Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: MyIdols_SavedMe    25/02/2014    3 recensioni
"Capite la matematica, la fisica, la biologia. Ma non capite quando una persona sta cadendo a pezzi."
[...]
"Amami quando lo meriterò di meno, perché sarà quando ne avrò più bisogno."
[...]
"«Dovresti dormire la notte, invece di mandarmi messaggi, sai?»
Erano seduti alla riva del mare, anche se faceva un sacco freddo e il tempo non era dei migliori, stavano bene lì, a rilassarsi con il rumore dei loro cuori che si sincronizzavano e quello delle onde che si infrangevano sulla spiaggia.
«Ma io ti amo troppo e ti penso ogni secondo» la baciò dolcemente.
«Ruffiano. Sei un ruf-» la interruppe, baciandola di nuovo.
«Smettila, non val-» un altro bacio.
Cominciò a darli anche sul collo, abbracciandola dalla vita e tenendosi su con il braccio. Lei avvolse le braccia attorno il suo collo e il bacio divenne più profondo, fino a coinvolgere entrambi in una passione difficile da fermare."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 Trenta giorni di te.


 
Il ragazzo dagli occhi del colore delle nuvole grigie, entrò in quella stanza buia di cui nemmeno la poca luce che filtrava dalle serrande riusciva a fare contrasto con quell’oscurità insediatasi nella ragazza mora, che riposava -senza domire- su quel freddo e bianco letto.
Fece pochi passi e si fermò sentendola mettersi seduta sulla steccata del letto.
«Chi sei?» sussurrò confusa, con un nero sopracciglio alzato a far contorno sul suo visino.
«Un paziente»
Quella piccola informazione non riusciva a fermare la curiosità di lei, ma prima che potesse chiedere altro, parlò lui.
«Mi hanno detto il motivo per cui sei qui. Vuoi spiegarmi il gesto?»
La ragazza si pietrificò ed abbassò lo sguardo.
«Riuscite a capire la matematica, la fisica e la biologia. Ma non capite quando una persona sta cadendo a pezzi»
«Ora che sei caduta puoi riprenderti e rialzarti più forte di prima»
Lo guardò e scosse la testa, fissando poi lo spoglio muro davanti a sé.
«Guarda nei miei occhi, dove si nascondono i miei demoni»
Allora il castano si sedette a gambe incrociate sul lettino e si fissarono per tanti, tantissimi minuti che parvero non bastare.
«Ti prego, lascia che ti conosca, che ti legga. Abbatti i tuoi muri per me, abbattili e permetti che io ti salvi»
Concluse lui, cercando di convincerla. Lei distolse lo sguardo e lo posò fuori. Tre giorni che era rinchiusa in quello stupido ospedale. Tre giorni che non vedeva i suoi genitori e la foto di sua sorella. Tre giorni di assoluta solitudine; la solitudine fa schifo: il silenzio, rotto dai tuoi pensieri, le parole e i momenti persi, tempo buttato; la solitudine diventa un acido che corrode le persone.
«Dormi con me» si limitò a dire e si distese, facendogli posto; lui la seguì e si mise sopra il lenzuolo –anch’esso bianco. La strinse dolcemente.
Dopo circa un’ora che la guardava dormire, gli venne in mente una parte di un libro che aveva letto mesi prima:
“Volevo solo guardarti dormire, la più pura, vera, grande magia che mi accadde fu questa. Seguire per tutta la notte il ritmo del tuo respiro, senza toccarti. Ti amavo già, me ne accorsi da questo, da questo spietato desiderio. E la paura di innamorarsi di qualcuno, l’ho capito in quell’istante, è già un po’ amore silenzioso. Se potessi addormentarmi e risvegliandomi cancellare tutti i miei errori e ricominciare da zero, saprei sempre ritrovarti. Riconoscerei dal primo battito pensandoti e saresti l’unica cosa che non correggerei, né col rosso né col blu.
Se non sei tu l’amore, l’amore non esiste.”
Forse quei pensieri erano un po’ troppo prematuri dopo nemmeno un’ora con cui ci aveva parlato, ma quei pochi istanti in cui l’aveva osservata col cuore -non con gli occhi- gli erano bastati per capire che lei sarebbe stata la sua vita. Di lei non conosceva nulla, nemmeno il nome, ma guardando intensamente i suoi occhi ci ha visto dolore, un po’ come il suo, ma anche bisogno di qualcuno. E lui in quel momento pensò: ‘lascia che ti salvi’.
La mattina dopo lui era ancora lì, occhi chiusi e labbra semi-aperte. Però i suoi pensieri erano fermi a “lui è ancora lì”.
Ha dato amore alle persone sbagliate che promettendo di restare, come vedi, non sono più qua.
Lei lo fissò a lungo, prima che si svegliasse e le sorridesse come se fosse una delle cose più belle.
«Buongiorno» le disse.
«’Giorno» ricambiò, ma evitando il ‘buon’.
«Dormito bene?»
«Ho urlato?»
«No»
«Ho pianto?»
«No»
«Allora comincia a sentirti importante» concluse alzandosi e camminando verso il bagno.

 
§§§

«Come ti chiami?»
«Louis»
«Quanti anni hai?»
«Ventidue»
«Cosa ci fai qua?»
«Sono bipolare, ho quasi ammazzato la mia ex ragazza»
Quelle parole gli uscirono veloci dalla bocca e non poté rendersi conto di quello che aveva detto. Lei lo guardò a lungo, poi parlò e sorrise leggermente.
«Penso che ora tocchi a me» sospirò, passandosi più volte la mano color porcellana, tra i suoi capelli color carbone.
«Mi chiamo Sonia. Ho vent’anni e sono qui per aver tentato il suicidio due volte» l’ultima parte la disse velocemente, tenendo gli occhi chiusi per non vedere la sua espressione disgustata, quella che facevano tutti prima di giudicarla.
«Perché lo hai fatto?»
«Problemi»
«Quali problemi?»
Louis rimase calmo mentre faceva quelle domande, al contrario di lei che guardava da una parte all’altra della stanza pur di evitare i suoi occhi tanto tristi e spenti.
«Io.. ecco.. insomma..» ci pensò a lungo, non sapeva dare una risposta che non fossero parole staccate, prive di significato prese tutte insieme, ma che da singole potevano racchiudere tutto il male che c’era dentro di lei.
Cominciò ad elencarle.
«Depressione. Stress. Dolore fisico e mentale. Ansia. Panico. Rabbia. Ira. Pregiudizi. Morte. Insulti. Bullismo.» si fermò a quest’ultima, sentendo le lacrime minacciare di scendere e una forte pressione sui polsi, segno che voleva provocare l’ennesimo taglio su quella pelle lattea.
«Piangi, urla, urla tutto quello che provi, prendi a pugni il cuscino, prendi a pugni il mio petto oppure abbracciami. Fa quello che vuoi, ma non tenerti tutto dentro. Fai quello che ti riesce meglio, ma sfogati perché ti stai lacerando all’interno» disse lui, prendendola dalle spalle e scuotendola lievemente.
Le lacrime salate scendevano lungo il suo viso ininterrottamente e lei teneva lo sguardo basso.
«Vado.. vado un attimo in bagno» disse soltanto, alzandosi e correndo verso esso.
Bussarono alla porta, sempre color bianco, e l’infermiera entrò.
«Tomlinson, cosa ci fa lei qui? Deve lasciare in pace i pazienti. Quante volte dobbiamo ripeterglielo?» si alterò leggermente la signora sulla quarantina, anni pari a tutte le volte che aveva detto al castano di restare chiuso nella sua stanza e, in poche e semplici parole, non rompere i coglioni perché loro stanno lavorando.
«Mi dispiace, ero incuriosito dalla ragazza ed è stata sola troppo tempo» si giustificò, dicendo soltanto la verità.
«Beh, non si preoccupi. Qui ci sono i suoi genitori che vorrebbero vederla. Forza, l’accompagno nella sua stanza e veda di non farsi più ritrovare qua!» bruscamente lo prese per un braccio e lo trascinò via, sotto gli occhi di Sonia che era appena uscita e i genitori che stavano ad aspettare fuori dalla porta.

 
§§§

«Mamma sto bene, davvero» la ragazza ripeteva quelle parole a lungo, come se fossero state imparate a memoria e fosse l’ora di recitarle con enfasi, come se fossero vere.
«Amore guarda quanti vestiti nuovi ti ho comprato!» la madre continuava a fargli vedere oggetti, vestiti, scarpe..
«Papà?»
«Mh?»
Il padre continuava a messaggiare con i suoi colleghi per vari contratti assai importanti. Oh, giusto, per lui erano tutti ‘contratti assai importanti’.
«No, nulla»
«Robert, smettila con quel cellulare! Tua figlia ha bisogno di attenzioni, non vedi?» lo rimproverò, ormai, l’ex moglie.
In quel momento, però, Sonia avrebbe voluto urlare un grande e potente “VAFFANCULO” per l’ultima parte che aveva pronunciato. Attenzioni? Ma attenzioni di ché? A lei servivano un ‘padre’ e una ‘madre’, degni di essere considerati tali. Aveva bisogno di affetto. Aveva bisogno di quel ragazzo dagli occhi tanto belli quanto tristi.
E’ proprio vero: a volte bisogna mancarsi per capire di amarsi.
Quel ragazzo non c’era da circa un’oretta -o così sembrava a lei- e già le mancava profondamente, come se fosse tutto ciò di cui lei aveva bisogno per stare bene, per respirare, per continuare a vivere senza cadere in un baratro senza fine.
«Piccola, dai, vatti a cambiare che oggi esci di qui» sorrise tutta contenta Stefania, la madre.
«Sì, mamma» sospirò triste.

«Mamma, io vado un attimo di là» disse lei, senza che la madre la stesse realmente ascoltando.
Sonia si ricordò di aver sentito dire da una delle infermiere “Tomlinson, stanza numero 103” e non era molto lontana dalla sua, la numero 107.
Attraversò il lungo corridoio azzurro sporco ed arrivò davanti quella stanza. Bussò leggermente, ma lui sentì uguale e urlò un “avanti” con tono abbastanza scocciato.
Entrò e le si presentò davanti un Louis avvolto in un pigiama grigio, mentre teneva in mano un bicchierino con una pillola bianca, una blu e una gialla; nell’altra mano teneva l’acqua. La sua faccia era a dir poco disgustata.
Senza nemmeno guardare chi fosse davanti a lui, ingoiò tutte e tre le pillole e le ingurgitò insieme all’acqua.
Poi alzò lo sguardo e alla vista della ragazza in piedi, tutta ben messa, gli spuntò un sorriso. Esso venne ricacciato indietro da una domanda ‘Cosa ci faceva ben vestita e con il giubetto?’.
«Non me lo dire» disse soltanto, sentendo già gli occhi pizzicare.
«Mi dispiace, Louis.. non lo sapevo nemmeno io..» disse soltanto.
Il ragazzo si asciugò le poche lacrime scese con la manica del pigiama, poi si alzò e la ragazza ebbe paura per un attimo.
«Tu non puoi lasciarmi!» la prese per le spalle come quella mattina, ma sta volta più violentemente.
«Non puoi! Non voglio!» continuò, dandole una spinta che la fece cadere atterra.
Ammettiamolo, non ci voleva molto a far cadere una ragazza sottopeso.
Lei lo guardò impaurita, mentre lui si metteva le mani tra i capelli e li tirava leggermente; intanto le lacrime avevano ricominciato a scorrere veloci sulle sue guance.
I suoi occhi diventati ancora più scuri, si rifletterono nei suoi chiari come la neve, il ghiaccio.
Sonia si alzò frettolosamente, ma prima che potesse varcare la soglia della porta, Louis sembrò ritornare in sé e la fermò prendendola per il polso, stando attento a non farle troppo male.
«Non andartene, urlami contro che mi odi, che te ne vuoi andare perché ti sei rotta, ma non lo fare. Ho bisogno di te»
La ragazza si fermò, con le lacrime che cadevano sul pavimento bianco.
«Ho solo bisogno di stringerti» disse lei girandosi e tenendo le braccia lungo i fianchi.
Lui allargò le braccia e le intrecciò attorno il suo collo, inspirando il profumo dei suoi capelli e fermando le lacrime.
«Promettimi che ci sentiremo»
«Verrò tutti i giorni, te lo prometto»
Detto questo si staccarono entrambi di malavoglia e si scambiarono i numeri di telefono, in modo da sentirsi ogni mattina, ogni sera e ogni minuto di quelle lunghe giornate che sarebbero arrivate.

 
§§§

Sonia arrivò presto a casa e subito si rinchiuse nella sua stanza.
Era molto bella quella camera, a mio parere, la più bella di tutta la stanza.
Era colorata di un azzurro acceso alle pareti e su di esse svariati poster e disegni su cantanti, ma anche vecchie amiche e compagni. Alcune foto di lei da piccola erano appese, altre incorniciate e messe in ben vista sulle mensole in mogano, dipinte di bianco, attaccate simmetricamente al muro. Alla destra si poteva vedere un'alta libreria, piena zeppa di libri su ogni storia, ogni tipo e forma. Dai libricini dell’asilo, a quelli da trecento pagine. La maggior parte erano storie d’amore, sovrannaturale e in giallo; molti d’avventura, altri di poesie. Ma tutti letti e riletti da lei. Nessuno aveva il diritto di toccare quel piccolo angolino dove si rifugiava quando aveva bisogno di evadere da questo stupido mondo ed entrare in uno fatto di magia, di delitti, di cose belle, un mondo fatto per lei.
Alla parete davanti la porta c’era il suo letto singolo, rifatto con lenzuola bianche a pois e un piumone blu oceano. Ai piedi del letto c’era un enorme tappeto azzurro sbiadito che ricopriva buona parte del marmo, ben curato e bianco, del pavimento.
Vicino la porta c’era una scrivania molto grande, ma soprattutto disordinata. Credo che il disordine di una persona sia direttamente proporzionale al disordine dei nostri pensieri, problemi. Su essa c’erano diversi libri e quaderni sparsi, un porta penne (anche se non serviva a molto, dato che erano dappertutto. Dentro ai cassetti teneva luci, bracciali, collane, orecchini, elastici, trousse, altri foglietti, foto e l’unico chiuso a chiave era quello del suo diario segreto.
Lui era l’unico al mondo che sapeva ogni pensiero, ogni cosa che le accadeva, ogni sentimento che sentiva in quei momenti e le sue reazioni -che apparentemente non c’erano.
Sonia spostò lo sguardo sui vari peluche sistemati per terra e ai vestiti sparsi un po’ dappertutto.
Si distese sul letto prendendo il suo cellulare e le cuffiette; accese la musica e la mise a palla. In tutto quel silenzio, solo lei riusciva a sentire il caos creatosi nella sua testa.
Scorreva la rubrica cercando il suo nome, l’aveva soprannominato ‘occhi tristi’ e lui ‘occhi glaciali’.
Entrambi, da una parte, avevano ragione.
“Già mi manchi” scrisse, ma non lo inviò. Cancellò tutto “Cosa fai di bello senza di me?” ‘no, troppo appiccicoso’, pensò. “Ehi” scrisse soltanto e prima che potesse ripensarci, lo inviò. Le mani le tremavano ed era così intenso il sentimento che provava per lui, che riusciva a farle tremare anche il cuore appena le rispose: “mi manchi”.
“Come faccio a mancarti?” scrisse lei.
“Ti sembra così strano? Tu.. mi hai rapito il cuore, davvero” rispose lui, un po’ tentennante.
Lei non sapeva come rispondere e forse passò un po’ troppo tempo a pensarci che lui si rattristò e cominciò a piangere, pensando di aver sbagliato qualcosa, pensando di essere sbagliato. Le venne in mente una delle tante cose vere, non sapendo cosa altro rispondere.
“Sai, a volte sorrido e solo dopo mi rendo conto che ti stavo pensando”
Appena il cellulare vibrò nelle mani di Louis, spalancò gli occhi e aprì velocemente il messaggio. Leggendo, automaticamente sorrise.
“Io sorrido sempre da quando ti ho vista la prima volta, solo perché esisti”
“Ho bisogno di vedere il tuo sorriso” gli scrisse lei, sentendo l’impulso di abbracciarlo, anche se non era lì.
«A tavolaaa» urlò la madre, vicino la sua stanza.
«Arrivo» si limitò a rispondere, nemmeno a voce tanto alta.
Prese cellulare, cuffie e si precipitò nel piano di sotto per pranzare. In realtà non aveva molta fame, ma il dottore aveva riferito ai suoi genitori del suo sottopeso e la madre l’avrebbe obbligata a fare doppia razione.
Si sedette e riempì il piatto con della pasta. Ci mise circa mezz’ora per finire mezzo piatto, neanche fosse un piatto completo. Aprì il messaggio appena ricevuto: “Allora vieni, perché io non riesco a stare senza di te per molto”.
Sorrise veramente.
«Sonia.. vuoi spiegarmi perché hai tentato di suicidarti? Io e tuo padre ti diamo tutto: vestiti, una cultura, oggetti, sol-»
«Mamma! A me non me ne frega niente di tutte queste futili cose! Io voglio affetto, voglio una vera famiglia!» urlò con tutta la rabbia inverterata. Finalmente dava sfogo a tutto.
«Ti diamo anche quello, con tutti questi regali» spiegò tranquilla la madre, come se pensasse di avere realmente ragione. Ma lo sapeva, sapeva benissimo che stava sbagliando fin dal primo momento. Prima con la sorella, poi con lei.
«A me non servono beni materiali, quando lo vorrai capire? Devo finire come Angelica? Devo ricordartelo cosa è accaduto?!» urlò nuovamente, sentendo un dolore al cuore nel ricordare la sua sorellona.
«Me ne vado di qui! Non cercarmi, tornerò quando starò bene» disse, andando in camera sua e preparando uno zainetto con alcuni vestiti, parecchi soldi e la foto di Angelica.
Giubetto, cappello, sciarpa, guanti e zaino in spalla. Sembrava dovesse andare in guerra determinata com’era. Uscì dalla casa e il primo posto in cui si diresse, fu proprio l’ospedale, in quel momento le serviva assolutamente Louis.

 
§§§

«..quindi eccomi qua» finì di raccontare lei e lui le guardava le labbra, ascoltando distratto. Avrebbe preferito baciarla.
«Angelica è tua sorella?»
«Sì»
«Vuoi parlarmi di lei?»
Sonia non parlava di sua sorella dal giorno in cui morì, il tredici Marzo di tre anni fa.
«Angelica era di 5 anni più grande di me, aveva la tua stessa età: ventidue anni. Eravamo molto simili, sia comportamento che fisico. Lei aveva i capelli poco più chiari di me, sul castano molto scuro e lisci; gli occhi più sull’azzurro rispetto ai miei e la pelle identica, ma labbra un po’ più carnose. Amava leggere e spesso durante le notti d’estate ci rifugiavamo dentro la mia camera e leggevamo svariati libri insieme, sulla maggior parte ho la sua firma e in quelli che mi ha portato lei, una dedica sull’ultima pagina -quella la scoprivo sempre alla fine, perché diceva che se lo finivo tutto mi meritavo di leggerla, infatti inizia sempre con un ‘Brava! Hai letto fino alla fine questo splendido libro ed ora puoi goderti la mia speciale dedica..’» ricordò teneramente.
«Eravamo molto legate fin da quando sono nata ed entrambe abbiamo fatto la stessa scuola: il classico. Lei era molto solare e proprio come me odiava i nostri genitori.. soprattutto dal giorno in cui si separarono. Da lì mi è stata sempre vicina perché cominciai ad essere molto più triste di prima, cominciai a piangere tutte le notti ed andare male a scuola. Mia sorella non riusciva a reggere tutti i problemi, doveva anche pensare a lavorare, a passare del tempo con il suo fidanzato Thomas, non poteva perdere tempo con me che avevo 17 anni e dovevo cominciare a badare a me stessa, presto me ne sarei andata di casa. Poi.. arrivò il tredici Marzo, apparentemente un giorno normale, ma non per noi che avevamo litigato con i nostri genitori, lei mi aveva presa e portata via di casa per andare da Thomas. Ricordo che la sentì dirgli tra le lacrime “Ti amo, ti amo tantissimo.. prenditi cura di mia sorella” e lo baciava, tenendolo stretto; poi venne da me e mi strinse forte tra le braccia, mi diede un sacco di baci sulla guancia e mi disse che dovevo tenere duro anche in questi momenti» prese un grande respiro.
«La sera stessa Thomas la chiamò trentaquattro volte, dopo un giorno e una notte chiamammo la polizia. La trovarono cinque giorni dopo, sulla riva di un fiume. Dissero che era suicidio: strangolamento. Ed io gli credetti, ricollegando le parole che disse poco prima di andarsene» concluse piangendo, con qualche singhiozzo ogni tanto.
Louis l’abbracciò di scatto, stringendola molto forte e dandole molti baci tra i morbidi capelli.
«Era la sera del ventiquattro Maggio» cominciò a raccontare il ragazzo dagli occhi tristi.
«Io e la mia ex ragazza, Jennifer, eravamo usciti con un gruppo di amici per stare in un pub molto famoso nella mia vecchia città: Doncaster. Ricordo che bevvi molto, ma tanto tanto, fino al punto che non capivo più niente e la testa mi girava. Così Jennifer volle portarmi a casa sua, tanto eravamo da soli. Lei era una ragazza fantastica, una di quelle belle da morire, belle da vivere. Una di quelle che se si innamorava di te, dovevi ritenerti il più fortunato essere in tutto l’universo, perché una come lei non la trovi così facilmente. Era un’amante degli animali, dei telefilm, dei cartoni animati, dei film di Natale. Era così bella.. occhi scuri e capelli biondi, labbra carnose e rosee, pelle leggermente abbronzata, era magra e non molto alta, più o meno come te» sorrise inconsciamente, facendole battere velocemente il cuore, ma la sua espressione era leggermente contrariata. Gelosa, forse? Sì. Ma la gelosia è solo dispiacere nel constatare quanto siamo facilmente sostituibili.
«Era gentile, altruista, buona, educata, non alzava mai la voce e si arrabbiava raramente con me perché si rifugiava nella frase “Amami quando lo meriterò di meno, perché sarà quando ne avrò più bisogno”. Io, a parere suo, ne ero a favore.. non so quanti guai combinai in due anni e mezzo di relazione, ma so solo che mi ha sempre perdonato e quando lei sbagliava, praticamente mai, io c’ero sempre.. ogni secondo di più» sospirò, poi ricominciò a parlarne.
«Ritornando a quella sera. Eravamo appena tornati a casa e ricordo chiaramente di aver immaginato che ci fosse un ragazzo simile a me nel fisico, ma nello stesso tempo diverso e stava baciando e toccando dappertutto la mia ragazza, quando in realtà lei era andata in camera per preparare il letto e farmi distendere insieme a lei. Quali ragionamenti può fare un ragazzo bipolare e per di più ubriaco fradicio? Andai diretto, urlandole contro cose improponibili, nella sua stanza. Ricordo i suoi occhi così spaventati.. aveva paura, e faceva bene! Sono un mostro, me lo ripeterò sempre. Cominciai a prenderla a schiaffi, calci, spinte per terra.. mentre lei urlava “Perché” “Non sei in te” “Ti prego Louis ritorna” “Ti amo” ed io continuavo a ripetere “Cosa ci facevi con quello lì?” “Mi tradisci” “Mi stai mentendo”, non ero in grado di capire che quella era solo un’illusione creata dalla paura di perderla. Come i sogni.. quanto avrei voluto che fosse solo quello. Smisi per le quattro di notte: avevo continuato imperterrito per un’ora. L’avevo picchiata molto e stava, svenuta, in un angolo della camera. Mi alzai per le otto di mattina e vedendola lì, piena di sangue e lividi in ogni punto del suo corpo, cominciai a piangere e sfiorarla, scuoterla. Subito chiamai un’ambulanza, sentendo che ancora c’era polso, anche se non molto. Arrivarono nel giro di due minuti perché era un codice rosso. Stette in coma per diciassette giorni ed io non mi allontanai mai dalla sua stanza, mangiavo poco e male, bevevo solo caffè per restare sveglio la notte. Quando si risvegliò, io stavo dormendo e mi svegliai a causa delle sue urla che chiedevano aiuto a qualcuno. Io mi alzai e cercai di abbracciarla, ma lei mi spingeva, non voleva mi avvicinassi. Lì per lì mi arrabbiai molto ed ebbi l’istinto di picchiarla un’altra volta, ma i medici intervennero e da lì seppi tutta la storia. Non mi incarcerarono per il semplice fatto che il dottore volle fare degli esami su di me e scoprì di essere bipolare, quindi in quel momento ero sotto un’incapacità temporanea, per cui la legge diceva che non poteva essermi fatto alcun “torto”, anche se io ancora adesso mi odio per quello che le ho fatto» finì il racconto, giocando con la manica del suo pigiama e tenendo sempre gli occhi bassi, tra sospiri e pause.
Sonia lo abbracciò forte.
«Ho visto e ora conosco la parte peggiore di te, ma credo ancora che tu sia il migliore» quelle semplici parole fecero scattare in Louis un qualcosa.. un qualcosa di magico.
Si staccò dall'abbracio.
La guardò intensamente negli occhi.
Poi la baciò.
Un bacio, puro, casto, uno sfioramento di labbra che vogliono possedersi in ogni modo.
Entrambi restarono senza parole.
Lui cominciò a darle dei dolci baci sul collo e la strinse forte, appena smise, lei si raggomitolò tra le sue braccia. La sua testa s’incastra a perfezione sulla spalla di lui, è quello il suo posto. I corpi non sono fatti per stare da soli, l’amore è un gioco a incastro. Devi trovare il pezzo giusto, devi inciampare e continuare a cercare, come il mare che abbraccia la sua spiaggia, perché senza di lei, non ci sarebbe lui.
«Io sono tuo, ma così tuo, che non potrò più essere di nessun’altro»
E lei ancora sentiva le sue labbra lì, sul suo collo. E i brividi, dio, così belli e intensi che le tremava anche il cuore.
«Sei la cosa più bella che sia mai stata mia» rispose lei, dicendo una frase così bella e così vera, piena di significato perché lei aveva posseduto tante cose, ma lui era diventata la più importante nel giro di due giorni. Possibile? In amore è tutto possibile perché è un gioco, un giro di fantasia, vuoi un amore da favola? Crealo, fai in modo che sia così, basta che l’amore c’è.
Lui sorrise, sorrise davvero e lei pensò che non c’era altra visione migliore di quel sorriso.
E si sono sdraiati vicini, con i cuori arresi.

 
§§§

Erano circa le sei di sera quando anche Sonia si svegliò.
«Da quanto tempo mi stai guardando?» chiese al castano.
«Giuro, starei ore a guardarti senza nemmeno una pausa»
Lei sorrise timidamente. Si stiracchiò, la manica della felpa scese leggermente sulle braccia e si alzò sulla pancia. Lo sguardo di Louis, fu catturato da quei tagli che lei velocemente coprì, accorgendosi di quello che era successo.
«Alla nostra età bisognerebbe nascondere i succhiotti, non i tagli» disse lui, tenendo lo sguardo fisso su un punto dietro di lui.
«Sai qual è la tua paura? Quella di non avere qualcuno a cui importi di te» continuò dopo un po’, spostando lo sguardo su di lei.
«Vedi Louis, ti vedono in lacrime e continuano a parlare dei loro problemi, poi ti dicono “sei sempre triste” ma non ti chiedono mai il perché. Chi conosce il dolore ne riprodurrà l’eco per tutta la vita, come le conchiglie fanno con il mare» finì il suo discorso, arrivato dritto, dritto nel cuore di Louis. Ma questo non lo smosse di un millimetro e si arrabbiò con lei.
«Tu non dovresti farti del male. Sei così bella, sei una ragazza fantastica! Non devi rovinarti!» le prese i polsi stringendoli fino a farle male.
«Non puoi capire, quando vedi quella lametta e sei da sola, da sola con te stessa, non riesci a pensare ad altro che “lei è l’unica amica, se non provo dolore, allora non fa effetto” e la prendi, tagli la tua pelle nelle parti del tuo corpo che odi, che odi così tanto.. ma così tanto che vorresti prendere e strappare via. Ti odi talmente tanto che pensi “dietro ogni sbaglio ci sono” perché sono una delusione per i miei genitori, amici, animali, ossigeno, case e mobili. Tutto» lei aveva le lacrime agli occhi mentre pronunciava quelle dolorose parole e lui, fermo nel suo posto, non la lasciava andare.
«Hai il cuore di pietra!» urlò lei, non preoccupandosi di essere in un ospedale e che a quest’ora la maggior parte dei pazienti anziani già dormiva.
Lui le prese la mano e la mise sul suo petto.
«Secondo te le pietre vanno così veloci?» chiese, sapendo già la risposta.
Il suo battito accelerato.
«A volte ho paura che crolli tutto quanto» ammise, più a sé stessa che a lui.
La strinse forte, perché il meglio sono gli abbracci, non i baci o cose del genere. Un abbraccio riesce a far star bene anche la persona con il cuore diventato polvere per le troppe delusioni, dolori ricevuti.
«Dovresti sapere che ho un bisogno disperato di te con me»

 
§§§

Sonia passò cinque giorni con lui, tra inganni agli infermieri e coccole dopo cena. Poi la costrinse a tornare a casa, dicendole quanto potessero essere preoccupati i suoi genitori.
Prese tutte le sue cose e andò, promettendo al ragazzo dagli occhi tristi che lo sarebbe venuto a trovare ogni giorno.
Aprì il grande portone di casa con il suo mazzo di chiavi e subito accorse la madre con gli occhi rossi dal pianto e un’espressione arrabbiata in viso.
«Dove sei stata? Io e tuo padre eravamo preoccupatissimi!»
«Strano, per vent’anni non ve ne siete mai preoccupati. Questi tre anni sono stati i più difficili che abbia mai passato e voi continuavate a chiedermi se avevo fatto i compiti, invece che di chiedermi se avevo bisogno di parlare» parole taglienti come una lama d’argento appena finita. Parole che arrivarono dritte nell’anima, a lacerarla e renderla sottile come un foglio. Un’anima che già aveva sensi di colpa da per sé, ma ora triplicati. La madre annuì, lasciandola sola.
Sonia si chiuse a chiave dentro la camera e dormì per tanto, forse troppo tempo.
Si risvegliò nel buio della notte del giorno dopo, non capendo come fosse possibile. Poi si rispose da sola: lo stress accumulato e poi dissolto fa questo effetto.
La mattina che venne decise di andare al cimitero per trovare sua sorella. Ricordava a memoria la strada.
Le prese quarantacinque rose rosse, belle, grandi e profumate. Erano i suoi fiori preferiti. Le piantò sulla tomba, facendo un piccolo buchetto e tenendola in piedi con dei grandi sassi bianchi che avevano dipinto a sei e undici anni.
Cominciò a raccontarle di quei giorni passati con Louis, l’unico che sapesse tutta la storia, l’unico con cui aveva parlato di sua sorella liberamente anche se sentendo un po’ di dolore. E non si accorse, ma le brillavano gli occhi quando parlava di lui, perché lui era l’unico che le faceva brillare anche il cuore. Poi le disse queste parole, a parer mio, bellissime.
«Tutti siamo fatti così.
Ci innamoriamo di chi è in grado di tenerci testa, di chi non cede, di chi ci sfida, di chi è misteriosamente affascinante, di chi è in grado di distruggerci, di chi è il nostro degno avversario, quello con il quale siamo alla pari per gusti e pensieri.
Ci innamoriamo dell’impossibile perché siamo fatti così.
Infondo, ci innamoriamo di chi assomiglia a noi ma non ha tutti i nostri difetti, o li ha ma li rende perfetti»
Passò tutta la mattina e parte del pomeriggio così: seduta accanto la tomba di sua sorella, a guardare il cielo e pensare a quel ragazzo dagli occhi tanto perfetti quanto tristi.
Verso le quattro e mezza del pomeriggio si alzò e, sentendo il cuore più leggero, andò a trovare Louis.
Entrò nella hall e lo vide: tutto ben vestito con un borsone enorme in mano. Lui si girò e, come un riflesso incondizionato, sorrise e le corse incontro abbracciandola.
«Mi hanno dimesso!» urlò felice, sotto il tenero sguardo delle infermiere che lo avevano conosciuto, ma anche rimproverato parecchie volte.
Finì di firmare alcuni fogli e uscirono, andando subito al parco.
Louis era estasiato da tutto, sembrava un bambino mentre guardava il mondo per la prima volta e ne restava così incantato con gli occhi da sognatore.
Sorrideva a tutto, ma il più bello lo riservava soltanto a Sonia, che rideva ogni tanto per le facce buffe di quel ragazzo tanto bello e divertente.
«Facciamo delle foto! La mia camera ne ha bisogno: ci sono solo io neonata!» rise e il ragazzo la seguì a ruota.
Entrambi pensarono che miglior suono non c’era.
Così, passarono una delle più belle giornate insieme.
Fin’ora stavano soltanto sopravvivendo, ma ora cominciavano a vivere davvero.

 
§§§

Era passata una settimana da quando si erano parlati la prima volta il tredici Novembre.
«Louis.. ma noi cosa siamo?» domanda inaspettata e colma di speranze in una risposta che la completi.
«Io.. non lo so Sonia. Vorresti essere la mia ragazza?» chiese lui, non capendo che lei non aspettava altro.
Lo baciò con impeto, fiondandosi sulle sue labbra nel mezzo della piazza, sotto gli sguardi curiosi di bambini e quelli ripugnati di adulti e anziani.
Sonia prese il cellulare e prima che si staccassero, fece una foto di quel momento. Mise subito l’immagine come sfondo e il giorno dopo l’avrebbe fatta sviluppare in grande e in piccolo, così da portarla sempre con sé.
«Sei bellissima»
«Tanti giri di parole per dare una definizione alla bellezza. Ci vuole tanto a dire che “la bellezza” è tutto ciò che ci emoziona?» disse lei.
«Bene.. e se io ti dicessi che tu mi emozioni così tanto da farmi perdere tanti, tanti, tanti battiti; però, li recupero tutti appena tu mi guardi con quegli occhioni dolci e glaciali?»
La ragazza rimase senza parole, poi fissò gli occhi di Louis.
Erano diventati più accesi, di quel grigio vivo e bello. Bello come lui. Ormai non erano più tristi, ma felici.
«Hai imparato a sorridere anche con gli occhi» gli fece notare lei.
«Non l’ho “imparato”, è successo grazie a te. Te l’ho detto mille volte. Tu mi fai sorridere anche col cuore»
Con quelle parole andarono avanti nella passeggiata, scambiandosi dei bacetti dolci e casti di sfuggita, come se dovessero nascondersi da qualcuno.

 
§§§

‘Messaggio ricevuto il 22 Novembre alle 3.30 da: Occhi felici.
Mi sa che mi piaci un po’ tanto.
E non mi interessa se dici che non sei quella
giusta perché per me non sei quella giusta,
sei strafottutamente perfetta!
Tu e tutti i tuoi difetti mi rendete felice;
non sparire: le tue paure addormentale con me.’

Sonia sorrise ampiamente alla vista di quel messaggio, ricevuto nel bel mezzo della notte, segno che lui la pensava davvero ogni momento.

‘Messaggio ricevuto alle 3.40 da: Occhi glaciali.
E’ che magari non sarai il ragazzo più bello del
mondo né quello più intelligente. E spesso fai
pensieri strani, scrivi male, sei lunatico e non
mi chiami mai ‘piccola’ come piace a me.
E te lo giuro che mi fai incazzare come una bestia
con i tuoi momenti no, e ti riempirei la faccia di
schiaffi quando non rispondi ai messaggi.
Ma io ti amo anche così.’

Louis sorrise ampiamente alla vista di quella risposta, ricevuta nel bel mezzo della notte, segno che lei anche se preferiva dormire, aveva avuto la premura di rispondere al suo messaggio.

‘Messaggio ricevuto alle 3.41 da; Occhi felici.
Buonanotte piccola, ti amo tantissimo.’

E quel messaggio bastò per far addormentare Sonia con il sorriso.

 
§§§

Sonia guardò la data sul cellulare, poi la scrisse sulla lettera: 3 Dicembre.
La rilesse ad alta voce.
“Caro Louis,
qui in montagna fa molto freddo e mi manca da morire il calore del tuo corpo. Sono solo due giorni che non ti abbraccio e già sento la tua mancanza. Purtroppo qui non prende campo e vorrei solo telefonarti, giusto il tempo di dirti che qui il paesaggio è magnifico, ma che tu sei diecimila volte meglio. Vorrei solo telefonarti e dirti che non smetto di pensarti neanche un secondo. Come farò a stare lontana da te altri sette giorni?

Tua, sempre, occhi glaciali.”
Era una lettera molto corta, al ragazzo castano non sarebbe importato. L’importante era sapere che lei gli avrebbe scritto ogni due giorni fino a che non sarebbe tornata tra le sue braccia.
La mattina dopo Louis ricevette quella lettera e quando la lesse, gli tremò il cuore. Eh, l’amore vero è il più bello.
Quel pomeriggio Louis decise di andare al cimitero per far visita ad una cara persona.
La strada la riconosceva ormai, cinque tombe a destra, tre tombe avanti e altre tre a destra.
Si sedette accanto sol tronco dell’albero, posto proprio poco avanti la tomba e più a destra, ma prima posò il narciso su di essa.
«Ciao Harry» disse soltanto, sorridendo amaramente.
«Mi mancavi, sai? Sono stato rinchiuso sei mesi in un ospedale» sospirò.
«Ma non sai cos’è successo.. o meglio lo sai, ma non rovinarmi le sorprese!
Lì ho conosciuto una ragazza bellissima, dolcissima, simpaticissima.. insomma, è tutto quella ragazza! Ancora devo farci l’amore. Però.. ecco.. lei non sa una cosa.
Harry, non sgridarmi. Non so proprio come dirglielo.. è difficile.. mi rimangono pochissimi giorni, per l’esattezza tredici» fece una pausa.
«Questo numero mi perseguita: tredici Marzo è morta sua sorella, tredici Novembre è quando ci siamo parlati per la prima volta e tredici sono i giorni che mi rimangono prima che muoia» alzò lo sguardo al cielo che oggi era stranamente sereno, nonostante avesse piovuto fino a due giorni prima.
«Non so proprio come dirglielo. Vorrei avere più tempo.. insomma.. lei mi sta dando tutta sé stessa ed io? Io cosa faccio per ripagarla? Niente. Le sto solo mentendo. Ma non sul fatto che la amo, perché quello non può metterlo in discussione nessuno: io la amo più della mia stessa vita. Non voglio che la morte mi porti via da lei. Prima di conoscerla mi ripetevo “Non ho paura di morire, ho paura di vivere così” ed ora mi ripeto “Non ho paura di morire, ho paura di perderla per sempre”. E non è vero, Harry, che ci ricongiungeremo in un’altra vita o lassù dove stai tu, perché io andrò all’inferno per quello che feci a Jennifer, mentre di lei perfino il diavolo l’amerà talmente tanto da mandarla su in paradiso, dove Dio vedendola non chiederà nulla perché il suo viso tanto bello, aggraziato, tenero e infantile lo soggiogherà e se ne andrà lì da te. Ma tu parlale di me, dille tutti i momenti passati insieme, tutto quanto. Voglio che sappia quanto l’amo. Magari dille anche di come parlavo di lei tredici giorni prima di morire. Dille tutto perché io non credo riuscirò a farlo»
E con questo si congedò, respirando a pieni polmoni l’aria che arrivava e facendo sorridere al solo pensiero di lei, Louis.

 
§§§

Data: 5 Dicembre.
“Caro Louis,
so che non mi risponderai alle lettere.. ma mi manchi tantissimo.
Fra cinque giorni saremo di nuovo insieme e voglio fare tante cose con te.. anche se ce ne sarà molto di tempo: tutta la vita.
Sì, Louis Tomlinson, voglio passare tutta la mia vita con te perché sei una delle cose migliori che mi sia accaduta in tutti e venti i miei anni.
Ti amo tantissimo, occhi felici.

Tua, occhi glaciali.”

Leggendo quella lettera, Louis si mise a piangere. Tutta la vita? Loro non avevano tutta la vita.
Si preparò il discorso da dirle il giorno stesso in cui sarebbe tornata.. anche se sperava davvero con tutto il cuore che lo avrebbe perdonato, senza lasciarlo. Lui aveva un bisogno disperato di lei, non poteva vivere. Sarebbe morto il giorno stesso, sicuramente.
Prese le solite pillole: quella bianca per la bipolarità, quella blu per il tumore e quella gialla per il cuore.
Perché un organo che dovrebbe farti vivere il più possibile e che fa male, tanto male quando si soffre, in realtà è anche quello che da un momento all’altro potrebbe farti morire? E’ uno stupido controsenso.
Louis si preparò e andò all’ospedale per fare delle analisi del sangue e delle ‘tac per vedere a che stato è avanzato quello stupido tumore insediatosi in quello stupido cuore.
«Ciao Louis» lo salutò tranquilla l’infermiera Elizabeth, sorridendo cordialmente, ormai abituata a vederlo lì minimo una volta al mese.
«Ciao Elizabeth, sei sempre più bella» si complimentò con lei, sapendo benissimo che fosse lesbica. Infatti lei rise per il suo patetico “finto flirt” come lo chiamavano loro due.
«Buon pomeriggio, dottore» salutò gentilmente il suo medico che lo seguiva da circa un anno.
«Ciao Louis, come stai questi tempi..?» chiese lui, interessandosi al paziente.
«Mentalmente molto, molto, molto meglio grazie a quella sua ex paziente: la signorina Sonia Clarton» sorrise a trecentosessanta gradi pronunciando il suo nome.
«Oh, sì. La ragazza che era qui per il suicidio.. e lei? Sta meglio?»
«Sì, credo grazie a me, modestamente» risero leggermente.
«Comunque.. fisicamente non ci siamo. Passo la maggior parte del mio tempo sul letto, sento la testa e il petto pesante, ogni tanto qualche fitta allo stomaco e non ho mai abbastanza energia. Sono due giorni che ogni notte vomito e spesso sento il cuore fermarsi due-tre secondi e poi ripartire più velocemente, quasi non pompasse sangue per quel lasso di tempo e si accumulasse e disperdesse tutto in un botto» spiegò a raffica, preoccupandosi di non tralasciare alcun dettaglio.
«Capisco.. ormai Louis sono rimasti soltanto undici giorni, lo sai bene.. andrai col peggiorare ed ora è anche inutile darti le medicine. Mi dispiace molto, sei così giovane..» il dottore era un uomo umanitario, pochissimi pazienti erano morti -se non per malattie incurabili come tumori, leucemia, sclerosi multipla, ads, ecc..
Louis fece gli ultimi controlli e se ne andò, triste e sconsolato.

 
§§§

Data: 7 Dicembre.
“Caro Louis,
qui è una noia mortale, non ne posso più. Fortuna che fra tre giorni sono di nuovo da te.. non posso crederci!
Ogni sera guardo la nostra foto insieme, quella del primo vero bacio. Lo ricordo come se fosse ieri.
Sono bastati due secondi. Due maledettissimi secondi, uno sguardo e quel bacio. Non me lo scorderò mai e spero nemmeno tu perché è stato il momento più bello di sempre.
Che poi non volevo innamorarmi, niente affatto. Solo che a un certo punto hai sorriso e, porca merda, ho rovinato tutto!
Grazie di farmi sempre sorridere, occhi felici.


Tua, occhi glaciali.”

Louis sorrise teneramente. E come scordarselo quel bacio? Era stato il più bello in assoluto che avesse mai dato ed era soltanto uno sfioramento di labbra.
Questo è essere innamorati, oh sì.
Quel pomeriggio avrebbe chiamato la madre e le sorelle, per passare gli ultimi tre giorni con loro. Gli altri 6 giorni sarebbe stato con lei, questo è certo.
“Mamma? Sono io, Louis..”
“Oh, amore mio. Come stai?”
“Mamma, mi rimangono solo undici giorni. Vi andrebbe di passare del tempo con me? Mi mancate”
La madre si sentì mancare. Per tanto, troppo tempo, aveva ignorato il tumore di suo figlio, rassicurandosi col “è giovane, abbiamo ancora tempo, possono trovare una cura, guarirà presto”; ma ora si trovava davanti alla perdita di lui e non poteva far altro che dirgli un “sì” apparentemente sicuro, ma che racchiudeva il dolore che solo una madre può provare.
Il giorno stesso, precisamente tre ore e mezza dopo, arrivarono: la madre Johannah e le quattro sorelle più i due nuovi arrivati: Lottie, Fizzy, Daisy, Phoebe, Doris e Ernest.
Louis prese in braccio Daisy e Phoebe, poi abbracciò Lottie e Fizzy e infine tenne sempre in braccio i neonati Doris e Ernest. Venne sempre coccolato.
Lottie e Fizzy gli raccontavano delle loro cotte, della scuola, degli amici e delle amiche nuove e vecchie.
Daisy e Phoebe si divertivano a giocare a chiapparella, nascondino, coi trucchi delle sorelle sul suo viso e con i suoi poveri capelli.
Doris e Ernest invece dormirono con lui nel lettone. Erano ancora molto piccoli, nemmeno un mese avevano, ma tutti ne erano innamorati per quanto belli e silenziosi.
Johannah passò per le camere e coprì le quattro ragazze, poi arrivò a quella di Louis e si mise accanto a lui e i due gemelli, coprendo tutti e tre con un caldo piumone.
Già sentiva le lacrime scendere sul suo viso. No, non poteva e non voleva perdere il suo bambino. Anche se ormai aveva ventidue anni, per lei ancora era “il suo bambino”. Non sarebbe mai cresciuto, quel piccolo Peter Pan leggermente più alto e più maturo.
Lui era il primo genito, quello che avrebbe dovuto aiutare a calcio i suoi fratelli e fare l’interrogatorio ai futuri fidanzati delle sorelline. Quello che sarebbe venuto a casa con la futura moglie, per una festività o un semplice pranzo in famiglia. Quello che le avrebbe dato dei nipoti, belli come lui e che quando sarebbero venuti, avrebbero giocato con i piccoli zii e zie. Quello doveva fare Louis, ma non andarsene così presto, lasciando sola tutta la famiglia, con un dolore pesante come un macigno sul cuore. Ecco, cosa sarebbe dovuto succedere.
Non voleva assistere al funerale di suo figlio, ma doveva essere forte per gli altri. Doveva riuscire ad andare avanti, sì.
Con quei tristi pensieri, Johannah andò a dormire.

La mattina dopo andò a fare una bella spesa per preparare un pranzo coi fiocchi! Ma quando tornò a casa, trovò una ragazza sconosciuta, poco più bassa di Louis, capelli neri e lisci, occhi di ghiaccio e pelle di porcellana.
«Sono a casa» urlò la madre, facendo finta di non averli visti in salotto.
«Mamma, vieni di qua! Devo farti conoscere una persona!»
Sonia era voluta tornare più presto con la scusa del “Mamma mi annoio, non so sciare, qui fa freddo e mi ammalerò” riuscendo a convincerla e farsi riportare a casa. Il suo primo pensiero? Louis, ovviamente.
«Mamma, lei è Sonia. Sonia, lei è mia madre, Johannah» sorrise Louis, felice di averla qui, ma sotto sotto triste per il fatto che presto avrebbe dovuto dirle la verità.
«Piacere cara» Louis le aveva parlato di una certa ‘Sonia’ per telefono un po’ di tempo fa.
«Bene, vado a preparare il pranzo! Louis vieni ad aiutarmi» disse Jay, facendogli intendere che doveva dargli spiegazioni su questa bella ragazza per non fare delle brutte figure.
«Se vuole l’aiuto anche io» si offrì lei, sorridendo gentilmente alla donna.
«No, no cara. Tu rimani pure qua. Mi guarderesti Doris e Ernest? Non vorrei che si facessero male, grazie» le chiese lei, in modo che non venisse in cucina.
Sonia annuì ed andò da quei piccoli, cominciando a giocarci.
«Spiegami qualcosa. Chi è precisamente?» gli chiese subito, appena si fu assicurata di aver chiuso bene la porta.
«E’ la mia ragazza, ha vent’anni e oggi.. beh, oggi dovrei.. dovrei dirle del mio tumore» la madre strabuzzò gli occhi.
«Non lo sa ancora?»
«No. Sa che sono bipolare, ma non sa del tumore.. spero che non la prenda tanto male, non posso vivere senza di lei, mamma» fu sincero Louis, guardando il pavimento con le mattonelle gialle.

Quella sera Louis e Sonia uscirono insieme, andando un po’ in giro per la città.
Andarono in cima ad una collina deserta, da cui si vedevano tutte le luci della città e loro si sentirono come sulla vetta del mondo, in cima a tutti, però forse erano troppo o non abbastanza per quel mondo che riservava per loro solo dolore, dolore per tutto. Quando ci sono quei periodi bellissimi, che tutto va bene, puntualmente arriva qualcosa che destabilizza l’equilibrio creatosi e ti fa cascare in un baratro senza fine.
«Sonia, io.. non ti ho detto tutta la verità su di me»
Lei si sentì un attimo mancar l’aria, stava per finire tutto?
«Io.. ecco.. in realtà non sono solo bipolare..» fece una pausa, cercando le parole giuste.
S’inumidì le labbra, pensando.
«Ho un tumore al cuore, ormai in stato avanzato e mancano dieci giorni prima che la mia vita finisca» disse velocemente.
Sonia si sentì morire: ecco il baratro.
Si alzò velocemente e si girò dall’altra parte. Louis era proprio dietro di lei, in piedi, pronto a prenderla se avesse voluto scappar via.
«Tu. Tu mi hai mentito tutto questo tempo, non è vero?» il rumore della sua voce spezzata creava un vuoto nel petto del ragazzo dagli occhi tristi.
«E scusami se per una frazione di secondo mi sono illusa di essere importante anche io» i singhiozzi erano tanti e sempre più veloci tra le lacrime, la frase spezzata riusciva comunque a far intendere il suo significato e far piangere anche Louis.
«Ma tu sei importante! Tu sei la cosa più importante della mia vita!» urlò, aprendo le braccia per enfatizzare il concetto. Ma lei non lo vedeva, girata di spalle, non vedeva il dolore nei suoi occhi. Le lacrime amare, che prima o poi sarebbero diventate nere da quanta malinconia, tristezza rappresentavano.
«Dovresti capire che ho un disperato bisogno di te con me. Sei l’unica che riesce a farmi sorridere davvero, lo sai. Con te ho cominciato a vivere davvero.. non era più una questione di sopravvivenza in questo stupido e orribile mondo! Era questione di vita, vita da passare con te. Non l’ho scelto io di avere questo tumore che vuole impossessarsi del mio cuore, non sapendo che appartiene a te. Prenditela con lui, il male che vuole dividerci. Prenditela con lui se nemmeno in cielo potremmo stare insieme, amore mio» recitò queste parole con enfasi, come se se le fosse imparate a memoria, quando in realtà era soltanto quello che le voleva dire da ventidue giorni.
I numeri si ripetono: tredici, ventidue. Numeri maledetti, come il diciassette. Numeri che dividono o ravvicinano.
Ma lei, da quelle parole, aveva già preso una decisione.
Cominciò a correre verso la città, lui la raggiunse in mezzo a quella piazza stracolma di gente.
«Louis, non voglio più vederti! Lasciami stare! E’ finita!» le urlò lei.
Voci, risate, urla, gente. Ma l’unica cosa che sentiva era il rumore del suo cuore che, lentamente, si spezzava.

 
§§§

«Louis, apri questa porta? Per favore.. fra poco dobbiamo andarcene, lo sai» ripeté Jay, per l’ennesima volta in due giorni.
Ma quello che Louis non sapeva, era che Sonia finalmente aveva finito di pensarci e aveva capito, aveva capito di amarlo, di non poter stare senza di lui un giorno di più. Che questi sei giorni che rimanevano, dovevano passarli al meglio del meglio.
Suonarono al campanello.
«Lottie, vai ad aprire? Io sono da Louis»
La ragazza sbuffò infastidita, poi aprì e la ragazza dagli occhi glaciali fece irruzione nella casa.
«Dov’è Louis?»
«Chiuso in camera sua da due giorni» rispose soltanto, ritornando al computer che ben presto avrebbe spento a forza.
«Lou’» sussurrò soltanto e nel giro di trenta secondi, la camera venne aperta, mostrando un ragazzo pallido, con addosso un pigiama enorme, i capelli incasinati e gli occhi tristi.
«Sonia. Sei tu. Non posso crederci.. se questo è un sogno, non svegliatemi»
«Non è un sogno, idiota. Mi sei mancato tantissimo, ti amo e voglio passare questi ultimi giorni con te. Ti amo troppo, Louis»
Detto questo gli saltò addosso, facendolo barcollare un po’. Lui la strinse e chiuse gli occhi, sentendo il suo profumo che tanto gli era mancato. Poi la baciò, oh, quanto aveva ricordato la consistenza delle sue labbra? Il loro sapore? Ora finalmente poteva sentirlo di nuovo e possederle come prima. Finalmente lei era di nuovo sua.
«Mamma, mi dispiace per non aver passato questi due giorni come speravamo.. ma sappi che ti voglio bene. Non devi lasciarti andare per me, okay? Non devi affatto. Sii forte per quelle quattro ragazze che diverranno bellissime e per quei due bambini che saranno belli come me, modestamente» Jay gli diede uno scappellotto e risero tutti e tre, felici finalmente anche se con la tristezza portata nel cuore.

 
MENO SEI.

‘Messaggio ricevuto alle 2.05 da: occhi felici.
Ci immagino così: a stropicciarci tra le lenzuola,
sovrapponendo il battito cardiaco.’

‘Messaggio ricevuto alle 2.06 da: occhi gliaciali.
Amo i messaggi che mi invii durante la notte.’

‘Messaggio ricevuto alle 4.54 da: occhi felici.
Stanotte, come ogni notte, l’avrei voluta passare con te.’

‘Messaggio ricevuto alle 7.05 da: occhi glaciali.
Ed io desidero passare con te giorno e notte,
perché ti amo come non ho mai amato nessuno.’

 
§§§

«Dovresti dormire la notte, invece di mandarmi messaggi, sai?»
Erano seduti alla riva del mare, anche se faceva un sacco freddo e il tempo non era dei migliori, stavano bene lì, a rilassarsi con il rumore dei loro cuori che si sincronizzavano e quello delle onde che si infrangevano sulla spiaggia.
«Ma io ti amo troppo e ti penso ogni secondo» la baciò dolcemente.
«Ruffiano. Sei un ruf-» la interruppe, baciandola di nuovo.
«Smettila, non val-» un altro bacio.
Cominciò a darli anche sul collo, abbracciandola dalla vita e tenendosi su con il braccio. Lei avvolse le braccia attorno il suo collo e il bacio divenne più profondo, fino a coinvolgere entrambi in una passione difficile da fermare.
Lui la prese in braccio e lei avvolse le gambe intorno alla sua vita, da quando lo conosceva aveva ricominciato a mangiare bene e di giusta quantità. Lui la teneva da sotto le cosce e continuavano a baciarsi, finché non la portò in una grotta, preparata appunto da lui per stare insieme a lei.
La appoggiò sui cinque piumoni che aveva messo per rendere il terreno morbido e cominciarono a spogliarsi, non fermando i continui baci che si scambiavano: erano come una droga.
Si udivano solo i loro gemiti sempre più veloci e i ‘ti amo’ sussurrati, i ‘non ho mai voluto qualcun altro come voglio te’ e i ‘non lasciarmi, ti prego’.
Quella fu la loro prima volta insieme e non poté andare meglio.

 
MENO CINQUE.
 
«Amore, io vado a farmi una doccia» disse lei, alzandosi dal letto di Louis.
Avevano passato la notte insieme, dormendo abbracciati e coccolandosi. Il miglior risveglio di sempre l’ebbe con Louis: cominciò a darle dei baci sulla fronte, sulla guancia, sul naso, sul mento, sul collo e poi riandava in su dall’altra parte, fino ad arrivare alla bocca e baciarla più forte. Le morse leggermente il labbro inferiore e lei, che era girata su un fianco, si mise a pancia in su, stringendolo forte e posizionandolo sopra di lei. Louis le accarezzava i capelli e continuava a riempirla di baci, cosa che fece anche lei subito dopo.
«Posso venire anche io a fare la doccia con te?» chiese lui, per niente imbarazzato, ma facendo arrossire lei che timidamente annuì.
Entrarono insieme, già completamente nudi e fecero un bordello: c’era schiuma ovunque in tutto il bagno.
Non risero mai così tanto.
«Adoro le persone che mi fanno ridere. Penso che ridere sia la cosa che mi piace di più. E’ la cura per moltissimi mali»
«Ed io adoro i tuoi sorrisi buttati lì a casa come per dire “mi stai facendo vivere”»
«Sappi che quei sorrisi ci sono solo quando sto con te»
«Ti amo»
«Io di più»

 
MENO QUATTRO.
 
«Perché stiamo andando al cimitero?» chiese lei, leggermente confusa.
«Voglio farti conoscere una persona» disse lui.
Cinque tombe a destra. Tre in avanti. Tre a destra.
«Bene.. questo è Harry, Harry questa è Sonia» li presentò, come se lui fosse lì in carne ed ossa.
Si misero seduti al solito albero, quello in cui poteva solo Louis starci.
«Vedi, non ti ho mai parlato di lui. Aveva quindici anni quando morì. Lo conobbi alla scuola elementare.. ne abbiamo passate di tutti i colori, sai? Abbiamo allagato la scuola il primo anno di superiori; abbiamo combinato casini per la città e abbiamo fatto il primo tiro di sigaretta insieme a dodici anni»
«Come è morto?»
«Un incidente stradale. Stava tornando a casa insieme ai suoi genitori, avevano appena fatto una piccola gita di cinque giorni sul lago ed io non vedevo l’ora di rivederlo. Purtroppo sia lui che i suoi genitori morirono, loro sul colpo per via dello schianto contro il camion; lui perse i sensi subito dopo e poco prima che lo operassero, morì» sospirò triste, guardando il cielo.
«Non so per quanto tempo stetti male, ma ero dimagrito di sette chili. Ero davvero messo male. Al suo funerale nemmeno venni e sua sorella non la vidi più, dopo quell’incidente si trasferì non volendo ricordare ancora. I ricordi fanno male a volte, ma forse sono l’unica cosa che ci rimane di bello in questa vita» sorrise amaramente, asciugandosi una lacrima solitaria.
«Louis, io non voglio stare male per la tua morte.. non credo ce la farò. Tu aspettami lassù, okay?»
«Amore, io ti aspetterò dove vuoi, perché nemmeno gli dei lassù possono separarci, capito?» detto questo la baciò intensamente.

 
MENO TRE.
 
«Andiamo al cinema oggi?»
«Non mi sento molto bene.. scusa.. credo rimarrò a casa. Non sto bene per niente»
«Allora vengo anche io, aspettami. Non ti lascerei solo nemmeno se cascasse il mondo»
Detto, fatto. In cinque minuti era a suonare il campanello di casa Tomlinson.
Dormirono per due ore e mezza, prima che Louis si svegliasse ed andasse a vomitare. Sonia si alzò subito, preoccupata, e lo raggiunse in bagno. Si mise in ginocchio accanto a lui e gli accarezzò la schiena, tirandogli su i capelli e asciugandogli la fronte imperlata di sudore.
«Andiamo all’ospedale oggi» disse lei e lui annuì, togliendosi da sopra il water e sedendosi per terra, appoggiando la schiena al muro e facendo profondi respiri.

 
§§§

«Louis, stanza numero 103»
«La stanza di sei mesi fa» sussurrò lui, triste. Era odiosa quella stanza, avrebbe preferito la 107.
Era uguale, è vero. Stesse pareti, stesso letto, stessa finestra. Ma forse ancora c’erano rimasti i residui del profumo di lei.
Gli infermieri lo accompagnarono lì e Sonia lo aiutò a cambiarsi e distendersi. Lei cominciò a coccolarlo, stando seduta su una sedia vicina al lettino e stringendogli forte la mano.
«Tu lo sai, vero, che ti amerò per sempre, qualunque cosa accada?» chiese lei, sull’orlo del pianto.
«Certo e tu lo sai che nemmeno gli angeli potranno ammaliarmi con la loro bellezza, perché tu sei meglio, tu sei più bella, tu riesci a emozionarmi»
Entrambi sorrisero, ricordando quel giorno in cui lei disse a Louis cosa significava il termine ‘bellezza’.
«Non dimenticherò nemmeno un attimo passato con te, amore mio»
«Nemmeno io, piccola» lei sorrise.
Verso le nove di sera, entrambi si addormentarono.

 
MENO DUE
 
Avevano attaccato la bomboletta dell’ossigeno a Louis perché cominciava a respirare a fatica e dormiva quasi sempre, era molto stanco e gli antidolorifici facevano effetto solo per un’oretta, massimo due.
«Fa malissimo qua» disse lui, con una smorfia di dolore impressa perennemente sul viso.
Con la mano tastava il petto, dove stava il cuore.
Ormai i giorni erano finiti.
«Amore mio.. non ti preoccupare.. fra poco gli antidolorifici faranno effetto» cercò di rassicurarlo lei, massaggiandogli la parte dolorante, anche se all’interno e cercando di non scoppiare a piangere davanti a lui. Sapeva che si sarebbe sentito peggio. Si sarebbe presa tutto il suo dolore pur di non vederlo così. Lei era più forte, lei avrebbe potuto reggerli.
Stette tutto il giorno a dirgli quanto lo amava, quanto rappresentava il tutto per lei. Sarebbe stato l’ultimo giorno che avrebbe potuto dirglielo, lo sapeva bene.
Restò tutta la notte sveglia, ormai era passata mezzanotte.

 
MENO UNO
 
Sonia per gli ultimi due giorni non si era staccata un attimo da quella sedia.
Louis aveva tolto il respiratore per baciare un’ultima volta la sua Sonia.
Le ripeté che l’amava, l’amava tantissimo e lei gli disse che era tutta la sua vita e presto l’avrebbe raggiunto.
Alle tre e quarantacinque di pomeriggio, Louis Tomlinson si spense, all’età di ventidue anni e con la sua ragazza, Sonia Clarton accanto.

 
§§§

“Caro diario,
è passato un giorno quasi esatto dalla morte di Louis.
Sono le tre e trentacinque, a quest’ora ma dieci minuti dopo, Louis morì.
Oggi lo seguirò. Non posso resistere senza di lui. Questa sarà la volta buona che finalmente riuscirò a suicidarmi e sta volta non sarà per futili motivi come le litigate coi miei o le prese in giro, la depressione, no. Questo è amore e l’amore non può completarsi da solo.
In questi trenta giorni esatti, passati con Louis, ho visto cosa significa vivere. Ma quando è morto, sono morta con lui.
E’ stato bello scrivere al tuo interno, grazie per esserci sempre stato.
Angelica, fra poco ti raggiungerò.
Louis, fra poco potrò riassaporare le tue labbra.
Harry, anche se non ti conosco, Louis mi ha parlato di te e spero che lassù ci incontreremo.
Le lacrime stanno bagnando il foglio..
Ciao mamma, ciao papà.
Voi avete dato un enorme dolore a me e mia sorella, avete costretto lei a suicidarsi ed un mese fa anche me, ma devo dirvi grazie. Se voi non mi aveste recato tutto questo danno al cuore, ora non avrei conosciuto Louis. Non avrei conosciuto quello splendido ragazzo dagli occhi grigi, tristi, ma poi felici; quegli occhi dove io vedo l’oceano, anche se non sono blu.
Quel ragazzo basso, magro e coi capelli castani messi verso destra.
La sua pelle abbronzata, stranamente.
Il contrario mio, in poche parole.
Quel ragazzo simpaticissimo capace di farmi tremare il cuore. Quel ragazzo col sorriso più bello che abbia mai visto.
Ciao mamma, ciao papà.
Addio, mondo che mi ha saputo solo far star male, ma che mi ha dato e poi tolto Louis.”

Sonia Clarton si spense all'età di vent'anni, esattamente un giorno dopo la morte del suo ragazzo Louis Tomlinson. 









Angolo autrice.
No, vabè, sto piangendo come non so cosa.
Era da tanto che volevo fare una OS drammatica e non sapevo proprio come, soprattutto per il poco tempo e -ammettiamolo- la voglia, ahah.
Vorrei ringraziare Francesca (Ciao cucciolaaa), che mi ha aiutata ed appoggiata, spronandomi a finire entro oggi perché voleva assolutamente leggerla (AHAHAHAH).
Grazie a lei ho trovato parecchie frasi di tumblr e molti spunti per le battute, i momenti, ecc...
quindi GRAZIE FRAAAA :3

Spero che la storia vi sia piaciuta, ah, il titolo è "trenta giorni di te" perché, appunto, loro sono stati insieme solo trenta giorni, volevo precisare per chi non l'avesse capito, quindi ogni data ecc.. è calcolata.
Per vari errori -o orrori- grammaticali, scusatemi, ma ho poco tempo e non ho avuto modo di rileggerla, ovviamente la rileggerò tutta e vedrò :)
Grazie se lascerete una recensione -speriamo positiva, ahah.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: MyIdols_SavedMe