Quel pomeriggio invernale di diversi anni fa ero a casa con mia madre, avevo sette anni.
Erano le 17.00 circa quando la neve cominciò a cadere sopra i tetti della mia città.
Lei mi chiamò per dirmi di guardare fuori dalla finestra, così corsi a prendere la macchina fotografica per immortalare il momento.
In pochi attimi tutta la via era diventata bianca ed era calato il silenzio.
Mi avvicinai al vetro chiuso della finestra per scattare una foto quando notai che, nel riflesso, il bianco stava mutando colore.
Aprii e mi affacciai. 
Lo spiazzo sottostante alla finestra di camera mia si stava tingendo di porpora.
Spostai lo sguardo e vidi tre cadaveri al centro di esso; uno giaceva su un fianco col volto completamente sfigurato, uno in posiziona prona e il terzo supino.
Contemplando quello spettacolo macabro, sentii mia madre urlare dalla sua stanza e mi fiondai nella camera accanto alla mia.
La finestra del balcone era spalancata e sbatteva con forza mossa dal vento, lei era in piedi sul terrazzo, era sconvolta mentre fissava incredula i cinque corpi senza vita sparpagliati pochi metri più sotto.
Le teste erano state recise e accatastate in un angolo mentre spruzzi di sangue macchiavano il bianco immacolato.
Un leggero canto triste giunse alle nostre orecchie da destra e dalla scalinata di fronte al mio palazzo iniziarono a scendere centinaia di persone in stato catatonico, li seguii con gli occhi notando che fra loro spiccava la figura di mio padre. Sentii mia madre alle mie spalle trarre un sospiro di sollievo alla sua vista ripetendo che lui era finalmente salvo.
Non capivo.
Mentre la processione riempiva la strada sottostante, la neve cominciò a sciogliersi creando un lago attorno alla nostra casa che lavò via ogni goccia di sangue.
Tornò il silenzio.