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Autore: LizzieCarter    25/02/2014    4 recensioni
Vi è mai capitato di pensare  a cosa fareste se capitaste nel bel mezzo della fan fiction che state leggendo/scrivendo?
In questa storia una povera fan (che, giusto per essere originali, sarei io) si ritrova all'improvviso nella fan fiction che sta scrivendo, nel corpo della sua protagonista, e capisce all'improvviso due cose:
1) che avrebbe dovuto immaginare Grace, la protagonista della sua storia, con un sedere meno grosso;
2) che dovrebbe davvero rivalutare certi personaggi, come quella fan scatenata con cui è costretta a vivere e che le assomiglia più di quanto le piace ammettere.
Avvertenze:
Per capire meglio alcuni riferimenti di questa ff fareste meglio a leggere almeno i primi capitoli della mia storia "Un nuovo ponte per Terabithia"... e lo dico per il vostro bene, giuro che non è pubblicità occulta!
Genere: Commedia, Mistero, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un nuovo ponte per Terabithia'
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Nelle sue scarpe, all'improvviso.





La prima cosa che realizzai quando aprii gli occhi era che non mi trovavo nella mia stanza.
Il sole filtrava pallido tra le lame di una persiana, mentre io, in camera mia, avevo le imposte in legno.
Qui non c'era traccia della mia immensa, disordinata scrivania; non c'era nemmeno un comodino, in realtà.
Ed era scomparsa persino la mia adorata libreria, l'unica cosa nella mia stanza che avessi cura di tenere ordinata. In compenso, c'erano dei libri ammucchiati alla rinfusa in tre scatoloni ai piedi del letto.

Il fatto è che io, di solito, quando mi sveglio ricordo esattamente dove sono, se non ho dormito a casa mia. Stavolta, però, avrei giurato di essermi addormentata sul mio letto la sera precedente. E la cosa strana era che quella camera, se pure fossi sicura di non esserci mai stata prima, mi era vagamente familiare.

La seconda cosa che realizzai, non appena fui sufficientemente sveglia, era che qualcuno stava urlando.
Mi alzai in piedi di colpo, senza peraltro riconoscere il pigiama che avevo indosso, e corsi in cerca della fonte degli strilli. La mia mente immaginò subito il peggior scenario possibile: "Sono stata rapita e di là stanno torturando qualcuno".
Poi, però, l'urlo si tramutò in parole precise.
- GRAAACE! C'è una ci-ci-ci-cimice! - strepitò una voce acuta e decisamente femminile.
Ottimo, se La Voce chiedeva di Grace significava che io potevo tornarmene a dormire.
O concentrarmi sul capire dove fossi finita, decisi, accigliata, quando mi trovai di fronte al letto sconosciuto nella misteriosa stanza in cui mi ero svegliata.
Per prima cosa, visto che la camera era abbastanza spoglia e non forniva molto su cui indagare, decisi di aprire le tapparelle. Man mano che le tiravo su con forza, sentendomi quantomai simile ad un campanaro, mi si aprì di fronte una distesa di campi dai colori pastello del verde e di un marrone che, nella nebbiolina del mattino, appariva quasi azzurro.
Solo in lontananza era visibile una casetta, separata dai campi da una fitta boscaglia di alberi giovani e sottili. Stagliata a quel modo sul cielo azzurro chiaro di quella limpida mattinata, mi ricordava in modo incredibile una casetta delle fiabe.
Sospirai, nostalgica, sporgendomi un po' dalla finestra per vedere meglio l'edificio, ma non osai mollare la presa sulla cordicella della persiana. Quelle cose a ghigliottina mi inquietavano da morire.

All'improvviso, sentii battere dei colpi sulla porta della mia camera. Per la sorpresa, mollai la presa sulla cordicella e feci un balzo indietro per evitare che la persiana piombasse a tranciarmi le dita.
Quella, però, rimase immobile dov'era; le lame sbilenche e incurvate simili a tanti sorrisi pronti a prendersi gioco di me.
- Mmmsì? - domandai, incerta. Chissà se questa tipa sapeva perché ero qui o se, appena mi avesse visto, avrebbe pensato che mi fossi imbucata e si sarebbe messa a strillare di nuovo? Perché ero assolutamente certa che la voce fuori dalla porta appartenesse alla ragazza cimiciofoba.
- Grace, per favore, lo sai quanto mi terrorizzano le cimici! - si lamentò quella in risposta.

Col cuore che batteva all'impazzata, lanciai un'occhiata alla finestra. Le alternative erano due: saltare dal primo piano e scappare in strada in pigiama senza avere idea di dove fossi e di come ci fossi finita, oppure aprire la porta alla Voce e sperare che fosse simpatica e gentile.
Non essendo una tipa troppo avventurosa, decisi di aprire la porta alla ragazza.
Mordicchiandomi furiosamente le labbra, la squadrai in silenzio dalla fessura che avevo creato tra la porta socchiusa e lo stipite.
La Voce era una biondina piuttosto magra, con gli occhi chiari e i vestiti alla moda, e aveva un'aria insolitamente familiare. Cercai di capire dove l'avessi già vista, e solo dopo qualche minuto realizzai che in realtà mi ricordava un'attrice americana. Mai vista di persona, ovviamente.
- Grace non è qui, mi spiace -spiegai, osservando preoccupata il suo viso in attesa di una qualche reazione.
Lei, però, si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a borbottare - Ah. Ah. Sei una sagoma, Grace -. Senza lasciarmi il tempo di replicare, spalancò la porta, mi prese per le spalle e mi trascinò nella stanza adiacente. Stando ben attenta a non entrare, mi spinse dentro la camera.

Spiazzata, mi girai verso di lei con aria interrogativa e, senza pensarci, mi passai una mano tra i capelli arruffati. Le dita si incastrarono in un riccio e, quando quello mi piovve davanti al viso, lo esaminai stupita. Come accidenti avevano fatto a crescermi così in fretta i capelli? Raccolsi anche quelli che avevo dietro alle spalle e li guardai, spaventata. Com'era possibile che la sera precedente i capelli mi arrivassero al mento e che quella mattina fossero già a metà schiena? Mi ero forse risvegliata da un coma lungo qualche anno? E in quel caso dov'erano tutte le persone che conoscevo?
Solo La Voce riuscì a riscuotermi da quella miriade di domande.
 - Ti prego, fallo fuori - piagnucolò, indicando la povera, minuscola cimice che zampettava allegramente sul suo cuscino.

Non c'era verso che potessi uccidere una innocua cimice! Allo stesso tempo, però, non volevo indisporre La Voce, visto che era l'unica che potesse dirmi com'ero finita lì. Decisi, allora, di procedere col Metodo Collaudato: avrei fatto salire la cimice su un foglio, o qualcosa del genere, e poi l'avrei fatta scivolare sul cornicione... Sperando che l'animaletto fosse abbastanza intelligente da volarsene via invece che tornare nella stanza.
Feci girare lo sguardo per la camera in cerca di un foglio o una scatolina, e in quel momento scorsi una figura affacciata a un'altra porta della stanza: una ragazza dai capelli castano chiaro e gli occhi nocciola, un viso simpatico e una corporatura vagamente rotondetta, in particolare sui fianchi.
- Ecco, credo sia arrivata Grace -. Mi girai verso La Voce e le indicai la ragazza senza pensarci due volte. La Voce, però, sbucando dallo stipite della porta, guardò il punto che le indicavo e si corrucciò.
-Lo specchio! Accidenti, coinquilina, sei sempre più spiritosa - commentò, con un tono di voce che probabilmente voleva essere sarcastico.
Mi si avvicinò, facendo ticchettare sul parquet i tacchi alti (Ma chi diavolo indossa le scarpe col tacco in casa propria? Ero forse finita in un bordello?), poi mi battè le mani davanti al viso ed esclamò - Hop Hop, Grace! Fai sparire quella cimice e giuro che poi riderò a tutte le tue battute -.
Bene, questa cosa iniziava davvero a farmi innervosire.
Mi allontanai da La Voce, in caso avesse intenzione di riprendere ad applaudirmi in faccia, poi chiarii - Io non sono Grace. Mi chiamo Lizzie e non ho idea di come sono finita qui! -.
La ragazza non aprì bocca; si limitò ad incrociare le braccia con aria vagamente minacciosa, mi lanciò un'occhiataccia e poi prese a fissare ostinatamente il cuscino su cui continuava a scorrazzare felice la cimice, del tutto ignara del suo destino.

Decisi che la biondina poteva giocare a fare l'arrabbiata quanto voleva. Avevo una sorella minore, io; ero abituata a resistere ad ogni mezzo usato per convincere le persone a fare qualcosa.
Ignorando La Voce, al momento ammutolita, mi avvicinai con circospezione allo specchio. Perché quello era, senza ulteriori dubbi, uno specchio e non una porta.
Mi ci misi di fronte, fin quasi a toccare la superficie lucida con la punta del naso, e mi corrucciai.
C'era ancora qualcosa di me, in quella specie di mutazione chiamata Grace: i capelli avevano all'incirca lo stesso colore dei miei, ed erano senza dubbio altrettanto ricci. Gli occhi, però, erano del tutto diversi, come anche la forma del viso.
La corporatura assomigliava un po' alla mia: troppo sottile sopra e un po' troppo grossa sotto, eppure... - Ho il culo davvero troppo grosso - commentai a mezza voce, cupa, girandomi di spalle per potergli dare occhiatacce assassine da un'angolazione migliore.
- Sì, lo dici ogni mattino - intervenne la ragazza, senza muoversi dalla sua posizione. - Ora, per favore, potresti...? -.
Con uno sbuffo, decisi di scacciare dalla mente il dilemma dello specchio e di risolvere almeno il problema della cimice. Raccolsi una rivista dal comodino accanto al letto della ragazza (nonostante il suo strillo di protesta) e ci feci scivolare sopra con delicatezza l'insetto, che poi scaricai sul davanzale della finestra.
- Vedi? Non mordono -. Da dietro il vetro della finestra, che avevo prontamente chiuso, indicai alla ragazza il puntolino verde che in quel momento zampettava sul davanzale.
Lei annuì, ma non si avvicinò nemmeno di un passo.
A quanto pare, farla familiarizzare con gli insetti non era un buon passo per guadagnarsi la sua amicizia. Senza sapere cos'altro inventarmi, decisi di essere diretta.
- Senti... Potresti dirmi, per favore, dove siamo? -.
Lei strabuzzò gli occhi, poi si avvicinò velocemente.
Feci un passo indietro, convinta che volesse darmi uno schiaffo per "aver continuato coi miei stupidi scherzi", o qualcosa di simile, ma lei si limitò a sentirmi la fronte con una mano.
- Grace, hai la febbre? Inizi a preoccuparmi. Siamo a casa nostra, a Union, Kentucky -.

Sentii uno strano gelo infiltrarsi sotto la mia pelle. Le parole "Union" e "Kentucky" continuavano a rimbombarmi in testa, mentre il sangue mi rombava sempre più forte nelle orecchie.
La biondina con la voce acuta e i tacchi a spillo, il nome Grace, il sedere grosso...
Girai lo sguardo per la stanza, confusa, e in quel momento un musetto bianco e ansimante si affacciò alla porta della stanza.
- Oh, P.T.! Vieni qui, magari tu riesci a rimettere il sale in zucca a Grace! - squittì quella che, ormai avevo ben pochi dubbi, doveva essere Kellie, tendendo le braccia verso il cagnolino.

In quel momento credo di essere svenuta.









Ah! Ciao a tutti x3
Questa è una... non so come definirla D: Una fanfiction di una fanfiction?
E, se già la cosa non sembrasse abbastanza tremenda, è una fanfiction di una mia fanfiction >.< QUINDI, se volete capire questo racconto ad "un livello più profondo di lettura" vi conviene leggere almeno l'inizio della mia storia "Un nuovo ponte per Terabithia".

Ok, come spiegare questo colpo di matto? Non lo so, mi è venuta l'ispirazione e ho iniziato a scrivere! Ho iniziato a pensare a come avrei reagito io al posto di Grace nei confronti di Kellie e Josh e tutto quello che è successo e spero che, oltre a divertire voi, questa mini-storia (se tutto va bene dovrebbe fermarsi dopo una decina di capitoli al massimo, non come "Un nuovo ponte per Terabithia") serva anche per farmi capire meglio i personaggi della mia storia, a vedere come li vedrebbe una persona che non è Grace.

Fatemi sapere anche come reagireste voi in una situazione del genere, se vi va, sono curiosa xD

Oh, ovviamente l'inizio di questa storia non comporta interruzioni dell'altra :3!

Besos!

Liz

P.S. Uh, dimenticavo di spiegare il titolo!
Sempre che importi a qualcuno u_u
"Nelle sue scarpe" è la traduzione letterale di "In his/her shoes", che in inglese significa "nei panni di qualcuno", nel senso di immedesimarsi nella condizione di una persona.
Non chiedetemi perchè ho scelto una cosa così astrusa... è solo che sono una frana coi titoli D:
   
 
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