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Autore: Ladychic    26/02/2014    2 recensioni
La storia narra del ritorno di Peeta al distretto 12 dopo gli avvenimenti di Mockingjay dal punto di vista del ragazzo stesso. Di conseguenza, ne sconsiglio la lettura a coloro che non hanno letto l'ultimo volume della saga. Eccone uno stralcio:
«Haymitch, io non mi ricordo chi ero in passato, non so chi fosse il vecchio Peeta, né come ragionasse, né cosa pensasse, né cosa provasse per Katniss. Ma so che tu mi conoscevi. Per questo, ti prego, se ritieni che anche il vecchio Peeta avrebbe reagito così, lasciami andare»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una questione di istinto

 

Si, lo riconosco. Il distretto 12, o almeno quello che ne è rimasto.

Metto i miei piedi, -o meglio, piede, poiché uno è artificiale- a terra. Inspiro l'aria di primavera e vedo il treno che mi ha condotto a casa da Capitol City allontanarsi alle mie spalle.

Non so, sinceramente, se tornare sia stata una buona idea, ma il dottor Aurelius è fermamente convinto che sia la soluzione migliore.

Ho fatto enormi progressi. Non penso più che Katniss Everdeen abbia mai voluto uccidermi, o almeno, non lo penso per la maggior parte del tempo.

Ci sono sempre dei momenti in cui mi chiedo se effettivamente lei non sia un'assassina. Quei momenti in cui mi chiedo se quelle registrazioni, le vere registrazioni, non quelle modificate da Capitol City che mi imponevano di vedere sotto l'effetto del veleno, non siano altrettanto fasulle.

Penso istintivamente alla “vera” registrazione dell'edizione della memoria, nel momento in cui quella ragazza, Katniss, dice di avere bisogno di me.

Non so spiegarmene il motivo, ma ogni volta che penso a quelle parole, a quelle immagini che effettivamente non ho nel mio cervello, ma che sono state impresse da una registrazione, il mio cuore inizia a battere più velocemente del normale, e mi manca l'aria se penso che potrebbe non essere vero. Eppure, a me, dei sentimenti che Katniss prova nei miei confronti, non dovrebbe importare più di tanto.

Ormai io non ricordo più chi sia.

La conosco limitatamente alla nostra missione a Capitol City.

So di certo che non è un ibrido, so che è stata la ghiandaia imitatrice nel periodo della rivolta.

Ma non ho alcun ricordo di noi due, nessun ricordo MIO.

Eppure, nonostante tutto, nonostante sia consapevole di non conoscerla assolutamente, provo un'incondizionata attrazione nei confronti di quella ragazza.

Provo qualcosa che Capitol City non è riuscito a portarmi via, qualcosa che non deriva dal cervello avvelenato dagli aghi inseguitori, ma qualcosa che proviene dal cuore. Qualcosa che soltanto i suoi occhi grigi riescono a scatenare.

Guardo istintivamente la cicatrice sul dorso della mano. E sorrido.

«Ehi Peeta! Sei in splendida forma!» Haymitch corre verso di me sventolando una mano all'aria.

Lo trovo stranamente sobrio.

Mi poggia le mani sulle spalle e sorride.

«Grazie, anche tu stai bene, e sinceramente nutrivo i miei dubbi, visto che ero l'unico in grado di farti svegliare la mattina» Scoppiamo entrambi a ridere.

Ci dirigiamo verso la sua casa. Oggi sono suo ospite per pranzo.

Mi racconta dei lavori di ricostruzione del distretto e delle numerose famiglie che sono ritornate ad abitarlo.

Evita, facendo finta di niente, di passare per la via del mio vecchio panificio.

E ovviamente, evita di parlare di Katniss.

Non so cosa sappia della mia situazione clinica. Sono certo che Aurelius deve averlo contattato e dato dei consigli circa il comportamento da assumere.

Ma, per il resto, sembra più che normale. Ovviamente, per quanto normale possa essere un tipo come Haymitch.

Arriviamo al villaggio dei vincitori, e senza rendermene conto, punto i miei occhi sulla casa Katniss. Verso quella che dovrebbe essere la sua camera, trovo la finestra completamente serrata.

Haymitch se ne accorge, ma non dice niente.

La cosa sinceramente mi irrita, perché sento il bisogno di parlare di lei.

Entriamo in casa e trovo la tavola apparecchiata con tanto di arrosto con patate servito nei piatti.

«Accidenti, non ci credo che abbia fatto tutto da solo» esclamo stupito.

«Non ho fatto proprio niente! E' tutta opera di Sae la Zozza, che da dopo la guerra si è offerta di prendersi cura dei “poveri-disperati-depressi-del distretto”»

Iniziamo a mangiare, colti da un insolito silenzio.

Il mio sguardo si rivolge sempre verso la finestra, verso la sua casa.

«Sae si prende anche cura di lei?» dico all'improvviso.

Ad Haymitch va di traverso una patata «Lei chi?»

Okay, sono completamente alterato, adesso. «O, avanti Haymitch. Non so cosa ti abbia detto il dottor Aurelius, ma mi irrita il fatto che continui ad ignorarla! Perché... perché ho bisogno di parlare di lei, di sapere come sta» Ho urlato, lo ammetto. E Haymitch è chiaramente preoccupato.

Mi guarda attentamente e sorride. «Aurelius mi disse di non iniziare a parlare di lei prima che tu me l'avessi esplicitamente chiesto.»

«Bene, ora te l'ho chiesto» taglio corto.

Scrolla le spalle e sospira «Sae si prende principalmente cura di Lei.»

Con questo intende dire che è la regina dei “poveri disperati depressi del distretto”?

La cosa non mi dovrebbe importare più di tanto, eppure questa rivelazione mi crea tormento ed agitazione.

«Co... come sta?» anche la mia voce rispecchia la mia angoscia.

«Come chiunque abbia affrontato una guerra e gli orrori degli Hunger Games, come chi ha perso tutto. Come chi si sente in colpa per la morte di moltissime persone.»

Sono paralizzato. Gli occhi di Haymitch sono lucidi. «Si sente in colpa per Finnick, per Boggs, si odia per incolpare Gale della morte della sorella, e si detesta per quello che è successo a te...»

Il cuore pulsa più veloce contro il mio petto.

Ci sono anche io tra le cause di distruzione interiore di Katniss.

«Più che altro è a pezzi per Primrose...»

Mi alzo in piedi, ancor prima che il mio cervello mi dia una risposta razionale per il mio comportamento. «Grazie per il pranzo Haymitch»

«Ehi, ragazzo, cosa ti salta in mente?» il mio mentore mi affianca e mi afferra un braccio.

«Non lo so. Sto cercando di non dare ascolto alla mia mente e lasciarmi guidare dal mio istinto. Non so perché, ma voglio vederla, voglio parlarle. Voglio capirmi.» la sua presa si fa più debole.

«Haymitch, io non mi ricordo chi ero in passato, non so chi fosse il vecchio Peeta, né come ragionasse, né cosa pensasse, né cosa provasse per Katniss. Ma so che tu mi conoscevi. Per questo, ti prego, se ritieni che anche il vecchio Peeta avrebbe reagito così, lasciami andare»

Mi fissa con estrema attenzione e poi lascia del tutto la presa sul mio braccio.

La sua azione è la conferma che sto istintivamente reagendo come avrei fatto normalmente.

«Ti ringrazio» esco dalla sua casa ed inizio a correre verso la città.

«Peeta!» mi urla da lontano Haymitch.

Mi volto.

«Al diavolo le regole di Aurelius! Sappi che lei ha bisogno di te, tanto quanto tu hai bisogno di lei»

So che la cosa non mi dovrebbe importare, -ciò di cui ha bisogno Katniss Everdeen non mi dovrebbe importare- eppure tra le mie labbra nasce un sorriso, e il mio corpo è inspiegabilmente più leggero.

 

***

 

 

Il fioraio della città ha riaperto. Mi racconta che le bombe non hanno graziato il suo locale, e che ci sono voluti quattro lunghi mesi per ricostruire tutto.

«Mi dispiace tanto per la tua famiglia, Peeta» aggiunge mentre poggia la busta contenente il mio acquisto tra le mie mani.

Mi sforzo di sorridere e annuisco. Non voglio pensarci. Non è ancora il momento.

Esco dal negozio, e solo il ricordo di quello che c'è dentro la busta mi trasmette la forza per andare avanti.

Il villaggio dei vincitori è così silenzioso rispetto alla città.

Mi dico che dovrei farmi coraggio ed entrare finalmente nella mia casa, ma quella finestra ancora sbarrata della sua casa non mi permette di pensare ad altro.

Mi inginocchio sul retro della casa di Katniss, affondo le mani sul terriccio scuro e bagnato e inizio a scavare.

Quando il buco sembra abbastanza profondo, poso il semino della primula e lo ricopro accuratamente.

Continuo a chiedermi, per tutti i venti minuti successivi, cosa accidenti stia facendo.

Piantare dei fiori nel giardino di una persona che conosci appena, non è di certo la cosa più normale del mondo. Eppure, le mie mani si muovono in maniera automatica, e mi sento soddisfatto ad ogni semino sotterrato.

Sento dei passi, e i miei nervi si tendono immediatamente.

Sono decisamente agitato, l'idea che mi potrebbe uccidere da un momento all'altro aleggia nella mia mente, ma la scaccio via.

Ma l'ansia permane, indice del fatto che è dovuta sicuramente a qualcos'altro.

Magari allo stesso motivo che spinge il mio cuore a battere così freneticamente.

Decido di alzarmi in piedi quando ormai lei arriva davanti a me.

L'impatto con i suoi occhi è devastante.

E non solo perché sono contornati da occhiaie, ma perché sono... bellissimi.

Mi guarda confusa e stupita, e io non posso fare altro che sorridere.

«Sei tornato»

Mi sembra di conoscerla da sempre. Cosa che effettivamente è vero, se non fosse che non ho più alcun ricordo del nostro particolare rapporto eccetto quelli modificati dagli aghi inseguitori, e che so non essere reali.

Eppure, sapevo che a quell'espressione di confusione avrebbe seguito un sorriso, che avrebbe puntato gli occhi a terra per qualche istante per poi catturare nuovamente i miei, che avrebbe piegato di lato le labbra, torturato così tanto le sue mani, e che le avrebbe passate sui capelli.

Senza capirne la ragione, mi rendo conto di sapere tutto di lei, tutte le sue mosse. Tutti i suoi più piccoli e insignificanti comportamenti che nessuno potrebbe mai notare in una persona.

Eppure, a quanto pare, io dovevo averli notati fin troppo bene. Prima.

Quando capisce che sto piantando delle Primule per Primrose sorride nuovamente e poi scappa via.

Non so perché, ma mi aspettavo anche questo.

Non appena sparisce dietro l'angolo, mi sdraio sul terreno umido e mi ritrovo a sorridere come un idiota.

La sensazione di calore che provo al petto è qualcosa di piacevolmente familiare.

Quella che si è presentata da me poco fa era una ragazza devastata, i capelli arruffati, i vestiti sgualciti, gli occhi spenti, gonfi, arrossati. Devastata, eppure bellissima.

La sensazione di piacere e di benessere provocata da quel piccolo incontro mi da la forza di aprire, finalmente, il portone della mia casa.

Non è cambiato niente rispetto all'ultima volta. Nulla, eccetto il grosso strato di polvere che ricopre ogni cosa.

Noto che è quasi completamente rifornita di cibo, indice del fatto che sono automaticamente diventato anche io uno dei “clienti” di Sae.

Beh, sarei potuto benissimo andare io a fare la spesa.

Quel pensiero mi fa riflettere. Tornare in quella casa, pensare alla panetteria e alla mia famiglia dovrebbe farmi tristezza.

Chi meglio di me potrebbe essere il primo dei “disperati depressi del distretto” accidenti?!

Sono stato mutilato, torturato, privato della mia memoria, privato della mia famiglia, eppure perché non mi sento distrutto?! Perché non sono spezzato?

Apro l'ultima porta della casa, quella della stanza in cui ero solito dipingere, e la figura costantemente ritratta nei numerosi dipinti, mi da la risposta.

Katniss Everdeen.

Non posso averne la certezza, ma sento che è stata lei a darmi la forza di affrontare gli Hunger Games, a darmi la forza per rimanere in vita alle torture di Snow.

Lei, quell'ibrido che tormenta i miei incubi, è ciò che mi permette di andare avanti anche adesso.

Perché la voglia di vedere i suoi occhi, la voglia di liberarla dalla tristezza e di vederla sorridere è più forte di tutto.

Più forte del veleno, e più forte della tristezza.

Qualche minuto più tardi, senza rendermene conto, sono in cucina, ricoperto di farina dalla testa ai piedi, intento a preparare le focaccine.

Non so quali potrebbero essere le sue preferite. Se quelle alle mandorle, o alle noci, o al miele.

Chiudo gli occhi e aspetto che sia il movimento quasi automatico del mio braccio a darmi la risposta. E qualche istante più tardi, trovo del formaggio stretto tra le mie mani.

 

***

 

Sono nuovamente sul terreno umidiccio del retro della casa di Katniss per terminare il lavoro.

Sono felice del fatto che oggi, la finestra della sua camera sia spalancata.

Qualche minuto più tardi la sento alle mie spalle, si avvicina titubante.

«Grazie, erano buonissime» dice alludendo alle focaccine. «Come hai fatto a ricordarti che erano le mie preferite?»

Sorrido. Il mio istinto aveva ragione.

«Infatti non lo ricordavo» vedo il suo sguardo farsi confuso. «Ero indeciso tra il miele o le noci, poi ho chiuso gli occhi e il mio corpo si è mosso da solo, quasi istintivamente verso lo sportello dei formaggi»

Mi guarda attentamente, e non posso fare a meno di agitarmi.

«Perdonami Katniss, non so cosa mi prenda. Deve sembrarti alquanto strano che uno che ti conosce appena pianti dei fiori nel tuo giardino o ti porti le focaccine per colazione o...»

Non mi lascia il tempo di finire. «Shh» poggia delicatamente la sua mano sul mio petto e sorride.

Quel contatto è talmente destabilizzante che prego la mia protesi di non cedere.

«Mi chiedevo solamente come mai fai questo per me. Io so chi sei, però tu non puoi ricordare niente di me, eccetto quello che ti hanno mostrato a Capitol City. Per te, se non un ibrido, dovrei essere poco meno di una sconosciuta e...» nota dove è andata a finire la sua mano e la toglie immediatamente.

Sono io che stavolta la interrompo «E' proprio questo il punto, Katniss» afferro la sua mano e la premo maggiormente sopra il mio petto che batte in maniera frenetica. «La mente mi dice che sei un ibrido, che probabilmente proverai a uccidermi da un momento all'altro, eppure il calore della tua mano è così maledettamente familiare e piacevole»

Impedisco al mio cervello di formare alcuna critica sul mio gesto e sulle mie parole e inizio a parlare a ruota libera.

«Non ricordo niente di te, niente di noi due. Eppure, c'è qualcosa qui dentro, che mi spinge continuamente verso di te. Ho deciso di iniziare una nuova terapia, lasciar perdere quello che mi dice il cervello e lasciarmi guidare dal mio istinto, perché è l'unico che non può sbagliare. Ed è questo che incondizionatamente mi porta a fare queste cose...»

Alzo l'altra mano e la porto davanti ai suoi occhi.

«Vedi questa?» dico mostrandole la cicatrice dei suoi denti.

«Quando ti ho visto sul patibolo, mi sono ritrovato quasi automaticamente a stringere la tasca con il morso della notte. E più affondavi i denti sulla mia pelle, più capivo che era giusto, che era quello che dovevo fare perché mi faceva sentire bene.»

La sento tremare, e sento il suo respiro aumentare e diventare irregolare.

«Anche per i fiori, e per le focaccine, non so cosa mi sia preso. Non riesco a spiegarmelo razionalmente, però so che qualsiasi cosa mi faccia sentire bene, come vedere i tuoi occhi in questo momento, non può essere sbagliata»

«E come ci sei arrivato a questa soluzione? Io non ti sono stata vicina, avevo una paura matta, e sono scappata! Ti ho lasciato solo, proprio quando avevi più bisogno di me» dice scoppiando in lacrime. La stingo istintivamente tra le mie braccia e la sento sussultare.

«No, ti prego, non impedirmi di farlo» le sussurro. Non impedirmi di abbracciarti. «E' una di quelle cose che mi fa sentire incondizionatamente bene»

Lei non oppone resistenza, e si abbandona completamente alle lacrime.

«Fu quando vidi nuovamente un tramonto.» le dico per rispondere alla sua ultima domanda.

«Mi resi immediatamente conto che quello era veramente il mio colore preferito. Proprio come avevi detto tu il primo giorno della missione, e se lo dicesti, significava che doveva importarti per forza di me, che dovevo essere importante per te.»

«Avrei dovuto dimostrartelo in un altro modo, standoti accanto nel 13.» Sussurra continuando ad incolparsi.

«Parlare con me, ricordarmi quale fosse il mio colore preferito, quali fossero le mie abitudini è stato il tuo primo tentativo di aiutarmi veramente. E io l'ho apprezzato davvero tanto, Katniss. Certo, non quanto il bacio a Capitol City» mi do immediatamente dell'idiota per l'ultima affermazione. Però la sento ridere sul mio petto e mi tranquillizzo.

«Diciamo che è stato anche quello... molto istintivo..» dice improvvisamente imbarazzata.

Sorrido nel vedere le sue guance tingersi leggermente di rosso e i suoi occhi farsi più sfuggevoli.

«Approvi anche tu la mia terapia dell'istinto?»

Annuisce e affonda maggiormente il viso tra il mio petto, probabilmente irritata dal proprio imbarazzo.

«Quindi... cosa proponi?» chiede.

La allontano un poco, giusto per rispecchiarmi tra i suoi occhi ancora lucidi.

«Aiutami a capire chi sono, perché ho bisogno della tua presenza per comprendere i miei gesti e ritrovare me stesso» confesso.

Ho la seria preoccupazione di avere un arresto cardiaco in corso.

Lei abbassa lo sguardo.

Mi do immediatamente dell'idiota nell'avergli chiesto una cosa del genere, poi inizia a parlare.

«Peeta, tu mi hai salvata così tante volte e continui a salvarmi anche adesso. Perché non ricordo altre giornate in cui mi sia svegliata con la voglia di vivere, come oggi.»

Tiene ancora gli occhi bassi, come se temesse qualsiasi contatto con i miei.

«Non potrò mai perdonarmi per averti lasciato da solo a combattere tutto questo. Ma ti prometto che non ti abbandonerò mai più»

Finalmente punta i suoi occhi sui miei. Mi stupisco di quanto sia dannatamente bella.

«Ho un disperato bisogno di te, di saperti salvo, sicuro, felice. Ho bisogno di sapere che c'è ancora tanto che io possa fare per distruggere l'orrore che Capitol City ti ha inferto, e soprattutto di sapere che c'è ancora qualcuno che mi impedisce di arrendermi a quell'orrore.»

Comprendo che sta facendo uno sforzo enorme a pronunciare quelle parole. Ma non la interrompo. Perché so anche che vuole fare di tutto per farmelo capire.

«E sei tu quel qualcuno Peeta. I tuoi occhi, la tua voce, la tua risata. L'odore di pane e tempere della tua pelle. Fino a quando resti con me, mi sento viva...»

Prende delicatamente la mia mano e la poggia sul suo seno.

Arrossisco immediatamente, e credo che è giunto il momento per la mia povera protesi di cedere.

Poi lo sento. Il suo cuore. Batte velocemente, come per dimostrarmi che è vero quanto mi ha detto, che è vera la sua voglia di vivere.

La stringo nuovamente e inspiro il profumo dei suoi capelli.

«Resterò sempre» e proprio mentre lo dico, mi accorgo di quanto quella frase mi risulti inspiegabilmente familiare.

 

A.A.

Salve a tutti! Questa è la mia prima fanfiction su Hunger Games.

Mi sono sempre chiesta se effettivamente Peeta si ricordasse qualcosa di Katniss successivamente al depistaggio, se con la “terapia” di Aurelius fosse solo riuscito a diminuire le visioni o addirittura a riacquistare i ricordi della sua amata.

Beh, con questa storia ho cercato di far nuovamente nascere l'amore che prova per Katniss attraverso i suoi gesti spontanei, attraverso l'istinto.

Fatemi sapere cosa ne pensate! Gradirei tanto delle vostre recensioni.

A presto, Chiara.

  
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