruka che in quel momento si lasciava trascinare qua e là da Nagisa, nel caos del matsuri, e si impegnava nei giochi mettendo in mostra quella serie di infinite abilità, di inspiegabili talenti, che non richiedevano esercizio né scopo, perché venivano da lui, da quella energia misteriosa che era il suo fulcro, impetuosa come una cascata.
«Non lo so, Rin» rispose Makoto, sorridendo con le braccia conserte, come se non stesse succedendo niente e Rin non avesse raccolto il coraggio per giorni, prima di fargli quella domanda «Tu che cosa vuoi fare?»
«Ho smesso di chiedermi soltanto cosa vorrei io» rispose a voce bassa, tanto che non pensava Makoto l’avrebbe sentito, ma lo fece e gli sorrise.
«Sono contento di sentirtelo dire, Rin.»
«Già» distolse lo sguardo «ma non credere, non sono un angelo come te.»
Makoto rise. Aveva una bella risata e gli venne in mente che non aveva mai sentito ridere Haruka, non davvero, non a perdifiato. Chissà se lui sì. Sicuramente.
«Non sono un angelo, Rin, anch’io ho i miei difetti.»
«Ad esempio?»
«Sono geloso di te.»
Rin tornò a guardarlo e lui sorrideva con una calma che, come un lago, poteva celare di tutto. Non riusciva a capirlo e per questo non riuscì a rispondergli.
La voce squillante di Nagisa giunse fino a loro: «Forza, Haru-chan, punta dritto al pinguino gigante! Go, Go!»
 Haruka sospirò, prese la mira con il fucile ad aria compressa e sparò. Bang, bang. Due colpi, due centri.
 
 
L’aveva baciato una notte in cui erano soli, appena usciti dall’acqua, ancora bagnati e con il fiatone. L’aveva sfidato e sfidato, fino a sfinirsi, finché non aveva creduto di essere troppo esausto per cedere, ma poi Haruka era uscito dalla piscina e aveva scosso i capelli. Le gocce scivolavano sulla sua pelle che rifletteva il biancore lunare. Rin l’aveva fatto, allora. Per non sentirsi sempre come se dovesse trattenere il fiato. L’aveva baciato perché era esasperato da lui, dal desiderio estenuante che lo trascinava verso di lui. Come aveva fatto Makoto a combatterlo? Dopo un anno Rin era drenato.
«Adesso dì quello che vuoi, fai quello che vuoi» aveva ringhiato subito dopo, lasciandolo andare. Era abbastanza impaziente da attirarlo a sé e morderlo, ma troppo cagasotto per guardarlo in faccia.
«Che cosa ti aspetti?» gli domandò Haruka, senza cambiare il suo tono di voce, se non per un tremore al quale Rin avrebbe ripensato solo molto tempo dopo.
«Niente, che cosa vuoi che mi aspetti da te?!» gridò, senza neanche capire perché, «Voi non fate mai niente! Né tu, né Makoto, voi non fate niente!»
Haruka non rispose. Non gli chiese che cosa c’entrasse Makoto e Rin capì che lo sapeva, che quella cosa tra loro tre non era più un segreto già da molto tempo. Capì anche, in modo meno definito, che entrambi si aspettavano sarebbe stato Makoto a baciarlo per primo, come per una sorta di diritto di anzianità, ma a entrambi andava bene che non fosse successo. Se tra di loro non doveva essere – e non doveva, pensò con una gelosia che lo sconvolse – avrebbe voluto che fosse Haruka a rifiutarlo, non lui a batterlo sul tempo. Si sentì in colpa perché gli sembrava di avere tradito Makoto, e uno schifo perché non riusciva a pentirsene.
«Stupido» disse Haruka dopo un po’ «fai sempre tutto da solo». 
Avevano diciotto anni e si baciarono a lungo, come se i baci fossero acqua e loro avessero sete da anni.
 
 
«Se ti avesse baciato Makoto, per primo, adesso saresti con lui?»
Glielo chiese dopo aver fatto l’amore, il momento in cui Rin aveva sempre voglia di parlare seriamente e Haruka ne aveva meno in assoluto. Lui infatti sospirò, ma si alzò sui gomiti quanto bastava per guardarlo negli occhi.
«Rin, ricordati tre cose» gli spostò i capelli dal viso «la prima è che ti amo. La seconda è che nessuno può convincermi a fare qualcosa che non voglio, neanche tu.»
Rin gli fermò la mano e la baciò. «La terza, invece?»
«Io non mento. Prima di fare una domanda, chiediti se vuoi davvero la risposta.»
 
Un giorno Haruka gli telefonò. Era raro normalmente, ancora di più mentre si preparavano agli esami.
«Pronto?» rispose allegramente. Haru non disse niente. Iniziò già a seccarsi.
«Ohi, Haru?»
«Credo di aver discusso con Makoto.»
Rin lasciò cadere la biro sul libro. «Che cosa vuol dire che credi
«Non sono sicuro.»
«Come fai a non esserne sicuro, o avete litigato o non avete litigato.»
«Non ha voluto che dormissi da lui.»
«…scusami?»
«I suoi mi hanno invitato, ma lui ha detto che tornavo a casa.»
«Beh, mi sembra ovvio.»
«Perché?»
Chiuse il libro come se potesse usarlo per darglielo in faccia. «Perché noi due stiamo insieme.»
«E che c’entra?»
«Come che c’entra
«Non capisco.»
«Allora meno male che almeno Makoto capisce.»
«Non volevo andare a letto con lui.»
«Ci mancherebbe.»
«Parla con Makoto.»
«Per dirgli cosa?»
«Che per te non è un problema se dormo da lui.»
«Certo che è un problema!»
«Ma ti ho detto che non voglio andarci a letto!»
«Ma a me dà fastidio lo stesso!»
«Tu dormi con Nitori!»
«E’ il mio compagno di stanza!»
Haru tacque. Rin poteva vedere la sua faccia assurda e bellissima riordinare i pensieri.
«Quindi non posso più dormire con Makoto» concluse.
«No.»
«Non so se questa cosa mi piace.»
«Fattela piacere.»
«Ci sono un sacco di regole. Stare insieme è un casino.»
«Pensa a me, che devo stare con te. A proposito, chiamami un po’ più spesso. Studiamo sempre e ci vediamo poco.»
«Ma non ho niente da dire. L’hai detto tu, studiamo e basta.»
Rin sospirò: «Chiamami lo stesso.»
Haruka e ripeté: «Stare insieme è un casino».
 
 
«Come hai fatto ad aspettare?»
Makoto smise di accarezzare il gatto. Avevano diciannove anni ed erano seduti insieme sulla gradinata che portava al tempio. Casa di Haruka adesso era vuota, fatta eccezione per l’altare a sua nonna, davanti al quale aveva chiesto di restare solo.
«Me lo sono sempre chiesto» continuò Rin «Ce l’avevi lì, perché non l’hai preso?»
«Haru non era una cosa da prendere. Era libero e ha scelto te. Sapevo che eravate fatti l’uno per l’altro da…da quando ci siamo incontrati, probabilmente. Lui è sempre stato attratto da te.»
«Sono io che lo attiro a me.»
«E’ diverso?»
«Sì, perché devo sforzarmi. Se allentassi la presa, lui tornerebbe da te.»
Makoto rise. Il gatto miagolò sotto la sua mano.
«Haru non si sente legato a nient’altro, sulla terra ferma. Tornerebbe da me perché quando tu te ne vai sono quello che resta.»
Ne sei convinto, avrebbe voluto chiedergli, pensi davvero questa cazzata?
«Come hai fatto a lasciarlo andare?» gli chiese invece «Io sono andato dall’altra parte del mondo e non ci sono riuscito, tu invece eri qui. L’hai visto ogni giorno, lo vedi ancora ogni giorno…io non lo sopporterei». Una pausa. «Sul serio, Makoto. Come cazzo hai fatto a lasciarlo andare?»
Lui prese in braccio il gatto e gli diede un bacio.
«Non è una scelta quando non c’è alternativa, non credi?»
 
Avevano vent’anni e stavano di nuovo litigando.
«Perché ti comporti così?» gli chiese Haru.
«Perché sono geloso» rispose Rin.
«E’ evidente che sei geloso, e non lo sopporto. Non vado a letto con Makoto, non vivo con Makoto, non ho lasciato la mia vita a Iwatobi per Makoto.»
«E’ una fortuna che si sia trasferito anche lui, vero?»
«Non voglio risponderti. Non mi piace parlarti, quando fai così.»
Rin si sedette al suo fianco sul divano. Rimase a lungo così e poi si appoggiò alla sua spalla.
«Haru, mi ami?»
«Sì.»
«E sei felice?»
«Credo di sì.»
«Cosa vuol dire che lo credi?»
«Non si può chiedere a qualcuno se è felice. O è felice o non lo è. Chiederlo crea il dubbio, e il dubbio ti rende un po’ più infelice. Prima che me lo chiedessi, ero felice. Ora non lo so più.»
Rin si alzò di scatto. «Cristo, smettila di parlare in codice, non lo sopporto!»
«Non parlo in codice, Rin. Non so come farmi capire da te.»
«Lui invece ti capirebbe, questo vuoi dire.»
«Hai fatto tutto da solo, come al solito» bisbigliò.
«Dillo quello che vuoi, Haru, dì che ci vorresti entrambi. Che non sarai mai felice con uno solo di noi perché quello che vuoi è solo sapere che ti amiamo. Che vuoi che restiamo in ginocchio ai tuoi piedi per vederci supplicare il tuo bel culo benedetto. Tu non sai darti a qualcuno, Haru. Non ne sei capace.»
Riuscì a sentire, nel silenzio della stanza, il suo cuore che si spezzava. Si rendeva conto di aver piantato il chiodo in un nervo scoperto, ma non riuscì a chiedergli scusa, né a rimangiarsi quel che aveva detto, anche se avrebbe voluto.
Haruka chiese con un bisbiglio: «Che cosa vuoi, Rin?»
«Io voglio te, Haru. Ti voglio come non ho mai voluto nient’altro, e quello che mi fa star male è che mi sembra di averti meno adesso di quando non stavamo insieme.»
«Io sono qui, Rin. Se non sai vedermi, o non vuoi accettarmi, non so cosa farci.»
«Voglio di più.»
«Allora forse vuoi qualcosa che non posso darti.»
«E tu che cosa vuoi, Haru?»
«Voglio che la smetti di ferirmi.»
«Perché lui non lo farebbe, esatto?»
«Solo perché fa male.»
«Che cos’è l’amore, se non ci si fa del male?»
«Che razza di amore è, se ci si fa del male?»
 
 
«Ti ricordi quando mi hai detto che eri geloso di me? E’ stato qualche anno fa, poco dopo il relay.»
«Sì, lo ricordo.»
«Ero io quello che era geloso di te. E Haru ha ragione, lo sono ancora.»
«Perché?»
«Perché io posso spezzarlo, ma tu puoi ucciderlo.»
«Perché credi che sia un bene? Perché pensi che l’amore di qualcuno si misuri in questo, nella possibilità di uccidere o di spezzare? Io non ti capisco, Rin. Non mi rende orgoglioso sapere che potrei fargli del male.»
«Non credere che a me piaccia ferirlo. Dio solo sa quanto…» si interruppe «Ma a volte non riesco a farne a meno. Ne ho bisogno, non so per quale motivo. Forse solo per sapere che riesco a farlo.»
«E che cosa ci vuole a ferire qualcuno? Ne parli come se fosse un talento, o una specie di prova di quella forma di amore contorto e nocivo che tu scambi per la passione, ma non lo è. Non ci vuole niente per fare del male a una persona che ti ama, Rin, chiunque ci riesce. Tu sei affettuoso, e anche dolce. Sai amare molto meglio di così.»
«Allora non riesco ad amare bene lui. Per questo ti invidio, Makoto. Voi siete uguali, voi…»
Lui lo interruppe: «Già, eppure non stiamo insieme».
Rin non ricordava che lui gli avesse mai parlato così bruscamente. Mai, in tutti quegli anni. Pagarono il conto e poi non ne parlarono più, perché qualsiasi cosa Rin volesse dire sarebbe cominciata con «se l’avessi baciato tu, quel giorno…» ma non voleva conoscere il seguito di quella frase.
 
Come prima cosa, entrando in casa, Haruka mise su il tè.
Come seconda cosa, gli disse: «Ho visto Makoto».
«E cos’avete fatto?»
«Quello che facciamo sempre, parliamo. Io voglio baciarlo, lui vuole baciarmi, ma parliamo soltanto.»
«Certo, Makoto non lo farebbe. E’ troppo onesto, lui. Non è come noi.»
Non lo pensava. Non voleva dirlo. Eppure l’aveva detto.
Perché non riusciva mai a comportarsi come voleva, con lui? Perché la sua espressione impassibile, nonostante sapesse quanta fragilità, e quanto amore nascondesse, lo faceva ancora inferocire?
Perché non potevano essere compatibili nella stessa misura in cui si amavano?
Perché non può essere più semplice, l’amore?
«Cosa intenti dire?»
«Che se lui ti baciasse tu lo ribaceresti, come hai baciato me quel giorno in piscina.»
Haruka prese il tè dal barattolo. Rin insistette: «Non neghi neanche».
«Non ha senso negare, quando ti comporti così. Fai sempre tutto…»
«…da solo, lo so. Sono stufo. Perché non fai qualcosa anche tu?»
«Io lo faccio. Mi dispiace che tu non riesca a vederlo.»
«Vorresti scoparlo?»
Haruka ci rimase di stucco. Calcolò lo stesso un misurino di foglie di tè.
«Te l’ho già detto, non fare domande di cui non vuoi la risposta.»
«Dimmi se vorresti scoparlo.»
«Sì.»
«Vuoi scoparlo tu o che ti scopi lui?»
«Lui.»
«Perché?»
«Perché il pensiero mi eccita.»
«Ci pensi spesso?»
Haruka prese il respiro. «Rin…»
«Dimmelo.»
«Sì. Adesso smettila.»
«Ti masturbi pensando a lui?»
«A volte.»
«Ci pensi anche quando lo fai con me?»
«Mai.»
«Come credi che sarebbe, con lui?»
«Non voglio dirtelo.»
«Credi che ti farebbe le coccole, che ti sdraierebbe su un letto di rose?»
«Smettila, Rin.»
Rovesciò il barattolo, il tè, l’acqua del tè. «Ti ho detto di dirmi come cazzo credi che sarebbe!»
«Credo che sarebbe bellissimo, sei soddisfatto?!»
«No, devi dirmi perché!»
«Perché mi scoperebbe per ore anziché correre la maratona! Perché mi darebbe il tempo di rilassarmi e di fargli capire che cosa mi fa godere anziché deciderlo da solo!»
«Che cosa vuol dire, che io non ti faccio godere?»
«No, a volte no! A volte ti odio, quando mi tocchi, perché non fai che sfidarmi, e dirmi che non ti amo abbastanza, e attaccarmi, e poi vieni lì come se la cosa dovesse eccitarmi, ma non mi eccita! Mi fa sentire uno schifo e tu sei troppo egocentrico per capirlo!»
Rin era attonito. Haru era rosso e ansimava. Sembrava che dovesse scoppiare a piangere, perché i suoi occhi erano enormi di lacrime, ma poi Rin realizzò: non avrebbe pianto non perché non gli importava, ma perché non era nel suo carattere farlo. Per questo soffriva. Perché lui l’aveva costretto ad andare contro la sua natura. Gli tornò in mente la volta in cui aveva chiesto a Makoto «come hai fatto ad aspettare?», e solo adesso gli era chiaro. Aveva aspettato perché lui lo sapeva.
Haruka riprese fiato.
«Adesso sei contento?» Non serviva che lui rispondesse. Si sfregò gli occhi e continuò: «Se scoperò con Makoto deve essere perché lo voglio, non perché tu mi fai sentire miserabile.»
Rin cercò di avvicinarsi, ma c’era l’acqua bollente, tra loro. Si impose di calmarsi.
«Dimmi che non mi ami più e facciamola finita.»
«Non sarebbe vero.»
«Allora dimmi che non ami lui.»
«Neanche questo sarebbe vero.»
«E allora cos’è vero?»
«Che quel giorno speravo che mi baciassi.»
«E adesso vuoi che ti baci?»
«No, adesso no. Non sopporto nemmeno l’idea.»
«Io invece vorrei baciarti.»
«Lo so. Vogliamo sempre baciarci in momenti diversi, noi due.»
«Forse è questo il problema.»
«E’ quello che vuol dire, il problema.»
«E che cosa vuol dire?»
Haruka non rispose e iniziò a pulire. Avevano ventun anni e si erano appena lasciati.
 
 
Haruka aveva pochissime cose e nessuna fretta di recuperarle. Andò a prendere soltanto i suoi costumi, due settimane dopo. Rin lo seguiva in ogni stanza, ma evitava di parlare per non supplicarlo. Lui cambiò i jeans che indossava con un paio pulito e dimenticò il cellulare nella tasca degli altri. Rin aspettò che si allontanasse e lesse l’ultimo messaggio.
 
Haru, perdonami. Tu non sai quanto è stato difficile. Ti voglio così tanto e non so quando smetterò di maledirmi. Prenditi il tempo di cui hai bisogno, ma se tornerai fallo senza bagagli, solo con i vestiti che hai indosso. Sai cosa provo per te, e non cambierà.
 
Il bagaglio, dedusse, era lui, con tutto il suo peso, la sua straordinaria capacità di mandare a puttane le cose belle e che amava. Lasciò il cellulare sul tavolo e si sdraiò sul divano, rivolto verso lo schienale. Ce l’aveva con Haruka, che nonostante le belle parole aveva aspettato meno di quattordici giorni per provare a infilarsi nel letto di un altro, ma ancora di più in quel momento odiava Makoto e la sua scintillante armatura del cazzo.
Prima di andarsene Haru tentò di parlargli, ma lui non rispose, anche se voleva. Rin scoppiò a piangere e Haru non lo toccò, anche se voleva. Non si sentirono più, finché Rin non gli fece gli auguri per i suoi ventidue anni.
 
 
«Non mi hai mai detto com’è.»
Haruka finse di non capire, ma arrossì.
«Non sono affari tuoi» rispose dopo un po’. Era bello come non lo era mai stato, e lui lo era sempre moltissimo.
«Eddai. Guarda che lo chiedo a lui.»
«Non ti dirà niente.»
«Sì, se insisto. E lo sai che io insisto.»
Haruka si arrese: «E’ bello»
«Come te lo immaginavi?»
«Meglio.»
«Meglio che con me? E non mi dire che è diverso.»
«E’ diverso.»
«Fanculo.»
Haruka sbuffò. Stava giocando con la stringa della scarpa. Dopo un po’ disse, in modo quasi timido: «Noi abbiamo lo stesso ritmo.»
«Fantastico. Fammi sapere, se vi serve uno strumento a percussione.»
«Potremmo, una volta o l’altra.»
Rin si mise a ridere. Poi lentamente, con cautela, gli sorrise.
«Sono contento, Haru. Non scherzo.»
«Lo so. Tu sei sempre sincero, Rin. Peccato che a volte ti comporti da stronzo.»
Rin rise ancora e guardò Haruka, che a sua volta guardava i petali di ciliegio, che una folata di vento aveva sollevato da terra svelando un sentiero tra gli alberi. Ho avuto tre anni, pensò, e cominciava a ricordare lentamente, solo adesso, tutte le cose belle, semplici e perfette esattamente come quel momento. Come un giorno in cui l’aveva visto ridere fino alle lacrime, e aveva capito che c’era di più, in quello che provava per lui, più della voglia, più del possesso. Qualcosa che non sarebbe mai sparito. Finalmente capiva come Makoto fosse riuscito a lasciarlo andare.
Così, a ventiquattro anni, lo lasciò andare.
  
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