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Autore: alecter    28/02/2014    0 recensioni
Sei anni di parole mai dette, sei anni di sguardi nascosti.
Quanto ci vuole per trovare il coraggio di parlare e dire cosa si prova?
Per me quel momento non è ancora giunto, ma lo aspetto con ansia, mentre guardo in silenzio lui.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi rendo conto di essermi incantata nel momento in cui una delle mie amiche poggia una mano sulla mia spalla e io di scatto volto la testa verso di lei, semi cosciente, ancora un po' incerta sul dove mi trovassi. Fisso i suoi occhi e le sue labbra leggermente piegate in un sorriso compassionevole. Sento il suono della batteria rimbombare dentro di me, lo sento scuotermi le membra, far pulsare il sangue più velocemente, far vibrare i miei nervi; fungo da cassa risonante, il suono passa direttamente attraverso di me. Mi giro di nuovo verso il palco e lo vedo, ancora li, i capelli leggermente umidi attaccati alla fronte, le sue dita strette sulle bacchette che si muovono spasmodicamente sui piatti e la superficie della batteria, la sua testa che ciondola al ritmo della sua musica. Quando suona, è come se tutto all'improvviso sparisse, per me, e per lui. Siamo soli nella stanza, le luci soffuse cancellano il resto della folla che lo guarda con ammirazione.
È così dentro quel ritmo, quel battito cardiaco prodotto dalla sua batteria, da non accorgersi della presenza di altri. È solo lui, nel suo mondo e io, a forza di fissarlo, me ne sento parte. In un qualche modo sparisco, mi libero da me stessa e mi ritrovo parte di quel battito. Non ne sono consapevole, ma per la maggior parte della performance tengo gli occhi fissi su di lui, quasi ne valesse della mia vita. Un battito di ciglia, e potrei morire.
Ed è così che spesso ritrovo i suoi occhi vagare nel solito angolo nascosto, dove sono sempre io, in completa ammirazione. Mi sono sempre chiesta se dopo tutto questo tempo si fosse accorto che in quel piccolo spazio buio ci fosse qualcuno, e che quel qualcuno ero sempre io. Mi continuo a chiedere ancora oggi se sia in grado di riconoscermi o se io sia semplicemente una faccia tra le tante, una di quelle già viste, ma che non saprebbe classificare se piacevole o semplicemente da cancellare. Eppure io continuo a seguirlo, ovviamente in silenzio, perché il coraggio di parlare manca sempre. Gli anni passano, rapidi, e alla fine ricordo ancora che sei anni fa lo vidi per la prima volta e fu lì che in un certo senso me ne innamorai. Non ne ero ancora pienamente conscia, ero piccola, stupida, e in fondo non lo conoscevo.
Ma posso dire di conoscerlo ora? No.
Eppure c'è qualcosa di lui che mi attira al punto di continuare a fantasticare su un nostro utopico futuro assieme. Utopico perché uno come lui non noterà mai una scialba come me, perché non avrò mai il coraggio di farmi avanti e dirgli tutto quello che avrei da dire. Avrei dovuto prenderlo al volo quando una minima idea di chi fossi, in quei primi tempi, quando ancora era una cotta innocente, lui c'è l'avesse.
Ora sono probabilmente nella lista di quelle persone che frequentano sempre lo stesso giro di concerti, una fan sfigata posta sempre in prima fila per la sua band. E così quando la musica finisce e le luci si spengono, torno fuori dal locale giusto per prendere aria. Ogni volta è un circolo che si ripete. Lo vedo, sto male, vorrei parlargli, dirgli qualsiasi cosa, e poi rimango come un ebete a seguire i suoi passi, fino a che non arriva il momento di tornare a casa e ancora una volta siamo due estranei. E poi passano un infinita serie di giorni di agonia dove lo penso ma cerco di dimenticarlo, ed è proprio quando sono sul punto di averlo cancellato che torna, quando meno me lo aspetto.
Le mie amiche mi lasciano per qualche secondo sola, mentre si addentrano nel bagno, io ho deciso di rimanere di fuori per cercare di respirare. Qualche goccia di pioggia cade e mi bagna i capelli, ma è solo quando diventa insistente e tutti si riparano sotto i tendoni che tiro fuori l'ombrello. Non ho voglia di infilarmi in quella massa di corpi sconosciuti su cui aleggia una pesante nebbia di fumo e sudore. Preferisco rimanere al freddo, l'ombrello sopra la mia testa.
Sento la porta del locale sbattere al mio fianco ma non alzo nemmeno la testa, aspetto di vedere un'ombra passare di fronte a me, diretta verso i tavoli. Nessuno passa. Sposto leggermente la testa e vedo un corpo appoggiato al muro, al mio fianco, e anche se dista qualche centimetro da me, mi sembra di riuscirne a sentire il calore. Generalmente mi sarei spostata, odio la vicinanza, l'invasione dei miei spazi che non rispetti le mie regole, eppure quel calore era quasi piacevole. Sposto l'ombrello e osservo il volo del ragazzo al mio fianco. Il respiro mi si gela in gola e piccoli pezzi di ghiaccio iniziano a lacerarmi il petto.
Lui e lì, vicino a me, lo sguardo perso nel vuoto e i capelli zuppi fuoriescono a ciuffi dal suo cappuccio. Non si smuove, è impassibile. Sento una folata di vento gelida che trascina fino a me il suo profumo, mischiato ad un odore acre di sudore che mi pizzica il naso. Eppure non m’interessa. Senza neanche pensarci, mi trovo ad alzare il braccio, sollevare l'ombrello fino a che non copre completamente la testa di entrambi. Ora i nostri corpi sono così vicini che sento la sua giacca strofinarsi contro la mia. Ho paura ad alzare lo sguardo, quindi continuo a fissare la rete che delimita lo stretto spazio del locale, mentre sento i suoi occhi penetrarmi profondamente.
"Grazie" lo sento dire sulla mia spalla, e all'improvviso sento di nuovo quel nodo alla gola. Mi sembrava di sentire la sua voce per la prima volta, ed effettivamente, erano passati sei anni da quando lo avevo sentito dire qualcosa di diretto a me. Stringo ancora più forte l'ombrello, attenta a ripararlo, e lo guardo a mia volta. Mi sta ancora fissando, con quell'espressione che non riesco mai a decifrare, con quegli occhi che non capisco se stiano guardando me o il vuoto.
Sorrido, perché non so fare altro, vorrei tornare a guardare la rete ma lui continua a fissarmi e io non so se dovrei parlare, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Continua a guardarmi come se finalmente stesse unendo tutti i puntini sul foglio, come se il puzzle fosse finalmente giusto quasi al termine, oppure qualcosa ancora gli sfugge.
"Piaciuto il concerto?" annuii, poi mi resi conto che non potevo continuare a gesticolare e basta.
"Si, siete sempre bravissimi" gli strappai un sorriso e quello sciocco traguardo mi fece sentire più leggera. Cerco di memorizzare la sua espressione, i suoi occhi accesi, le piccole fossette che si creano ai lati della sua bocca quando sorride, la sua barba, il suo profumo, cerco di cristallizzare quel momento nella mia mente per riviverlo a ripetizione nei giorni avvenire.
"Grazie" dice serio, i suoi occhi si sono fatti più profondi e scuri. Come una sciocca, mi chiedo se si riferisse al mio commento o a tutte le volte che sono stata lì per sostenerlo. Quando non potevo esserci, mi sentivo in colpa. Sciocco, perché cosa ne poteva sapere lui che io ero li, eppure sentivo che avesse bisogno della mia presenza. Ero forse più sostenitrice io della sua ragazza. Ma era, appunto, un pensiero idiota, perché io non ero nulla per lui se non una delle tante che si schierava al suo fianco in adulazione.
Scorsi con la coda dell'occhio le mie amiche davanti a noi, erano rimaste in silenzio a fissarci, incerte se interromperci o meno.
"So chi sei, sai?" fu lì che per un momento pensai di fuggire. Avevo aspettato così tanto quel momento eppure dall'altra avevo il terrore di sentire cosa avesse da dire.
"Ah si?" chiesi innocentemente, la voce strozzata. Annuì. Non volevo dire nulla.
Sapeva davvero chi ero? Se sì, cosa stava pensando? Non volevo chiedere. Non potevo. Lo scrosciare della pioggia sul nostro ombrello si era fermato, ma io continuavo a tenerlo sopra di noi, quasi potesse ripararci e dividerci dal resto della gente.
"Non so perché ci sei sempre ma sappi che ho sempre apprezzato vedere un volto familiare sostenermi in tutto questo tempo" arrossii violentemente e ringraziai la sciarpa perché copriva la maggior parte del mio viso. Non poteva averlo detto davvero, cose del genere succedevano solo nei miei sogni o nelle fan fiction. Eppure eravamo li, sotto un ombrello, mentre la pioggia aveva cessato di cadere e il vento mi sferzava le guance, ormai intorpidite.
"Figurati, lo meriti" sussurrai nella mia sciarpa. Sentii il mio respiro caldo farsi sempre più rapido. Era il momento di fuggire prima che qualcosa rovinasse tutto.
"Bè, ora devo andare" tirai giù l'ombrello e all'improvviso fu come se la nostra bolla si fosse rotta, tornammo nel mondo dei comuni esseri umani. Faticai un po' a richiudere l'ombrello, poi sistemai la giacca e quando ebbi finito tornai con lo sguardo su di lui. Continuava a guardarmi, la sua faccia sembrava un punto interrogativo. Si aspettava dicessi altro? O forse pensava che ormai la sua missione di far sentire meglio una povera fan era giunta al termine e non aveva altro da dire?
"Alla prossima allora?" chiese sorridendo. Quell'espressione vacua aveva lasciato il posto ad un nuovo sorriso. Annuii, sorridendo a mia volta.
In un attimo, mi ritrovai immersa nella sua ombra, con la sua barba folta a pizzicarmi la guancia e le sue labbra posate sul mio viso. Cercai di controllarmi e mi limitai a sbattere continuamente le ciglia per capire cosa stesse accadendo mentre quella piccola parte della mia guancia stava bruciando. Si distanziò da me e sorrise di nuovo.
"Alla prossima" ripetè, quasi fosse una promessa.
 

   
 
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