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Autore: Princess of the Rose    04/03/2014    2 recensioni
Il tedesco impugnò il coltello con la mano sinistra, per poi lanciare un’occhiata al suo braccio destro. Lacrime, corpo e calore.
"Tre obbiettivi" mormorò, poggiando la lama dentata sulla pelle dell’arto. E chi era lui per non portare a termine i propri propositi?

[2p!GermaniaX1p!Italia Veneziano; accenno ItaPan]
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: 2p!Hetalia, Axis Powers/Potenze dell'Asse
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Otto soldati americani, malamente nascosti tra i cespugli della foresta. Uno era ferito alla gamba, un altro era semicieco dopo che una bomba gli è esplosa vicino, perciò quelli da temere sono solo sei. Anzi, quattro, se non si contavano quei due che se la stavano facendo sotto dalla paura da quando lo avevano visto arrivare con un fucile in una mano e un coltello da caccia nell’altra, immune a qualunque ferita d’arma da fuoco che fosse sparata da un comune essere umano. E, sfortunatamente, quel giorno non c’era America a parare il culo ai suoi connazionali - peccato, gli sarebbe piaciuto fargli nero anche l’altro occhio.
Germania rise tra sé, osservando divertito gli ignari soldati discutere animatamente a gesti sulla migliore tattica da adottare per attaccarlo. A quanto pare erano ancora convinti di avere un qualche tipo di speranza, nonostante il massacro di cui erano stati spettatori poco fa. Meglio per lui: le vittorie troppo facili non gli piacevano molto.
Aspettò pazientemente un quarto d’ora, fino a quando non sentì un movimento nei cespugli dietro di lui: uno dei soldati gli si avventò contro con un coltello, urlando qualcosa in un misto di inglese e francese - quanto odiava gli americani, loro e il loro orribile accento.
Germania rimase impassibile, anche quando avvertì la presenza di un secondo militare, il fucile puntato contro di lui. Senza troppa fatica, afferrò il polso del primo soldato, disarmandolo, per poi voltarsi velocemente e usarlo come scudo contro i tre proiettili sparati dall‘altro. Vide il tiratore impallidire, mentre la schiena del suo compagno si colorava di rosso.
La nazione tedesca buttò a terra l’ormai cadavere, per poi colpire con violenza lo stomaco di un terzo soldato, che gli si era lanciato contro in preda alla rabbia, l’errore più grande che un militare potesse fare in guerra; lo afferrò per il colletto, conficcando la lama del suo coltello da caccia nella giugulare, squarciandola. Sentì distintamente il frenetico movimento tra i cespugli, accompagnato dalle grida degli americani superstiti. Ricaricò la sua pistola, per poi mirare agli uomini che si allontanavano in tutta fretta e in preda alla paura più nera; prese la mira e sparò cinque colpi; avvertì distintamente il suono di cinque corpi cadere.
Germania sospirò stancamente, togliendosi il cappello per dare un po’ di refrigerio al capo sudato, pentendosene quasi subito quando sentì la sua pelle quasi bruciare sotto i raggi del sole - chiara com’era, non si sarebbe mai abituata al caldo africano. Si asciugò la fronte con la canotta macchiata di sangue, mentre superava la barriera dei cespugli e dei piccoli alberi, fino ad arrivare dall’unico sopravvissuto, il soldato semicieco; il suo compagno, riverso a terra in una pozza di sangue sempre più ampia, doveva avergli fatto da scudo.
<< K-Karl? K-Karl, w-w-wak-ke u-u-p K-Karl. >> balbettava il ragazzo, scuotendo il cadavere dell’amico con mani tremanti. Al suono della sicura di una pistola che veniva sbloccata, il soldato gelò sul posto. Si voltò lentamente, e Germania notò un bendaggio malfatto all’occhio sinistro, mentre il destro faceva evidente fatica a rimanere aperto.
<< B-Bitte >> disse il giovane, allungando una mano e afferrando lo stivale della nazione. << B-Bitte lass mich gehen. >>
Se c’era una cosa che Germania odiava più degli americani, erano gli americani che parlavano tedesco. Sentire una lingua nobile come la sua - ma, in generale, qualunque lingua esistente -  nella bocca di quei mentecatti gli dava il voltastomaco, snaturata com’è da quel loro accento non meglio definito.
<< Es tut mir leid. >> mormorò, puntando la pistola verso la fronte del soldato. << Se non parlavi, forse avrei anche potuto lasciarti andare. >> Ovviamente, non l’avrebbe mai fatto; ma veder le espressioni di puro terrore delle sue vittime lo divertiva sempre.
C’era un altro motivo per cui odiava gli americani: non sapevano fare nulla in silenzio, nemmeno morire.
 
 
Germania sospirò pesantemente, sedendosi sotto le fronde di un albero al riparo dal cocente sole africano, per poi prendere la boccia d’acqua che si era portato dietro. Passò in rassegna i cadaveri d’innanzi a lui: a occhio e croce, avrebbero dovuto essere una ventina; più gli otto uccisi nel bosco, facevano un totale di ventotto. Sorrise. Stavolta sarebbe stato Prussia ad offrirgli da bere.
<< Stupidi americani! >> esclamò, sfiorando con la mano la ferita sul petto, ‘gentile’ regalo di America nel loro ultimo incontro. Bevve un lungo sorso d’acqua, cercando di reprimere una risata. Sulla ferita gli avevano messo sette punti; guarda caso, aveva ucciso ventotto soldati, quattro per ogni punto. A volte il destino aveva uno strano senso dell’umorismo.
Non riuscì a trattenere un ghigno, pensando alla vittoria schiacciante che aveva ottenuto in quella battaglia: nonostante lo svantaggio numerico, i suoi soldati erano riusciti a cavarsela egregiamente, senza riportare alcuna perdita, mentre lui non si era fatto nemmeno un graffio. Se solo non fosse per i vestiti sporchi di sangue… Sangue degli americani.
Non seppe perché, ma quel pensiero lo fece ridere. Rise, mentre beve un altro sorso d’acqua, pensando alla faccia di America quando avrebbe visto quell’oasi piena di cadaveri massacrati. Rise, pensando a Prussia e alla sua faccia corrugata quando sarebbe stato costretto a pagare il giro di alcool. Rise, immaginando la faccia di Giappone quando avrebbe saputo della battaglia e del suo risultato, sul volto di solito impassibile un’espressone di muto orrore e disgusto per le sue gesta - come se fosse una novità: a quella sottospecie di nano non era mai andato a genio, dopotutto.
Ancora ridente, si passò di nuovo una mano sulla ferita sul petto, massaggiandola piano; ed fu quasi inevitabile pensare a chi gli avesse fatto quella fasciatura, la settimana prima.
 
 
<< Italien, fa piano. >> mormorò Germania mentre osservava le mani tremanti del suo compagno, impegnate a sistemare la fasciatura della ferita sul petto - quel giorno aveva scoperto che, oltre ad essere logorroico, America possedeva anche un’ottima mira.
<< S-Scusa G-Germania. >> balbettò Veneziano, sistemando una spilla da balia tra i bendaggi. << V-Ve~ e-ecco… I-Io ho f-finito. >>
Il tedesco mosse sperimentalmente il braccio destro, irrigidendosi non appena una scossa di dolore gli attraversò il torace e l’arto.
<< Ve~ n-non muoverti, Germania, peggiorerai la situazione. >>
Italia lo aiutò ad abbassare lentamente il braccio, per poi massaggiargli la spalla – un tocco era delicato ma deciso, sorprendentemente forte per della mani così piccole e maldestre.
<< Danke, Italien. >> disse Germania, riuscendo finalmente a rilassarsi dopo ore passate a controllare i feriti e a sistemare gli affari della burocrazia militare. Chiuse gli occhi, sentendo di colpo tutta la stanchezza della giornata sul suo corpo dolente; si sistema al meglio sulla brandina, cullato anche dal massaggio di Italia. A un tratto, però, avvertì qualcosa gocciare sulla spalla. Aprì gli occhi, infastidito, e subito notò che quelle gocce non erano altro che le lacrime di Italia, che tremava come una foglia e a stento tratteneva i singhiozzi.
<< Italien, che è successo adesso? >> chiese, mettendosi faticosamente a sedere, e Veneziano non ebbe la forza di protestare per quel gesto che rischiava di riaprire le ferite e mandare in fumo il tempo passato ad eseguire quei bendaggi. A dire il vero, sembrava non avere la forza neanche per parlare.
<< Italien? >>
<< V-Ve G-G-Germ-mania… I-Io n-n-n-on… >> balbettò incerto l’italiano; gli occhi spalancati fissavano il vuoto, e respirava malamente dalla bocca. La nazione tedesca riconobbe subito i sintomi di un attacco di panico; senza perdere tempo, afferrò una boccetta d’acqua e l’avvicinò alla bocca di Veneziano, versandone piano il contenuto mentre gli teneva ferma la testa.
<< Italien, bevi con calma. >> sussurrò, incatenando i loro sguardi. << Calmati Italien, non è successo nulla. Sono qui, tranquillo. >>
Il suo intervento ebbe l’effetto sperato: Veneziano si tranquillizzò visibilmente, appoggiandosi pesantemente contro la spalla buona del tedesco; quest’ultimo avvolse il braccio attorno al corpo tremante dell’italiano, ma questo sembrò solo irrigidirlo di più.
Passarono qualche minuto in totale silenzio, prima che Germania cominciasse ad accarezzare i capelli lievemente crespi dell’italiano, notando solo in quel momento quanto la figura del suo amico si fosse emaciata da quando erano stati trasferiti sul fronte africano: << Da quanto hai crisi di panico? >>
<< D-Da un po’ >> rispose l’altro, tremante, nascondendo il volto nell’incavo del collo del suo alleato, trovando tutto sommato sollievo contro la sua pelle fredda.
<< Da un po’ quanto? >>
<< N-Non- >>
<< Italien, non mentirmi. >> disse il tedesco con un tono più duro di quanto volesse, e il sussulto che ebbero le spalle di Italia bastò per far emergere forti sensi di colpa.
<< V-Ve~ l-la prima volta è successo due settimane fa. >> mormorò Italia, staccandosi dal corpo di Germania e sorridendogli incerto. << Meno male che c’era Giappone con me. >>
Lo sguardo del tedesco si incupì subito. Giappone non gli aveva detto nulla.
<< V-Ve~ non preoccuparti, sto bene ora. T-Tanto è solo lo stress. >> disse Italia, sedendosi vicino a lui e inspirando a fondo. Germania annuì distrattamente, per poi carezzargli piano una guancia bagnata. Lentamente, per non spaventarlo e rischiare una nuova crisi, avvicina i loro volti, per poi baciare via i residui delle lacrime. Italia trattenne il respiro per un minuto intere, per poi rilassarsi nuovamente; mantenne, però, una certa tensione, mentre l’altro continuava a passare le labbra sul suo volto, spostandosi sull’altra guancia.
<< G-Germania… ? >>
<< È per causa mia? >> chiese, mentre i baci si spostavano con esasperata lentezza verso la bocca dell’italiano. Il respiro di quest’ultimo accelerò leggermente; l’alito era speziato, caldo, e gli solleticava piacevolmente il mento.
<< V-Ve~ i-io- >>
<< Ti preoccupi troppo. >> affermò Germania, poggiando la fronte contro quella dell’altro e incatenando nuovamente i loro sguardi; le labbra a pochi centimetri di distanza. << So cavarmela, Italien. America è semplicemente stato fortunato. >>
<< Ho-o paura che non tornerai. >> ammise Veneziano, mentre altre lacrime si formavano agli angoli degli occhi. << M-Mi hai p-promesso che non mi lascerai, p-però… E’ g-già successo che… I-Io- >>
<< Appunto perché te l’ho promesso. >> Germania gli concesse un raro sorriso. << Non mi perderai. Tornerò sempre. >>
Il respiro d’Italia si regolarizzò; non protestò quando Germania strofinò le labbra sulle sue - non era un vero bacio, quindi non aveva motivo di ribellarsi. Il tedesco si staccò dopo qualche secondo, incontrando nuovamente lo sguardo ancora scosso dell’amico - l’iride degli occhi di Italia era dello stesso colore dell’ambra, con delle lievi sfumature castane; ed erano belli, sempre pieni di allegria e di vitalità e, perfino in quel momento, liquidi e leggermente vacui, mantenevano un certo fascino.
Gli afferrò le mani, piccole e fredde, fin troppo graziose in confronto alle sue, e le baciò con atipica dolcezza su ogni nocca; Italia lo osservò in silenzio, non protestando, privo di forze, incapace di far passare inosservato il brivido che gli scosse la schiena.
<< Dormi qua? >> chiese Germania, notando subito il disagio negli occhi dell’altro. Sapeva  perfettamente che l’altro avrebbe voluto dire di no, che avrebbe voluto allontanarsi da lui il prima possibile, che tutte quelle attenzioni che gli riserva non gli piacevano e che le trovava inquietanti; sapeva anche, però, che Veneziano non avrebbe messo mai neanche un piede fuori da quella tenda: per un motivo a lui sconosciuto, l’italiano aveva il terrore di rimanere per troppo tempo senza di lui, il pensiero di perdere qualcuno a lui caro e di rimanere solo era la sua più grande paura, ancora maggiore di quella della guerra. Perciò, non fu affatto sorpreso quando Italia sussurrò un << Va bene, se non disturbo. >>, la voce insolitamente atona e lo sguardo basso; poi, lasciò che l’aiutasse a sdraiarsi sul lettino, e lo fece accomodare accanto a lui; Italia poggiò la testa contro la sua spalla, le labbra sfiorarono quasi per caso la sua pelle fredda.
Rimasero in silenzio per un po’; poi Germania, sentendo la pelle del braccio improvvisamente bagnata, avvicinò una mano alla guancia di Italia, raccogliendo una lacrima e assaggiandola. << Ancora piangi? >>
<< Ve~, è lo stress. >> mormorò Italia, accoccolandosi contro di lui e chiudendo gli occhi. Germania gli accarezzò piano la testa, passando le dita fra i capelli spessi, per poi posare un bacio sul capo rossiccio; Veneziano rabbrividì.
<< Guten nacht Italien. >>
<< … Buona notte Germania. >>


 
La nazione tedesca osservava, assente, il cielo; il pensiero di Italia, del suo corpo esile e caldo, delle sue lacrime - dolci e salate allo stesso tempo - e delle sue mani delicate occupava la sua mente.
Era una settimana che non lo vedeva; una settimana da quando era venuto a sapere delle sue crisi di panico - probabile frutto dello stress causato dalla guerra; sette giorni che non aveva avuto la possibilità di toccarlo - e a lui piaceva toccare Italia, adorava carezzarlo, vederlo irrigidirsi tra le sue braccia, diviso tra la voglia di ricambiare e quella di allontanarsi il più in fretta possibile; passare le mani sulla chiara pelle mediterranea, baciarla e morderla piano, fino a quando l’italiano lo pregava di fermarsi, con quella sua vocina tremante e limpida.
Prussia lo prendeva sempre in giro, dicendo che da quando si era alleato con Italia, si era ammorbidito parecchio. Forse era vero: gli era impossibile essere violento quando Veneziano era nei paraggi; bastava la sua presenza perché qualunque impulso aggressivo venisse inibito, e il suo solo pensiero era in grado di calmarlo all’istante.
Il senso di pace che lo pervadeva ogni volta che era in compagnia dell’italiano era inebriante, e ben presto ne era diventato dipendente; purtroppo, Italia non sembrava ricambiare pienamente: i primi tempi non perdeva occasione per instaurare un qualche contatto fisico, stare vicino a lui, o per parlare di qualunque cosa gli passasse per la mente; poi, ad un tratto, aveva cambiato atteggiamento: è sempre alla ricerca di un abbraccio, ma le sue richieste si erano fatte sempre meno assillanti e, spesso e volentieri, se si ritrovano da soli, cercava sempre una scusa per andare via. Guarda caso, il suo allontanamento era coinciso con la nascita tra l’amicizia tra lui e Giappone.
Germania si incupì. Quella sottospecie di nazione malriuscita iniziava seriamente a dargli suo nervi.
Si rigirò il coltello da caccia fra le mani, ma il flusso di pensieri della sua testa gli fece mancare l’attenzione necessaria affinché non si tagliasse con la lama seghettata. Imprecò sottovoce, asciugando il sangue sulla canotta sporca; fu in quel momento che ebbe un’idea; malsana, folle, e decisamente realizzabile.
Germania avrebbe fatto qualunque cosa per poter stare vicino ad Italia; assaggiare le sue lacrime mentre lo stringeva, tramante, a sé, tenere le sue morbide mani nelle sue e baciare la sua pelle calda e vellutata. Ma Veneziano sarebbe rimasto con lui solo se fosse successo qualcosa di grave…
Il tedesco impugnò il coltello con la mano sinistra, per poi lanciare un’occhiata al suo braccio destro. Lacrime, corpo e calore.
<< Tre obbiettivi. >> mormorò, poggiando la lama dentata sulla pelle dell’arto. E chi era lui per non portare a termine i propri propositi?
 
 
 
<< Itaria-kun, va tutto bene? >>
Italia alzò lo sguardo dal falò di scatto.
<< V-Ve~? >>
Giappone sospirò.
<< Hai la testa fra le nuvole, ultimamente. È successo qualcosa? >>
Veneziano lo guardò interrogativamente, per poi sorridere con dolcezza. << È tutto ok… Sono solo preoccupato per Germania. Ve~ il suo contingente è stato attaccato e- >>
<< Capisco. >> lo interruppe il giapponese, incupendosi. << Doitsu-san è forte. Non si sarà fatto nulla. >>
<< Ve~ la ferita sul petto non è ancora guarita. N-Non vorrei. >>
<< Itaria-kun, per favore, non devi stare in pensiero quando non ce ne è il motivo. >> disse Giappone, per poi prendere una coperta e sistemarla sulle spalle dell’italiano. << Guarda come tremi. Sai che nelle tue condizioni lo stress può solo che farti del male. >>
<< V-Ve~ lo so. >> disse Veneziano, stringendo i lembi della coperta con forza. << Sto bene, Giappone. È solo che, non posso non preoccuparmi. Germania è sempre così avventato, e… E se America fosse stato tra coloro che hanno attaccato Germania e i suoi? E-E se fosse stato di nuovo ferito? Quella sul petto non è guarita e se si riapre potrebbe infettarsi! Q-Qui n-no-n a-a-bbiamo i di-disinfettanti adatti e- >>
<< Itaria-kun, calmati! >> esclamò Giappone, afferrando le mani dell’italiano e stringendole con forza, cercando il suo sguardo impaurito. << Va tutto bene, Itaria-kun. Non devi preoccuparti. Non accadrà nulla. Tranquillo. >>
Le rassicurazioni del Giapponese sembrarono funzionare: Veneziano si calmò un poco, evitando di cadere nuovamente preda di un attacco di panico. L’asiatico sospirò mestamente, senza lasciare la mano dell’altro.
<< Devi tornare nel tuo paese Itaria-kun. >>
<< V-Ve~ Germania ha bisogno di me! >>
<< Doitsu-san sa cavarsela da solo. >> si affrettò a dire il giapponese. << Non ha bisogno di una balia. Nelle tue condizioni, poi, gli saresti di intralcio. >>
Italia sussultò a quelle parole dure, stringendo con maggiore energia le mani dell’amico, mentre gli occhi iniziavano a farsi lucidi.
La nazione nipponica, dal canto suo, non aggiunse nulla. Aveva detto tante volte ad Italia di stare lontano da Germania, di non approfondire più del dovuto la loro alleanza e di mantenerla solo sul un piano puramente formale: l’italiano, a causa della guerra precedente e della critica situazione interna del suo paese, era estremamente fragile psicologicamente, e le crisi nervose che lo colpivano da quando aveva messo piede in Africa ne erano la prova evidente; invece che aiutarlo, però, la nazione tedesca si approfittava di questa debolezza, traendo chissà quale malato piacere nel vederlo piangere e disperarsi. Giappone, essendo l’ultimo arrivato, non sapeva quale era stato il rapporto iniziale tra i due paesi europei: magari era stato sereno e decisamente più sano, come quello di due normalissimi amici, forse anche qualcosa di più profondo - e probabilmente era per questo che Veneziano faticava così tanto ad allontanarsi dal tedesco: dopotutto, lui aveva conosciuto un Germania freddo e spietato, ben diverso da quello disponibile e gentile che Italia gli aveva descritto i primi giorni dalla creazione dell‘asse Roma-Tokio-Berlino.
<< Itaria-kun, ritorna nel tuo paese. Almeno fino a quando non starai meglio. >>
<< M-Ma, i soldati- >>
<< Sono sicuro che Romano-kun sarà felice di venire qui al posto tuo non appena saprà delle tue condizioni. >>.
No, non lo sarebbe stato, lo sapevano tutti e due; però, per il fratello, Romano avrebbe fatto uno sforzo - infondo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, la salute del suo fratellino era la cosa che più gli premeva al mondo.
Italia non rispose. Deglutì a fatica, per poi sorridere tristemente.
<< S-Sono proprio inutile, ve? >> disse con voce tremante, abbassando il capo.
<< Sei solo stanco, Itaria-kun. Un periodo di vacanza non può farti che bene. >> disse Giappone, per poi sorridergli leggermente. << Perché non parti con me la dopodomani? Potremmo andare a Roma, e tu potresti farmi da guida. >>
Lo sguardo di Italia si illuminò di colpo, mentre un ampio sorriso si apriva sul bel volto. << Tu non hai ancora visto San Pietro, vero? >>
<< Ya, Itaria-kun. >>
<< Ve~ allora devi assolutamente vederla. Sono sicuro che Vaticano ci farà entrare se glielo chiedo. Ve~ è meravigliosa, piena di affreschi e di colori! Avrei voluto che conoscessi anche Michelangelo, ma va be’! Vedrai rimarrai a bocca aperta. >> l’entusiasmo dell’italiano, però, si spense quasi subito. << Ve~ però Germania- >>
<< Doitsu-san avrà Romano-kun come aiuto. >> ‘Aiuto’ forse era una parola esagerata: Romano odiava il tedesco con tutto se stesso, e un’eventuale alleanza sarebbe stata dettata solo dal sua senso di autoconservazione. << E poi, sono sicuro che anche lui sarebbe d’accordo. >>
<< Ve~ però vorrei avvisarlo della partenza. >>
<< Doitsu-san non tornerà prima di quattro giorni. Ci penserà qualcuno degli ufficiali a dargli la notizia. >> disse la nazione nipponica, per poi ricevere un caldo sorrido da Italia.
<< Ve~ mi hai convinto, Giappone. Allora, torno con te se non è un disturbo. >>
<< Mondainai, Itaria-kun. >> disse l’altro, sorridendo, felice del fatto che fosse riuscito a rasserenare l’amico. Solo in quel momento notò che le loro mani non si erano lasciate per tutto il periodo della loro conversazione; arrossendo furiosamente, mormorò una qualche scusa, per poi allontanarsi di poco dall’italiano, il quale gli riservò uno sguardo interrogativo e divertito insieme.
<< Ve~ Giappone, sei tutto rosso! >>
<< E-Er… Ya, ya… Ehm, watashi- >> mormorò imbarazzato il giapponese, cercando di non incrociare gli occhi allegri dell’italiano; ma il riso dell‘altro ebbe il potere di far calmare il suo imbarazzo: Italia aveva una bella risata, ed era sempre un nota leggera e piacevole in quell’inferno di guerra che stavano vivendo .
Sfortunatamente, il riso della nazione latina si interruppe di colpo. Preoccupato dall’improvviso silenzio, si voltò verso l’altro: pallido, gli occhi sbarrati in un muto terrore; Giappone seguì la direzione del suo sguardo, e anche lui non poté fare a meno di rimanere scosso dalla vista di Germania, ricoperto da vistose macchie vermiglie su tutti i vestiti; la vista di tre tagli, paralleli e profondissimi, sull’avambraccio, in evidente stato di infezione, per poco non lo fecero vomitare.
<< G-Germania… >> la voce rotta di Italia lo riportò ben presto alla realtà. Veneziano stava per avere un attacco di panico, ancora più violento delle altre volte. La vista della nazione tedesca, ricoperta di sangue e ferita, era la realizzazione di tutti i suoi incubi peggiori.
<< I-Itaria-kun, calmati, per favore! >> disse Giappone, afferrando il braccio dell’altro, notandone il tremore violento, la pelle fredda e sudata. Imprecò mentalmente, mentre Veneziano si alzava e correva incontro al tedesco.
<< Sono tornato un po’ prima. >> disse Germania tranquillamente, per nulla turbato né dalla ferita sul braccio né dal pallore dell’italiano.
<< G-Germania, i-i-il b-br- Oddio mio!!! >> mormorò Italia, mentre le lacrime iniziava a sgorgare incontrollate dai suoi occhi. Le mani tremanti si alzavano e si abbassavano convulsamente, confuse come la mente che le comandava, indecise se toccarlo o meno.
<< Italien, che succede? >> chiese il tedesco con un tono così falso che Giappone fu sul punto di prendere la spada e finire il lavoro di chiunque avesse ridotto l’altro in quelle condizioni.
<< C-Come c-che… I-Il braccio… >>
<< Ah, questo. >> disse Germania, come se si fosse accorto solo in quel momento dei tre squarci che gli aprivano la pelle dell’avambraccio. << È solo un graffio. Non preoccuparti. >>
<< S-Solo u-un…? O mio Dio! O mio Dio! >> urlò Italia, isterico. Tutto lo stress accumulato nei mesi trascorsi in Africa scoppiò violentemente in una crisi di panico molto violenta, molto più di quelle di cui Giappone era stato spettatore. Le gambe non lo ressero più, e sarebbe caduto se Germania non l’avesse afferrato col braccio sano, reggendolo e poggiandolo contro il suo petto.
<< Italien, non è niente. >> mormorò rassicurante il tedesco, carezzandogli la schiena e cullandolo piano, confortandolo. << Sto bene, Italien, non mi fa poi così male. >>
Veneziano non replicò, ancora scosso dai singhiozzi; tuttavia, il tremore delle spalle si calmò visibilmente, e il respiro si regolarizzò. Giappone, rimasto seduto vicino al falò, osservava la scena in un misto di stupore, rabbia e impotenza: l’influsso rassicurante che Germania esercitava su Italia era innegabile, ma quella vicinanza con era un bene. Affatto.
<< Va tutto bene. >> ripeté il tedesco, carezzando la schiena dell’italiano col braccio buono, e sorreggendolo quando le gambe di quest’ultimo cedettero; Veneziano si aggrappò a lui con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, e faticosamente cerco di rimettersi in piedi, non volendo essere un peso per il suo amico così orribilmente ferito: << Chi è stato? >>
<< Un gruppo di soldati che ci hanno attaccato alle spalle. Nulla di grave, li abbiamo eliminati tutti. >>
<< Nulla di grave? >> ripeté Giappone, osservando le ferite che squarciavano il braccio dell’altra nazione.
<< Ja, questo è… stato solo un piccolo errore di calcolo. >> disse Germania, riservando al suo alleato una gelida occhiata infastidita.
<< Doitsu-san, credo che sia il caso che vada a farsi medicare il braccio. Sembra che le ferite si siano infettate, non vorrei che le sue condizioni peggiorasse fino a farle venire la febbre. >> disse il giapponese, senza risentirsi minimamente del freddo trattamento che il tedesco gli riservava.
<< Giusta osservazione. >> lo sguardo di Germania tornò a posarsi su Italia, che nel frattempo aveva ripreso un po’ di colore ed era ora in grado di reggersi in piedi autonomamente, anche se il suo corpo era ancora scosso da lievi tremori, << Italien, potresti aiutarmi con i bendaggi? È un lavoro che si fa meglio in due, no? >>
Veneziano deglutì faticosamente, per poi voltarsi verso Giappone, il quale lo stava silenziosamente pregando di rifiutare quella richiesta, lasciando che se ne occupasse uno dei dottori del campo. La confusione sul volto dell’italiano venne sostituita, dopo qualche tesissimo secondo, da un lieve sospiro e da un’espressione di puro abbattimento, prima che alzasse lo sguardo verso Germania e gli sorridesse debolmente, senza alcuna traccia della sua solita allegria.
<< C- Certo che ti aiuterò Germania. P-Per prima cosa è m-meglio lavarti le ferite e… P-per fortuna che n-non ho fatto la pasta oggi, ve? P-Possiamo u-usare l’acqua p-pulita e- m-ma forse avrai fame, e n-non ho preparato n-nulla, f-forse potrei usare parte d-dell’acqua per cucinarti q-qualcosa o-o… No, f-forse potrei c-chiedere ad uno dei d-dottori- >>
<< Nein, Italien, preferirei che fossi solo tu ad aiutarmi con le bende, >> disse il tedesco, aumentando di poco la presa attorno alla vita dell’altro, << non è il caso di scomodare i medici, saranno già impegnati con gli altri feriti del campo. E poi non ho molta fame: mi basta solo che mi aiuti con le ferite sul braccio, nulla di più. >>
Veneziano deglutì pesantemente, senza perdere il sorriso che però adesso si era fatto tremante: << V-Va bene, s-se è q-questo che v-vuoi… A-Allora t-ti accompagno i-in tenda. >>
Germania gli sorrise dolcemente, prese la sua mano con delicatezza e lo condusse verso il piccolo tendone medico allestito nell’accampamento.
<< Vi serve aiuto? >> chiese Giappone, compiendo qualche passo verso i due prima di venire bloccato dalla secca risposta del suo alleato tedesco.
<< Nein, Japan. Tu vai pure a dormire, domani devi partire, non è vero? >>
<< Ehm, hai, però- >>
<< Appunto. Ti aspetta un lungo viaggio domani, meglio se ti riposi per bene. >> disse Germania, voltandosi verso di lui senza l’ombra di un sorriso sul suo volto; i suoi occhi violacei esprimevano chiaramente l’ordine di togliersi di mezzo.
Giappone lo ignorò, osservando piuttosto lo sguardo di Veneziano che freneticamente si alternava tra lui e George, alla disperata ricerca di una via d’uscita che gli permettesse di evitare quella che si prospettava a diventare una rissa vera e propria.
<< N-Non p-preoccuparti Giappone. C-Ci penso i-io qui, Germania ha r-ragione. V-Vai a riposare. >>
<< Ma- >>
<< T-Tranquillo, >> Italia gli mostrò un sorriso debole e talmente finto che Giappone a stento riuscì a trattenere la rabbia, << c-ci vorrà p-poco. T-Tu vai a dormire. >>
<< Hai. >> disse la nazione nipponica dopo una breve pausa, sentendosi sconfitto e irato per quella situazione.
<< Andremo a vedere San Pietro un’altra volta ok? >> disse l’italiano, stringendo con forza maggiore la mano del tedesco quanto lo avvertì sussultare, << Dì a Romano che sto bene, e che mandi un po’ più di pasta che qui è quasi finita. >>
<< Hai. >> ripeté il giapponese, osservando sconsolato i due che si allontanavano, incredulo della sua impotenza per quella situazione e pregando silenziosamente che quella guerra finisse il prima possibile, in modo che Italia potesse liberarsi per sempre da quel legame morboso e malato.
 
 

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Non molto da dire. Sono attualmente ossessionata con il paring 2pGer1pIta: e cosa c'è di meglio di un fic super angst e super creepy? .-.
E' un periodo che tutto quello che scrivo è estremamente triste o inquietante, e soprattutto incompleto: ho un forte blocco dello scrittore, basti pensare che la gestazione di questa storia è durata ben tre anni prima che riuscissi a finirla. Spero che il suo completamente mi sblocchi un pochino e che mi permetta di completare finalmente Demon's world - Hellfire e lo speciale di San Valentino. Inoltre mi piacerebbe riprendere la raccolta suoi 2p.... mah, ormai gli esami sono finiti, più tempo ce l'ho. E' la voglia che mi frega...

Spero che la fic vi sia piaciuta, nonostante la sua aria macabra,

Enjoy!

 
   
 
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