Pure
reason, concentrated sunshine, the gleam of steel
La
prima volta, ne sente parlare a Helsinki. Ѐ solo
un ragazzo di campagna del nord, lui, e i suoi cugini di
città si divertono a
prenderlo in giro per la sua ingenuità. Più
vecchi di lui di un paio d’anni
appena, sono già uomini di mondo, loro
– o almeno è questo ciò che tentano di
fargli credere, e forse funzionerebbe se
loro fossero un po’ più convincenti o lui un
po’ più stupido.
Ѐ
la malattia dei ricchi, dicono. Alcuni comprano
quella roba direttamente al porto dalle navi dei tedeschi, dicono, e
poi
continuano a comprarla. Non è la stessa delle medicine,
dicono, ma non sanno né
vogliono sapere in che modo è diversa.
(Non
è roba da gente per bene, dicono, non è un
problema dei lavoratori e degli onesti e di chi non ha soldi da
sperperare in
lussi e gingilli esotici. Tino è abbastanza sciocco da
crederci.)
Un
paio d’anni dopo comincia la guerra, e lui ha
appena compiuto diciotto anni. Grande abbastanza per usare
un’arma, gli dicono,
grande abbastanza per difendere la patria dagli Ivan
nascosti nel folto del bosco. E dopo i grandi discorsi
c’è solo
la neve nella bocca, e il gelo nelle ossa e nel sangue, e il fucile
stretto tra
le dita e un velo di tessuto bianco stretto attorno al fucile
– non
congelarti non congelarti ti prego
prega Tino, ma solo quando non è più tempo di
sparare, perché pregare vuol dire
distrarsi e distrarsi vuol dire …
Gli
hanno dato le pillole il primo giorno – per la tosse il raffreddore il mal di testa
e il mal di stomaco dicono
– ma lui non le ha ancora usate. Sta bene, per
il momento.
(Conosce
un uomo, uno che una volta si è beccato un
proiettile russo nella spalla e da allora ha sempre una pillola in mano
e una
in bocca e talvolta dice di vedere cose che non ci sono. Ma non tutti
sono come
lui. Tino non diventerà come lui.)
Comincia
a usare le pillole, ad un certo punto, ma
non perché è malato.
(Forse
comincia perché ormai lo fanno quasi tutti.
Forse perché la notte non riesce più a dormire, e
dicono che le pillole aiutino.)
Tutto
diventa chiaro, in quei momenti, chiaro e
lucido e freddo come la neve colpita dal sole. Le braccia non sono
più così pesanti,
la mente è sgombra – finalmente –
dall’ansia e dalla paura. Anche concentrarsi
sull’obiettivo
– strisciare nella neve, accerchiare il nemico, dare fuoco
alle sue basi e poi
alle case della loro stessa gente – diventa giusto un
po’ più facile.
Non
c’è niente, in quei momenti, solo lui e gli Ivan
e la canna del fucile tra di loro.
(Ѐ
sisu,
gli dice un soldato più anziano con un sorriso orgoglioso
sulle labbra blu per
il freddo e gli occhi iniettati di sangue. Ѐ determinazione e coraggio,
è
superare ogni ostacolo per raggiungere lo scopo finale. Ѐ non
arrendersi mai – e
il vecchio soldato ride quando aggiunge che, a pensarci bene, non puoi
arrenderti comunque perché sei lo fai sei morto.)
Un
giorno il mondo esplode. Esplodono le sue
orecchie in un rombo furioso e assordante, esplode quella dannata
distesa
candida davanti ai suoi occhi in un miliardo di scintille dorate e
purpuree,
esplode la sua testa
in una vampata
di dolore che gli scuote le ossa e la carne.
Poi,
all’improvviso tutto è silenzio e buio.
Si
sveglia con il peso delle bende sul petto e lo
sguardo gelido di un’infermeria fisso sul suo viso.
Ha
i capelli così biondi, quell’infermeria, brillano
come oro nella luce ghiacciata del mattino. Il suo viso è
giovane e delicato, e
dietro gli occhiali sottili i suoi occhi sono chiari e duri –
e per un attimo,
lottando contro la sensazione che la sua testa stia fluttuando in
un mare freddo e profondo, Tino si chiede se quello è
lo sguardo di qualcuno che ha visto la guerra, se anche il suo
è così.
Ma forse dietro le lenti e la
montatura fine di quegli occhiali c’è solo lo
specchio degli occhi dei soldati
che sono passati per l’ospedale prima di lui, e nulla di
più.
Tino
cerca di parlare, ma le sue labbra non si
aprono, e c’è un sapore strano nella sua bocca.
L’infermiera lo fissa un po’
più intensamente, sobbalza appena, e poi si gira di scatto
– poche falcate
rapide ed è già uscita dalla tenda. Sta andando a
chiamare un dottore, probabilmente.
Poi,
Tino chiude di nuovo gli occhi, e non la rivede
più.
(Non
è lei a dargli le nuove pillole e a
somministrargli la polvere nelle ampolle e a fornirgli le prescrizioni
per la
convalescenza. Non è lei a dirgli che è guarito e
a rimandarlo in guerra, a
spedirlo di nuovo là dove c’è la neve e
l’odore di polvere da sparo e di sangue.
Ben presto la dimentica.)
Prendere
le pillole diventa un’abitudine, dopo un
po’. Deve farlo, dopotutto – deve farlo per il
dolore sordo che a volte sente
ancora al petto, deve farlo per continuare a combattere, deve farlo per
difendere la sua terra.
(A
volte, l’ansia ritorna. A volte, si sorprende a
tremare, ma non per il freddo, e a ricordare l’ospedale da
campo. Quando le
pillole non sembrano più calmarlo come prima, lui ne prende
un po’ di più. Solo
un po’.)
La
guerra è persa e non è finita, non ancora. Si
continua a combattere, si continua a morire, perfino la neve continua a
cadere.
Ѐ una situazione paradossale, davvero – potrebbe quasi
ridere, pensandoci, ma
non lo fa.
Ci
sono ancora i tedeschi – hanno combattuto con
loro e ora lui e i suoi compagni puntano loro contro i fucili,
inseguendoli
attraverso la neve e gli alberi, e Tino sa cosa fanno i tedeschi e
ricorda il
modo in cui guardavano la tenda della sinagoga del campo eppure non
sembra giusto comunque
– e tutti sanno che ci
saranno sempre i russi.
(I
lupi mangeranno bene, dice qualcuno. Tino pensa
che, alla fine della guerra, i lupi saranno tutti morti
d’indigestione.)
Quando
la guerra finisce sul serio – la guerra, le guerre,
a volte si chiede
ancora quale sia la differenza, se ci sia
una differenza – lui non riesce a crederci. Beve, festeggia,
beve ancora, e alla
fine torna a casa e riabbraccia sua madre e le sue sorelle –
e in tutto questo
non crede mai che sia davvero finita.
Ci
sono notti in cui si stende nel letto, sotto le
coperte pesanti, e fissa il soffitto senza vederlo, immobile nel buio,
cercando
di respirare il più silenziosamente possibile. In fondo al
cuore, sa che è
stupido aspettarsi un attacco adesso – eppure.
Eppure, sente ancora il freddo che punge la pelle e il metallo solido e
pesante
tra le dita.
E
poi, ci sono anche quelle notti in cui non prova
nemmeno a dormire, ma stappa una bottiglia di vodka fatta in casa e
ricorda gli
zii in Carelia – quanta gente che conosce aveva parenti in
Carelia?
Finisce
sempre per chiudere gli occhi, comunque, e
dietro le sue palpebre ci sono solo i colori rassegnati delle bandiere
a
mezz’asta.
(Continua
a bere, anche se le celebrazioni sono
finite presto, perché a parte l’essere vivi non
c’è poi molto da festeggiare.
Il farmacista alla fine della strada continua a vendergli le pillole a
un buon
prezzo, perché sa che Tino ha combattuto anche per lui.)
Le
fitte al petto non passano, anche se con il tempo
diventano meno acute, e non passano i sogni – sogni di
macchie rosse sulla neve
bianca, e di altra neve che subito le copre, e sogni verde cupo come le
foreste
del nord e neri come i carrarmati dei russi.
Qualche
anno dopo, il governo decide di proibire la
vendita delle pillole. Prima
l’alcol e
ora le medicine, mormora la
gente, con le facce pallide e severe e gli
occhi cupi. Ma non dicono che l’alcol si può
produrre in casa e che con l’aiuto
del medico giusto trovare le giuste medicine non è poi
così difficile, e di
certo non dicono nemmeno che c’è sempre qualcuno
disposto a vendere entrambi al
prezzo che ritiene più adeguato.
(Il
suo farmacista è solo un povero medico di
campagna, e le novità a volte sono così lente ad
arrivare fino alla campagna
dalla città. I prezzi si alzano, ma Tino può
ancora pagare, e in fondo gli è
grato.)
Il
farmacista del paese è un uomo vecchio, con una
camminata lenta e le mani ossute e tremanti, il volto un intreccio di
rughe e
linee stanche. Dopo un paio d’anni, lascia la sua
attività a una donna, una
ragazza giovane e in salute.
(Dicono
che, come molti altri dottori prima di lui,
un giorno il vecchio ha provato di persona i suoi prodotti. E dottori,
soldati
e ricchi signori di Helsinki sono tutti solo uomini, alla fine.
Dicono
che avesse paura, di un’indagine o solo di se
stesso.)
Tino
cerca di essere gentile con la nuova
farmacista, e cordiale, e persino affascinante. Sorride molto e le
dà il
benvenuto togliendosi il cappello dal capo in un gesto cortese.
Ma
gli occhi di quella donna sono pallidi e luminosi
e lo guardano dritto in faccia, e anche se è un pensiero
stupido per un attimo
Tino si convince che possano vedere oltre i lineamenti del viso, oltre
i
muscoli e il sangue e le ossa. Si ritrova a spostare il peso da un
piede
all’altro sotto quello sguardo troppo intenso, e si
schiarisce la gola prima di
cominciare a parlare – con parole discrete e allusioni velate
– del suo piccolo
accordo con il vecchio farmacista.
Come
lui, anche la giovane donna è gentile, ed è con
parole secche ma non dure che gli dice – ordina,
anche se il suo tono incolore tenta di mascherarlo – di
uscire dal negozio.
Tino
esita, ma non è solo per il suo rifiuto.
(Ѐ
per un momento solo, in realtà, un unico attimo
di chiarezza, più lucido del mondo dopo una dose di droga. I
capelli della
donna scintillano nella luce del sole che filtra dalla finestra, e i
suoi occhi
grigi sono un bagliore d’acciaio nel viso bianco ed elegante
– e all’improvviso
lei gli sembra una visione di una vita passata, come il ricordo di un
vecchio
sogno, l’eco di qualcosa che non ricorda e forse non
potrà mai ricordare.
Ѐ
per un momento solo, e per quanto sia assurdo
quasi gli sembra che anche lei lo riconosca.)
-
Perché continui a tornare? – gli chiede la
farmacista un giorno, la sua solita espressione solenne tradita dalla
fronte
appena aggrottata, dagli angoli degli occhi freddi e della bocca tesa.
– Sai
che ti dirò sempre di no.
(La signorina
Oxenstierna, gli hanno detto,
venuta in Finlandia con i volontari svedesi. Finlands sak är vír,
o qualsiasi altra
cosa dicessero a quei tempi. Dicono anche che avesse dei parenti a
Mariehamn, o
forse un amante a Turku. Ma nessuno sa molto di lei, qui. Beh, Tino a
volte
crede ancora di conoscerla, ma non sa come, o perché.)
Continua
a tornare per le notti che diventano sempre
più fredde, per i sogni che infestano la sua mente quando
riesce ad
addormentarsi e per le immagini fugaci che rimangono davanti ai suoi
occhi
anche al mattino, perché a volte si sente forte abbastanza
per riprendere le
armi e vincere da solo una nuova guerra e perché altre volte
vorrebbe essere
morto nella neve con i suoi compagni e con i nemici –
continua a tornare per il
bisogno
che gli brucia nelle vene.
(Continua
a tornare anche per lei, o almeno è questo
che pensa certe volte.)
-
Luce solare concentrata e un bagliore d’acciaio –
risponde con un sorriso esile, citando un vecchio libro, quando gli
occhi
chiari lei non lo intimidiscono più abbastanza da impedirgli
di parlare.
In
un certo senso, le sta dicendo due verità in una
volta sola. Lei non sembra apprezzare la battuta né la
sincerità, però.
(Tino
continua a tornare, in ogni caso, per
qualsiasi ragione sembri più urgente o più
appropriata al momento – ancora e
ancora. E forse è un po’ anche per disperazione,
ma lui non lo ammetterebbe
mai.
E
lei, sorprendentemente, continua a non perdere la
pazienza con lui. Forse ha visto troppi soldati come Tino, forse quella
che
ammorbidisce i lineamenti aggraziati del suo volto è
pietà – o forse è
interesse, o il fatto che i loro sguardi non sono poi così
diversi, ma
probabilmente lei non lo ammetterebbe mai.)
Ѐ
la signorina Oxenstierna a sorreggerlo quando, una
sera, la sua mano trema sulla maniglia della porta della farmacia e le
sue
ginocchia cedono, quando la nausea lo colpisce alla bocca dello stomaco
e la
sua faccia brucia, quando i suoi occhi si riempiono di lacrime senza un
perché.
Lo
fa stendere per terra, piano e con attenzione, e
poi gli posa una mano fresca e leggera sulla fronte. I suoi occhi sono
accesi
da quella che potrebbe essere preoccupazione sincera, eppure il suo
viso è
sempre calmo e serio – anche se, guardandola bene, la linea
tesa delle sue
labbra sottili sembra farsi un po’ più dura.
-
Va tutto bene. Va
tutto bene – gli dice,
mentre slaccia con dita agili i bottoni della sua
giacca, e c’è una parte di lui che le crede, o
almeno crede al suo tocco rapido
e gentile e alla sua voce lenta e decisa.
(Quella
donna lo fa sentire debole, più di quanto
non faccia già la stanza che gira tutto attorno a lui, e il
pavimento che si
muove piano sotto la sua schiena. Chiude gli occhi – se lui
non la può vedere,
forse nemmeno lei può vedere lui – e dietro le
palpebre il buio è una presenza
confortante.)
–
Grazie – riesce a dire alla fine, quando il peggio
della crisi è passato, con la bocca impastata e le guance
che bruciano, un
panno bagnato e ormai tiepido sulla fronte. Ѐ imbarazzante, vederla
ancora
china su di lui, dover restare fermo sotto l’esame silenzioso
e paziente dei
suoi occhi. Vorrebbe potersi muovere, poterle dire che ora sta bene e
che non
ha più bisogno di aiuto – ma non riesce nemmeno ad
alzarsi.
La
signorina Oxenstierna rimane in silenzio, il viso
più disteso e le spalle rilassate. Sulle sue labbra alleggia
l’ombra di un
sorriso.
(Tino
si rende conto di starla fissando in modo fin
troppo insistente, ma sembra che a lei non importi. I suoi occhi sono
meno
freddi, in qualche modo, mentre gli chiede se riesce a parlare, se la
riconosce.
Guardandoli,
l’imbarazzo svanisce a poco a poco.)
Da
quel momento, è la signorina Oxenstierna a
invitarlo a passare nel suo negozio, e poi – forse non si
fida di lui – al
piccolo bar dall’altra parte della strada. Gli chiede della
sua salute, delle
notti insonni e della febbre, del suo umore e di come si sente in
questo
periodo, dei suoi sogni.
Non
sono cose semplici da dire, ma la signorina
Oxenstierna è una donna testarda – Bodil,
lo viene a sapere dopo che lei finalmente si lascia offrire un
caffè.
(–
Per favore, signorina. Prima che ci proibiscano
di nuovo anche questo. Non voglio doverle offrire succo di cicoria
– le dice, e
poi si permette di farle l’occhiolino.
Lei
corruga le sopracciglia, ma ormai Tino sa che
quel piccolo scintillio nei suoi occhi è divertimento.)
In
effetti, Bodil non è veramente testarda: parole
come salda o
irremovibile sarebbero
più adatte a descriverla. Il suo sguardo
attento non si muove dal suo viso, e anche se rimane in silenzio troppo
a lungo
lui sa che lo sta ancora ascoltando. E Tino dovrebbe
sentirsi a disagio, ne è perfettamente consapevole.
Eppure
parlare con lei, nonostante tutto, lo fa
sentire un po’ meno solo, un po’ meno freddo.
–
Parlami della guerra. Parlami di come è cominciato
tutto – gli dice Bodil. La sua voce è quasi dolce,
e triste. Tino non vorrebbe
farlo, ma poi i loro sguardi si incrociano – e quelli davanti
a lui sono gli
occhi di qualcuno che la guerra l’ha vista, di qualcuno che capisce.
Esita
comunque, prima di cominciare a raccontare, ma
solo per il tempo di un sospiro.
(Non
sa nemmeno lui come gli venga in mente di
baciarla, ma le sue labbra sono calde e morbide e Bodil non si ritrae.
Quella
notte non ci sono sogni – Tino lo sa che
torneranno, ma per una volta non ha paura.)
NdA:
Fanfiction
scritta per la challenge Hetalia
Challenge di Minori-chan.
La
timeline della fanfiction va da poco prima dell’inizio
della Guerra d’Inverno a qualche anno dopo la fine della
Guerra di Lapponia. La
storia del conflitto russo-finlandese è molto interessante e
complessa, e si
può parlarne soffermandosi su molti aspetti diversi: questo
è il mio tentativo
di a) avere più storie sull’argomento in questo
Fandom, e b) avere più storie
sull’argomento in questo Fandom che non siano essenzialmente
“OMG Russia è
cattivo” o “OMG Tino è Simo
Häyhä”.
Non
che BadassSniper!Finlandia non mi
piaccia, eh. Anzi … *melts*
I
temi che avrei voluto affrontare sono molti, e
infatti ho mischiato citazioni e riferimenti a caso e creato un
minestrone che
spero non vi rimanga sullo stomaco. Ecco qui qualche link utile per
saperne di
più:
Sulla
Guerra d’Inverno, la Guerra di Continuazione e
la Guerra di Lapponia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Winter_War
http://www.historyhouse.com/in_history/winter_war/
http://rt.com/news/finland-soviet-war-anniversary/
http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_wars_involving_Finland
http://en.wikipedia.org/wiki/Russo-Finnish_wars
http://tvtropes.org/pmwiki/pmwiki.php/UsefulNotes/FinnsWithFearsomeForests?from=Main.FinnsWithFearsomeForests
(sì,
TVTropes è
una fonte rilevante)
Sull’abuso
di eroina e altre sostanze in Finlandia, in particolare
nel periodo delle guerre con l’Unione Sovietica:
http://www2.hs.fi/english/archive/news.asp?id=20020528IE9
Sull’alleanza
tra Finlandia e Germania contro la
Russia e il trattamento dei soldati ebrei finlandesi:
http://www.jewishquarterly.org/issuearchive/article8d14.html?articleid=194
Sui
volontari svedesi in Finlandia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Sweden_and_the_Winter_War
http://www.militaryphotos.net/forums/showthread.php?15777-Swedish-Volunteers-in-Finland-1939-1944
Sul
concetto di “sisu” nella cultura finlandese:
http://en.wikipedia.org/wiki/Sisu
Sul
caffè nella Finlandia del proibizionismo (…
sì,
ho cercato anche cose del genere, me ne rendo conto solo ora):
http://www15.uta.fi/FAST/FIN/GEN/to-coffe.html
Il
titolo è una citazione da un libro di Mika
Waltari, una frase che un suo personaggio usa per descrivere la
cocaina. La
frase sui lupi è un riferimento a quanto detto da un
ufficiale finlandese alla
fine della guerra. L’uso del nome Ivan è
stato ispirato dall’effetto che ha avuto sul mio senso
dell’umorismo contorto
questo racconto: http://www.booksie.com/war_and_military/short_story/james_gagiikwe/ptsd
Il
nome di Fem!Svezia, secondo Behindthename.com, è
più appropriato per la situazione di quanto potreste
pensare: “From the Old
Norse name Bóthildr,
derived from bót "remedy"
and hildr "battle".”
Ho
già parlato del mio senso dell’umorismo,
vero?
…
Sì, insomma, tutto questo per dire che la Guerra
d’Inverno
è molto molto interessante e che mi piacerebbe leggerci
sopra storie diverse su
temi diversi. E, perkele
e saatana, migliori
delle mie.
Au
revoir! (Sperando
che siate riusciti ad arrivare fin qui.)