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Autore: Slytherin_TeMe    26/02/2014    2 recensioni
Castiel non è un angelo, ma un comune essere umano, forse un po' speciale, forse un po' strano. E così anche Dean, non è un cacciatore, ma un ragazzo che lavora nell'azienda di famiglia, per la quale ha rinunciato agli studi.
Cosa succede se questi due ragazzi si incontrano?
Cosa succede se sboccia qualcosa di inaspettato?
E se John non apprezzasse i gusti di suo figlio?
E se arrivasse Lisa, assieme al figlio Ben, ed entrambi cominciassero a far parte della vita di Dean, cosa ne sarebbe di Castiel?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Sam Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Destiel scritta in trenta minuti... Prima Destiel iniziata e finita, e forse nemmeno troppo bella, ma mi è venuta in mente e l'ho buttata giù come capitava.
OOC perchè i pernsaggi non possono essere sempre uguali all'originale se sono AU, ma ho comunque cercato di renderli al massimo simili.
Questa la dedico comunque a mia cugina Socchan, spero che apprezzi questa... "storiella"

Buona lettura a tutti!




Ricordavo perfettamente com’era quando mi apparteneva. Eravamo una cosa sola. Eravamo due corpi capaci di fonderci in una cosa sola, in una stessa anima. Ci capivamo, ci prendevamo cura l’uno dell’altro, ci guardavamo le spalle e soprattutto ci amavamo. Era puro il nostro amore, semplice, senza troppe complicazioni, troppe bugie. Era vero.
Sapevo che il tempo me lo avrebbe portato via, ma avevo preferito lasciar correre, vederlo allontanare da me era ogni giorno più doloroso, eppure, codardo, non avevo fatto nulla per tenerlo con me.
La nostra storia, non ostante mi sembrasse fin troppo breve, era durata per sei lunghi anni.
Era cominciano tutto in un parco. Ci andavo spesso, solo per vedere la felicità dei bambini, e soprattutto delle mamme che potevano rilassarsi un po’ senza preoccuparsi delle placche della stufa accese, del ferro da stiro o di un angolo appuntito.
All’età di diciannove anni venivo considerato un tipo un po’ strano. Mentre i miei coetanei si divertivano tra feste e donne, io passavo le mie giornate a osservare la gente. 
Le mamme, dopo le prime occhiate guardinghe, si erano tranquillizzate, quando vedevano che ero innocuo. Io mi sedevo sempre sulla stessa panchina alla stessa ora, guardavo un po’ i bambini giocare, e mi ricordavo di quando anche io lo facevo, e poi prendevo il libro che portavo con me e leggevo, tra le risa e le urla divertite dei bambini che giocavano. 
Era rilassante per me.
Quel giorno di dodici anni fa, mi ritrovai a condividere la panchina con un altro ragazzo. Doveva avere qualche anno più di me, ma non troppi.
Lo osservavo con la coda dell’occhio, attento a non farmi vedere. Indossava una pesante giacca di pelle, lasciata aperta, in modo tale da poter vedere una camicia verde scura, anch’essa aperta che mostrava una t-shirt semplice, nera. Al collo aveva uno strano medaglione, d’orato, una piccola testa con due corna. 
Le sue braccia erano appoggiate sullo schienale della panchina verde del parco, e il suo sguardo era perso oltre i giochi per i bambini, e probabilmente i suoi pensieri erano oltre il mondo.
Non disse niente, non mi guardò nemmeno, per diverse ore, poi la sua voce ruppe il silenzio.
“Maddy, lascia stare il bambino!” si alzò dalla panchina e camminò verso una bambina, con i capelli rossastri e due trecce alla base della nuca. Non potei non notare le gambe storte del ragazzo, e dovetti ammettere che avevano un certo fascino.
Ero solito a vedere i particolari delle persone, quelli che gli altri chiamavano difetti fisici, come qualcosa che donava a quella determinata persona, un certo fascino.
E quelle gambe, ne avevano uno tutto loro.
“Mad, i bambini non si picchiano.” la rimproverò, ma potei notare che i suoi occhi verdi erano decisamente divertiti.
“Ma Dean..” mugugnò la piccola, incrociando le braccia al petto e picchiando un piede a terra.
“Niente ma, ora torna a giocare, che tra poco i tuoi genitori verranno a prenderti.” e quando quelle parole, sottoforma di ordine ben celato, abbandonarono le labbra del ragazzo che avevo capito si chiamasse Dean, la bambina corse via.
Lui tornò a sedersi vicino a me, anche se vi erano altre panchine vuote o occupate da madri. Alcune di loro lo stavano fissando intensamente da un po’. E questo perché Dean era un bel ragazzo. Capelli corti, castani chiari, occhi di un bel verde vivo, due labbra carnose, zigomi un po’ affilati, ma non troppo. Aveva delle spalle molto larghe, e ci avrei scommesso  la vita, che sotto la maglia era piuttosto muscoloso. Era bello, lo era davvero tanto.
“I bambini..” borbottò ad un certo punto, costringendomi ad alzare lo sguardo verso di lui.
Lo vidi leccarsi le labbra, e capì solo più tardi che quello era un gesto abitudinario per lui.
“è tua figlia?” buttai li, anche se avevo ben udito che non era così.
“Oh no, per fortuna no. È un marmocchio che ho dovuto tenere d’occhio” alzò le spalle. “niente figli per il sottoscritto. Troppi disastri.” il tono della sua voce mi fece sorridere, e automaticamente chiusi il libro.
Le restanti ore di quella giornata le usai per parlare con Dean, della quale avevo scoperto anche il cognome, ovvero Winchester.
“Cas,” disse ad un certo punto sorprendendomi “ti chiamerò Cas.” precisò poi “vuoi davvero farmi credere che stai qui tutto il tuo pomeriggio?” la sua aria era confusa. 
Mentre parlavamo avevamo assunto posizioni diverse dall’inizio della giornata. Lui aveva appoggiato la caviglia di una gamba sopra il ginocchio dell’altra, aveva un solo praccio sulla panchina, più vicino a me, e l’altro appoggiato sulla gamba, mentre il busto era voltato verso di me. Io mi ero voltato completamente, incrociando le gambe sopra la panchina, con il libro tra di esse, ormai chiuso.
“La maggior parte del giorno in effetti.” sorrisi annuendo, anche per il soprannome che mi aveva affibbiato.
“Presumo allora che i marmocchi ti piacciano.” continuò lui, con un ghigno divertito.
“Non completamente, li trovo interessanti.” e fu così che cominciai, non so come e nemmeno perché, a parlargli di me.
Dopo quella giornata, ne susseguirono altre. Dean ed io ci trovavamo sulla stessa panchina, alla stessa ora, ogni giorno. All’inizio portavo con me un libro, per non dare l’impressione che aspettassi solo lui, ma quando notai che rimanevo sempre alla stessa riga della stessa pagina, smisi di trascinarmelo dietro, e li abbandonai tutti sul comodino della mia camera.
Le giornate passavano, e il tempo sembrava scorrere ad una tale velocità da mettere i brividi.
Era bello stare con Dean, lui ascoltava, ti faceva ridere e ti confortava, non ostante le sue battute, anche se la maggior parte di esse faticavo a capirle.
Aveva ventidue anni, tre anni più grande di me, eppure sembravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Dean mi parlò di Sam, o come lo chiamava lui, Sammy. Raccontò di com’era bravo a scuola, di come si dedicava alla sua ragazza costantemente, e di come riusciva a farlo sentire completo. Gli occhi di Dean erano luminosi quando parlava del fratello minore.
Ed erano cupi, tetri e tristi quando invece parlava di se.
Dean aveva lasciato la scuola per poter portare avanti l’azienda di famiglia, non aveva una ragazza fissa da quando aveva quattordici anni e l’unica cosa nella quale diceva di essere afferrato era quella di stuzzicare il fratello, la madre e il padre.
Dean era la pecora nera della famiglia, e lo sapeva bene.
Se qualcuno mi chiedesse come feci ad innamorarmi di quel ragazzo, ancora adesso non saprei rispondere. 
Ma quando non eravamo assieme lui mi mancava, era come se le mie giornate fossero vuote quando non veniva al parco.
Ci eravamo scambiati i numeri di telefono, qualche mese dopo il primo incontro, ed ogni tanto mi telefonava, io non avevo il coraggio per farlo, e senza rendercene conto parlavamo per ore.
Il mio dito faceva del gran avvolgersi attorno al filo della cornetta, mentre lui mi riempiva con la sua voce.
Sette mesi dopo il primo incontro al parco, Dean decise che mi avrebbe riaccompagnato lui a casa, a bordo della sua Impala ‘67, ed io accettai.
Rimanemmo per la maggior parte del viaggio in silenzio, senza sapere cosa dire, e le uniche volte che parlavo era per dirgli dove svoltare.
Una volta sotto casa successe quello che attendevo da qualche mese, si chinò sul mio viso e mi baciò.
Dopo quel bacio, non vidi Dean per qualche settimana.
Non rispondeva al telefono, non veniva al parco, e non vedevo mai la sua Impala girare per il paese, sembrava sparito.
Credevo mi avesse abbandonato dopo aver commesso la sua più grande cazzata, ed in un certo senso, era stato proprio così.
Dean mi aveva lasciato prima ancora che potesse iniziare qualcosa, e questo, faceva dannatamente male.
Ricomparve con la testa china e le mani nelle tasche, sempre in quel parco, sempre sulla stessa panchina, solo che io avevo ripreso a leggere.
“Cas.” chiamò il mio nome ripetute volte, ma non ebbe risposta fino a quando non sentì la sua voce incrinarsi lievemente, perdendo il tono duro e da comandante.
“Ciao, Dean.” forse non si aspettava un sorriso, e fu per quello che gliene regalai uno. “sei tornato.” gli dissi, chiudendo il libro ed appoggiandomelo sulle gambe fasciate dai Jeans blu scuri.
La storia che mi raccontò mi rattristì. Era davvero scappato da me, ma non per cattiveria, ma semplicemente perché non si spiegava quello che era successo. Mi disse anche che ne aveva parlato con il fratello, Sam, ed insieme avevano capito che la cosa migliore era tornare a cercarmi, rivedermi, perché così lui stava bene.
Fu proprio dopo quella confessione che Dean ed io iniziammo la nostra relazione clandestina.
Lui a casa mia, ed io mai a casa sua.
Suo padre non lo avrebbe mai perdonato se lo avesse scoperto con un altro uomo, e soprattutto, se lo avesse scoperto fare con un altro uomo, ciò che Dean ed io facevamo.
E così passò anche quell’estate calda, e l’inverno ci fece congelare sotto il leggero piumino che non avevo mai voglia di sostituire con uno più pesante.
Ma era così delizioso avere una scusa per farsi stringere ancora di più e poter affondare il viso nel suo petto, che come avevo detto, era piuttosto muscoloso.
Le sue braccia erano la mia sicurezza, le sue labbra la mia gioia, i suoi occhi la mia vita.
In tutti gli anni in cui stemmo assieme, non sentì mai dalle sue labbra, uscire la parola amore, lui non la usava, non ne era capace e non voleva imparare.
Ma con il tempo imparai a capirlo, e a riconoscere un <ti amo> celato in un <ho bisogno di te>. Oppure un <mi manchi> in un <quando cazzo porti fuori il culo da casa tua, Cas?>
Dean era così, sgarbato, insensibile, bastardo ed anche piuttosto egocentrico, ma aveva un gran cuore, che teneva nascosto sotto quei tremila strati di vestiti inverali.
E quando sperai di averlo finalmente compreso del tutto, Dean cambiò radicalmente.
I suoi baci divennero freddi, i suoi occhi cominciarono a evitarmi, le sue visite si fecero sempre più rare, e le sue chiamate meno frequenti.
Mi parlava ma non mi ascoltava, mi guardava ma non mi vedeva, mi baciava ma non ne aveva voglia. 
Seppi solo dopo la nostra rottura che Dean lo stava facendo solo per proteggere me.
Dean viveva con suo fratello Sam, in un appartamento fuori città, e per la cena di Natale, John e Mary li avevano raggiunti.
Dean aveva dimenticato una foto, l’unica che possedeva lui, appesa al frigorifero della cucina.
Era una nostra foto, niente di equivoco, una foto dove ridevamo mentre ci guardavamo.
E se uno sconosciuto l’avesse vista, gli saremmo sembrati semplicemente amici, ma se qualcuno che lo conosceva guardava la foto, capiva perfettamente che eravamo innamorati.
Fu Sam a raccontarmi del casino che successe quella sera, e di come Dean soffrì quando decise di rompere con me.
Io non dissi com’ero stato io, non c’erano bisogno di parole, bastava guardarmi.
Mi sentivo un’adolescente alla prima cotta, non ostante avessi ormai venticinque anni.
Ma non importa più ormai, no? Dean mi aveva lasciato, ed io dovevo andare avanti.

Eppure sono passati altri sei anni dalla rottura, ed io avevo ormai compiuto i miei trent’un anni, eppure pensare a Dean ancora faceva male. Non avevo avuto nessun’altra storia dopo di lui, solo qualche scappatella, con qualche ragazzo, o con qualche ragazza, che mi importava?
Lui invece, dalle lettere che ti tanto in tanto mi spediva Sam (ero rimasto in ottimi rapporti con lui) si era accasato per bene.
Aveva conosciuto questa fottuta Lisa, che aveva un figlio, Ben.
Viveva con loro da tre anni, e da quanto diceva Sam, sembrava felice.
C’era solo una cosa che mi domandavo da molto tempo.
Dopo la nostra rottura, io me n’ero andato dal paese, vedere l’Impala parcheggiava fuori dalla sua ditta, faceva male, sedersi al parco dove lui non sarebbe mai arrivato, mi uccideva, e vivere nella casa dove eravamo assieme, mi soffocava.
Ero partito, la Grande Mela, New York! 
Ma mi chiedevo, cosa avrebbe provato nel rivedermi. 
Lo ammetto ora come l’ho sempre ammesso, feci una mossa da bastardo.
Preparai una valigia, prenotai un albergo in quello stesso piccolo paese e partì con il primo volo disponibile. Ed una volta arrivato li, iniziai a cercarlo.
Fu una sorpresa per me, trovarlo seduto su quella panchina in quel parco, a quell’ora.
Camminai in silenzio, con la leggera giacca che mi copriva dal venticello primaverile, gli passai davanti, senza dire niente e poi mi sedetti, accanto a lui, aprendo un libro ed appoggiandomelo sulle gambe, come avevo sempre fatto.
Ma dovevo fare qualcosa d’altro per attirare la sua attenzione verso di me. Prima però, mi concessi una sbirciatina. Era diventato più bello di quanto lo ricordassi, i capelli erano appena più lunghi, forse due centimetri, ma portati nello stesso identico modo, gli occhi erano quel bellissimo verde acceso, la pelle sembrava più bella, baciata in quel modo dal sole appena accennato oltre le nuvole.. Ma le sue labbra non sorridevano come mi ricordavo.
Mossi il ginocchio, facendogli cadere il libro accanto ai piedi, e lui, in maniera gentile (e questo non era affatto da Dean) si chinò a raccoglierlo.
“Grazie.” mormorai prendendolo e alzando il viso, puntando i miei occhi azzurri nei suoi, per vederlo boccheggiare in cerca di parole.
“Cas.” mormorò quando smise di provare a comporre una frase di senso compiuto.
“Ciao, Dean.”

Fu bello quel giorno, e lo furono quelli che seguirono, perché ero ancora con lui.
Quando era lontano da Lisa potevo vedere il ragazzo giocherellone, spensierato e bastardo del quale mi ero innamorato, e come un coglione ci ricaddi nuovamente.
Ma la cosa che più mi fece piacere era che non fui l’unico.
“Non andare.” mi sussurrò quel giorno, il viso affondato nel mio collo, le mani sui miei fianchi.
“Restare? Perché? Non ho niente per cui restare, Dean”. sapevo che era una pugnalata, e ne fui certo quando le sue mani si strinsero sulla mia giacca.
“Ho bisogno di te.” mormorò nuovamente. ti amo.
“Anche io Dean.” gli risposi, voltando il viso verso il suo. anche io ti amo.


Ancora adesso, se qualcuno dovesse chiedermi cosa mi ha spinto ad innamorarmi di Dean Winchester, non saprei rispondere, ma una cosa la so.
So che in questo momento, all’età di trentacinque anni, non c’è assolutamente niente che mi rende più felice di poter stare tra le sue braccia.
Mi ha fatto innamorare, mi ha lasciato ed io ho fatto tornare la fiamma che ardeva tra di noi.
Perché lui è mio, ed io sono suo, e fanculo al destino, sarà così per sempre.







Tutto qui, se volete fatemi sapere che cosa ne pensate in un commento...
A presto con la Destiel che sto scrivendo (e per la quale mi sto impegnando davvero) ciaoooo!


Slytherin_TeMe
  
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