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Autore: Kim_Fire    04/03/2014    1 recensioni
" Adesso siamo io, lui e Michael Bublè che canta in sottofondo “Save the last dance for me”.
Se voleva conquistarmi, diavolo quello era il modo perfetto di farlo.
E lo aveva fatto. "
Una semplicissima one-shot su una ragazza/aspirante scrittrice vista di malocchio dai suoi parenti. Decide come al solito di strappare le regole e farci un bel falò. Ma stavolta non è lei ad avere il comando.
Spero vi piaccia, e che mi facciate sapere cosa ne pensate dei difetti (prevalentemente) magari con qualche piccola recensione c:
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il telefono squilla in modo pigro e annoiato, la vibrazione leggera tipica di un Nokia, mi fa sobbalzare mentre osservo con desiderio le coppie che danzano allegre scivolando con un’incantevole leggiadria sulla pista da ballo. La sposa stava guardando dritta negli occhi il suo meraviglioso marito perfetto, che la stringeva a sé con forza, ma non troppa: l’avevo sentito dire spesso che l’amore per lui era come una farfalla, e se lasciato andare volava via, però se stretto troppo si rischiava di soffocarlo. E ancora una volta, dimostrava la sua ipotesi. Dopotutto, Jake era davvero un bravo ragazzo, e la sua sposa, Jenna, d’altronde mia sorella, ne era perfettamente consapevole. Entrambi bellissimi, entrambi con un futuro in mano. In realtà, loro stessi erano il futuro. E si prospettava un futuro da film. Mio padre aveva un sorriso emozionatissimo stampato sul volto, e le lacrime scendevano giù, mentre trasformava la mamma in una ballerina professionista agli occhi degli osservatori. Entrambi piangevano e ridevano l’uno dell’altra, poi si abbracciavano forte. Ne avevano passate di belle loro, prima e durante il matrimonio. Gli occhi azzurri della mamma si riflettevano nei miei e in quelli di mia sorella, che eravamo perfette quella sera, come ogni donna o bambina in quella sala elegante. Era anche evidente che io fossi l’unica scorbutica ragazza a non avere un accompagnatore, dato che avevo lasciato il mio ragazzo esattamente dieci minuti prima di correre in Chiesa. In realtà era stato proprio buffo.. Io ero seduta al tavolino con i miei amici, e dopo arriva lui, ignaro della mia presenza, e si siede con Jessica qualche posto più in là. E meno male che la sua povera zietta stava male, lurido bastardo. A dirla tutta, erano giorni che c’era tensione, e io quella mattina avevo deciso di reagire bene alla sua provocazione. Mi ero alzata, ero andata loro incontro sorridendo, avevo preso la loro bibita e l’avevo gettata sui suoi capelli, e sui suoi vestiti. Oh, ma la parte migliore è stata quando ho messo i cubetti di ghiaccio nella sua camicia sudicia, e l’applauso che perfetti sconosciuti e non mi hanno offerto è stato più che gratificante. E poi? Poi ero in ritardo per il matrimonio di Jenna, ma solo di mezz’ora.. avevo fatto di peggio in tutta la mia vita. E non se ne sarebbero accorti, come sospettavo.
Ed ora eccomi qui, il cellulare continua a squillare in modo insistente, e diventa impossibile ignorarlo ed essere ignorati dagli altri (cosa che accadeva dall’inizio della festa), perché la gente iniziava a girarsi e a guardarmi male. Ma so bene chi è il mittente, quindi senza indugiare a lungo chiudo la chiamata e inizio a gustare la prelibatezza dello smalto rosso in perfetta sintonia con il mio abito. Invece i capelli sono scesi e ricci, diversi dal solito. Ciò che invece non è diverso dal solito, è il modo di osservarmi dei miei parenti, schifati dal mio modo di “pormi in pubblico”, dal mio mangiare le unghie “senza darmi un contegno”, dal mio cellulare acceso e bla, bla, bla.. tutte quelle cose da perfettini che erano, e che facevano ridere o sorridere mia sorella. Io ero fatta così, e a cinque anni avevo dichiarato guerra di potere a quella nonna che mi stava antipatica, una di quelle che mi guardava nel peggior modo di tutti gli altri messi insieme.
Sono qui, a sorridere in modo beffardo e gentile agli invitati, a cedere sedie agli altri, e a ignorare chiamate da quel numero sconosciuto.. Mi viene improvvisamente in mente mia zia, quella vecchia pazza fuori di testa quasi quanto me, che se n’è andata via diversi anni fa. Era l’unica che apprezzava la mia idea di scrivere un libro, che mi incoraggiava a migliorare, e darci dentro di brutto, come se il domani non esistesse. “I domani sono contati, fallo ora.” , diceva sempre. Cara vecchia zia, mi avresti mai immaginata conciata in questo modo? Esattamente opposta a come sono io in realtà? Non in questa vita. Di sicuro ora saresti qui, accanto a me, nel tuo grande spessore, a dirmi l’ultima facendo la disinteressata. A parlare la mia stessa lingua, a prendere in giro le altre zie e cugine ochette.. Al suo posto, ora c’era Adam, il mio migliore amico. Non c’era una data precisa in cui lo eravamo diventati, lo eravamo da tanti anni, ma proprio tanti. Avevo dato per scontato che lui fosse presente nella mia culla, e passare un’intera giornata senza di lui era stato davvero noioso. Comincio a sentire un groppo alla gola, quindi riempio il bicchiere per bere e cercare di non pensare oltre, altrimenti mi sarei rovinata la serata.  
E il telefono continua a squillare. Dal momento che sono di primi modi, dopo aver ignorato dieci chiamate dello stesso numero, decido di spegnerlo completamente, togliendo addirittura la batteria. Si, quando mi scoccio divento abbastanza drastica.
Mio zio, il marito della mia preferita, mi si avvicina e dice: “C’è un cameriere che ha chiesto di te, dovresti..”
Non riesco a fare a meno di notare i suoi occhi azzurri tristi, le pesanti rughe sul viso, il sorriso sparito da anni, la sua felicità con esso. Ma decido di non pensare oltre, e gli chiedo: “Davvero? E chi?”
“Il cameriere laggiù, quello con il come..come si chiama.. il tel.. tellulare?”
“Cellulare, o telefono, fa lo stesso” ridacchio, dandogli una pacca sulla schiena e dirigendomi verso il signore con l’abito da pinguino.
“Sono Daphne Connor, mi è stato detto che mi cercavate..” comincio a dire, dandomi un’aria da pomposa.
“Si signorina, è un piacere vederla. Devo intercettarle una chiamata, se non mi fosse stato detto che era urgente non avrei mai interrotto il suo trascorrere della serata..”
“Va bene così” lo interrompo, togliendo dalle sue dita lunghe e sottili il grosso telefono antico. Allora è questo il vantaggio di andare in un locale secolare: vecchi telefoni, roba interessante.
Appena avvicino l’apparecchio all’orecchio, una voce che riconosco subito non riesce a farmi trattenere un sorriso.
“Sei al matrimonio vero?”
“Lo sono, Adam. Non dovresti essere con lei stasera?”
“Scommetto che sei lì, a camminare su e giù per la sala, l’unica donna senza un accompagnatore. Uno scandalo, data la tua bellezza disarmante in quell’abito rosso. Hai già bevuto i tuoi quattro bicchierini e..”
“Ti avevo detto che indossavo un abito rosso? Questo non me lo ricordavo.”
“E poi inizi a sorridere in quel modo da far impazzire tre quarti degli uomini che non hanno le palle di venire accanto a te e di chiederti di ballare. Vuoi sederti nuovamente a quel tavolo, ma per continuare a fare la tua figuraccia? No. E invece decidi quindi di camminare lentamente verso la finestra..”
“Adam, non iniziare a fare il telepatico. So bene che ti stai annoiando. Hai imparato a memoria la parte della fan fiction che ho scritto?”
“E osservi il cielo stellato, blu intenso. Di colpo senti un profumo, un profumo di cibo, e ti volti a destra e sinistra come una pazza cercando quella maledetta tortina, perché hai il ciclo che ti tormenta..”
“Questa non c’era nel capitolo, imbecille!”
“E mentre stai per inciampare e urtare contro il cameriere girandoti di scatto.”
“Tu non sei normale.. mi scusi signore.” Balbetto. Era davvero successo, e la cosa iniziava ad inquietarmi.
“Lo vedi, dritto di fronte a te. I capelli perfettamente curati, lo smoking che gli sta da Dio. È seduto al tavolo con le altre donne che gli fanno la corte, ma sembra che lui non abbia occhi per loro. Quindi si alza in piedi, e tu ti avvicini sorridendo. E ti sorride anche lui, perché sa che ora e per sempre, dopo quello che farà, la vostra vita sarà completamente..”
Lo vedo, mi avvicino davvero. Siamo a due passi, sento la sua voce dalla cornetta e dal vivo. È davvero qui, e sono pronta a saltargli addosso. Sia perché è uno schianto, sia perché sono contenta che sia qui.
“Sconvolta.” Concludo con enfasi, abbassando il telefono. Lui lascia il suo sul tavolo, si avvicina ancora di più con garbo e dopo aver colto uno sprizzo di elettricità nei suoi occhi magnetici, mi bacia.
E anche se inizialmente sono un po’ bloccata dalla situazione, poi mi dico: “ Ma che cavolo, sì!” e mi aggrappo al suo collo. Non sapevo di desiderare le sue labbra così tanto, se non in quel momento. Non mi interessa del fatto che siamo in pubblico, che si tratta del mio migliore amico,che è qui senza biglietto d’entrata, che gli altri mi staranno guardando malissimo.
Adesso siamo io, lui e Michael Bublè che canta in sottofondo “Save the last dance for me”. Sapeva benissimo che non ero in grado di ballare, ma quello capace era lui, per cui mi lasciai trasportare.
Se voleva conquistarmi, diavolo quello era il modo perfetto di farlo.
E lo aveva fatto.

 
  
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