Il sole muore al tramonto.
La tazza di tè fuma poggiata sul legno, la luce del tramonto filtra
appena dalle serrande socchiuse, creando una penombra strana nel mio
ufficio. Uno scorcio di luce illumina la mia scrivania, la tua foto
in cornice, tu che sorridi alla fotocamera, alzando tutto contento un
panino dall'aria poco salutare.
Fuori non c'è traffico, sento lo
scorrere placido delle auto per le strade di Los Angeles. Lavoratori
che tornano, lavoratori che vanno, turisti, gente che ha appena visto
la propria vita andare in pezzi.
I miei occhi scandagliano lenti
la stanza, che conosco bene, ma che non mi stanco di guardare. Ti
rivedo sulla porta a salutarmi, sbattendo sulla scrivania i documenti
di un nuovo caso, prima di propormi di prenderci qualcosa al bar qua
vicino, rimandando per cinque minuti il lavoro. Ti rivedo sul divano
a dormire, scomposto, russando leggermente. Ti ricordo sfocato, perchè
mi sono scivolati appena gli occhiali, mentre ti fissavo
ostinatamente, beato nel tuo sonno. E ancora, vedo le tue mani
scorrere appena sul legno della libreria, dicendomi che lo trovi
veramente raffinato.
Wright...
Mi porto le mani
davanti alla faccia, l'aroma di tè che abbandona per un momento le
mie narici. Qualche flebile raggio arancione mi colpisce sulla nuca,
la scalda, tanto che temo quasi di bruciarmi. Socchiudo gli occhi
oltre le dita appena aperte, ma la stanza rimane vuota.
Dove
sei?
Incosciamente,
so di essere un completo imbecille. Hai una figlia ormai, per la
miseria. Adottata, ma è pur sempre la tua famiglia. E Maya. Che ne
facciamo di lei, eh?
«Vengo
io nel tuo ufficio per le cinque. Aspettami, eh, che dobbiamo
parlare!»
«E dove vuoi che vada, alla cinque del pomeriggio? Sei
il solito incompetente, Wright.»
La
stanza ha un profumo strano. Capto un lieve sentore dei fiori alle
mie spalle, e il profumo dei tanti volumi e documenti archiviati.
Questa stanza sa di ufficio, con l'aria famigliare e mai pesante,
leggermente tiepida nella luce del tramonto.
Come a confortarmi
della tua assenza, mi stringe calda e mi rassicura. Tornerai presto.
Il cellulare rimane nero e morto accanto
alla mia tazza. Quante volte avrò chiamato. Dieci, venti forse?
Alcune solo per riascoltare la tua voce alla segreteria.
Sembri un'idiota come tuo
solito. Ti presenti formalmente, dicendo che sei via, e poi...scoppi
a ridere. Oh, quante volte ho chiamato, ben sapendo che il tuo
cellulare era spento, solo per risentire quella risata, facendola
penetrare nelle pareti di questa stanza.
Phoenix,
dannazione...
Nell'aria,
illuminati dal sole rosso che sta scivolando all'orizzonte, vedo
volteggiare minuscoli granelli di polvere. Sia io che te li abbiamo
sempre detestati, eppure vederli cadere vicino alla mia mano, in un
certo senso, mi fa sentire meno solo.
Sento caldo, il collo
scoperto è colpito dalla luce del tramonto. Ma dentro di me tutto è
freddo, freddo come le altre tre tazze di tè che ho preparato, per
poi lasciarle raffreddare, senza riuscire a berne nemmeno un
sorso.
Due
ore e mezza. Santo cielo, nemmeno un imbecille ritarda così tanto.
Nemmeno se ti chiami Wright.
Spazientito
premo il pulsante centrale del telefono, osservò il pannello delle
notifiche. Vuoto, proprio come questa stanza. E poi ci sei tu, sullo
sfondo. Per la miseria, smettila di guardarmi, razza di scemo!
Sorridermi non ti renderà più semplice ottenere il mio perdono!
«Miles,
io...»
«Cosa c'è adesso? Ho del lavoro da sbrigare, sono un
procuratore famoso, a differenza di qualcuno.»
«...Forse non
sarà proprio alle cinque.»
«Ma di che stai parlando? Ti sei
messo a parlare per enigmi?»
Me lo avevi detto, no? Forse non
proprio alle cinque.
Ma ormai sono le sette e mezza, il mio lavoro
è finito da un pezzo, dovrei già essere a casa a controllare gli
ultimi dossier degli odierni processi. Dove diavolo sei?
Perchè
non rispondi? Il telefono suona, premi quel dannato tasto verde.
Mi
alzo in piedi, quasi contro alla mia volontà. Mi avvicino ad un
raggio che colpisce il divano, osservo il rosso del tessutto, simile
al colore del vino. Ho il petto pesante. E, dannazione, mi tremano le
mani. Perchè sono così preoccupato per un disgraziato come
te?
Forse sei fuori con una ragazza, e ti sei scordato
di me? Oppure stai dormendo, come quel giorno, qui, sul mio
divano?
Me li ricordo ancora,
i tuoi capelli sotto alle dita. Ringrazio il tuo sonno pesante, o ti
saresti svegliato, sorprendendomi in un atto di debolezza. Ma
sembravi così contento, mentre dormivi, le ciocche scure arruffate
sopra ai tuoi occhi blu, chiusi assieme ad un dolce sorriso. E nel
silenzio del mio ufficio potevo sentire il tuo respiro tranquillo,
perfino annusare il tuo lieve profumo, al quale ormai dovrei essere
abituato, ma che continua a piacermi, come se lo sentissi sempre per
la prima volta.
«Se
la prenseza del Sole infastidisse un meteorite...credo che quello lo
colpirebbe subito, capisci?»
Ti fisso perplesso. Sei impazzito,
per caso? Cosa centra questo con il nostro appuntamento? E secondo te i meteoriti hanno volontà propria?
«...Rimango
perplesso dalle tue affermazioni insensate. Ma stando al tuo gioco
non posso che chiederti una cosa: E poi, se venisse colpito, come farebbe
la Terra?»
Mi guardi. I tuoi occhi sono spenti, Phoenix, cosa ti
è successo? Non è il solito blu che adoro, sono due pozze scure e
buie, proprio come il sorriso amaro sotto di esse.
Cosa c'è che non
va, Wright..?
«Non lo so. Credo sia questo, a fare più paura al
Sole. Come farebbe a lasciare sola la sua Terra?»
Rimani zitto, e
mentre sto per aprire la bocca ridacchi, e mi abbracci. E dopo aver
parlato te ne vai.
«Scusami, Miles, se ti faccio sempre
arrabbiare. In realtà io ti voglio davvero tanto bene.
...Goodbye, Mr.
Prosecutor Edgeworth.
Il Sole muore al tramonto.»
È proprio mentre sono
immerso nei miei pensieri che la porta si apre, e io voltandomi di
scatto verso di essa rimango investito dalla luce esterna, dall'aria
fredda del corridoio che porta al mio ufficio. Trasalgo appena,
vedendo la figura imponente del detective Gumshoe, il viso appena
imperlato di sudore, gli occhi di chi sta per dire qualcosa che non
farà bene, a nessuno dei due.
«Sir...c'è stato un'incidente
sulla strada principale. Molto grave. I mezzi coinvolti erano
un'utilitaria oltre il limite di velocità e...»
Mi appoggio alla
scrivania, sentendo improvvisamente le forze mancarmi, il sangue che
pompa troppo lentamente nelle vene, facendomi sentire sul punto di
svenire. Sento freddo. L'aria è gelida, proprio come il sudore che
sento colare lungo la schiena.
Se la presenza Sole infastidisse un meteorite....credo che
quello lo colpirebbe subito, capisci?
«...una
bicicletta, sir. Quella bicicletta.»
Deglutisco. Per un momento
riesco a sentire tutto, il mio respiro, il battere del mio cuore, lo
scorrere del sangue nelle arterie, il ronzio fastidioso del
silenzio.
E poi la Terra come fa?
C'è
un preciso istante in cui sento il mio corpo impattare col pavimento,
un tonfo sordo, senza dolore, sebbene la mia testa sia sbattuta
leggermente contro al tappetto. Le urla del Detective sono solo
ovattate, lontani sussurri pronunciati al di fuori
dell'abisso.
Wright, tu...tu lo sapevi...
Non c'è caldo, ne
freddo, ne fitte fisiche. C'è solo dolore, tanto dolore, un mare
nero di disperazione che mi inghiotte, e annega il mio cuore,
fermando i miei polmoni, chiudendomi la bocca e gli occhi e le
orecchie.
C'è solo male, tanto male. E tu non ci sei, perchè
quest'inferno in cui son precipitato è vuoto e scuro e freddo.
Dove
sei, Phoenix?
Sarebbe balzata a tutto gas sulla strada, togliendoti per sempre la vita.
Difendere la giustizia, era quello che avevi sempre sognato. Il lavoro di noi avvocati, benchè possa sembrare facile e privo di rischi, è tutto l'opposto.
Hai pagato con la vita, Wright, tutto quello che hai sempre cercato di proteggere. Un mondo in cui regna la verità e la giustizia.
Sotto all'aspetto professionale, nessuno potè biasimare il tuo compito. Tutti compiansero la tua morte, e al tuo funerale, ognuno portò un prezioso riconoscimento, un grande ringraziamento per il tuo compito, svolto fino alla fine nel più eccelso dei modi.
Nessuno, però, s'è mai accorto che c'era rimasto qualcuno, una Terra, che ora, senza il suo Sole, non sapeva più come fare. Nessuno venne a farmi le condoglianze, dicendomi che sicuramente stavo soffrendo per quanto accaduto. Solo Gumshoe mi restò vicino, com'era probabile. Quell'uomo mi sarebbe sempre stato vicino. Sempre.
Solo a volte, ormai, mi capita di tirare fuori dal cassetto quella cornice che tanto odio, mettendomi per un momento a guardarla. E mi investono i ricordi, nel vedere i tuoi occhi e il tuo sorriso, simile a quello di un bambino. Lo faccio solo quando sono da solo, nei pomeriggi come quello.
E mi scappa sempre una lacrima, o un vero e proprio pianto, nel ripensarti a dormire vicino a me, sul mio divano, il tuo capo appoggiato alle mie gambe.
A volte, quando sono un po' distratto dal lavoro, o mi sto rilassando con un tè, mi sembra di sentire perfino la tua voce. È un suono dolce, soave, e mi culla nell'illusione che tu sia ancora qui, con me.
Ma riaprire gli occhi dopo un sogno fa sempre male.
E non può che dilaniarmisi il cuore.
Perchè tu, il mio Sole, non ci sei.
E non tornerai mai.
Goodbye, Mr.
Prosecutor Edgeworth.
Il sole muore al tramonto.