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Autore: LadyMorgan    23/06/2008    3 recensioni
Morgan Electra Riddle era generalmente considerata una delle personalità più affascinanti di Hogwarts.
Tom Orvoloson Riddle era generalmente considerato uno degli astri nascenti più promettenti della scuola.
Insieme, fratello e sorella erano chiamati i Gemelli Prodigio, Milady e Milord.
La scuola era ai loro piedi allo stesso modo, un modo che sfruttavano con lo stesso sadismo.
Erano sempre stati considerati uguali, due pezzi di un puzzle modellati l’uno sull’altra. Una visione che entrambi, in comune accordo, si erano studiati di dargli per tutto quel tempo.
[...] «Allora ci vediamo a scuola, fratellino» disse Morgan con un ghigno.
Che si rispecchiò sul viso dell’altro. «Conterò ogni secondo, sorellina.»
Poi si diresse dalla parte opposta.
Un sorriso beffardo si disegnò sulle labbra ben disegnate della ragazza.
Non c’era affetto, non c’era amore, ma fra i due era appena nata una tacita promessa: quella di aiutarsi per entrare fra i grandi.
[...]
Fratello e sorella sono separati, ma complici e con lo stesso scopo in mente. Ma non possono esserci due grandi nello stesso momento. Quale sarà il percorso che seguiranno, e dove li potrà portare il loro desiderio di potere? Chi dei due riuscirà a predominare sull'altro?
Genere: Triste, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aloha a tutti, ragazzi e ragazze, sono uno degli ultimi acquisti del gruppo.

Il mio primo campione, siccome voglio fare le cose perbene, è un prologo, relativamente sibillino e che probabilmente non vi chiarirà molto fino a quando non comincerà ad aggiungere gli anelli mancanti. Ma preferisco non anticiparvi nulla. Leggete, leggete! E se riuscite ad arrivare fino in fondo, vuol dire che vi meritate una statua da santi e martiri. La stessa che intendo dedicare a mia sorella, che si è sorbita una dettatura di tutti i miei illeggibili appunti a mano (il computer era stato requisito per un breve periodo da mia madre…): glascie Mary!

Silvia (alias LadyMorgan)

P.S. mia sorella sottolinea che a volte uso un linguaggio troppo complicato. Ma, a essere del tutto sincera, contribuisce non poco per rendere l’atmosfera…Ciò considerato, spero che non risulti comunque troppo pomposo, montato o simili.

DISCLAIMERS: I personaggi sono tutti di proprietà di J.K. Rowling, tranne ovviamente Morgan, che è di mia esclusiva invenzione. La storia non è scritta a scopo di lucro.

                                               

Prologo – A Casa Riddle

Nel quale assistiamo ad un commovente dialogo fra due fratelli che si rinnegano a vicenda

E

ra notte fonda nel villaggio di Little Hangleton, e si udiva in lontananza il fragore di un temporale in avvicinamento.

Era passato poco tempo da che l’ultimo padrone aveva venduto Casa Riddle. In realtà,in molti si erano chiesti perché avesse atteso tanto visto che la misteriosa morte di Franck Bryce non aveva fatto molto per migliorare l’appetibilità della tenuta.

La nuova proprietaria aveva visitato la villa ma, deludendo le ottimistiche speranze di alcuni, non aveva assunto nuova servitù né alcun abitante del villaggio l’aveva mai vista trasferirsi nel nuovo acquisto. Ma nessuno avrebbe potuto dichiararsi sorpreso, dopo tutti i misteriosi delitti avvenuti in quel posto. Ciò nonostante, la nuova padrona aveva fatto molto più per Casa Riddle dei suoi predecessori: una mattina, gli hangletoniani si erano svegliati ed avevano visto la casa completamente restaurata, splendida e ben tenuta come ai tempi in cui i Riddle la abitavano. La cosa incredibile era che nessuno aveva visto l’esercito di operai necessari per rimetterla in sesto: il giorno prima sembrava ancora umida e cadente e il giorno dopo sembrava tornata indietro nel tempo, all’epoca del suo passato splendore.

Eppure, nonostante quell’incredibile gesto, che aveva fornito un nuovo, affascinante argomento di pettegolezzi per tutto il vicinato, nessuno aveva mai visto la padrona per una nuova visita, né per mostrare che intendeva far rivivere quella dimora così mirabilmente restaurata.

Malgrado ciò, se qualcuno degli ottimistici abitanti di Little Hangleton si fosse arrischiato a mettere il naso fuori nonostante la tempesta incipiente, avrebbe fatto salti di gioia, poiché dalla finestra del salone da pranzo proveniva una lama di luce.

Il salone era invero debolmente illuminato.

A capotavola, una figura avvolta di nero, dal viso in ombra coperto da un cappuccio, dalla carnagione ancora più pallida di quanto fosse comune anche fra i popoli settentrionali, stava sorseggiando delicatamente un calice di cristallo pieno a metà di un liquido rosso cupo.

L’ombra restava impassibile, nonostante da fuori si udissero rimbombi sordi, come tuoni, tali da far trasalire chiunque.

C’era qualcosa di sinistra nella fredda calma di quell’immagine, qualcosa di spettrale nel bianco della pelle e nel nero dell’abito a contrasto.

Il calice si poggiò lentamente sul tavolo con un lieve tintinnio.

L’ombra ammantata di nero incrociò le lunghe dita bianche e si immobilizzò, come in attesa di qualcosa. O qualcuno.

E quel qualcuno si Materializzò in quell’istante: una seconda figura in nero, ma a capo scoperto, bianco come un osso.

Si volse di scatto a bacchetta sguainata, verso la prima ombra e lanciandovi al contempo contro un incantesimo mortale.

La prima figura non mosse un muscolo, né dette il minimo segno di terrore. L’incantesimo si dissolse a pochi centimetri dal suo viso, sempre impassibile.

Quest’ultima sorrise leggermente: «Abile, ma insufficiente, Tom.»

La seconda figura ringhiò piano: «Ottima tattica, Morgan… davvero esilarante.»

L’ombra interpellata come ‘Morgan’ rise, ed un globo di luce la illuminò in pieno, mostrando una figura femminile tanto bella da sembrare inumana: quello che di primo acchito era parso un cappuccio era in realtà un serico manto di lunghi capelli di un intensissimo nero, leggermente ondulati che le si disponevano tutt’attorno al viso e che ricadevano morbidamente sulle spalle, tenuti a bada, sulla fronte, da una catenina d’argento terminante in un diamante nero a goccia al centro dello spazio frontale. La pelle era alabastrina, appena rosata all’altezza delle guance. Ma la cosa più spettacolare erano gli occhi, di un marrone tanto chiaro da apparire dorato, con leggeri riflessi tendenti al ramato, ed animati da un fuoco trattenuto all’interno. Le labbra ben modellate erano schiuse in un sorriso ironico, devastante, che sembrava far infuriare la figura davanti a lei.

Morgan, senza perdere il suo sorriso, accennò leggermente alla sedia davanti a lei: «Prego Tom, accomodati.»

La seconda figura si sedette. «Io non sono Tom, Morgan! Ho smesso di chiamarmi così tempo fa. Non era un nome che mi rappresentasse.»

«Voldemort, allora. A cosa l’alto onore di una tua visita?»

«Al fatto che tu sia ancora in vita. Pensi davvero che voglia disconoscere l’unica parente ancora in vita che mi rimanga?»

Affatto commossa dalla frase, per altro smentita dal tono, Morgan disse: «Sì, lo penso. Sono ancora in vita, ti sei finalmente sentito in dovere di rimediare.»

«Difficile» sibilò il mago di fronte a lei, «hai sempre dimostrato un’insana passione per l’invenzione di nuovi incantesimi protettivi.»

Intanto, si guardava attorno come aspettandosi di veder apparire qualcuno.

Morgan rise quando se ne avvide. «In cerca dei tuoi fedeli leccapiedi, Tom? Pensi davvero che intenda tener salotto con tutta la tua… allegra brigata? Sono là fuori» aggiunse, accennando al cancello che si scorgeva fuori dalla finestra, «e per chi tentasse di entrare o di infrangere la mia barriera protettiva, è in attesa una situazione… poco felice, diciamo così.»

Un negligente cenno della bacchetta, e Voldemort udì delle grida di dolore, in tutto simile a quelli, a lui tanto note, delle vittime della maledizione Cruciatus. «Ne hai ritenuti necessari addirittura sette, e fra i più abili? Sono lusingata…»

Poi la bacchetta di Morgan si mosse nuovamente, e scese nuovamente il silenzio.

«Solo chi ha il mio permesso può entrare» mormorò lei piano dopo un po’.

Voldemort rise sarcasticamente. «E allora perché io sono qui?»

Invece di rispondere, Morgan lo fissò lungamente negli occhi. Poi mosse appena la bacchetta ed un calice di cristallo uguale al suo si materializzò davanti a lui, assieme ad una bottiglia che vi versò dentro il suo contenuto.

«Vino» disse lei prendendo il suo calice ed alzandolo come per brindare al mago. «Una delle migliori invenzioni dei Babbani, a mio parere.»

Vide il Signore Oscuro muovere appena la bacchetta verso il bicchiere e sorrise. «No, stranamente, non è avvelenato, mon coeur.» Tacque un attimo, mentre lo sguardo dell’altro la perforava. «Non avrebbe senso ucciderti… non ora, almeno. Non è né il tempo né il luogo, per quanto ciò mi ripugni.»

«Delizioso, cara» sogghignò lui. «Sono commosso dal tuo riguardo verso di me.»

Lei s’inchinò appena. «Sarei un insulso in più» osservò mordace. «Se anche io ti usassi tutti i riguardi che vuoi, sarei uguale ai tuoi beneamati Mangiamorte, il che non mi si addirebbe affatto.»

Voldemort sorseggiò appena la bevanda. Morgan fece altrettanto.

«Gradevole al palato, vero? L’ho… importata, per così dire, dall’Italia. Un paese delizioso, Tom, anche se troppo, assolutamente troppo caldo d’estate» disse in tono discorsivo. «Ci saresti dovuto andare, spero che farai in tempo a rimediare…»

«Stanne certa, Morgan. Ho tutto il tempo che potrei desiderare» sorrise sprezzantemente lui.

Lei scrollò le spalle, sempre con quell’aria frivola che usava per intrattenere. «Sai come funziona, Tom, un attimo prima ti sembra di avere tutta l’eternità davanti, e poi ti accorgi che hai sprecato troppo tempo per nulla…»

Voldemort non gradì la leggera ma efficace inflessione su ‘eternità’. Tuttavia decise di adattarsi, almeno per il momento, alla recita dell’altra; quindi alzò appena il bicchiere e indicò con un ampio gesto la stanza. «Vedo che, alla fine, sei riuscita a rientrare in possesso della nostra propria magione avita, Morgan.»

Lei piegò il capo in un ironico inchino. «Mi intristiva vederla in questo stato, perciò ho deciso di rimediare. Disapprovi forse il mio gusto, Tom?»

«Ho spesso avuto modo di ammirarlo, Morgan» disse lui mordacemente, posando il bicchiere. Affondò in quelli di lei i suoi occhi, cercando di vedere oltre la sua facciata, ma si trovò bloccato da una barriera che deformava qualunque immagine riuscisse a raggiungerlo. Sorrise beffardamente. «Non sei cambiata, Morgan.»

«Neppure tu» disse lei versandosi un altro sorso di vino, «se non nell’aspetto. E, a rischio di offenderti» aggiunse portandosi il calice alle labbra, «devo dire che ti preferivo notevolmente da ragazzo. Debolezza femminile» concluse scrollando rassegnatamente le spalle. I suoi occhi riflettevano il sarcasmo dell’altro.

«Comprensibile, direi» mormorò lui sogghignando. «Le donne danno importanza a questi dettagli, e tu sei decisamente l’epitome di donna.»

«Grazie, Tom, sai quanto un complimento proveniente da te in persona possa esaltarmi.»

Il Signore Oscuro si appoggiò allo schienale del seggio su cui si trovava ed incrociò le dita. «Basta con questo duello verbale, sorellina. Sono venuto qui per uno scopo, e mi par d’aver capito che anche tu ne hai uno.»

Di nuovo quello sguardo intento, fisso e intimidatore, ma… vuoto. Qualcosa in quelle iridi dorate si era spenta.

«Hai ucciso James» disse piano lei, mentre negli occhi le appariva un sinistro bagliore rossastro. «Hai ucciso Silente.»

Voldemort ghignò crudelmente.

«… hai ucciso Sirius…»

Il ghignò del Signore Oscuro si allargò. «Certo» sogghignò piano, «Sirius Black, il ribelle, il traditore, un amico e un amante, per te.»

«Sì.» Quel reciso monosillabo fu pronunciato con voce ferma e bassa, ma venata di una sofferenza intollerabile.

Voldemort si alzò. «Tranquilla, sorellina, intendo ricongiungerti a lui entro poco tempo… per sempre.»

Anche Morgan si alzò con leggerezza. Era alta quanto l’altro. «Certo, fratello mio, non ti avrei mandato a chiamare altrimenti.»

Il braccio di Voldemort armato di bacchetta si bloccò nell’atto di scagliare una maledizione.

«Tu mi hai mandato a chiamare?!»

«Ho detto questo?» sibilò lei, sarcastica. «Deve essere stato un lapsus. Volevo dire ‘ho richiesto l’alto onore della tua presenza’.»

«Non mi hai chiamato tu! Tu vivi nascosta, braccata, senza osare…»

S’interruppe perché la strega era scoppiata francamente a ridere.

«Tom, Tom, dopo tutto questo tempo ancora non hai imparato a non fidarti dell’abilità dei tuoi fedeli Mangiamorte?»

Voldemort rimase in silenzio, tale era la fredda furia che lo agitava.

«Pensi davvero che l’avermi messo alle costole alcuni dei tuoi servi basti come garanzia per assicurarti che io non esca, non mi muova e viva braccata?»

Il mago non rispose, perché sapeva che aveva ragione, poiché quella sorella così intelligente che aveva rinnegato lo conosceva meglio di chiunque altro, e sapeva dove colpire, dove attaccare quell’armatura senza falle per tutti gli altri.

Dalla morte di Silente, era l’unico, l’ultimo potenziale pericolo ancora esistente. A parte – ma no, non più – quel ragazzo. Potter. Ma attualmente lei era più urgente: se si fosse alleata col ragazzo, avrebbe potuto istruirlo su quelle falle che chiaramente le erano così evidenti.

Non doveva esistere ancora.

Perciò alzò nuovamente la bacchetta e colpì. La reazione della sorella non si fece attendere: defletté l’incantesimo e un batter di ciglia dopo dalla punta della sua bacchetta esplose un’accecante luce bianca, che si diresse verso di lui e che, nonostante il suo incantesimo protettivo, lo spinse indietro di più di un metro.

«Nuova scoperta, Morgan?» chiese lui beffardo da dove si trovava.

Lei s’inchinò. «Solo perfezionamento di uno già esistente, per quanto originario di posti e spazi molto, molto remoti…» Poi abbassò la bacchetta. «Giochiamo ancora un po’, Tom, e poi passiamo al morivo per cui sei venuto qui…»

Furioso per sentirsi parlare a quel modo, il Signore Oscuro lanciò contro la sorella una lingua di fuoco nera, che lei assorbì contro il palmo della mano; poi eseguì un brusco movimento di polso e Voldemort sentì il pavimento sotto di sé muoversi e si accorse che stava salendo verso l’alto. Sentì i propri piedi sollevarsi e si trovò a quasi mezzo metro da terra. Alzò gli occhi verso la sorella, anche lei fluttuante, e le scagliò contro una maledizione Cruciatus, che lei schivò, senza tuttavia reagire.

Il pavimento aveva terminato la sua ascesa, e il Signore Oscuro si accorse di trovarsi sul tetto della villa.

Stranamente, sopra i duellanti, il cielo, altrove carico di tempesta, era limpido e stellato. Voldemort vide che la strega di fronte a lui stava guardando il cielo con lo sguardo pieno di una tale tenerezza che ne fu disgustato.

Alzò la bacchetta, ma Morgan aveva nuovamente eretto una barriera attorno a sé che il Signore Oscuro tentò in tutti i modi di infrangere.

Poi la udì mormorare, gli occhi sempre rivolti alle stelle: «Canis Major…»

Un nuovo incantesimo si infranse contro la sua barriera.

«Sirius…»

La stella più luminosa del complesso sopra di loro parve brillare più intensamente.

«… la stella più luminosa del cielo…»

Si udì il rombo di un tuono in lontananza. O era un incantesimo?

«… del mio cielo.»

Morgan sorrise, poi si voltò lentamente verso il fratello con quella stessa espressione di beatitudine e tornò ad affondare il suo sguardo dorato negli occhi rossi del Signore Oscuro. Sempre sorridendo, ritirò la barriera e lasciò cadere la bacchetta, mentre, un lampo di luce verde eruttava dalla bacchetta di Voldemort.

Sempre sorridendo, Morgan chiuse semplicemente gli occhi.

  
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