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Autore: frenz    03/03/2014    2 recensioni
Essere cieci con gli occhi non vuol dire essere ciechi con il cuore. Il Signor Martinelli questo l'ha capito, lui che è divenuto cieco durante la sua vita. Il giovane Fernando invece, ancora inesperto della vita, nonostante sia come un padre per l'anziano, cercherà di capire qualcosa sul suo futuro e su come impiegarlo.
Sesta classificata al contest "Chiedi Agli Altri" di Melinda Pressywing
- REVISIONATA CON L'AIUTO DI MELINDA PRESSYWIG -
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo al buio

 

La sera arriva con uno sfumare così leggero del cielo che spesso, avvolti dai mille pensieri o dalle tante cose da fare, non riusciamo a percepire. Ci ritroviamo avvolti dalle tenebre senza renderci conto che fino a pochi minuti prima eravamo ancora illuminati dalla luce e che il sole è andato a nascondersi dietro un monte o sotto il mare. È questo il momento che preferisco di più perché, anche con tutti i rumori del mondo, riesco a trovare la pace. Godo di ogni singolo secondo, marcato dal click della mia compagna fedele di viaggio che vuole tracciare la linea curva tracciata dalla stella che illumina il nostro pianeta per lasciar spazio alla notte e alla debole luce della luna.

I lampioni delle strade si accendono uno ad uno in successione e la gente inizia a correre verso casa per preparare la cena. I panettieri sono stracolmi di casalinghe o giovanotti che devono portare il pane in tavola e l'odore arriva fino alla piazza dove mi trovo ancora io, incantato dallo scenario uditivo e olfattivo regalatomi. Da piccolo mi dicevano sempre di non guardare il tramonto e non osservare il sole perché sarei potuto diventare cieco, ma non potevo resistere. Col tempo mi abituai a portare degli occhiali da sole per poterlo vedere e, ironia della sorte, adesso li porto tutti i giorni a tutte le ore. Scatto foto che non potrò mai vedere ma che qualcuno di buon cuore potrà descrivermi, come meglio può. La descrizione non è la stessa cosa di ciò che i tuoi occhi mostrano, ma è pur sempre qualcosa.

Come ogni giorno giunto al termine, dietro di me c'erano ancora gli artisti di strada intenti a finire il loro ultimo ritratto, da cui avrebbero ricavato una bella somma di denaro; oppure donne arabe vendevano oggetti artigianali. Qualcuno di più furbo era fornito di souvenir e mappe. Sapete, a Roma sono queste le cose che contano di più. Non puoi tornare a casa senza aver portato ai tuoi parenti un pezzo di Colosseo o di qualche altro reperto storico. Magari poi sarebbero serviti come fermacarte o buttati nella spazzatura in tempo record, ma poco importava. Era come portare con sé qualcosa che andava oltre l’oggetto. Era l’esperienza quella che consegnavi agli altri, con l’augurio che magari qualcuno potesse compiere lo stesso tragitto da te percorso e, sotto raccomandazione, di gettare al più presto possibile la monetina nella fontana di Trevi. Vivo a Roma da una vita – esattamente da quando sono nato, sessant’anni fa – e, anche se da molto tempo non riesco a vedere le cose che mi circondano, sono rimaste sempre le stesse e nello stesso punto. Mi rincuora sapere che, nonostante il tempo passi, io sia in qualche modo ancorato al passato e il presente è ancorato a me in questo spazio.

Non riuscendo a vedere, col tempo gli altri quattro sensi si sono intensificati e mi hanno regalato un udito molto acuto. Sento piccoli rumori – che chi possiede una buona vista non bada – come il camminare della gente. E qualcuno si stava avvicinando a me. Dal passo pensai che fosse un ragazzo da poco maggiorenne, e la mia impressione non fu sbagliata.

«Signor Martinelli, si sono fatte da poco le otto» disse il giovane che rispondeva al nome di Fernando. Annuì e mi lasciai appoggiare alla sua spalla.
«Aspetta un attimo Fernando... Potresti farmi una foto?»
«Una foto? Perché? Mi scusi ma… Voglio dire… Lei è cieco e non può vedere le foto che fa»
«Io no di certo, e forse nemmeno altri. La gente scatta foto per conservare un ricordo e in momenti opportuni farli risalire alla mente per poter sorridere o piangere. Come sarebbe bello conservare una figura per l’eternità, non abbandonarsi alla continua corsa contro il tempo e godersi il meglio della vita. Quando scatto foto, non potendo mettere la mia vista, ci metto la mia anima. E non c’è un singolo giorno in cui io non speri di lasciare la mia anima nella mia foto più bella».
Fernando sorrise imbarazzato dalla risposta e mi diede una pacca sulla spalla, per compassione. «Dove vuole essere portato stasera?» mi chiese subito dopo.
«Oggi vorrei andare dai miei amici del bar. È da un po’ che non mi faccio vedere, forse gli manco».

In realtà sapevamo entrambi che in quel bar non c’era più nessuno. Fernando non me lo aveva detto ma io avevo capito da un bel po’ che quel posto non era più lo stesso. In città, avevo sentito dire da qualcuno che, dopo la morte del precedente proprietario, fu proprio Fernando ad acquistarlo, ma non lo aprì mai al pubblico. Mi portava in quel luogo in modo che non potessi mettermi nei guai e stare in un ambiente riguardato, dove magari poteva controllarmi. Non si metteva al mio servizio, era un ottimo accompagnatore e ancor più un confidente. Arrivati al locale, al bancone c’era il fratello che fingeva di essere il nuovo barista, smascherandosi dopo aver creato un nuovo cocktail. Mantenni il segreto per non dar problemi a Fernando che con me si era dimostrato meglio di un padre, nonostante avessi il triplo dei suoi anni.

«Cosa prende stasera, signore?»
«Dopo tutto questo tempo trascorso qui ci dovrebbe essere scritto il drink che prendo solitamente!» dissi con finta arroganza, per calarmi meglio nella parte.
«Un bicchierino di grappa per lui e per me un Long Island Iced Tea» intervenne prontamente il mio accompagnatore.
«Perché voi giovani prendete questi cocktail strani? Non sono neanche buoni! Ai miei tempi si preparavano dei buoni alcolici, prendi esempio da me qualche volta!»

Passammo il resto della serata a chiacchierare sul suo futuro. Aveva tanti progetti in mente e ricordava tanto me quando avevo la sua età. I progetti sono soltanto obiettivi che la gente si prefigge, ponendosi a volte dei limiti o delle pause brusche. Bisognava vivere la vita contro lo scorrere delle lancette dell’orologio, non pensando a cosa fare nel futuro ma a come vivere a pieno il presente; passato e futuro furono o saranno presente anch’essi, quindi è meglio preoccuparsi di ciò che ci troviamo adesso in mano che di quello che abbiamo perduto o che potremmo ritrovare.

Non so se sono state le discussioni profonde o i drink di troppo a farmi un brutto scherzo, ma sono caduto in un sonno profondo sul bancone del bar che mi ha provocato un sogno alquanto particolare.

Il mio corpo era staccato dalla mia anima. Mentre io mi trovavo su questa terra, lei era imprigionata nella foto che qualche ora fa aveva scattato Fernando. Anche in sogno ero cieco, sia sulla terra che nella foto. Un solo particolare distingueva gli scenari: l’altro me, quella mia parte staccatasi dal corpo, riusciva a muoversi grazie alle sensazioni che la guidavano. In quello sfondo fermo della foto, quella figura vestita di nero si muoveva in lungo e in largo, diventando più piccola o più grande, in base alla vicinanza. Io, corpo, ero ancora inerte e bloccato in questo luogo, e tenevo saldamente in mano quel pezzo di carta luminosa che viveva al mio posto. Nel mio mondo ero io quello fermo e tutto il resto riusciva a muoversi mentre, in quello parallelo, era tutto il contrario. Riuscivo a muovermi, ma attorno a me tutto era fermo e senza movimento. Fu il barista a strattonarmi e a svegliarmi dal sonno, mentre Fernando si trovava al telefono, forse per avvertire quelli della guardia medica, intervallando la conversazione con imprecazioni e grida del mio nome di battesimo.

Siamo tutti bravi oratori, abili nel dare consigli per la vita altrui e trovare varie soluzioni che possano risultare semplicissime ma, quando questa soluzione tocca noi, non sappiamo come comportarci, come relazionarci di fronte al problema che ci troviamo davanti. Battiamo la testa contro al muro per trovare il modo corretto per poter reagire e poi magari abbiamo tutto sotto i nostri occhi, oppure dobbiamo immaginare di essere noi il nostro migliore amico. È facile perdere la padronanza delle nostre azioni perché, come il tempo, fuggono più veloci e nonostante fossimo dei corridori non riusciremmo ugualmente a raggiungerli, né tanto meno a superarli. Quel che dissi a Fernando valeva anche per me, come per tutti gli esseri umani. Dovevo farmi forza e vivere il presente, senza logorarmi e restare passivo di fronte al corso degli eventi.

Alzai la testa con molta lentezza, visto che mi faceva male sia per la botta sia per l’alcool; avevo bisogno di riprendere le forze. Chiamai Fernando che immediatamente riagganciò il telefono ringraziando Dio e chi con lui stava parlando dall’altra parte della cornetta e si avvicinò per controllare che andasse tutto bene. Poteva essere mio figlio eppure si comportava come fosse mio padre. Era la parte migliore di me: quella meno impulsiva, quella più saggia, quella che guarda in avanti non dimenticando quello che ha lasciato indietro. Quella parte che ho sempre nascosto e che da tanto tempo non mi faceva più visita.

«Riportami a casa, figliolo» gli dissi. E, sorreggendomi col suo corpo ancora troppo giovanile e gracile, mi trascinai fino a qualche isolato più lontano da lì.
   
 
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