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Autore: northernlight    28/02/2014    3 recensioni
Scorrendo lo scaffale, picchiettandosi un indice contro il mento, scorse la copertina di un vinile: un guanto di pelle nera posato su un fondoschiena bianco, si ricordò di averlo anche in formato cd. Afferrò la sua copia di Is This It degli Strokes e uscì ad aspettare Matt. Camminò avanti e indietro per un po’, poi decise di trarre un minimo beneficio da quel sole che stranamente gli stava piacendo più del dovuto. Si accese un’altra sigaretta e si rilassò sui gradini del patio di casa sua stendendosi con la schiena sul legno, le gambe alzate con i piedi a poggiare sul corrimano della piccola scalinata e occhi chiusi schermati dai suoi soliti Ray-Ban preferiti; le caramelle e il cd poggiati sulla pancia fin troppo piatta.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner, Matt Helders
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The road.







Steso sul divano fissava il soffitto battendo nervosamente un piede scalzo contro il bracciolo di stoffa marrone, le mani intrecciate dietro la testa. Sbuffava incontinuazione, era annoiato da morire ed erano solo le dieci del mattino. Alex si alzò e andò ad aprire la finestra per far entrare un po’ d’aria: la fredda brezza mattutina gli solleticò le braccia scoperte, si gustò i raggi di quel sole caldo sul viso. Non andava matto per il freddo, ma quella mattina il clima non era particolarmente rigido e la primavera di Sheffield era una delle cose che più amava al mondo. Si accese una sigaretta picchiettando a terra col piede; Arielle sarebbe stata via tutto il giorno e lui non sapeva che fare ed era lì da soli due giorni. Aspirò quanto fumo possibile dalla sigaretta, lo sguardo gli cadde sul cellulare posato sul tavolino. Lo prese e fece partire una chiamata.

“Pronto?” risposero dall’altro capo del telefono.

“Mi annoio.”

“Alex, sono le dieci di mattina, cosa vuoi?”

“Mi annoio, Matt” sbuffò Alex assieme al fumo della sigaretta.

“E cosa vuoi da me? Devo portarti al parco a giocare con gli altri bambini speciali?” ribatté ironico il batterista. Alex non rispose, troppo impegnato con la sigaretta.

“Dai, cazzo! Stupido gioco…” urlò Matt dall’altro lato.

“Che fai?”

“Mi annoio, perdo tempo.”

“Dov’è Breana?” chiese Alex.

“Dov’è Arielle? Sono tutte insieme, amico: Breana, Arielle, tua madre e mia madre e no, Alex, non le raggiungeremo.”
Alex incrociò imbronciato le braccia sul petto, tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio. Rifletté un secondo.

“Matt…”

“Turner.”

“Mi annoio” ribadì il cantante. Matt sbuffò pesantemente, spense la consolle con cui stava giocando e si passò pigramente una mano tra i capelli.

“Passo a prenderti tra venti minuti” dichiarò infine. Alex sorrise sornione.

“Grazie, Mattie, sei sempre il migliore!”

“Fottiti” concluse il batterista riattaccando la telefonata. Alex rise di cuore, spense la sigaretta e andò a cambiarsi: infilò un paio di jeans, una t-shirt bordeaux e delle scarpe nere, sul divano poggiò la giacca di pelle che avrebbe portato con sé in macchina. Frugò nella dispensa del cibo spazzatura trovando quello che cercava, un sacchetto di caramelle gommose di quelle a forma di verme, lunghe e coloratissime; poi si prese cinque minuti davanti la sua libreria di vinili e cd pensando a che musica portare in macchina. Lui e Matt avevano questa tradizione: da quando il batterista aveva imparato a guidare, e ormai lo faceva molto bene, Alex portava sempre delle caramelle e un album da ascoltare in macchina durante il viaggio. Pensò a qualcosa dei Black Sabbath, poi a qualche robaccia rap che ascoltavano durante il liceo. Scorrendo lo scaffale, picchiettandosi un indice contro il mento, scorse la copertina di un vinile: un guanto di pelle nera posato su un fondoschiena bianco, si ricordò di averlo anche in formato cd. Afferrò la sua copia di Is This It degli Strokes e uscì ad aspettare Matt. Camminò avanti e indietro per un po’, poi decise di trarre un minimo beneficio da quel sole che stranamente gli stava piacendo più del dovuto. Si accese un’altra sigaretta e si rilassò sui gradini del patio di casa sua stendendosi con la schiena sul legno, le gambe alzate con i piedi a poggiare sul corrimano della piccola scalinata e occhi chiusi schermati dai suoi soliti Ray-Ban preferiti, le caramelle e il cd poggiati sulla pancia fin troppo piatta. Aspirò lentamente, rigirandosi il fumo e il sapore in bocca, pensando che avrebbe dovuto smetterla con quella merda perché prima o poi gli avrebbe rovinato la voce e i polmoni. Buttò fuori il fumo non trovando altre motivazioni per non farlo e decidendo egoisticamente che non gli importava più di tanto. Aveva quasi finito la sigaretta quando un clacson interruppe il fluire disordinato dei suoi pensieri.

“Ciao, bella. Quanto prendi?”

“Quello che prendi tu per battere su due pelli, coglione” rispose Alex ancora sdraiato.

“Ah, quindi una miseria allora! Mi vai benissimo, monta su” ribatté Matt dalla sua macchina. Il cantante sospirò spegnendo la sigaretta, con caramelle e cd in una mano mentre con l’altra diede una smossa ai jeans per pulirsi sapendo quanto il suo amico tenesse alla tappezzeria della macchina. E infatti non mancò di ricordarglielo.

“Sai che quella era l’ultima per ora, vero?” chiese il batterista alludendo alla sigaretta appena spenta in quanto, nella sua macchina, era categoricamente vietato ‘fumare, mangiare, infilarsi le dita nel naso, bere cose altrimenti ti disarticolo le falangi una ad una’ furono le prime parole pronunciate da un Helders neo patentato anni orsono ormai.

“Sì, lo so, Matthew” biascicò stizzito Alex ma era una condizione a cui si era abituato per forza visto che non amava particolarmente guidare l’auto, preferiva di gran lunga la moto. Salì in macchina, Matt riconobbe subito la copertina del disco che l’amico aveva in mano e lo fissò inarcando un sopracciglio. Alex tirò appena su col naso e lo guardò di rimando attraverso le lenti scure degli occhiali.

“Cosa?”
Matt accese la macchina, sorrise.

Nostalgico oggi, Al?”
Il cantante scrollò le spalle pensando che forse portare quell’album non era stata una buona idea, erano passati quasi dieci anni dall’ultima volta in cui l’avevano ascoltato insieme mentre da Sheffield salivano a Manchester in una giornata di noia totale come quella.

“Hai già fatto colazione?” si premurò di chiedere il batterista “io sto morendo di fame, dannazione.”

“No, non ho fatto colazione e, se ti va, possiamo passare da Ginny e prendere qualcosa da mangiare al cafè. Saranno anni che non andiamo a trovarla” propose Alex sbadigliando.

“Andata! Tanto non abbiamo niente da fare, no?”
Il cantante annuì aprendo il finestrino e assaporando con i polpastrelli l’aria frizzante di quella mattina. Stavano andando al loro solito cafè gestito da una donna che aveva solo qualche anno più di loro, Ginny. Frequentavano quel posto dal loro primo anno di liceo quando, ogni mattina, passavano da lì per fare la seconda colazione della giornata. O almeno Matt, Alex si limitava a prendere l’ennesimo tè. Matt aveva avuto per anni una cotta per Ginny visto che, quando avevano iniziato a frequentare il posto, loro avevano quindici anni, mentre lei ne aveva già venti. Alex sorrise al ricordo di quei giorni, Matt se ne accorse.

“Perché ridi?” chiese quest’ultimo.

“No, niente, pensavo…”

“A cosa?”

“A quanto sei coglione.”

“Ti tiro un pugno se non la smetti stamattina.”
Alex rimase qualche minuto in silenzio.

“Pensavo a quanto sei coglione perché mi è tornato in mente San Valentino dei nostri sedici anni” rispose Alex riuscendo a stento a trattenere le risate. Lasciò Matt fare mente locale riportando alla mente quel giorno: Matt era talmente cotto di Ginny che la mattina di San Valentino aveva comprato dei fiori deciso a dichiararsi solo che lei aveva appena finito di lavare il pavimento e Matt, entrato di gran lena nel locale, non si era ricordato di avere delle Converse con la suola molto liscia e aveva preso uno di quegli scivoloni epici finendo a gambe all’aria. Non prima, però, di essersi aggrappato al grembiule della suddetta ragazza strappandole l’uniforme in punti poco pubblici, come dire.

“Dai, avevo sedici anni ed ero un imbranato.”

Solo a sedici anni eri imbranato, certo.”

“E poi mi piacevano gli occhi azzurri” confidò il batterista.

“Sì, gli occhi, Matthew” precisò Alex “perché di Ginny tu hai sempre guardato gli occhi, vero?”

“Certo!” rispose convinto il batterista.

“Che sono verdi infatti” precisò Alex.

“N-non è vero” rispose Matt.

“Sì, continua a ripetertelo. Dopo entriamo e le chiedo di che colore ha gli occhi e se mi dice che sono verdi tu dovrai dirle che ha delle belle tette.”

“Tu… io cosa?!” sbottò Matt stupito, l’ennesima scommessa ed era da un po’ che non ne facevano una.

“Paura, Helders?” chiese Alex assestandogli una pacca sulla schiena mentre Matt parcheggiava di fronte al cafè.

“Paura? Io rido in faccia alla paura, Alexander” disse Matt.

“Allora, andata?”
Alex gli porse la mano in attesa della stretta che sancisse la scommessa.

“Andata. Ora scendi che ho fame.”
Matt lo spinse leggermente contro la portiera dell’auto ancora chiusa. Scesero e battibeccando a bassa voce entrarono nel locale. Non mettevano piede nel cafè da più di due anni ormai, avendo poco tempo da passare in patria nell’ozio più totale.

“Buongiorno!” esordì Matt spalancando la porta col suo solito fare rumoroso e simpatico. Alex scosse la testa sfilandosi gli occhiali da sole. Nel locale c’erano pochi avventori, erano già tutti a lavoro. Il posto era come Alex lo ricordava: caldo, accogliente, con un grande bancone di legno scuro circondato da sgabelli rivestiti di rosso mentre i tavoli, per lo più addossati alle pareti, erano coperti da delle tovaglie verde scuro, le pareti tappezzate di gigantografie di copertine di vinili e poster degli artisti preferiti dalla proprietaria. Nell’angolo di fronte l’ingresso campeggiava l’enorme jukebox che Alex e Matt avevano regalato a Ginny qualche anno prima, appena avevano iniziato ad avere soldi in più. Non c’era traccia della donna, dietro al bancone.

“Arrivo subito, accomodatevi dove trovate posto” fu il commento sarcastico di Ginny che, come avevano pensato i due ragazzi, era nel retro a prendere chissà quale rifornimento. Alex e Matt si poggiarono al tavolino che dava esattamente sulla porta del retro pronti a vedere la reazione della donna, braccia incrociate sul petto. Nell’attesa, Alex frugò in tasca in cerca di qualche moneta, aveva voglia di un po’ di musica perciò si avvicinò al jukebox e fece partire una canzone. Sulle prime note di Come Together dei Beatles, Ginny fece la sua comparsa reggendo una pila altissima di scatole di tovaglioli da sistemare sui tavoli.

“Scusate, scusate, arrivo subito!”
Alex e Matt si precipitarono ad aiutarla alleggerendole il carico.

“Ma no, non vi preoccupate, ce la faccio da so-… Matthew! Alexander!”
Strillò lei appena i due ragazzi le tolsero le scatole dalle mani liberandole la vista. Ginny era l’unica, oltre alla mamma di Alex, a chiamarli con il loro nome per esteso. Non era cambiata molto negli anni, aveva messo su qualche chilo nei posti giusti a causa delle due gravidanze avute, giusto un accenno leggerissimo di rughe attorno agli occhi ma per il resto era sempre bellissima.

“In persona” confermò il batterista posando le scatole sul bancone insieme a quelle di Alex.  

“Le mie due rockstar preferite sono in città” disse loro con qualcosa negli occhi, come quando una sorella più grande guarda ai progressi dei suoi fratelli più piccoli, quel qualcosa chiamato orgoglio. A turno abbracciarono la donna che li fece accomodare al bancone e iniziò ad affaccendarsi per preparargli una bella colazione.

“Colazione completa, ragazzi?” chiese loro.

“Per me sì” rispose Matt mentre Alex taceva, non aveva molta fame ma se avesse detto di no, Ginny gli avrebbe rifilato l’ennesima paternale su quanto fosse effettivamente magro e l’avrebbe comunque costretto a mangiare qualcosa. La gente non ci credeva affatto quando lui diceva che mangiava, non era colpa sua se aveva il metabolismo di una ragazzina di dodici anni.

“A-anche per me” abbozzò con un sorriso sentendo due paia di occhi puntati su di lui pronto a rimproverarlo se avesse detto di no. Ginny sorrise iniziando a preparargli uova, bacon, pancake e caffè.

“Ginny, prima di iniziare a preparare tutto, solo una cosa: di che colore sono i tuoi occhi?” chiese Alex seduto con i gomiti poggiati al bancone, teso verso la donna.

Verdi, Alexander, perché?” rispose lei mentre versava l’acqua per il caffè. Alex girò lentamente solo la testa verso Matt che aveva smesso di sorridere. Con un eloquente alzata di sopracciglia, Alex aspettava l’entrata in scena dell’amico.

“Ehm, haidellebelletette” blaterò Matt tutto d’un fiato arrossendo e non riuscendo a scandire le parole.

“Come, Matthew? Non abbiamo sentito bene, hai qualcosa da dire?” rimbeccò sarcastico Alex. Matt gli mimò uno ‘stronzo’ in silenzio, Alex soffocò tra le braccia una risata.

“Ho detto che hai-delle-belle-tette” ripeté il batterista lentamente respirando appena. Ginny si voltò a bocca aperta pronta a chiedere spiegazioni ma le fu sufficiente vedere le spalle di Alex sussultare convulsamente per le risate per capire.

“Hai perso l’ennesima scommessa, Matthew?” chiese la donna abituata a vederli comportarsi così.

“A quanto pare…”

“Ti ringrazio per il complimento e, come premio di sconfitta, ti metterò più sciroppo d’acero sui pancake” propose Ginny, le labbra di Matt si allargarono in un luminosissimo sorriso.

“Hey!” scattò Alex alzando la testa all’improvviso “lui perde e io mi becco sciroppo in meno?”

“Tu avrai più bacon, Alexander. Ricordo ancora quello che preferite mangiare” annunciò Ginny armeggiando con l’impasto delle frittelle. Alex sospirò rilassato, in quel momento gli sembrava davvero di essere tornati indietro di anni a quando facevano colazione lì prima di andare a scuola, a quando Matt protestava sempre per il poco sciroppo sui pancake, goloso di dolci com’era, o quando Alex chiedeva sempre qualche fetta in più di bacon nel suo piatto. Ma Ginny decise che, per quel poco tempo che li avrebbe avuti lì, non ci sarebbe stato spazio per essere accecati dalla nostalgia e perciò li tartassò di domande su tutto, dalle loro ragazze al tour e alle nuove canzoni. I ragazzi risposero tranquillamente trangugiando la colazione mentre lei beveva del caffè e ogni tanto si allontanava per servire qualche cliente. Un paio d’ore dopo lasciarono il locale con la promessa di passare a salutarla con Arielle e Breana prima di ripartire per l’America. Uscendo, ponderò se fosse il caso di accendersi un’altra sigaretta o se sarebbe stato meglio evitare; stranamente scelse la seconda opzione. Inforcò gli occhiali e osservò l’amico bearsi dei raggi del sole nonostante l’avvicinarsi minaccioso di enormi nuvoloni grigi che profumavano di pioggia. Un tuono in lontananza confermò le aspettative del cantante. Un Matt sazio e soddisfatto si stava stiracchiando la schiena, osservando i movimenti di Alex.

“Okay, dove vuoi andare?” chiese il batterista. Alex scrollò le spalle.

“No, tu non scrolli un cazzo di niente. Mi hai fatto alzare il culo dal divano e ora mi dici dove vuoi andare o ti rompo” continuò Matt scrocchiandosi minacciosamente le dita delle mani. Alex scoppiò a ridere ma non osò dirgli che, in ogni caso, non avrebbe fatto paura nemmeno ad una mosca; Matt comprese e si unì alle risate dell’amico. In quel momento, al cantante tornò in mente una giornata che avevano trascorso a Brighton, il primo viaggio lungo che facevano insieme da quando Matt aveva preso la patente: avevano preso da mangiare ad un fast food poco fuori Sheffield perché ‘freddo è più buono e le bibite a temperatura ambiente sono meglio’ visto che nelle tre ore di macchina fino a Brighton il cibo si sarebbe raffreddato. Erano andati in riva al mare, seduti sul cofano dell’allora macchina bianca del suo amico e avevano passato ore a mangiare, parlare, ridere e, con Alex strimpellava qualcosa alla chitarra, guardarono il sole tramontare e fondersi col mare.

“Brighton” sbottò Alex improvvisamente, regalando a Matt un enorme sorriso.

“Brig-… se vuoi della cioccolata o dei dolci ti porto qui vicino, non mi sembra il caso di andare fin lì.”

“No, Matt, Brighton!”

“Eh, ho capi-… oh, Brighton, ma certo” sussurrò Matt avendo capito a cosa alludeva Alex. Il cantante annuì e si avviarono velocemente in macchina.

“Doppio cheeseburger, patatine e coca grande?” propose Matt mettendo in moto, vide Alex con la coda dell occhio confermare con un cenno della testa.

“Andiamo allora!”
Si misero in marcia e, mentre Matt guidava, Alex fu incaricato di fare una telefonata alla sua ragazza per avvisare del loro nuovo programma giornaliero. Compose il numero, Arielle rispose dopo un paio di squilli.

“Pronto?” trillò la ragazza dall’altro lato del telefono.

“Amore, ciao” rispose Alex sorridendo, le mancava tantissimo “dove siete?”

“Siamo a Liverpool, siamo andate a prendere la mamma di Miles per una giornata di sole donne” rispose la ragazza, circondata da rumori e voci. Alex la immagino isolarsi appena dalle altre per poter parlare con lui, circondata da quella città che Miles le aveva fatto girare spesso quando lui era impegnato col tour.

“Oh, quindi anche Miles è lì con voi? Passamelo” chiosò Alex allegro, la risata rumorosa di Arielle invase l’abitacolo della macchina facendo sorridere anche Matt.

“Non fare lo stronzo, tesoro. Piuttosto, dove sei tu!” si informò lei.

“Ehm, sono con Matt, mi annoiavo e l’ho chiamato ed è stato così gentile da passare a prendermi e adesso siamo in giro.”

“Ciao, Mattie” urlò Arielle senza bisogno di mettere il vivavoce, Alex allontanò il cellulare dall’orecchio per evitare di rompersi un timpano.

“Ciao, stronza! Se la mia donna torna a casa con qualcosa di leopardato addosso, sappi che ti riterrò responsabile e pesterò il tuo amato iPhone sotto i piedi” la minacciò il batterista. Sentirono Arielle lamentarsi e poi dire qualcosa sul fatto che ‘quando Breana ti farà vedere il leopardato che ha comprato, mi dovrai baciare i piedi, Mattie’ al che Alex pensò che era il caso di deviare l’argomento.

“Okay, okay, basta così” disse ridendo “mi manchi un sacco.”

“Ma se non ci vediamo da, uhm, circa quattro ore!”

“Sono troppe” ribatté Alex ad alta voce mentre Matt entrava nella corsia drive del fast food per prendere da mangiare. Arielle sentì il batterista fare le ordinazioni e si informò su cosa stessero effettivamente facendo.

“Andiamo a Brighton, come i vecchi tempi. Qui sta per piovere e non vedo il mare e le spiagge inglesi da un po’” disse Alex sospirando e poggiando la testa contro il sedile dell’auto. Matt pagò e prese le ordinazioni mentre il cantante chiudeva la telefonata.

“Arielle ha detto che torneranno stasera quindi possiamo ‘fare la nostra cenetta a lume di tramonto con tutta la calma del mondo’” comunicò Alex all’amico, mimando le virgolette con le dita sull’ultima parte della frase. Matt rise, si avviarono in silenzio verso la strada che li avrebbe portati a Brighton. Rimasero in silenzio per un po’, a fargli compagnia solo il rumore dell’asfalto che gli scorreva sotto e qualche goccia di pioggia che si schiantava sul parabrezza. Dopo qualche chilometro, Matt accese la radio e Alex si premurò di infilare il disco degli Strokes che aveva portato. Le prime note di Is This It invasero l’abitacolo rilassandoli entrambi.

“Quanti anni sono passati dall’ultima volta che abbiamo ascoltato questa roba insieme?” chiese Matt tamburellando il ritmo con le dita sul volante.

“Troppi” mugugnò Alex in preda ad uno sbadiglio ricordandosi che aveva dormito poco quella notte e che si portava sulle spalle numerose notti insonni a causa del tour.

“Dormi.”

“No, ti faccio compagnia” ribadì fermamente il cantante togliendosi gli occhiali e stropicciandosi gli occhi assonnati.

“Ho dormito, io, Alex. Dormi e basta, non fare storie.”

“Ma non voglio dormire!”

“Certo, come no, gli sbadigli sono per decorazione alla voce di Jules?”
Alex non rispose. Aveva poggiato la testa contro il finestrino, gli occhi semichiusi e già a metà strada verso il mondo dei sogni. Matt sorrise guardandolo, gli tolse gli occhiali dalle mani poggiandoli sul cruscotto e abbassò il volume della radio rendendolo solo un dolce e cullante sottofondo. Alex – Alex che ‘ma io non voglio dormire!’ – si svegliò poco prima di arrivare a Brighton, circa tre ore dopo la loro partenza. Sbadigliò, si stiracchiò per quanto possibile, flettendo le braccia lunghe ed esili. Aprì il finestrino per far entrare un po’ d’aria.

“Buongiorno, stellina. Stavo per dichiarare la tua morte cerebrale, a momenti mi sarebbe toccato asciugarti la bava dalla bocca” lo informò il batterista. Alex lo guardò sbattendo le palpebre più volte visto che ancora non aveva realizzato dove si trovasse.

“M-ma dove siamo?” chiese.

“A cinque chilometri da Brighton” rispose Matt. Alex fece un rapido calcolo e sgranò gli occhi.

“Dio, quindi ho dormito per tre ore?!”

“E anche bene, direi. Ho dovuto spegnere la radio a metà Last Nite perché russavi talmente forte da coprire la musica.”
Alex aggrottò la fronte e incrociò le braccia sul petto.

“Io non russo.”

“Oh, sì che russi, stellina.”

“No, non è vero” ribadì il cantante.
Matt sbuffò, lo guardò di traverso ed estrasse il cellulare dalla tasca. Alex impallidì.

“Dimmi che non l’hai fatto davvero, Matthew.”
Il batterista sghignazzò e fece partire una registrazione che, lo schermo testimoniava, risaliva a un’oretta e mezza prima. Il sonoro russare di Alex riempì il silenzio che era calato tra i due ragazzi.

“Io… ero seduto scomodo, ecco” si giustificò il cantante suscitando le risate dell’amico.

“Come i bambini, Alex, se ti avessi premuto il pancino avresti fatto le bollicine di saliva dalla bocca.”
Alex gli tirò un coppino e tornò a sedersi composto, ginocchia unite, occhiali nuovamente inforcati.

“Muoviti, Helders, ho fame.”
Sentì l’amico ripetere ‘come i bambini’ tra una risata soffocata e l’altra ma non ebbe il tempo di rispondere perché spalancò gli occhi circondato dalla bellezza della meravigliosa città in cui erano appena arrivati: Brighton. Alex aprì il finestrino, non metteva piede lì da troppo tempo. Non erano certamente in stagione però i colori e gli odori di quel posto lo avvolsero immediatamente facendolo sorridere; il pier di Brighton, che poteva scorgere da lontano, era una delle cose più belle che avesse mai visto in vita sua e non vedeva l’ora di poterlo ammirare tutto illuminato appena fosse sceso un po’ di buio.

“Vuoi andare da qualche parte in particolare?” chiese Matt rallentando per potersi guardare attorno anche lui.

“Non hai fame?”

“Un po’” ammise il batterista.

“Possiamo andare direttamente al den” propose Alex, Matt annuì e svoltò dritto in direzione del pier. Il ‘den’ era il loro posto, il loro covo: quel piccolo pezzo di spiaggia accanto al primo pilone del molo della città. Ad Alex e Matt piaceva quel punto perché riparato dal vento e, quando tutte le luci si accendevano, il mare sotto il pontile sembrava in fiamme talmente erano variopinte e forti le luci al di sopra di esso. Matt parcheggiò ad una decina di minuti a piedi dal molo in modo da potersi concedere una piccola passeggiata per respirare l’aria insieme dolce e salmastra che li circondava. Si avviarono verso il loro posto, buste in mano, occhiali da sole inforcati. Sembravano così fuori luogo vestiti in quel modo circondati dal rumore del mare mischiato al verso dei gabbiani e al vociare dei bambini, da essere perfettamente a loro agio. Alex dovette resistere allo strano impulso di sfilarsi le scarpe e continuare a piedi nudi sentendo la sabbia tra le dita dei piedi. Camminarono un po’ in silenzio il che, tra di loro, succedeva spesso: a volete stavano ore intere fianco a fianco senza scambiarsi una parola, ognuno raccolto nei suoi pensieri, perso nei suoi ricordi, naufragato nei propri ragionamenti però erano sempre e insieme. Alex sorrise pensando a questo mentre arrivavano al loro posto, pensava al fatto che non sempre dovessero parlare nonostante entrambi – soprattutto Matt – fossero dei gran chiacchieroni, quando ci si mettevano d’impegno. Quei silenzi gli piacevano, lo affascinavano in un certo senso, perché non si sentiva in dovere di dire niente: quando era con gli altri, non si sentiva mai all’altezza della situazione e le provava tutte per trovare qualcosa da dire. Quei silenzi gli piacevano perché erano giusti e poi non erano veri e propri silenzi, la maggior parte delle volte ciascuno ne attribuiva il significato giusto, erano silenzi che dicevano che tutto andava bene. Si sedettero per terra, in barba alla sabbia umidiccia che gli avrebbe sporcato i jeans. Osservarono un po’ il mare davanti a loro, il sole nascosto dietro le nuvole lo rendeva contemporaneamente bello ed inquietante per le strane ombre che venivano a crearsi sulla superficie.

“Dio, non vedevo questo mare da secoli” sussurrò Matt con gli occhi fissi sull’orizzonte davanti a sé.

“Altro che la California, Matthew” rincarò la dose Alex.

“Nah, ormai mi ci sono abituato e tu pure, non è così male.”

“Io odio il sole” affermò il cantante.

“E vivi a Los Angeles” ribatté Matt, vide Alex annuire lanciando un rametto nell’acqua. Il batterista aveva sempre pensato che Alex avesse lasciato Sheffield con più tristezza nel cuore rispetto a tutti gli altri, quando si era trasferito negli States con Alexa tant’è che aveva sentito il bisogno di portare la sua patria sempre con sé, sul suo corpo, attraverso un tatuaggio. Ricordò le difficoltà dei primi mesi soprattutto per un ragazzo, Alex, che era nato e cresciuto nel piovoso nord-est inglese e che si ustionava la pelle appena incrociava un raggio di sole. Matt aveva notato che Alex si rattristava quasi ogni qualvolta parlassero di Los Angeles e Matt non aveva mai capito se era una cosa da imputare alla fine della sua storia con Alexa o proprio perché ad Alex quel posto non piaceva ma era più comodo per lui viverci con Arielle. Non lo sapeva con certezza e non aveva intenzione di chiederglielo, aveva come l’impressione che in lui ci fosse una ferita che, dopo anni, non si era ancora cicatrizzata e non era davvero pronto per parlarne.

“Mangiamo?” propose Matt per sviare il discorso dall’argomento America e il cantante, per conferma, gli diede un amichevole pugno sulla spalla. Ognuno prese la sua porzione di patatine, panino e bibita e mangiarono parlando del più e del meno: del nuovo gioco con il quale Matt si stava infognando quei giorni, di Miles che stava registrando il suo secondo album, di Alex che aveva bisogno di comprarsi nuovi vestiti ma che non aveva né voglia e né tempo di uscire a fare shopping, di Jamie che aveva mandato a Matt una registrazione di un riff di chitarra che aveva provato l’altro giorno, di Nick che era in viaggio con Kelly in Spagna. Rimasero in silenzio per un po’ dopo aver finito di mangiare, Alex si accese una sigaretta reggendo ancora in mano il suo bicchierone di coca-cola.

“Ho intenzione di chiedere a Breana di sposarmi, sei il primo a cui lo dico” disse Matt rompendo il silenzio improvvisamente. Alex sorrise appena tirando dalla sigaretta. Matt attese, attese di sapere cosa ne pensava il suo migliore amico di quella decisione presa in definitiva così, su una spiaggia di Brighton quasi alle cinque di pomeriggio. Questa volta il batterista ritenne necessario non mantenere quel silenzio molto a lungo.

“C-credo sia lei. Ti ricordi quanto ne abbiamo parlato in passato? Quante volte tu speravi di incrociare lo sguardo di lei nel pubblico, così, improvvisamente. O quando io speravo di incontrarla per caso dopo aver finito di suonare. E altrettante volte tornavamo a casa delusi scuotendo la testa e dicendoci che no, non era lei, non era il momento giusto e forse non sarebbe arrivato mai. Credo sia lei e non ho intenzione di farmela sfuggire.”

Ti ricordi… certo che ricordo, Matt’ pensò Alex. E ricordava davvero, come poteva dimenticarlo? La lei di cui parlava Matt era il sogno di ogni adolescente dotato di un cuore sensibile e cervello non solo tra le gambe ma soprattutto dove un cervello deve stare, in testa. La lei che per anni hanno cercato a Sheffield, tra le loro compagne di scuola, anche se per Alex era molto complicato relazionarsi col gentil sesso. Il cantante quasi rabbrividì pensando a quei tempi. Alex ricordava davvero, come poteva dimenticarlo? Era difficile dimenticare il fatto di essere nato e cresciuto in un paese di provincia che, come unico svago, aveva giusto quei due pub e quella discoteca dove quasi ogni giorno, si consumava lo stesso patetico spettacolino… da provincia: ragazzo va a ballare per rimorchiare, ragazza va a ballare per essere rimorchiata, ragazzo incontra ragazza che vuole essere rimorchiata e ragazza incontra ragazzo che vuole rimorchiare. Fine. Il resto è facilmente desumibile se pensate ad una massa di adolescenti tra i quindici e i diciassette anni in piena crisi e sviluppo ormonale che si attaccherebbero a qualsiasi cosa. Alex e il suo gruppo di amici, all’epoca, rappresentavano quella misera fetta di persone che volevano solo scappare da quella realtà sapendo che no, non era lì il loro posto nel mondo, che c’era qualcosa oltre quella coltre di mediocrità che sembrava intaccare qualsiasi cosa a Sheffield. E perciò misero su la band, per pura e semplicissima noia. Alex ricordava, ricordava davvero, come poteva dimenticarlo? E, se un giorno l’avesse dimenticato, c’era il loro primo album a ricordarlo visto che quasi ogni testo era dedicato a quella realtà. Sorrise ripensando al fatto che, nei fogli dove scriveva i suoi testi all’epoca, il titolo provvisorio dell’album di debutto degli Arctic Monkeys fosse proprio il nome della città che li aveva cresciuti decisamente in netto contrasto con i testi quasi dispregiativi contenuti all’intero. Grazie a dio poi era riuscito a trasformare quella banalità in un qualcosa di un po’ più raffinato ma che mantenesse sempre quel certo distacco tra l’apparire e l’essere davvero.

“Sì, ricordo” riuscì a dire dopo un po’, riprendendo coscienza e tornando alla realtà. Lui, Alex, la sua lei pensava di averla trovata salvo poi esser naufragata insieme ad un sacco di certezze che lui aveva costruito e messo su. Lui, Alex, la sua lei l’ha poi incontrata davvero in due verdi occhioni enormi, due zigomi perfetti ed un carattere totalmente diverso dal suo. Capiva perfettamente quello che il suo amico gli stava dicendo.

“Ma, Matthew, fammi capire: mi stai chiedendo il permesso? La mia benedizione su un’unione che approvo ormai da anni, da quando ti ha infilato la lingua in bocca perché tu le hai palpato il culo in seguito ad una nostra scommessa?”
Matt scoppiò in una fragorosa risata ricordando il primo incontro con Breana che sì, era avvenuto più o meno così. Erano usciti a bere tutti e quattro insieme, erano a New York e c’era questo tavolo di ragazze che bevevano e ridevano, Matt aveva notato una brunetta piccolina e molto minuta ma ben proporzionata. Rideva con le altre sue amiche mentre le birre continuavano ad arrivare al loro tavolo e, sentendosi evidentemente osservata dal batterista, alzò la testa ed incrociò il suo sguardo portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli. In quel momento a Matt parve di essere stato agganciato da un satellite che viaggiava su un’orbita totalmente diversa da quella a cui era solitamente abituato. Mentre facevano le loro ordinazioni, Alex aveva notato lo sguardo rapito dell’amico e, da piccolo bastardo quale era, gli aveva proposto una scommessa: sarebbe dovuto passare accanto a quella ragazza e palparle il sedere altrimenti, durante il successivo concerto, avrebbe dovuto storpiare le parole di una canzone in cui lui faceva da seconda voce, in qualcosa per insultare sé stesso. Ovviamente Matt accettò: passando davanti a quella ragazza, le poggiò una mano sul sedere con tranquillità. Lei si voltò molto lentamente, si alzò in punta di piedi ed inaspettatamente lo baciò molto appassionatamente.

“Piacere, Breana. Allora, hai vinto la scommessa che hai fatto con quell’idiota al tuo tavolo?” disse lei poi una volta che si furono staccati. Inutile dire che Matt fu estasiato da un esserino del genere. Quella serata proseguì con le due tavolate unite in una sola, con Matt e Breana seduti vicino che parlavano fitto fitto e ridevano a crepapelle. Un tuono in lontananza fece sparire quei ricordi comuni a tutti e due.

“No, Alex, non ti sto chiedendo la tua approvazione. Ti sto chiedendo se sarai con me quel giorno” disse il batterista “come mio testimone.”

“Sei il mio uomo, Turner” proseguì dopo qualche secondo di silenzio.

Romantico, Matthew, questa dichiarazione non me l’aspettavo. A saperlo mi sarei messo qualcosa di più carino!” disse Alex ironicamente spegnendo la sigaretta nella sabbia e buttando la cicca nella busta della spazzatura.

“Dai, coglione” rispose Matt ridendo e dandogli una leggera spallata “allora?”

“Ah, devo anche darti una risposta? Ti pare che lascio le femmine ad organizzare da sole il tuo matrimonio?” sbottò il cantante facendo ridere l’amico. Intanto, sul pontile sopra le loro teste, la vita serale di Brighton prendeva inizio. La musica del luna park iniziava lentamente a diffondersi assieme all’odore di pop corn e di zucchero filato dai mille colori. Anche in quel frangente sembravano fuori posto, come prima entrando in spiaggia: lì sopra tutto proseguiva spensierato mentre, al di sotto di quello spesso strato di legno, due ragazzi di provincia decidevano di fare, per l’ennesima volta, un passo che avrebbe stravolto le loro vite.

“L’avresti detto qualche anno fa, Matthew? Che saremmo arrivati fin qui?” chiese Alex dopo un po’, la voce appena roca, le ginocchia strette al petto.

“No, per niente, io aspetto ancora che James venga a sbatterci fuori a calci in culo per dirci che è tutto finito.”
Alex sorrise con una leggera punta di amarezza perché, dal tono dell’amico, capì che era serio.

“Già, chissà se entrando in studio per il quinto album questa sensazione di…”

Inadeguatezza” completò per lui il batterista.

“Esatto, chissà se questa sensazione sparirà mai.”

“Dovresti chiederti se davvero vuoi che questa sensazione sparisca” buttò lì Matt. Alex ci pensò su qualche istante, rimirando il sole scendere all’orizzonte davanti a sé.

“Voglio ancora salire su quel palco e pensare di essere ancora al Boardwalk con tutta quella gente che copre la mia voce, voglio ancora salire su quel palco e cantare come se fossero quei concerti in cui distribuivamo demo gratuiti.”
Matt annuì, concorde con quell’affermazione.

“Tu e Jamie e Nick mi ricordate sempre chi sono e da dove vengo e perché abbiamo messo su tutto questo” continuò il cantate “se un domani dovesse cambiare qualcosa, non credo che la band potrebbe andare avanti ancora per molto.”

“Beh” disse Matt alzandosi e offrendo una mano ad Alex per alzarsi “per ora questo rischio non c’è, abbiamo Nick che ogni tanto va in panico prima di salire sul palco…”

“Deve essere prerogativa dei bassisti, l’ansia da prestazione” confermò Alex agguantando la mano dell’amico e tirandosi su.

“Tu hai l’ansia da prestazione sempre!”

“Non sempre, amico” disse Alex dandogli una sonora pacca sulla spalla e ammiccando maliziosamente. Matt si chinò a prendere la spazzatura che avevano accumulato.

“Dio, Alex, sei disgustoso” affermò il batterista “dio, che schifo, ora non mi toglierò più certe immagini dalla testa!”
Detto questo, Matt iniziò a correre verso l’ingresso della spiaggia da dove erano venuti, lasciando indietro Alex. Il cantante scoppiò a ridere, si girò un ultima volta a contemplare quel meraviglioso tramonto e si preparò a correre per raggiungere ed agguantare il suo amico, come i bambini.
  
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