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Autore: sunflowers_in_summer    04/03/2014    5 recensioni
|Gli dei tendono a dimenticare. Fanno figli e li dimenticano, amano mortali e li dimenticano, combinano guai e li dimenticano.
Gli dei non esistono più. Gea, da buona vincitrice, li ha fatti sparire tutti, Olimpi e non. Li ha dissolti tutti tranne una, l’unica che, inconsapevolmente, l’ha portata al successo.
Gli dei dimenticano quasi sempre. Ma c’era una persona che Artemide non avrebbe mai potuto dimenticare. E Gea lo sapeva.|
ATTENZIONE! Piccolo spoiler su The House of Hades.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Artemide, Gea, Le Cacciatrici, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Blame on love and war'
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THE HUNTER OF ARTEMIS
Il cacciatore di Artemide

 
Una volta qualcuno mi raccontò una storia che mi colpì molto. Non ricordo se me l’abbia narrata per davvero qualche mio conoscente o una Musa me l’abbia sussurrata in un orecchio mentre dormivo, ma oggi io la voglio narrare a voi:
“C’era una volta la dea Artemide. Gli umani l’amavano, in quei millenni, perché lei insegnava loro l’arte della caccia, dandogli così modo di nutrirsi.
Una volta la dea, che mai aveva amato in vita sua, si innamorò perdutamente di un bellissimo cacciatore di nome Orione e decise di spendere con lui il resto dell’eternità; perché l’amore, anche per gli dei, fa pensare sempre entro i limiti dell’eterno. Orione, Artemide e il loro fido cane Sirio vivevano felici insieme.
Meno felice era Apollo, il gemello di Artemide, il quale era un fratello molto geloso e non approvava l’amore di sua sorella per un semplice cacciatore. Preso da questi sentimenti, il dio del Sole puntò il suo arco su Orione e, con la sua mira infallibile, gli inferse un colpo mortale. Per buona misura uccise anche il fido Sirio.
Artemide, disperata, affidò il ricordo del suo amore alle stelle, le quali accolsero subito le vittime trasformandole in costellazioni.
Da allora, Artemide è una dea infelice che ha promesso di non innamorarsi mai più…”
 
 
Gli dei tendono a dimenticare. Fanno figli e li dimenticano, amano mortali e li dimenticano,combinano guai e li dimenticano.
Gli dei non esistono più. Gea, da buona vincitrice, li ha fatti sparire tutti, Olimpi e non. Li ha dissolti tutti, tranne una, l’unica che, inconsapevolmente, l’ha portata al successo.
Gli dei dimenticano quasi sempre. Ma c’era una persona che Artemide non avrebbe mai potuto dimenticare. E Gea lo sapeva.
Artemide si riscosse dal sonno agitato, ma i suoi occhi non incontrarono le stelle, come succedeva da troppo tempo. La ex dea si mise a sedere sulla branda della sua minuscola cella e si raggomitolò nei leggeri lenzuoli, le lacrime che scorrevano sulle guance.
Artemide non piangeva mai. Suo fratello Apollo avrebbe sgranato gli occhi vedendola così e ci avrebbe scritto su una canzone da Grammy. Ma Apollo non c’era più e lei si poteva concedere questa piccola dimostrazione di umanità che dava sempre motivo di crudeli risate ai giganti che la sorvegliavano.
Non le era rimasto nulla: l’arco divino era stato spezzato, le Cacciatrici erano state brutalmente trucidate, il mondo civile raso al suolo, l’Olimpo rovesciato e la sua famiglia distrutta. Gea l’aveva costretta a guardare tutto ciò mentre accadeva, con gli occhi bene aperti che si impregnavano di quelle immagini terribili che l’avrebbero tormentata ogni notte della sua prigionia.
Artemide non era una traditrice, no? Era stato tutto un errore, tutta colpa dell’amore e di Gea che ci aveva giocato tanto crudelmente. Ma lei non ne era tanto certa della sua innocenza e, come tutte le volte che questo dubbio lo assaliva, ripercorse la storia che l’aveva condotta in quella cella fredda e buia.
 
 
Artemide guardava le stelle, quella notte, come tante altre notti. Passava in rassegna ogni costellazione, ne ricordava ogni storia. Molte le aveva create lei.
Come ogni volta, la dea giunse con lo sguardo alla costellazione della Cacciatrice e rivolse un sorriso carico di dolore a quella che una volta era il suo luogotenente. Poi, come sempre, finì di guardare le stelle, perché proprio non aveva il coraggio di osservare la successiva, quella costellazione.
- Mia Signora – la salutò Talia inginocchiandosi davanti a lei.
- Talia - constatò la dea raddrizzandosi contro il tronco dell’albero a cui era appoggiata.
- Mia Signora, le cose non si mettono bene- disse Talia cupa - Percy e Annabeth sono fuori dal Tartaro e i Sette si dirigono in Grecia, ma i mostri di qui e i Romani ci attanagliano…
La dea sospirò e congedò la sua luogotenente con un gesto della mano. Lei doveva essere sull’Olimpo a proteggersi, ma non poteva abbandonare le sue Cacciatrici, credeva che fosse perché voleva vincere quella guerra. Se solo avesse saputo come si sarebbero messe le cose…
Le giornate si susseguivano senza tregua, lei aveva perso alcune delle sue migliori Cacciatrici negli ultimi mesi e a volte si ritrovava a desiderare qualche momento di pace, proprio come allora, mentre si abbandonava al tronco e si rannicchiava tra le piante del sottobosco.
“Se solo avessi con me ancora il mio miglior Cacciatore” pensò la dea chiudendo gli occhi.
- Non lo avresti mai ammesso che ero il tuo Cacciatore migliore – disse una voce profonda davanti a lei.
Confusa, la dea aprì gli occhi e si accorse di non poter credere a ciò che vedeva: due occhi del colore  degli aghi di pino, due occhi che da millenni credeva di non poter mai più rivedere, la fissavano ridenti. Poco lontano sentì l’abbaiare allegro di un cane e si disse che tutto quello era impossibile. Stava di certo sognando.
Invece l’uomo l’abbracciò dolcemente e, dopo secondi di esitazione, lei si strinse al suo petto.
- Orione… - sussurrò la dea commossa.
- In carne e ossa – disse l’uomo staccandosi da lei e prendendole il volto tra le grandi mani – O meglio, idrogeno, carbonio e tanta altra roba.
- Cosa stai dicendo? – chiese la dea cercando di ridarsi contegno, ma con scarsi risultati.
Gli occhi di Orione scintillarono come mai era successo e lui si voltò a guardare la radura davanti a loro dicendo: - Be’, guarda un po’ come hanno combinato Sirio…
La dea guardò attentamente il cane che scorrazzava tra i cespugli e non faticò a riconoscere l’abile cane da caccia che lei stessa aveva creato per Orione. Era identico a come lo ricordava, se non per un piccolo particolare tutt’altro che trascurabile: Sirio aveva il manto blu notte costellata di tante minuscole lucine. La dea ci mise due secondi a collegare il tutto.
- Siete scesi dal cielo – sussurrò Artemide volgendo lo sguardo alla volta celeste, sulla quale, effettivamente mancavano due costellazioni.
- Esattamente – disse il Cacciatore sollevandola sulla propria spalla.
- Che cosa fai? – disse la dea ridendo. A Orione piaceva sempre tanto portarla in giro a modo suo, da Cacciatore.
- Ti porto dalle tue Cacciatrici – disse il Cacciatore mettendosi in cammino e richiamando Sirio – così potrai presentare loro il tuo miglior Cacciatore.
 
La faccia di Talia quando vide Orione era impagabile e Artemide non sapeva bene se fosse per la pelle di leone che usava come vestito o per il fatto che la sua Signora fosse sulle spalle di un maschio. Tuttavia la luogotenente riprese in fretta lo sguardo gelido di sempre.
- Domani dovremmo partire per proteggere il Campo Mezzosangue – disse la figlia di Zeus decisa.
- Sono ancora io a dare gli ordini, signorina – la rimproverò Artemide – ma concordo che sia la soluzione migliore. Permettete che vi presenti un mio vecchio Cacciatore, Orione.
Alcune Cacciatrici sussultarono, altre assunsero uno sguardo spaventato, ma solo Talia riuscì a mantenere la calma e dare voce ai pensieri delle sue compagne.
- Orione è morto millenni fa – disse la luogotenente cercando di non sembrare scortese – ed è un maschio. Come può essere un suo Cacciatore?
- Sono nato un po’ prima di te, signorina – rispose Orione sorridendo gentilmente.
- Basta con le domande – disse Artemide con tono di comando – andate tutte nelle vostre tende.
Svelte come lampi d’argento, le Cacciatrici si dissolsero e Artemide trascinò il Cacciatore nella sua tenda.
 
- E così adesso addestri solo ragazze? – disse Orione stringendo a sé la dea.
- Prima insegnavo a cacciare, poi sei morto tu e ho cercato solo di proteggermi – rispose Artemide.
- Dai mostri – concluse il Cacciatore – e dai ricordi.
La dea annuì, poi si girò tra le braccia di Orione e avvicinò le labbra alle sue.
- Ricordi di essere una dea vergine che odia gli uomini, vero? – chiese Orione scostandosi dopo il bacio.
- Era perché sei morto – disse lei sollevando le spalle – ma ora sei tornato.
- E ricordi anche che sono solo una costellazione? E tu sai chi mi ha riportato in vita…
Artemide si morse il labbro inferiore: sapeva benissimo che quello era un regalo di Gea, o meglio di Urano, suo marito e suo ultimo alleato. Era un pegno in cambio del suo disimpegno in battaglia, un patto che avrebbe dovuto rifiutare.
Ma la dea proprio non ce la faceva a rifiutare. Forse era perché gli occhi verdi di Orione la stavano incantando per conto di Gea, o forse solo per amore.
Artemide sapeva che l’amore poteva essere pericoloso per gli altri, ma per lei era più che altro devastante: la morte di Orione l’aveva indotta a giurare lontananza dagli uomini per l’eternità e il Tartaro sapeva cos’altro sarebbe successo se lo avesse perso di nuovo.
Sapeva che stava sbagliando, ma era semplicemente innamorata. E agli innamorati non si può chiedere niente.
- Non mi importa – sussurrò la dea sorridendo – Non ti lascerò mai e lo… lo giuro sullo Stige.
Un tuono rimbombò fuori dalla tenda, ma Artemide sapeva di aver stretto un patto con Gea, anziché con Zeus.
 
- Non puoi corrompermi, Apollo – disse la dea camminando a passo spedito sui marmi dell’Olimpo.
- Sorellina, ascoltami. So che ti sto chiedendo molto, ma Zeus vuole che tutti gli dei agiscano insieme contro Porfirio. Fallo almeno per obbedire a nostro padre! – disse Apollo correndole dietro.
- Tu me l’hai portato via la prima volta – urlò la dea furiosa girandosi verso il suo gemello – Ricordi, Apollo?
Il dio restò in silenzio per alcuni secondi e la dea sostenne il suo sguardo di accusa con fierezza.
- Spero che tu ti renda conto di cosa stai provocando – disse infine Apollo con amarezza.
- Me ne rendo perfettamente conto – rispose Artemide voltandogli di nuovo le spalle.
Mentiva. Se solo avesse immaginato davvero le conseguenze…
 
- Ritira le Cacciatrici, Talia – disse la dea guardando il panorama che la rupe le offriva.
- Ma… Mia Signora, non possiamo… i semidei si stanno massacrando, non lo vede?
- Ritira le Cacciatrci, ti ho detto – ordinò Artemide.
Sotto di loro la valle si stava sporcando del sangue di semidei Greci e Romani. I nemici avevano ragione quando dicevano che non c’erano speranze di unire gli eroi sotto un’unica causa…
Talia scese dalla rupe con rabbia e Artemide sperò che Gea fosse clemente con coloro che si erano arresi. Come si sbagliava…
 
Il primo che Gea aveva tolto ad Artemide era stato proprio Orione. Lo aveva dissolto nell’aria, all’improvviso, non appena ebbe ucciso i tutti Sette in Grecia. Artemide non aveva nemmeno potuto dirgli addio.
Poi erano venute le Cacciatrici. Gea le aveva chiuse in un’arena assieme ai giganti e l’aveva costretta ad assistere al massacro. Le ragazze urlavano, il loro sangue bagnava la terra come le lacrime bagnavano le guance della dea.
Talia entrò per ultima nell’arena, con la testa alta e il portamento da principessa, prima di essere sballottolata e fatta a pezzi da mani di argilla. Zeus, in catene, piangeva la morte di una figlia semidivina che aveva amato più di quella divina.
I pochi semidei che non si erano massacrati tra di loro nella battaglia delle due fazioni erano stati uccisi nello stesso modo delle Cacciatrci. I Sette Eroi non vennero nemmeno sepolti, ma ingurgitati da una Madre Terra vittoriosa e orgogliosa.
Per ultimi vennero distrutti gli dei. Gea aveva costretto Artemide a sedere accanto al suo trono di terra mentre li faceva sfilare davanti a loro e, uno alla volta, li faceva scomparire con uno schiocco di dita, avendo la premura di lasciare Apollo per ultimo.
Il dio del Sole sorrise alla sua gemella con amarezza, prima di scomparire, e Artemide aveva capito che si stava assumendo un po’ di responsabilità. Finalmente.
 
 
 
“Cosa sono, allora?” si chiese Artemide disperata, chiusa nella sua cella.
Una volta avrebbe risposto guardando le stelle. Ma lei non le vedeva da tempo, e probabilmente Gea aveva cancellato anche quelle.
“Non ho tradito” pensò la dea “Ero solo innamorata”.
Ma adesso aveva perso tutto.
 



A volte vorrei che Riordan non scrivesse mai Blood of Olympus, cosicchè io possa farmi tutti film mentali (tragici) che voglio. Poi mi do della pazza.
Per cui mi limito solo a dire qualcosina su questa storia.
Avrei voluto davvero mettere qualcosa di più su Artemide/Orione (e scusate se non sono stata tanto originale con il pairing, ma, diamine, non ho saputo resistere.
La stessa cosa per la lunghezza: avrei fatto meglio a dividerlo in due capitoli, ma non sapevo come. Pazienza.
Infine il titolo: ero partita con questo, e so che avrei dovuto mettere qualcos'altro, ma non mi veniva niente in mente... D: e per la traduzione, non chiedetemi perchè l'abbia messa.
Credo di avre detto tutto, no?
Vabbè, non esitate a chiedere ulteriori chiarimenti.
Ella.
  
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