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Autore: Shenhazai    03/03/2014    3 recensioni
Com'è stato il primo incontro tra l'Italia del nord e quella del Sud? E soprattutto... perché ci sono due vessilli a rappresentare un'unico territorio? NOTA BENE: salterà via una testa. E non in senso metaforico... nonostante non sia troppo truculento, chi è facilmente impressionabile non legga, grazie.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nyotalia, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il primo incontro



Latina aprì lentamente gli occhi dorati, fissandoli come in trance sulla pianta di vite che si arrampicava lungo le colonne del peristilio. Ci mise alcuni istanti a comprendere cosa stava facendo, e la cote che stringeva tra le dita le scivolò a terra, in un tonfo sordo.

“Domina, fai attenzione o potresti ferirti, se ti lasci prendere dai pensieri”

La voce che ne risvegliò completamente i sensi era quella di Mena, la sua schiava personale ora impegnata ad acconciarle i lunghi capelli in una complessa tutulus, arricchita di spilloni in bronzo e pasta vitrea. Il vessillo del popolo latino sospirò, già annoiata a morte da quella tortura estetica, e tese il braccio il più possibile per recuperare la pietra a grana fine caduta a terra. Riuscì nell'impresa solo dopo parecchi tentativi, quando la schiava si era voltata un attimo a recuperare dei ferri per arricciarle le ciocche. E borbottando, riprese ad affilare la spada che teneva sulle ginocchia.

“Mena... secondo te come sarà questo Tusco? Dicono che sia orribile, grosso come un lupo e dalle stesse zanne. Ah, potessi fare a meno di doverlo incontrare...”

Si lamentò, completamente ignorata dall'altra donna, ora decisamente più preoccupata a fissarle un ricciolo dispettoso. Le rispose in sua vece un anziano gentilis, un uomo dai capelli ormai canuti avvolto dalla toga bianca dei nobili, appoggiato ad una colonna con le braccia incrociate e lo sguardo pensoso. In base al suo censo e alla sua età, era uno dei pochi che potesse assistere alla sua vestizione, a parte le ancelle e le schiave, e ne era anche uno dei suoi consiglieri più fidati.

“Che sia un mostro o un lupo, mia domina, non possiamo fare a meno del suo popolo. Gli etruschi hanno grande potenza militare, grandi ricchezze in oro e ferro, e la loro conoscenza artistica ed architettonica è superiore alla nostra; per il bene di Roma, se non vogliamo rivedercela portata via dai Sabini, dobbiamo offrir loro la cittadinanza e il libero mercanteggio...”

“... Lo so bene, Messiano. Ciò non toglie che la fama del suo popolo mi spaventi, ed io tema che finirà per distruggerci, nonostante tutto” la giovane donna seduta emise un lungo e pesante sospiro, prima di alzare la spada per controllarne il filo. Era tanto sottile da poter spaccare un capello in quattro, ma ancora la mano continuava meccanica a strofinarvi sopra la cote, in un gesto che serviva a tranquillizzarla. Il lungo sibilo che ne scaturiva era il solo rumore che occupava il silenzio del porticato, assieme al fruscio delle piante da frutto ancora coperti dalle foglie e dai frutti quasi maturi.

“Ecco, ho fatto. Ora manca solamente il mantello e sarai pronta per l'incontro, domina”

Tra tutti, l'unica che non sentiva assolutamente il peso della pressione era la vecchia schiava, a cui probabilmente un nuovo conquistatore non avrebbe cambiato nulla. Diede alcune gentili ma decise pacche sulla schiena della sua padrona per farla alzare dallo sgabello, e poi le drappeggiò il manto candido come le tuniche che già indossava, di finissimo lino sbiancato dal sole, sulle spalle. Si tese sulle punte per fissarle la fibula d'oro e giada sul petto, tanta era la differenza d'altezza tra le due donne.

Latina, in effetti, pur rimanendo nell'insieme molto esile e slanciata era comunque alta più di qualsiasi donna italica, e anche della stragrande maggioranza degli uomini.

Il vessillo si lasciava sistemare con una docilità sospetta, ma effettivamente sembrava persa dietro ai suoi pensieri... si lasciò persino guidare dal gentilis, dopo che la schiava ebbe finito, verso l'atrium della casa, dove la stavano attendendo altri nobili e i tribuni delle legioni. Quando si presentò di fronte agli uomini tutti le rivolsero il saluto militare, sebbene sapesse che ben più di uno non vedeva di buon occhio la sua presenza, o meglio la sua intera esistenza. Per un popolo maschilista e patriarcale come quello latino, l'avere come vessillo una donna era simbolo di debolezza... e dire che lei era su quella terra ben prima che gli antenati più antichi dei loro nonni fossero giunti nel Latium. Da quel punto di vista, ben più fortunata era Sabina, la cui cultura matriarcale la poneva al di sopra del suo popolo senza dover conquistare alcunché.

Il momento di silenzio che si era creato venne presto rotto dal basso brusio di chi parla concitatamente ma cercando di non farsi sentir troppo dagli altri, in un cicaleccio fastidioso. Padre Giove, avrebbe preferito rimanere nella quiete del peristilio ancora un poco, piuttosto che doversi sorbire l'eccitazione ed il nervosismo delle sue Gens, in grado di preoccuparla ancor più di quanto già non fosse preoccupata di suo. Sospirò lieve, socchiudendo gli occhi e posando la mano sinistra sul pomolo della spada infilata alla cintura, cercando di rimanere concentrata quel tanto che bastava per rispondere alle domande che le venivano poste, anche se erano principalmente assensi a raccomandazioni e a consigli, quelli che doveva dispensare.

D'improvviso, il trambusto venne interrotto dall'urlo esterno di un soldato di guardia, che avvisava dell'avvicinarsi dei Tuschi. All'attimo di silenzio sospeso che si era creato, ne seguì subito il mormorare concitato attorno a lei, sia dei soldati che si disposero in formazione preventiva, che dei nobili che s'erano fatte guardinghi, ma nessuno una volta raggiunta la sua postazione si mosse più sotto l'ombra della grande domus. Gli etruschi, popolo del nord, era infine giunto. Lo scalpiccio dei cavalli s'era fatto ormai vicino, fuori da quella porta doveva esserci un drappello intero di cavalieri.

Latina si strinse la mano sul pomolo fino a sentire dolore nei tendini della mano, osservando rapita e preoccupata al contempo l'ingresso, in attesa di vedervi comparire colui che s'era guadagnato il diritto di reclamare la sua città offrendole l'aiuto militare contro Sabina...

Non attesero molto. Dopo pochi minuti, le due ante vennero spalancate dagli schiavi, e sull'uscio, incorniciato dalla luce del sole pomeridiano, si stagliò l'altera figura di una creatura irsuta, altissima... Ai suoi lati, i soldati Tuschi portavano le insegne del loro popolo, sormontate dalle aquile rampanti. Gli stendarsi fissati in cima ai vessilli garrivano alla leggera brezza estiva, d'un rosso talmente cupo da sembrare sangue essiccato.

A Latina si mozzò il fiato. Fu solo quando la figura entrò nell'ombra della domus, che riprese a respirare: non era un lupo, ma ne indossava la pelliccia scura come mantello, sebbene la giornata fosse molto calda. Di certo era il segno distintivo del suo rango e del suo valore in battaglia...

L'etrusco avanzò ancora, fino a quando anche i suoi lineamenti furono distinguibili con facilità. E di nuovo il cuore della giovane perse un battito.

Era una donna, come lei.

Eppure, sembrava tremendamente imponente, nella sua armatura di cuoio e bronzo borchiato che gli proteggeva petto e ventre. Al fianco, appesa al grosso cinturone rinforzato da placche metalliche vi era un'ascia corta di ferro, ad una sola lama, e portava tra le mani un enorme scudo rotondo di bronzo brunito e una lancia a punta doppia, di poco inferiore alla sua altezza totale. Anche senza considerare l'elmo dalle sottili e slanciate creste appuntite, posizionate in modo da ricordare le ali di un rapace in volo, la donna in piedi di fronte a lei superava di parecchio qualsiasi altro essere umano lì presente, e la grossa pelliccia che le copriva spalle e schiena, con la testa imbalsamata e ringhiante dell'animale che ne decorava lo spallaccio destro aumentava l'aura minacciosa e regale che emanava dalla sua figura. Latina si chiese come sarebbe stato per un normale soldato, trovarsela di fronte in una battaglia... sembrava un demone della guerra uscito dai peggiori inferi.

Ma ancor più del suo aspetto, terrorizzanti erano i suoi occhi. Ombreggiati dall'elmo sulla fronte, spiccavano come fuochi dorati sul viso serio e segnato da una lunga cicatrice, dallo zigomo fino al collo. Erano gli occhi di una creatura feroce, inquieta. Non erano differenti dagli occhi di un enorme lupo vero, come se lo spirito della bestia che ne decorava l'armatura fosse trasmigrato dentro la cacciatrice.

Ne era estasiata. Da quella donna sentiva una forza, una volontà tali da averla completamente ammaliata, ancor prima di averne sentito la voce. Che a dispetto del suo portamento, risultava dolce, delicata e bassa. Un contrasto stridente, che pure le dava ancor più fascino.

“Onore a te, vergine di Lavinia. Sono Etruria, il lupo del Tirreno, e rappresento il popolo dei Rasenna.

Immagino che tu sia la mia sposa latina...”

Inclinò il viso di lato, come a studiare la fanciulla di fronte a lei. Sebbene per un istante avesse sentito il desiderio di abbassare gli occhi Latina ne resse lo sguardo austero, seppur sentisse le ginocchia cederle sotto la morbida stoffa delle tuniche. Deglutì appena e rispose, a voce tutto sommato ferma “Onore a te, Felix dalle grandi ricchezze e dalla grande potenza. Io sono Latina, matriarca del mio popolo, e ti accolgo nella mia casa e nelle mie terre, come ospite e compagna. Che le tue arti e la tua forza rendano questa città vittoriosa sui nemici...”

Era un'affermazione azzardata, lo sapeva bene. Perché tra i vari nemici di Roma, c'erano anche molte città etrusche con cui si combattevano i commerci verso la Grecia, come Veio. Etruria era lì davanti a lei come sposo, ma era ancora un nemico pericoloso... Così come lo sapevano le gens attorno a lei, che rumoreggiarono preoccupati dalla possibile reazione dell'altro vessillo.

Questa però affilò lo sguardo, e sorrise in modo ambiguo, immune alle chiacchiere di sottofondo. Sollevò appena una mano per zittire la delegazione che l'accompagnava, e rispose “Felix, mi hai chiamato... mi piace. Che d'ora in poi sia il nome con cui i popoli mi conosceranno, Felix il lupo del Tirreno. Per questo dono, ti offrirò il mio scudo e la mia ascia, Virgo Lavinia.”

“Non a lei, ma noi devi il tuo rispetto e il tuo scudo, Tusca! Quella è solo una femmina, dopotut-”

Non finì la frase. La testa del tribuno che aveva parlato, in un impeto di orgoglio patriarcale latino, era volata a due braccia di distanza dal corpo, che sussultò in preda ai tremori prima di accasciarsi sul pavimento intarsiato di marmo e pasta vitrea in una pozza di sangue zampillante.

Sia Latina che Etruria avevano estratto le armi che portavano al fianco, ma era la lama della prima ad essere macchiata di sangue. I grandi occhi verde dorati, affilati come rasoi, si muovevano lentamente lungo tutto il perimetro dell'atrium, in un lento movimento carico di quieta minaccia.

“Qualcun altro ha da offendere le mie orecchie con queste sciocchezze? Si faccia avanti ora, così che possa eliminare il fastidio di sentirlo in futuro” Nessuno fiatò, e nella stanza era sceso un silenzio tombale a parte gli ultimi sfiati del cadavere a terra. Latina si pulì la spada nel mantello macchiandone il primitivo candore, poi come se non fosse successo nulla tornò a sorridere verso Etruria

“Sarete stanchi, cavalieri. Un ricco banchetto è stato approntato per voi, con i piatti più raffinati della Grecia e dell'Illiria. Musici e danzatrici vi allieteranno per tutta la vostra permanenza nella mia domus...”


Ormai il banchetto era concluso da un pezzo, era anzi addirittura reiniziato per chi avesse avuto lo stomaco tanto resistente da sopportarlo, e chi più chi meno erano tutti presi nei festeggiamenti.

Latina, staccandosi dal gruppo delle domine con cui stava parlando per ritirarsi un attimo, nella strada del ritorno intravide Etruria in disparte, che fissava con sguardo severo la bolgia da una posizione sopraelevata e in penombra della corte. Restò indecisa se parlarle o meno per alcuni istanti, ma poi fu l'altra donna a dar segno di averla notata, facendole cenno di avvicinarsi.


“Domina Felix” si appellò a lei col suo nuovo nome “come mai sei qui da sola? Non senti il desiderio d'unirti alla festa?”

L'altra sorrise con quell'espressione feroce, e la fece accomodare davanti a lei, tra le sue gambe piegate. Poteva sentire il suo fiato caldo e l'odore di pelliccia conciata, assieme all'odore del metallo.


“Osserva, virgo. Guarda la gente che mangia e balla, osserva i popoli che si son riuniti per brindare alla nostra unione... pensa anche a tutti quelli che ci stanno maledicendo per questa unione, rintanati nelle loro stamberghe ad affilar le lance e le spade. Sono nostri. Lo saranno, prima o poi... diventeranno carne della nostra carne, a costo di mangiarceli vivi, con tutte le ossa”

Latina sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Non era paura, quanto più... eccitazione. Adrenalina pura.


“Non si faranno sottomettere così facilmente. Sono popoli fieri e crudeli...”

“Se non lo fossero, non mi interesserebbe per nulla assorbirli. Li cancellerei semplicemente dalla mia strada.”

“Dunque, vuoi far si che i tuschi conquistino la penisola intera, domina?”

Etruria si prese del tempo per rispondere, fissando ora in silenzio i suonatori di cembalo e di flauto che, a lato del cortile, avevano dato vita ad un'allegra danza.

“Io non parlo più per i Rasenna, virgo Lavinia.” Sbuffò sorridendo melliflua, quando la ragazza s'era voltata di scatto ad osservarla, gli occhi spalancati “Io non m'accontento più della sola Etruria, io voglio di più... tutti i suoi popoli, tutto il suo terreno, dalla più alta montagna al più profondo lago. Che tutto mi appartenga, ogni suo umano, ogni sua bestia. Le miniere d'oro e di ferro, le città, tutta la sua ricchezza presente e futura. E se per far questo devo abbandonare il mio popolo... bé, che muoia. Semplicemente ne ingloberò un altro, e poi un altro ancora”


Lentamente Etruria s'era staccata con la schiena dalla parete dietro di lei, andando ad appoggiarsi a quella di Latina, il suo viso a nemmeno un capello di distanza. E sulla sua pelle sussurrò piano, ma alla ragazza sembrò che urlasse come una tempesta

“Io diventerò l'Italia intera, Lavinia... e te lo sarai con me”

Latina non riuscì a comprendere subito la portata di quelle parole, rimase solo a osservarla negli occhi, che brillavano riflettendo le luci delle lampade lontane

“Perché io? Perché hai scelto me e non Sabina? Lei è padrona di Roma quanto me, e forse è ancora più antica di tutti noi” fu l'unica domanda che le venne fuori dalle labbra secche, tra le migliaia che le giravano nella mente. L'altra ristette, e tornando ad appoggiarsi alla parete con la schiena, incrociò le mani dietro alla nuca, rilassata

“I numi hanno parlato, attraverso le bocche degli aurispici cantano della potenza di Roma e del suo popolo, i romani. Coloro che hanno il sole nel momento in cui sorge e tramonta negli occhi ne saranno i creatori dando vita al dominatore del mondo intero, e saranno sovrani immortali di Esperia. E come puoi vedere da sola... noi due siamo le uniche tra tutti i popoli italici ad avere occhi simili all'oro. Più che da semplici legami politici di questi sciocchi mortali, noi siamo unite dallo stesso Fato...”

“Avresti potuto tacere, e trattenere tutto il potere per te sola. Sei potente e feroce abbastanza da poter dar vita ad un impero, o almeno provarci... perché?” le domandò con voce bassa, stringendo le ginocchia piegate con entrambe le braccia. Ora il suono degli strumenti s'era acquietato, e dal basso provenivano indistinguibili i mormorii e gli schiamazzi di chi aveva troppo abbondato nelle libagioni.

“Perché più della morte e dello svanire dimenticata da tutti, mi spaventa la solitudine eterna di noi vessilli, virgo”

Latina non seppe più cosa dire, di fronte a quell'ammissione tanto sincera quanto scioccante. Chiuse semplicemente gli occhi, posando il mento sulle ginocchia strette al corpo, mentre sentiva addosso quello sguardo severo e ipnotico.

Era stata una predizione a portarla da lei, una flebile ed incerta speranza che sembrava impossibile da avverarsi, almeno a giudicarla con occhi pragmatici. Eppure...



“... nia... Lavinia, ci sei?”

D'improvviso la donna spalancò gli occhi, rimanendo per un lungo istante accecata da un cielo tremendamente blu. Quando riuscì a recuperare la vista, vide su di lei gli stessi occhi che la stavano fissando fino a pochi istanti prima, ma completamente diversi... più dolci e gentili, senza quell'aspetto feroce che l'aveva tanto colpita. Ma erano sempre gli occhi che di più amava al mondo.

“... si, si. Credo di essermi addormentata per un attimo. Che succede?”

Le rispose dopo un po', stropicciandosi gli occhi col dorso della mano. Se ne pentì subito, dato che era sporco di sabbia bianca e impalpabile ed ora la sentiva sul viso accaldato, una sensazione decisamente fastidiosa.

“Nulla, volevo solo dirti di metterti un po' di più all'ombra o ti scotterai. Io vado in acqua, prima che Arthur soccomba completamente a quei due maremoti viventi... o vuoi venire anche tu a farti un bagno? L'acqua è deliziosa” le domandò, prima di alzare il viso, fino a poco prima rivolto a lei, verso il mare.

Di fronte al loro ombrellone, a pochi metri dalla riva un disperato Inghilterra stava tentando di insegnare i rudimenti del nuoto a Serena e a Gregorio, entrambi poco avvezzi all'acqua e quantomai restii ad abbandonare la confortante presa sulle tavole da galleggiamento (tentava perché, ogni due minuti di insegnamento, era costretto a fermarsi per andare a recuperare Marcello e Peter, che a turno riuscivano a farsi portare via dalle onde verso il largo, rischiare l'affogamento in mezzo metro d'acqua o perdersi le pinne, la maschera e addirittura il costume. Ed in contemporanea infastidivano coi loro schiamazzi e gli schizzi il resto dei natanti).

Di quell'uomo si poteva dire che avesse una miriade di difetti e di certo ancora ne sarebbe mancato qualcuno, ma di sicuro aveva un enorme pregio: la pazienza e l'amore che metteva nel trattare coi bambini aveva un qualcosa di soprannaturale...

“Verrò tra un pochetto. Preferisco svegliarmi del tutto, prima... o rischio di annegare ogni tre per due come stanno facendo quei due bambocci di Seborga e Sealand” le sorrise, raddrizzandosi sulla sdraio di paglia. Detto questo l'osservò mentre si allontanava in direzione del bagnasciuga, il costume bianco che spiccava sulla pelle leggermente abbronzata e i capelli ricci malamente legati sulla nuca che ondeggiavano ad ogni passo. Notò con una nota mista di disappunto e divertimento come in quel momento non fosse la sola a tenere gli occhi puntati sulla sorella, nella sua discesa in acqua. Praticamente, anche senza volerlo, chiunque si voltava a fissarla per un periodo piuttosto prolungato, palesando sul viso l'espressione che andava dal “oddio che invidia” al “oddio che visione paradisiaca” passando anche per il “oddio ma non è illegale girare così?” e finendo col “oddio non sapevo di essere lesbica”.

Bé, aveva sempre avuto il suo bel fascino, a cominciare da quando l'aveva vista per la prima volta in poi, durante tutti questi secoli trascorsi... Anzi, forse era addirittura migliorata, guadagnando una dolcezza e una femminilità che lei nemmeno poteva sognarsi. Ridacchiando si domandò come l'avrebbero presa quei cinque in acqua, se l'avessero vista anche loro come l'aveva vista lei al loro primo, vero incontro, più di ventisei secoli prima...

La voce di Thailandia la distrasse, prendendola alla sprovvista. Il giovane uomo dalla pelle scura, loro ospite per quella vacanza, si era avvicinato quasi in sordina, e ora sostava sotto l'ombrellone nel suo completo bianco come se fosse sempre stato lì, da quando avevano montato quel parasole sulla spiaggia.

“Signora Italia, mi chiedevo se domani sera voi e la vostra famiglia aveste l'interesse nel partecipare all'inaugurazione di un piccolo festival della cultura che si terrà a Surat Thani, poco più a nord di qui. Si trova un po' distante da questo luogo di villeggiatura, ma la vostra presenza sarebbe molto gradita e di grande importanza e valore per tutto il nostro popolo...”

Lavinia guardò l'uomo in piedi accanto a lei, leggermente piegato in un inchino, poi spostò lo sguardo verso il mare, alla sua “famiglia allargata”. Sospirò senza celare un sorriso amabile, e con un cenno del capo annuì convinta.

“Ne saremo onorati, signor Thailandia...”




Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)



Uh... ed eccomi qui, invece che a lavorare sulla nuova long, a scrivere minchiate uscite di getto. Perché me la son sognata stanotte questa roba, e mi sono pure alzata alle due per appuntarmela... due braccia rubate all'agricoltura, proprio.

Bene, esposta la mia colpa al pubblico lubridio, posso andare a spiegare un po' quel che ho rafazzonato.

I personaggi sono sempre i miei OC, quindi per chi legge che non si spaventi troppo U.u  

Latina - o Lavinia - è Italia del sud (chiamata così perché nemmeno lei è reale cittadina di Roma, quindi "straniera". Il fatto che si appellino a lei come virgo, non significa che sia candida e immaccolata. al tempo la parola vergine stava a simboleggiare la donna forte, che no nsi lascia sottomettere e che si rialza sempre in piedi, qualsiasi cosa succeda. Infatti da Virgo vengono sia i termini vergine (che solo in avanti col cristianesimo assunse anche il significato di illibata) sia il termine virago, che di solito ora viene usato in modo dispregiativo riferito alle donne particolarmente mascoline e forti;

Etruria - o Felix - è Italia del nord... al tempo popolo incazzoso e in grado di metter inquietudine ai propri vicini. Tra di loro si chiamavano Rasenna, mentre gli altri popoli li chiamavano tusci o tuschi. Poi la signora in duemila e cinquecento anni di esistenza è un filino cambiata... ma giusto un po';

Arthur è Inghilterra, e gira e rigira stà sempre in mezzo alle palle;

Serena, Gregorio e Marcello, rispettivamente la repubblica di San Marino, la città del Vaticano e il principato di Seborga: dato che hanno un'estensione territoriale che insieme non fanno un comune italiano scrauso,  sono rappresentati da dei marmocchi. Toh, magari Serena è considerabile una adolescente, ma siamo sul limite massimo;

Peter è Sealand, che probabilmente ha subodorato una vacanza a scrocco in Thailandia, e quindi si è appolipato al padre naturale lasciando per un pò il genitore nordico adottivo (Svezia);

Thailanda lo sà il diavolo come si chiama.

Siamo circa nel sesto secolo prima di Cristo, poco prima che il primo re etrusco – Tarquinio Prisco - prese il potere della città di Roma. Al tempo i popoli estruschi, quelli latini e quelli sabini si contendevano il Lazio, ma ciononostante gli ultimi due avevano riunificato i sette villaggi creati sui colli romani in un'unica città, formando così la prima Roma. Quella di Romolo e dei sette re di Roma, per capirci.

Siccome i popoli antichi erano cagnarotti e litigiosi esattamente come quelli moderni, nonostante i sabini e i latini coabitassero nella stessa città non si facevano alcuno scrupolo a darsele di santa ragione, e in quel marasma gli etruschi ci si buttarono a gamba tesa per estendere il loro dominio anche sulla parte meridionale delle coste tirreniche. Al tempo, erano il popolo dal territorio più esteso nel centro-sud Italia. A loro dobbiamo un sacco di cose che poi resero grande l'impero romano, come l'arco a tutto sesto strutturale e gli acquedotti, la costruzione a croce delle città - in pratica, le città aveva una pianta rettangolare divisa dalle due strade principali  perpendicolari tra di loro, il cardo (da nord a sud) e il decumano (da est a ovest), a cui si inserivano incrociandosi in linea retta tutte le altre strade minori. Moltissime città italiane e anche alcune europee hanno ancora questa pianta primitiva nella loro topografia originaria, come Vienna o York.

Inoltre possiamo aggiungere alla lista anche la lavorazione delle terrecotte e del metallo, la tintura delle stoffe e la tessitura con fili d'oro. Portarono con loro anche l'aquila e la lupa come simboli araldici e militari (tra l'altro, dall'aquila etrusca poi adottata dalla Repubblica Romana prima e dall'Impero Romano poi, provengono quasi tutti gli stemmi araldici mondiali che hanno il volatile come vessillo. Solo il Messico – che ha il condor – e gli Stati uniti d'America non hanno l'aquila romana, ma quella degli USA è stata creata per anteporsi al leone britannico, che a sua volta è nella simbologia araldica la nemesi dell'aquila romana...).

Carlo Magno, il primo imperatore che riunì il Sacro Romano Impero sotto il suo dominio, aveva come vessillo l'aquila nera in campo dorato, mentre Federico II di Svevia, che riunì – o meglio, tentò di riunire – l'antico Impero Romano d'Occidente con quello d'Oriente, aggiunse una testa al simbolo, creando l'aquila bicefala.

Nonno Roma nascerà tra un paio di secoli, decade più decade meno. Al tempo non vi erano ancora le nazioni come si considerano solitamente in Hetalia (a parte, forse, antica Grecia e antico Egitto, e pochi altri) e i vessilli più che rappresentare un territorio rappresentavano un popolo. Quindi rischiavano molto più di scomparire... ma c'è a chi la cosa non andava bene. Ce l'avrà fatta Felix Etruria a diventare Italia?


Ai posteri l'ardua sentenza...


BaciBaci,

Monia

  
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