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Autore: Azrat    04/03/2014    1 recensioni
La storia è il mio primo tentativo di scrivere una fanfiction. Si tratta di un "what if" in cui le cose per Bilbo Baggins vanno in maniera differente perché dopo gli eventi de "Lo Hobbit" torna a casa con un giorno di ritardo. La storia si svolge su di un arco di tempo abbastanza lungo, dove si avranno modo di osservare le conseguenze di un semplice cambiamento sugli eventi del libro e sulla vita di Bilbo.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balin, Bilbo
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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§1. Il sarcofago di pietra si chiuse con un rumore sordo, carico di ineluttabilità. La pesante lastra superiore portava incastonata l’Arkengemma per cui si era così duramente e, a parer suo, scioccamente lottato. Allo stesso modo, il re degli Elfi pose Orcrist nell’incavo appositamente scavato e la lama s’incastrò alla perfezione. Tuttavia Bilbo era troppo triste per poter apprezzare quella meraviglia della perizia Nanica; gli occhi, gonfi di lacrime, vagarono per la grande camera mortuaria e si soffermarono infine su i due sarcofaghi leggermente più piccoli di Fili e Kili, posizionati ai lati di quello di Thorin Scudodiquercia.
“Questo” pensò mentre tratteneva un singhiozzo “è la ricompensa per essermi imbarcato in questa folle avventura. Sarei dovuto restare nella mia confortevole casetta di via Saccoforino e…” Il filo dei suoi pensieri venne interrotto dalla ruvida mano che gli si posò sulla spalla.
«Se lo desideri, puoi dire qualcosa anche tu appena finisce di parlare Gandalf.» Era la voce roca di Dwalin alle sue spalle a formulare l’invito. Il nano aveva dei vistosi bendaggi che gli coprivano parte del volto e del collo; Bilbo si sentì fortunato ad essersela cavata con una sola botta in testa. «In fondo, sei l’ultimo ad averci parlato.» Concluse il Nano, distogliendo lo sguardo dallo Hobbit perché non lo vedesse lacrimare.
Nella sala c’erano tutti i condottieri partecipanti alla Battaglia dei Cinque Eserciti, tranne Gwaihir che aveva preso subito il volo dopo essere stato ringraziato da re Dàin, e tutti i guerrieri sopravvissuti alla Battaglia. Eppure nella camera c’era ancora molto spazio, e Bilbo non sapeva se l’impressione fosse dovuta alle dimensioni della stanza, o all’esiguità dei sopravvissuti. Ognuno di loro aveva elogiato a suo modo Thorin, e sia Bard che Thranduil avevano sorvolato sulla crisi e sulle male parole volate prima della battaglia. Gandalf stava invece descrivendo il loro primo incontro fortuito a Brea, e parlava, col suo modo criptico da stregone, delle conseguenze di quel gesto:
«… e così, il piano elaborato per risolvere una preoccupazione comune ha condotto ad eventi del tutto inaspettati, e posso solo sperare che qui nel Nord le cose miglioreranno negli anni a venire.» Lo stregone chinò la testa, e scese dal pulpito appoggiandosi al suo bastone con un braccio: l’altro era ancora fasciato e appeso al collo. Ci fu un momento di silenzio, Bilbo si sentì addosso gli occhi di una buona parte degli astanti mentre dondolava un piede con fare pensoso; poi Dwalin diede una leggera spintarella e lo Hobbit si trovò dove tutti i partecipanti al funerale potevano osservarlo. Non osava alzare lo sguardo, fisso sui suoi piedi per l’imbarazzo, e a tastoni cercò il sarcofago di Thorin; ci fu una lunga pausa, poi Bilbo trasse un profondorespiro e iniziò a parlare:
«Quando iniziò la battaglia, avevo il terrore che le ultime parole di Thorin Scudodiquercia nei miei confronti sarebbero state “Per quanto riguarda te, ti scaraventerei giù dalle rocce”. Il pensiero di averlo deluso e di esserci lasciati in così cattivi rapporti opprimeva il mio cuore; quindi fu con grande gioia che accolsi la notizia che desiderava salutarmi da amico nella sua ultima ora…»
 
Il mattino seguente Bilbo stava rimirando le alte colonne della camera principale; sotto le braccia aveva le due cassette, una piena d’oro e l’altra d’argento ed era impaziente di riprendere la via di casa assieme a Gandalf. Dopo gli elogi funebri del giorno prima/precedente era stato il turno del cerimoniale dei Nani, che si era svolto a porte chiuse ed era durato tutta la notte.
«Vi preparate a partire Mastro Baggins?» La voce squillante ma leggermente nasale di Balin lo soprese, il suo volto sembrava affaticato ma le rughe del volto parevano più distese rispetto alla notte precedente ed aveva un cordiale sorriso sul viso.
«Sì Balin, Gandalf vuole mettersi subito in viaggio e non nascondo che anche io ho un certo desiderio di tornare alle comodità della mia caverna Hobbit.» Rispose Bilbo dopo un rapido inchino.
«Oh, pensavo che quella fase fosse stata superata dopo la traversata delle Montagne Nebbiose! Ad ogni modo sono dispiaciuto del fatto che tu te ne vada via ora: ci sono molti lavori da fare per rimettere a posto e ripulire quanto il Grande Verme ha rovinato nel suo lungo soggiorno. Spero tu possa vedere un giorno queste sale in tutto il loro splendore.» Continuò Balin con un ampio gesto delle braccia volto a sottolineare le grandi dimensioni del luogo. Sembrava già pregustare l’opportunità di mettersi all’opera e la sua voce lasciava trapelare una certa impazienza.
«Sono sicuro,-disse lo Hobbit- «che farete un lavoro degno dei vostri più grandi antenati. Ora però devo andare, altrimenti Gandalf e Beorn partiranno senza di me!» Ancora una volta Bilbo si profuse in rapidi inchini mentre si avvicinava all’arco di pietra che dava verso la valle. Era arrivato sulla soglia quando si sentì tirare per una manica dal Nano.
«Prima di dirti addio desidero ringraziarti per le gentili parole che ieri hai speso per Thorin. Era stato molto duro con te quando scoprì che avevi trafugato l’Arkengemma. So che aveva un carattere molto difficile, ed era inflessibile nelle sue decisioni, spero che non ti abbia ferito troppo.»
L’aver presentato quel ricordo spiacevole aveva messo in subbuglio le viscere dello Hobbit: aveva cercato di scordare quel momento, per mantenere un ricordo generalmente positivo del capo della spedizione.
«Ero arrivato a stimarlo molto, e sapevo che era la malattia del Drago a parlare per sua bocca quel giorno; quando l’ho visto alla fine della battaglia, ci siamo salutati da amici.» Rispose Bilbo;  e poi riprese«Thorin aveva parlato di una sorella. Dís, credo si chiami. Penso… ecco, che andrebbe informata.» Di nuovo tracciò piccoli cerchi sul pavimento con la punta del piede, evitando lo sguardo del Nano.
Il Nano sollevò le sopracciglia, stupito che il suo conversatore si ricordasse della parentela di Thorin, ma dentro di sé apprezzò la delicatezza mostrata da Bilbo con questo pensiero:
«Ho provveduto a mandarle un  messaggio tramite i Corvi Imperiali, ha diritto di sapere cos’è successo a suo fratello e ai suoi figli prima di mettersi in viaggio. Ad ogni modo, mio buon scassinatore, ti auguro di fare un buon ritorno a casa e di goderti i proventi di questa avventura.» Balin abbracciò vigorosamente Bilbo e lo salutò con una pacca sulla spalla prima che questi si avviasse a valle ad incontrare i suoi compagni di viaggio.
 
 
§2. Grande fu il disappunto del signor Baggins quando scoprì che le sue proprietà erano state messe all’asta. Ma d’altronde si era assentato per più di un anno e naturalmente gli altri Hobbit lo avevano già dato per morto. Purtroppo arrivò con un giorno di ritardo e scoprì con disappunto che era stato aggiunto con vernice rossa un “Sackville” al Baggins intagliato nel legno della sua cassetta delle lettere. Nell’anno successivo Bilbo ebbe molto da fare per rientrare in possesso delle sue proprietà e convincere le autorità di non esser un impostore. Alla fine si arrese: nessuno dava credito alle sue storie di Draghi, Troll e Stregoni e lui stesso perse la pazienza con gli abitanti della Contea. Piuttosto che farsi deridere e chiamare “eccentrico” alle spalle, Bilbo prese la decisione di trasferirsi. Prima andò a stare dai suoi parenti Tuc, ma dopo un paio d’anni sentì che anche il ramo “avventuroso” della famiglia iniziava a provare imbarazzo per il suo famigerato e chiacchierato ospite; e così decise di trasferirsi a Brea.
Si comprò una piccola abitazione in stile Hobbit con un piccolo campo in cui dilettarsi di giardinaggio, ma passava la maggior parte del tempo alla locanda del Puledro Impennato. Fu qui che a distanza di alcuni anni incontrò nuovamente Balin.
 
«…te lo ripeto mastro Bilbo: dovresti venire ad Erebor ed ammirare con i tuoi occhi il lavoro che abbiamo fatto in questi anni, ne rimarresti sbalordito!» Balin accompagnò l’invito con una lunga bevuta dal suo boccale di birra, si asciugò la schiuma e riprese a parlare:
«Sono sicuro che riceveresti tutti gli onori del caso in virtù della parte da te svolta nella faccenda del Drago. E se proprio non vuoi vivere con noi sotto la montagna, sono sicuro che re Bard potrebbe trovarti una sistemazione a Dale…»
«Se posso chiedertelo, come mai se in viaggio da queste parti?» Chiese Bilbo con l’intenzione  di cambiare bruscamente discorso prima di dover dare una risposta alle proposte di Balin.
«Sono venuto per fare alcuni accordi con la nostra gente negli Ered Luin, convincerne qualcuno a trasferirsi da noi e a stringere rapporti commerciali, e poi sono venuto a parlare con Dís.»
«Ah, giusto. Dís.» Bilbo si fece scuro in volto, e per un po’ nessuno dei due parlò. Dopo dei lunghi minuti riprese la parola:
«Ti capita mai di pensare a Thorin? Cioè, so che gli eri molto affezionato ed hai passato molto tempo con lui.»
«Volevo bene a Thorin come si può voler bene ad un fratello, piuttosto che ad un cugino quale era. Ero con lui nella battaglia di Azanulbizar, ma quella non fu la prima né l’ultima delle tragedie accadute alla sua famiglia.» D’un tratto Balin sembrò assente, con lo sguardo fisso sul fondo del suo boccale e la memoria rivolta al passato.
«Che vuoi dire?» fece Bilbo incuriosito.
«Dopo che Thorin, suo padre e suo nonno furono scacciati dalla Montagna Solitaria vagarono  a lungo, ed in povertà. Suo nonno Thrór cercò di entrare a Moria e venne ucciso, portando ad una sanguinosa guerra di vendetta. La vittoria fu nostra, ma gli altri Nani si rifiutarono di varcare la soglia dei cancelli di Moria assieme a Thráin. La delusione del padre di Thorin fu grande e lo portò a covare la decisione che, se non avrebbe potuto riprendere Moria, avrebbe almeno provato a riprendere Erebor. Io ebbi la sfortuna di accompagnarlo in quella sciagurata avventura, dove tra le fronde di Bosco Atro si perse e mai più fu visto.» Balin si prese una pausa, trasse un pesante sospiro e riprese:
«Sembra che almeno Thorin sia riuscito a riconquistare qualcosa dei nostri antichi possedimenti, ma la nostra più antica, ricca e meravigliosa dimora ci è preclusa, ora e sempre.»
«Non dire così Balin!» Bilbo si sentì in dovere di tirargli su il morale dopo averlo fatto parlare di argomenti così spiacevoli:
«Avete già fatto una volta qualcosa che era ritenuto impossibile, ed ora che siete ricchi, armati ed organizzati cosa v’impedisce di riprendervi quest’altra miniera?» Bilbo era abbastanza familiare con la lingua elfica da conoscere la traduzione del termine “Moria”, ma non avendone mai sentito parlare non poteva immaginare che lo aveva appena usato in maniera dispregiativa.
«Signor Baggins, se tu avessi solo una vaga idea di com’è fatta, non la definiresti una semplice “miniera”. Gli elfi gli hanno appioppato questo nome per farsi beffe di noi, per invidia, ma ti assicuro che non vi è altro luogo su questa terra ricolmo di meraviglie come Khazad-Dûm!» La voce di Balin aveva riacquistato vigore, e spronato anche dal terzo boccale di birra, si profuse in descrizioni, racconti e canzoni concernenti la casa del popolo di Durin.
Omorzo Cactaceo dovette cacciarli fuori per poter finalmente chiudere la sua taverna ed andare a dormire, ma Balin era ancora preso dal raccontare le vicende dei Nani e quasi non se ne accorse. Continuarono a discutere a casa di Bilbo, e terminarono solo con il canto del gallo e la tenue luce dell’aurora che faceva capolino tra le colline all’orizzonte. A quel punto fecero colazione (anche se avevano consumato già diversi spuntini nel corso della loro conversazione notturna), e Bilbo chiese al Nano se non volesse fermarsi un po’ a riposare a casa sua.
«Devo rifiutare la tua cortese proposta mastro Baggins, non sono così vecchio e stanco da dover dormire dopo una notte in bianco! Dopotutto non ho nemmeno duecento anni!» Balin concluse la frase con una fragorosa risata, e poi decise di accomiatarsi dal suo ospite:
«Grazie mastro Baggins, ancora una volta ho avuto l’opportunità di apprezzare l’ospitalità dei Mezzuomini. La nostra è stata una conversazione piacevole, come da tempo non ne facevo, e credo di aver raccolto alcune idee su cui riflettere.»
«Grazie a te, Balin. Qui non capita di avere molta… compagnia, è stato un piacere ospitarti, e sappi che la mia porta è sempre aperta per te e gli altri amici di Erebor.» Detto questo Bilbo abbracciò forte il Nano prima di lasciarlo partire, e lo osservò da una finestra di casa finché non lo vide sparire assieme al pony che lo accompagnava, appena girò l’angolo emise un profondo respiro osservando malinconicamente la sua tazza fumante di tè.
 
§3. Passarono gli anni. Bilbo conduceva un’esistenza ordinaria e spesso noiosa in quel di Brea. Aveva costruito dei buoni rapporti con i suoi vicini, e come “signor Sottocolle” era riuscito a farsi anche una reputazione nuova ed immacolata. Tuttavia non era riuscito a creare legami con nessuno in particolare, sebbene avesse comunque un giro di buone conoscenze. Accadde inoltre un altro fatto che lo alienò ancor di più dalla gente della Contea.
Erano passati quasi trent’anni dall’avventura con il Drago, la cotta di mithril e Pungolo giacevano impolverate dentro una cassapanca. Mentre era alla locanda che frequentava abitualmente gli capitò di ascoltare la conversazione di due Hobbit seduti a fianco a lui nei tavoli più bassi del Puledro Impennato.
«I fuochi d’artificio sono stati meravigliosi, nevvero?» Disse uno dei due Hobbit.
«Già, Drogo Baggins non ha badato a spese per festeggiare la nascita di suo figlio.» Gli fece eco il secondo.
A sentir queste parole Bilbo ebbe un sussulto e fu quasi sul punto di cadere dalla sedia: gli era nato un nipote e non era stato invitato alla festa! Continuò ad origliare la conversazione per entrare in possesso di maggiori dettagli, come il fatto che il bambino era nato nel suo stesso giorno, ma dopo un po’ la frustrazione e la rabbia ebbero la meglio e sentì l’impulso di andarsene dalla locanda prime di mettersi ad urlare.
A casa avrebbe voluto sfogarsi, ma qualcosa lo trattenne e decise che invece avrebbe dato poco peso all’affronto subito e decise di comportarsi come se nulla di spiacevole gli fosse caduto. Il giorno successivo spedì una lettera a suo cugino di secondo grado Drogo Baggins per complimentarsi dell’evento e scusarsi di essere mancato alla festa alla quale certamente era stato invitato. Ed avvisava inoltre che sarebbe di lì a poco andato a far visita al nipote.
Il ritorno alla Contea fu un evento di breve durata, ed acuì in Bilbo la sensazione di non far più parte di quel nucleo familiare. Drogo fu un ospite imbarazzato, se non apertamente freddo nei confronti dello zio che aveva intrapreso un viaggio per venire a trovare il neonato nipote Frodo. Ma l’apice venne raggiunto dai Sackville-Baggins, che tirarono ancora una volta fuori la storia dell’impostore. Nessuna persona di buon senso ci avrebbe creduto, ma di certo tutti potevano confermare che se non proprio un impostore, egli almeno non era lo stesso Bilbo Baggins di una volta. Quella fu l’unica visita in quasi trent’anni di esilio autoimposto che Bilbo fece alla sua terra natale ed ai proprio consanguinei, e dovettero passare altri dodici anni prima che attraversasse nuovamente il Brandivino.
Fu però un’occasione triste, questa volta, a giustificare il viaggio: doveva presenziare al funerale di Drogo Baggins e Primula Brandibuck, sua moglie e madre del piccolo Frodo. Bilbo si sentì dispiaciuto per il giovane Hobbit, rimasto orfano in così tenera età, e compativa il poveretto e la solitudine a cui sarebbe stato condannato. In effetti, la solitudine era anche la sua maggiore preoccupazione di questi tempi: stava invecchiando, e lo stava facendo da solo. Non era preoccupato per il proprio mantenimento, ma per il silenzio che aleggiava nelle stanze della sua caverna Hobbit. Durante il mese di lutto, che passò alla Contea, prese in seria considerazione l’idea di adottare il giovane Frodo per farne il suo erede. Ma quando finalmente si decise a sottoporre la questione al resto della famiglia scoprì che i Sackville-Baggins l’avevano battuto sul tempo: erano stati loro ad esser nominati genitori adottivi di Frodo Baggins.
Questo smacco fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso: Bilbo abbandonò la Contea la sera stesse in cui ricevette la notizia, fermamente intenzionato a non mettervi più piede. Passarono alcuni anni, in cui il rancore crebbe ed egli s’isolò ancor di più. Non ne voleva sapere niente di ciò che accadeva in città e tutte le sue cure erano concentrate nella redazione del suo libro. Passarono così otto anni di monotonia ed isolamento, interrotti solo dall’occasionale corrispondenza con i Nani di Erebor, che lo tenevano scrupolosamente aggiornato sui fatti delle Terre Selvagge. Un giorno, gli arrivò una lettera da Balin:
Alla cortese attenzione di Bilbo Baggins
Stiamo per intraprendere una spedizione, ed abbiamo bisogno di qualcuno esperto e referenziato che conosca la lingua Elfica. Lei è il primo nome a cui abbiamo pensato, se è interessato ci incontreremo al guado della Carroccia tra 4 lune.
Con affetto
Balin figlio di Fundin
Bilbo rimase con la bocca spalancata per alcuni minuti. Le gambe iniziarono a tremare e la mente si offuscò di domande: perché vogliono me? Sarà una burla di qualcuno? Di che spedizione si tratta? Non sarò troppo vecchio per partire all’avventura?
Rimase con questi interrogativi tutto il giorno successivo; ma alla fine, mentre osservava lo spesso strato di polvere sul mobilio per la camera degli ospiti, la nostalgia ebbe la meglio, e iniziò a preparare i bagagli per il viaggio.
 
§4. La compagnia di Nani fu puntale, presentandosi esattamente nel primo giorno di luna piena, e Bilbo non se ne sorprese. Il Mezzuomo era arrivato da poco più di una settimana, viaggiando a dorso di pony fino alle montagne nebbiose. Giusto per curiosità fece una piccola deviazione verso gli Erenbrulli per vedere se le statue dei Troll erano ancora lì. Pianse fino alle lacrime. I Beorniani, guidati ormai da Grimbeorn figlio di Beorn, controllavano il Passo Montano, e Bilbo pagò abbondantemente per usufruire dei loro servigi di scorta da lì fino alla Carroccia.
L’incontro con i Nani gli provocò subito una grande commozione, dato che oltre a Balin ebbe la possibilità di rivedere Ori e Óin. Lungo il viaggio, pose molte domande ai suoi vecchi compagni d’avventura, ma attese di aver lasciato la zona controllata dai Beorniani per chiedere delucidazioni sull’impresa in cui si era buttato quasi alla cieca.
«Stiamo andando a reclamare Moria signor Baggins!» Il sorriso di Balin disegnò un ampio solco sul suo viso. «Si tratta di un progetto che ho coltivato sin dalla nostra chiacchierata di tanti anni fa. Ci ho messo molto a raccogliere le risorse e i volontari per questa storica impresa. Ho dovuto aspettare che il regno di Erebor fosse stabile ed in espansione prima di ricevere da re Dáin la dispensa per poter intraprendere la riconquista di Moria.»
«Ma perché mi hai scritto di necessitare della mia presenza per questa cerca?» Chiese lo Hobbit, che si sentiva trascinato in qualcosa di decisamente più grande di lui.
«Perché, mastro Baggins, voi siete uno scassinatore di comprovata fama e con ottime referenze!» Si levò una fragorosa risata dal gruppo dei Nani. Poi, schiaritosi la voce, Balin riprese il discorso con tono più serio: «Moria ha due entrate, sugli opposti versanti delle Montagne Nebbiose. La nostra intenzione è quella di entrare dalla porta di Azanulbizar, dove uccidemmo Azog anni e anni fa, ma se ciò dovesse rivelarsi inattuabile, dovremmo ricorrere all’entrata sul versante occidentale degli Ered Mithrim: la porta degli Elfi. E qui avremmo forse bisogno della tua conoscenza della lingua Elfica per accedervi.»
Lo Hobbit fece per puntualizzare:
«Ma ho visto Ori scrivere molto bene nelle lettere degli Elfi, lui sarebbe bastato.»
«Oh, Bilbo! Per essere uno scassinatore, avete scarse doti d’osservatore! Ori conosce sì le tengwar, ma le usa soprattutto per scrivere nel linguaggio comune e qualche parola di sindarin, mentre voi conoscete anche la lingua degli Alti Elfi, che ci sarà utile per aprire la porta.»
La sera stessa, quando del fuoco da campo non rimanevano altro che braci e la maggior parte dei Nani stava russando rumorosamente, Bilbo si rivolse a Balin:
«Devo ringraziarti, sai? Non la sopportavo più la vita urbana e che una volta apprezzavo tanto. Credo che quell’avventura col Drago mi abbia cambiato molto più di quanto io stesso immaginassi. E poi, è bello trovarsi qui, in compagnia. A Brea mi sentivo fuori posto, e nella Contea non ero più il benvenuto da molto tempo. Con la tua lettera mi hai offerto una seconda occasione. Grazie.»
Tuttavia il Nano non rispose, e a Bilbo sembrava che stesse anch’egli dormendo. Per un attimo fissò il cielo, le cui stelle erano leggermente diverse da quelle che si potevano osservare nelle notti della Contea.
 
Arrivarono ad un costone di roccia alla base della montagna, aggirato il quale si poteva gettare uno sguardo sulla valle prospiciente i cancelli orientali di Moria. Bilbo era appena tornato dall’avanscoperta, si era offerto volontario sicuro che il suo magico anello lo avrebbe aiutato a svolgere impeccabilmente il compito. Purtroppo le notizie che stava per riferire ai Nani non erano buone:
«Vi sono orchi, al cancello orientale.» disse con aria affranta «sembra che stiano pattugliando la zona circostante il Mirolago. Forse hanno avuto sentore del nostro arrivo.»
Il gruppo mormorò preoccupato, bofonchiando tra le barbe la propria delusione. Ori e Óin parlottarono tra loro e poi con Balin; le consultazioni durarono fino a che il sole non iniziò a nascondersi dietro le montagne, poi il capo della comitiva prese la parola:
«Siamo giunti ad una conclusione: gli orchi sono numerosi, e si aspettano di sbarrarci il passo qua. Se vogliamo avere una vittoria facile, dobbiamo coglierli alle spalle passando attraverso il cancello occidentale di Moria: la porta Elfica. Di lì attraverseremo le miniere sperando di cogliere di sorpresa quelli dentro e di giungere alle spalle del gruppo principale appostato intorno al Mirolago. Tuttavia, mentre la maggior parte di noi attraverserà il passo del Cornorosso, alcuni dovranno fare da esca, lasciandogli credere che siamo in numero minore rispetto a quanto hanno presupposto. Spero che siate tutti d’accordo su questo stratagemma.»
 
§5. «Lo dicevo signor Baggins che quel tronco era troppo stretto per passarci sopra! Ed ora eccovi qua, tutto bagnato come un pulcino, alla vostra età!» Bilbo notò con disappunto che in mancanza di Bombur, era lui il soggetto preferito delle canzonature dei Nani. Ammise con sé stesso che però non erano del tutto immeritate: per non bagnarsi i piedi in quel rivolo di gelata acqua montana aveva tentato di passare sopra un tronco ivi caduto, ma il senso dell’equilibrio non era più quello di quando aveva cinquant’anni e finì con il cader in acqua ed inzupparsi i vestiti. Tuttavia le canzonature di Balin non lo indispettivano né lo offendevano: era da tempo che desiderava avere rapporti sinceri con qualcuno, ed era sempre stato del parere che prendersi in giro tra amici fosse un atto di aperta sincerità. Inoltre Balin aveva un gran bel sorriso, sotto la barba.
Per permettergli di asciugarsi avevano anticipato il campo serale. Ora i suoi vestiti (l’Anello in una tasca del panciotto) stavano appesi al ramo più vicino al fuoco mentre lui passeggiava avvolto in una pesante coperta prestatagli da Ori: i suoi ricambi, le sue coperte e la camicia da notte erano finiti anch’essi nel ruscello ed erano stesi ad asciugare. Aveva altri vestiti, ma erano nel secondo gruppo di viaggio guidato da Óin a diverse ore di distanza dal suo. Quando scese il tramonto, a causa della forte umidità delle Montagne Nebbiose, le sue cose non erano ancora asciutte, e lui sedeva davanti al fuoco ancora avvolto nella coperta in prestito. Per ingannare il tempo si era offerto di fare il primo turno di guardia, nella speranza che lo avrebbe concluso con dei vestiti finalmente asciutti. Purtroppo le sue aspettative furono deluse.
«Mastro Baggins, il tuo batter di denti terrebbe sveglio anche Bombur!» Era Balin che parlava, da un sacco a pelo posto di fianco a lui.
«Anche se l’inverno è lontano, in queste montagne le temperature notturne sono molto basse anche d’autunno, dev’esser dura starsene lì fuori. Perché non vieni qua? Nessuno t’incolperà di esser venuto meno ai tuoi doveri di guardia.» Proseguì il Nano accompagnando l’offerta con un sorriso.
«Ne sei sicuro, Balin?» Rispose Bilbo sottovoce. «In queste montagne ci sono lupi, e forse anche Orchi. Dovrei rimanere e completare il mio turno di guardia, poi quando toccherà a Fràr, gli chiederò di prestarmi il suo di giaciglio.»
«Sicuro Baggins? Fràr è un bravo Nano, ma non ha molta passione per l’acqua. Sei davvero intenzionato a passar quel che resta della notte nel suo sacco?» Incalzò Balin con un sorriso che alla luce del fuoco sembrava più un ghigno. Bilbo deglutì, ma non cercò ulteriori argomentazioni per rifiutare l’invito di Balin, e quasi si stupì di quanto cedevolmente accolse la proposta del suo amico.
Una volta che Fràr fu svegliato, sgattaiolò non visto nel giaciglio di Balin, ancora avvolto nella coperta e si posizionarono su di un fianco schiena contro schiena. La sensazione di tepore che provò gli ricordò il camino della sua casa di via Saccoforino durante le serate invernali: era  confortevole, anche se lo schienale della poltrona non era così ruvido nei suoi ricordi. Si svegliò e si rese conto che quello che percepiva come lo schienale della poltrona non era altro che la barba di Balin: il Nano si era rigirato nel sonno e ora era rivolto nella sua direzione. Essendo più largo di lui, anche quando era su un fianco finì per avvolgere il Mezzuomo con la sua mole, ed era il loro contatto ravvicinato a riscaldarlo. Ma anche Bilbo si era mosso nel sonno: la coperta era scesa dalle spalle, permettendogli di essere a contatto con la barba del suo compagno di giaciglio, e si era sollevata anche dalle gambe, finendogli a fare sostanzialmente da cintura.
Poteva sentire il fiato del nano sul collo, e qualcosa che premeva sul fondo della sua schiena. Imbarazzato, provò a schiarirsi la voce, a dare piccoli colpetti di tosse ed altri modesti tentativi di svegliare il Nano; ma alla fine fu uno starnuto provocato da un pelo della sua barba a svegliarlo.
«Che c’è? Hai preso freddo Baggins?» Domandò un Balin mezzo assonnato.
«No, no, al contrario. Sto bene qui, forse solo un po’ scomodo.» Bisbigliò l’altro in tutta risposta.
«Oh, capisco. Spero tu voglia perdonare ad un vecchio Nano qualche comportamento poco consono, d’altronde non abbiamo potere sui nostri sogni, dico bene?»
«Sì, sì. Hai ragione, non possiamo scegliere cosa sognare.» fece Baggins un po’ titubante e questo pose fine alla conversazione, sebbene Balin non avesse dato la minima intenzione di spostarsi o cambiare atteggiamento, e nemmeno lo Hobbit tentò di aggiustarsi la coperta o spostarsi.
Giunsero alla porta Elfica al tramonto del giorno successivo. Bilbo aveva volontariamente evitato il capo della spedizione per tutto il percorso, ma quando la luce della luna illuminò le scritte impresse dall’ithildyn sulla pietra, egli venne chiamato in causa e dovette forzosamente aprir bocca dopo un’intera giornata passata chiuso nei suoi pensieri.
Per un appassionato d’indovinelli come lui la scritta sulla porta fu facile da interpretare, e la soluzione venne trovata in pochi minuti. Quando pronunciò “mellon” e le porte si aprirono ci fu un’esultanza generale da parte dei Nani, e molti si complimentarono con la sua arguzia; ricevette molte strette di mano, molte pacche vigorose sulle spalle ed una stretta sul suo fondo schiena, ma nella folla di Nani che gli si era assiepata attorno non sapeva dire chi era stato. Anche se un sospetto l’aveva.
 
La marcia nel buio delle caverne di Moria durò circa tre giorni, anche se era difficile determinare con esattezza lo scorrere del tempo là sotto. Il gruppo di esploratori passò attraverso stanzoni, tunnel e passaggi scavati nella pietra; alcune di queste sale erano abitate da Orchetti, ma i Nani non ebbero problemi a sconfiggerli poiché sapevano combattere molto bene nelle profondità della montagna. In quei concitati frangenti Bilbo ricorreva all’Anello per nascondersi e passare inosservato, ma ogni volta che lo usava si sentiva osservato, e le ombre attorno a lui si facevano più scure e dense, muovendosi come se dotate di vita propria.
Infine il gruppo di Nani giunse al cancello orientale, e la manovra a tenaglia precedentemente concordata si rivelò efficace nel disperdere gli Orchi su quel lato delle montagne. Il gruppo riunito poté ufficialmente prendere possesso della dimora ancestrale della propria stirpe.
 
§6. Alcuni giorni più tardi la comitiva stava festeggiando in una sala, che era stata ripulita e sistemata per l’occasione.
«Allora “Signore di Moria”,» -disse Bilbo dopo alcuni boccali di birra- «questa colonia è pronta a fiorire; quando porterete qua le nane?»
«E chi ti dice che non fossero già nel nostro gruppo? Le sapresti distinguere?»
La sala si riempì si risate, il cui eco aleggiò a lungo negli alti soffitti delle camere, poi Balin riprese a parlare:
«C’è ancora molto da fare qui, prima che vi porteremo le donne nel nostro popolo. Sono poche e le teniamo in gran conto, si muoveranno da Erebor solo una volta che saremo sicuri che questo posto possa avere un futuro. Prima va esplorato approfonditamente, bisogna eliminare gli Orchi superstiti e ripulire le stanze. Infine bisogna vedere se dal punto di vista economico questa colonia possa mantenersi, e se questo sarà giudicato possibile allora le nostre femmine si trasferiranno qui.»
«E quanti mesi ci vorranno?»
Sul volto di Balin si dipinse un’espressione a metà tra l’incredulo e il diverito:
«Mesi? Ad Erebor ci abbiamo messo quattro anni prima di deciderci in tal senso, e Moria è molto più grande! Ed abbandonata da molto più tempo! Prima di dieci anni dubito che saremo pronti.»
Bilbo sentì un morso allo stomaco. Era ormai sulla soglia dei cento anni, e per quanto si sentisse ancora in forze come quando ne aveva cinquanta, non si aspettava di vivere ancora molto. Ma Balin aveva una prospettiva diversa della vita, aveva passato da poco i duecentovent’anni: questo gli lasciava ancora quasi un secolo di attività prima di potersi definire decrepito, mentre Bilbo sembrava immutato anche se si avvicinava sempre di più al record del Vecchio Tuc. In prospettiva, chi dei due era il più vecchio? Mentre era perso in queste considerazioni anagrafiche, Balin aveva continuato a parlare, ma dalle questioni tecniche era passato a quelle familiari:
«… e poi è mio fratello Dwalin quello che ha messo su famiglia. Io credo che sarò troppo preso dal mandare avanti questo posto per potermi dedicare alle gioie del focolare; se dovrò avere un erede, sarà tra la stirpe di mio fratello, e non un mio diretto discendente! Sono sicuro che poi il nostro re Dàin vorrà dire la sua sulla questione dell’eredità!»
«Quindi, se Dáin te lo chiedesse cederesti Moria a lui? In fondo anche tu discendi dalla stirpe di Durin!» Interloquì Óin.
«Come te, cugino mio, e come Ori, Nori e Dori, anche se più alla lontana. E se il lignaggio di Thrór si è spento con il beneamato Thorin, quello di Dáin è il più vicino al nostro glorioso capostipite. Ma di queste faccende ci occuperemo solo una volta che la colonia sarà stabile.»
Bilbo approfittò della pausa nel discorso per fare la sua domanda: era da giorni che evitava di parlare con Balin, ma in quell’occasione sentiva (grazie alla birra che aveva in corpo) di potersi rivolgere a lui più liberamente.
«Hai detto che non intendi prendere moglie, eppure vi lamentate spesso di quanto lentamente il vostro popolo cresca, c’è qualche ragione dietro questo tuo comportamento?»
«Vedi mastro Baggins, nel nostro popolo il rapporto tra uomini e donne è decisamente a sfavore delle donne, che sono appena un terzo della nostra razza. E nonostante questo, ti stupirebbe sapere quante di loro rimangono nubili per tutta la vita! Dopotutto siamo un popolo fiero, e se un qualcuno non può avere la persona che ama, non accetterà altri come ripiego. Dopotutto siamo stati creati per lavorare, e non per amare e moltiplicarci. E tu invece, signor Baggins, come hai fatto ad arrivare ricco e scapolo ai cent’anni?»
Le parole di Balin pesarono sul cuore di Bilbo come un macigno, non sapeva come interpretare le sue parole, né spiegarsi perché gli avevano stretto un nodo attorno allo stomaco.
«Io, avevo in mente di adottare l’orfano di alcuni miei distanti cugini per farne il mio erede, ma poi ci furono delle complicazioni burocratiche e dovetti desistere.» Disse il omo con fare contrito.
«E non hai mai pensato a farti una famiglia tu stesso? Ho sentito dire che voi Mezzuomini siete abbastanza prolifici sotto questo aspetto.» Incalzò Óin.
«Io, ecco, non è che ci avessi mai tenuto particolarmente, e poi… come dire… c’è stato un problema di reputazione.» Bilbo sentiva di voler sprofondare in uno di quei pozzi senza fondo così frequenti a Moria, ciononostante le parole uscivano dalla bocca senza che lui potesse porvi un freno a causa dell’eccessiva birra.
«Ah ah! Non preoccuparti Baggins, non ti giudicheremo male per questo: dopotutto siamo un popolo dove ci sono poche donne e difficilmente distinguibili da un uomo, cose del genere sono all’ordine del giorno presso i Nani. Qualcuno potrebbe dire che abbiamo fatto di necessità virtù!» La risposta di Óin fu interrotta da una fragorosa risata corale, accompagnata da un brindisi. Nell’atmosfera di ilarità generale Bilbo si sentì meno in imbarazzo e poté finalmente alzare lo sguardo dal suo boccale di birra, e la prima cosa che notò fu il sorriso di Balin dall’altra parte del tavolo.
 
«Devi perdonarci, Baggins, se ti abbiamo messo in difficoltà questa sera. Doveva essere un’occasione lieta per tutti noi, ma forse certi discorsi ti hanno adombrato e me ne dispiaccio.» Balin stava in piedi sulla soglia di quella che Bilbo si era scelto come propria camera: una stanza spartana ma completa.
«Non hai nulla di che scusarti, né tu né gli altri. Dopotutto le vostre non erano che delle legittime curiosità sul mio conto. Anche se più che altro non sono state le domande fattemi a turbarmi, ma alcune delle cose che hai detto tu.» Lo Hobbit sedeva sul letto di pietra su cui aveva steso il suo giaciglio, era pronto per coricarsi: candela sul comodino, camicia e berretto da notte.
«Capisco. Forse ti eri fatto un’idea sbagliata, ma noi siamo fatti così. L’amore non è una priorità nella nostra vita, e il riprodurci è una necessità per far sopravvivere la nostra stirpe. Sono i nostri lavori e i nostri tesori quello che amiamo di più. Ma il fatto che l’amore non sia al primo posto è anche una consolazione: vedila così Baggins.»
«Preferirei che mi chiamassi Bilbo, se non ti dispiace. Ormai non sono più il vostro scassinatore e speravo che avessimo superato queste formalità.» Lo interruppe il Mezzuomo.
«Ma certo, ehm, Bilbo. Pensavo solo che voi Hobbit ci teneste alle formalità; se ti fa piacere, ti chiamerò volentieri con il tuo nome personale. Dicevo, dato che l’amore non è una priorità, non è nostra intenzione trovarlo a tutti i costi, o tramite compromessi. Ameremo solo la persona giusta, al momento giusto. La nostra brama non è così forte da condurci a scelte avventate, come invece è stato fatto su questioni d’onore e di tesori.»
«Non avevo considerato questa prospettiva, in un certo senso è confortante, anche se insolita.» Ammise Bilbo, poi diede voce ad un’altra sua riflessione:
«E tu credi che lo incontrerai mai, l’amore Balin?»
«Forse, Bilbo figlio di Bungo, forse. Ma ho ancora molti anni davanti ed è una questione che richiede tempo per essere saggiata.» Rispose con un sorriso profondo. «Ed ora, ti auguro la buona notte messer Hobbit.»
Quando il Nano fece per girarsi e uscire dalla stanza, Bilbo tese una mano e disse:
«Fa freddo qui, potrei avere un braciere per scaldare il letto?»
«Sì, Bilbo Baggins, potresti avere un braciere; oppure potresti avere altro per scaldare il letto.» Balin chiuse la porta, ed un soffio spense la candela.
 
«Questa non è la coperta di Ori?»
«Sì, non volevo restituirgliela ed ha gentilmente accettato di scambiarcele.»
«Perché?»
«Perché vi è rimasto il tuo odore.»
 
§7. Dopo quell’evento i due frequentarono sovente i reciproci letti, la cosa andò avanti per diversi mesi. Di pari passo saliva l’entusiasmo dopo la prima vittoria contro gli Orchi, ed il popolo di Balin lavorò alacremente per mappare e ripulire le grandi stanze di Moria. Tuttavia i Nani si tennero sempre a debita distanza dalle camere più basse e profonde, così come dalle miniere. Il primo anno passò in tranquillità, ma già verso la seconda metà dell’anno seguente si tennero i primi agguati da parte degli Orchetti. Dopo la rovinosa sconfitta sul lato orientale si erano dispersi, ma lentamente erano tornati per altre vie segrete, cercavano di saggiare la consistenza dell’appena insediatosi gruppo di Nani. Tuttavia in quello stesso periodo vennero ritrovati i primi tesori, appartenenti alla metà della Terza Era o forse ancora più antichi. Uno di essi, una cintura d’oro tempestata di gemme elfiche, fu il regalo per il centesimo compleanno di Bilbo.
Diverse opere vennero iniziate in contemporanea, e Balin era sempre molto occupato a seguire tutti i lavori. Col tempo, le visite alla camera dello Hobbit si fecero sempre più rare e sempre più rapide. Bilbo ne era amareggiato, ma in fondo al suo cuore sapeva com’erano fatti i Nani, ed egli non faceva certo eccezione: prima il lavoro, poi le persone. Col tempo Balin prese a farsi chiamare “Signore di Moria”. La cosa era iniziata per scherzo: Bilbo lo aveva apostrofato così durante il banchetto della vittoria, ma ora sembrava una pretesa seria.
Nel terzo anno, molti dei lavori di restauro e pattuglia vennero momentaneamente accantonati e il Signore di Moria diresse gli sforzi dei Nani verso il ritrovamento dell’Ascia di Durin. Tuttavia  la ricerca si rivelò infruttuosa, ed essi giunsero alla conclusione che l’antica reliquia dovesse aver seguito lo stesso fato del suo possessore: perduta nelle profondità più buie e insondabili del Nanosterro.
Le difficoltà aumentarono durante il quarto anno: molti nani che erano stati mandati ad esplorare le miniere abbandonate non fecero più ritorno; altri persi per mano degli Orchetti nei tunnel più remoti. I sopravvissuti erano a due terzi del gruppo originale, e molti iniziavano a mormorare frasi sul Flagello di Durin. Vedendo che la situazione si faceva sempre più buia, Bilbo si risolse a parlarne in modo esplicito con Balin; per farlo attese il giorno del proprio compleanno, certo che avrebbe passato quella notte con lui. Tuttavia attese invano, poiché nessuno bussò alla sua camera.
Offeso dalla dimenticanza, Bilbo evitò per diversi giorni di farsi vedere in pubblico, rimanendo rintanato nella sua stanza a compilare il Libro Rosso a lume di candela.
Una sera, sentì bussare alla porta della sua stanza.
«Entrate, se lo desiderate; purché siate “amici”» disse senza nemmeno voltarsi in direzione dell’uscio.
«Spero che tu possa ancora definirmi come tale, Bilbo figlio di Bungo. Nonostante le mie colpe.» Balin mise piede nella stanza, con una mano reggeva una lanterna, nell’altra teneva un pacchetto, era ancora sporco di polvere e carbone.
«Un re, come tu ora ti fai chiamare, non deve rendere conto a nessuno.» Nella voce di Bilbo c’era più di un velo di sarcasmo.
«E un amico? Può un amico ammettere i propri errori e cercare di farvi ammenda?» Balin suonava sinceramente dispiaciuto; lo Hobbit non poté fare a meno di girarsi verso di lui, labbro imbronciato e occhi lucidi. Il nano sciole il laccio aprì il pacchetto:
«Si tratta del primo frammento di mithril che siamo riusciti a trovare in più d’un anno di scavi, ci tenevo che lo avessi tu. Dopotutto sei stato tu a darmi l’ispirazione per questa impresa. Se siamo qui, è grazie a te.»
Bilbo guardò la pepita che l’altro teneva in mano: riluceva come se riflettesse i raggi lunari, con una luce chiara e argentea. Poi gli occhi si riempirono di lacrime, vi pose una mano sopra e l’altra la passò attorno alla vita del Nano, appoggiò il viso sulla sua spalla ed iniziò a piangere sommessamente.
 
Il momento di felicità durò poco. In capo ad un mese, tutte le attenzioni di Balin erano nuovamente rivolte alla gestione dell’avamposto nascente. Tuttavia riusciva sempre a trovare del tempo da trascorrere con Bilbo, anche se spesso non faceva che parlargli dei problemi di Moria. Gli attacchi degli Orchetti però si fecero meno frequenti, sicché la popolazione rimase stabile e si diffuse un generico senso di sicurezza.
Giunse infine il quinto anniversario dell’ingresso in Moria. Si era ormai consolidata l’usanza di tenere una piccola celebrazione, in cui si commemoravano i caduti e si traeva un resoconto dei progressi fatti. In quell’occasione Balin era seduto a tavola con Bilbo, Ori, Óin e i superstiti dei sei capi dei Nani che li avevano accompagnati nella spedizione. Riassumendo il discorso di Balin, forse eccessivamente ottimista, sembra che le prospettive di allargare l’insediamento fossero buone, e probabilmente richiamando altri volontari si sarebbe potuto velocizzare il lavoro e reclamare Moria entro i prossimi tre anni. L’intera platea sembra soddisfatta e fiduciosa del realizzarsi di queste previsioni.
Bilbo aspettò che la celebrazione finisse e che la tavola venisse sparecchiata per poter parlare con Balin:
«Perché in questi cinque anni non hai mai informato re Dáin dei progressi fatti? Perché non gli hai chiesto mai degli aiuti?» Chiese il Mezzuomo.
«Perché il re ritiene il nostro un tentativo prematuro, egli crede che molti anni debbano ancora passare e che il mondo debba essere stravolto prima che noi si possa riconquistare la casa ancestrale di Durin. Ma io sono convinto che si sbagli: Smaug il Dorato non è più, ed il Bianco Consiglio ha scacciato il Negromante da Dol Gudur. I poteri sono cambiati nel mondo, e credo che il nostro re si rifiuti di riconoscere i segni del cambiamento; o forse teme il sorgere di una potenza rivale ora che ha appena preso il possesso di una montagna che non ha mai cercato.» Per la prima volta Bilbo si accorse che c’era amarezza nelle parole del suo commensale nei confronti del proprio re. Forse egli lo aveva in scarsa considerazione poiché era divenuto re della Montagna al posto di Thorin, o forse, e questo lo spaventava maggiormente, le prospettive del successo in Moria avevano alimentato in lui le antipatie per Dáin.
«Vieni Baggins, oggi è una buona serata per passeggiare all’aperto, rechiamoci al Cancello Orientale.» Disse Balin, accompagnando l’invito con un inchino ed un gesto del braccio.
Oltrepassata la porta lo prese sottobraccio, e i due passeggiarono sotto la luce delle stelle (la luna non era ancora sorta). Qua e là Balin indicava punti dove si erano svolti particolari momenti della Battaglia di Azanulbizar, durante la guerra tra Nani ed Orchi. Al confronto il loro conflitto iniziale con gli Orchi sembrava una mera scaramuccia. Poi giunsero al Mirolago, si sedettero su di una sponda leggermente rialzata dal bordo dell’acqua e Balin proseguì con tono solenne:
«Vedi questo specchio d’acqua Bilbo? Noi lo chiamiamo Kheled-zâram. Qui il padre della nostra razza, Durin Senzamorte, si specchiò dopo un lungo peregrinare. Nelle limpide acque del lago vide le stelle disporsi a forma di corona attorno alla sua testa, e capì che era giunto il momento per lui di fondare il proprio regno. Vieni, mio caro, vediamo se per gioco anche a me accadrà un simile prodigio.» Balin fece per muoversi verso la sponda, ma il suo compagno lo trattenne:
«Aspetta, prima voglio dirti una cosa, ed ho paura che dopo che avrai gettato lo sguardo nel lago non vi sarà più occasione consona per affrontare questo discorso. Una volta tu mi hai ringraziato per averti ispirato in questo progetto. Ora è il mio turno di renderti grazie:» -visto che dormivi la prima volta che ne parlai- «quando vivevo a Brea, vivevo chiuso nella mia solitudine, ogni giorno sempre più amareggiato e consapevole di non aver posto nel mondo. Tu mi hai dato un’opportunità per scappare da tutto ciò, dalle prospettive di una monotona vita nel più sperduto dei villaggi del Nord. Tu mi hai offerto quella che sarà probabilmente la mia ultima avventura, ma non solo questo: mi hai concesso la tua stima, la tua amicizia e il tuo calore. Mi sono reso conto che sarei potuto andarmene subito dopo averti aiutato ad aprire la Porta Elfica: dopotutto il mio lavoro da scassinatore era concluso. Eppure non l’ho fatto. Sono stato tentato, in questi cinque anni, ma non l’ho mai fatto. E ti prego di non fraintendermi: non l’ho fatto perché ormai non avevo più niente che mi aspettasse la fuori, ma perché tutto ciò che volevo era qui, tra le buie aule di Moria. E ciò che volevo, che voglio, sei tu Balin figlio di Fundin. Io ti amo.»
Bilbo socchiuse gli occhi, e diede un lungo e tenero bacio sulla bocca del Nano. Una volta che le labbra si staccarono egli ebbe modo di osservare l’espressione sorpresa sul volto di Balin; il Signore di Moria iniziò a parlare:
«Bilbo, io…» Ma le parole gli morirono in gola, egli si accasciò improvvisamente sulle sue ginocchia: la nera asta di una freccia gli spuntava dalla schiena.
Lo Hobbit gridò in preda al terrore, e subito altre frecce iniziarono a fischiare attorno a lui. Nel buio della notte gli Orchi avevano teso un agguato, proprio alle soglie di Moria. Spinse via il corpo di Balin per avere le gambe libere, mise una mano nella tasca del panciotto e infilò l’Anello. Era una corsa nell’oscurità più completa, e si voltò giusto un attimo per vedere il corpo del Signore della Montagna galleggiare sul bordo del lago, le acque increspate riflettevano la luce spezzata delle stelle.
 
§8. Bilbo era riuscito a rientrare a Moria sano e salvo grazie all’Anello. Aveva avvertito le guardie dell’accaduto e queste erano accorse subito a recuperare il corpo del loro padrone e mettere in fuga gli Orchi. Il pericolo sembrava scampato, ma Khazad-Dûm aveva perso il proprio signore. Inizialmente si pensò ad un attacco fortuito, innescato dall’avventata idea di uscire all’aperto di notte e senza scorta; ma nei giorni successivi gli Orchi si fecero più numerosi e spavaldi, sempre più vicini al cancello orientale. Ritrovatisi improvvisamente senza una guida, i Nani erano incerti sul da farsi. Alcuni volevano asserragliarsi e combattere, altri scappare con quanto avevano recuperato in questi anni, e sempre più spesso si menzionava il Flagello di Durin. Persero molto tempo a discutere, e colui che era stato il più intimo con il loro capo non era di alcun aiuto: Bilbo passava le sue ore accanto a quella che era la tomba di Balin, a volte piangendo e a volte dialogando con lui come se fosse vivo; altre volte anche solo in silenzio a fissare per lunghe ore il sarcofago.
Furono gli Orchi a prendere l’iniziativa, e occuparono il cancello orientale e alcune delle stanze più in alto. A nulla servì chiudere le porte d’ingresso: sembrava quasi che la montagna stessa li vomitasse senza requie. Óin andò a sincerarsi che il cancello occidentale fosse praticabile, ma trovò che il corso del Rivo del Cancello (una conformazione molto simile a quella di Erebor) era stato deviato, e un grande stagno si stava rapidamente formando nei pressi delle porte: in poco tempo non sarebbe stato possibile attraversare quella zona. Il Nano provò a sincerarsi dell’effettiva profondità del neonato specchio d’acqua, ma appena vi si avvicinò dei tentacoli lo afferrarono trascinandolo sul fondo. I suoi accompagnatori superstiti fecero appena in tempo a chiudere le porte e mettersi in salvo. Ori accolse queste notizie con grande sconforto.
«Cosa possiamo fare ora? Entrambe le uscite sono chiuse e ciononostante gli Orchi sciamano attraverso il Nanosterro. Bilbo, cosa possiamo fare?» La voce di Ori risuonava disperata all’interno della camera preposta a tomba di Balin. Lo Hobbit tuttavia guardava nel vuoto e mormorava flebilmente una cantilena:
«Siamo qui grazie a me. Siamo qui grazie a me. Siamo qui grazie a me.»
I Nani venivano ogni giorno incalzati sempre più verso il fianco della Montagna. Quella che era la Tomba di Balin, divenne presto il rifugio del manipolo di superstiti. Ogni volta che calava la notte i tamburi risuonavano sempre più forti. Lo Hobbit non mangiava da tempo, e nessuno riusciva a parlarci, era come se stesse attivamente cercando di sparire da questo mondo. Stava semplicemente aggrappato alla tomba di Balin fissando la direzione da cui venivano i suoni dei tamburi. Ori si apprestava a sigillare dall’interno le porte della tomba: una misura disperata per risparmiare ai superstiti l’onta del saccheggio da parte degli Orchi. Ma prima di farlo si rivolse un’ultima volta a Bilbo:
«Caro Hobbit, sto per chiuderci qua dentro per sempre. Spero che tu possa sentirmi, ovunque la tua mente si sia rifugiata. Volevo dirti che nessuno ti accusa delle disgrazie capitateci: tua può esser stata l’idea, ma nostra fu l’intenzione di attuarla. Per noi sei sempre stato un amico, e il più nobile tra gli scassinatori. Tante volte nel corso della nostra precedente avventura ci hai tirato fuori dai guari, e vorrei tanto che lo facessi anche ora. Ma ormai la nostra avventura volge al termine e temo proprio che non sarà un lieto fine.»
In quel momento, quasi inconsciamente, lo Hobbit mise una mano in tasca e cercò di infilare l’Anello, ma non ce la fece: esso era diventato grande, abbastanza da usarlo come bracciale ed era anche caldo, caldo da scottare. Il dolore ebbe l’effetto di riportare Bilbo alla realtà. Sentì la sua giacca improvvisamente pesante, come se avesse le tasche foderate di piombo. Si toccò il panciotto, da quello che poteva tastare sembrava che l’anello fosse tornato alle dimensioni normali. Mise una mano in tasca per sincerarsene. C’era un buco.
Tutto il resto accadde in pochi secondi: il dito che aveva infilato in tasca, nel tentativo di prendere l’Anello lo spinse invece attraverso il buco. Prima che se ne rendesse del tutto conto, il suo prezioso gioiello magico rotolava già verso la porta. In quel medesimo istante Ori diede l’ordine di sigillare le porte, Bilbo cercò di afferrarlo ma improvvisamente il suo corpo lo tradì, rivelando tutta la vecchiaia che aveva accumulato finora. Provò a gridare ma uscì solo un lamento strozzato, mentre l’Anello passava attraverso la fessura tra i due battenti del pesante portone prima che questi venissero chiusi.
L’ultima immagine che gli stanchi occhi del Mezzuomo videro fu il bagliore dell’oro nel corridoio buio oltre la porta; bagliore che rifletteva il fuoco che si stava avvicinando.
  
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