Nota: Storia scritta per
il Gioco Creativo “A ritmo di musica” facente parte della Severus House Cup del
Forum “Il Calderone di Severus”.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi
presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K.
Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, i luoghi non
inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia
proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per
pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa
storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna
violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota: questa è la
prima di tre storie che si susseguono, ma che sono leggibili separatamente.
La canzone da cui trae ispirazione
questa storia è Il
Maestro di violino di Domenico Modugno.
Il testo è ovviamente in italiano e
potete trovarlo tutto quanto inframmezzato alla storia.
Aprire gli occhi all’amore
«Se
te ne stai sempre solo chiuso nei Sotterranei, come puoi pretendere di tornare
a vivere, o meglio, di iniziare a farlo?»
Quelle
erano state le premesse da cui tutto aveva avuto inizio, da lì la sua vita era
stata completamente stravolta.
Minerva
McGonagall lo aveva reso pazzo, e ignorante di una risposta che lo assillava da
giorni ormai: perché stava provando quelle sensazioni?
Si
era presentata nel suo ufficio urlando e gli aveva chiesto di aiutare quell’irritante Grifondoro – come la
definiva lui stesso – a recuperare nella sua materia visto che durante la
guerra non era di certo stata in grado studiare, per poter proseguire al meglio
i suoi studi.
Le
aveva chiesto lui che cosa c’entrasse, e le aveva risposto che avrebbe dovuto
occuparsene il Ministero visto che aveva avuto la brillante idea di “regalare”
i M.A.G.O al Trio salvatore del Mondo
Magico.
Non
era stato abbastanza un martire in tutti quegli anni?
Doveva
anche dare lezioni private a quella ragazzina?
No!
Non avrebbe mai acconsentito ad una cosa simile.
Maestro:
allora è pronta, signorina?
«Scusi
il ritardo.»
Per
Severus Snape non c’era stato per lungo tempo, dal momento in cui si era
ripreso del tutto, fine di giornata peggiore di quando aveva iniziato a far da
balia ad una petulante So Tutto; spesso si era ripetuto che se avesse accettato
l’offerta di tornare ad essere il preside di Hogwarts, nessuno avrebbe potuto ordinargli
e accollargli incombenze che in quel periodo non aveva nessuna intenzione di
portare a termine.
Anzi,
si era detto che sarebbe stato meglio sparire da lì non appena fosse uscito dal
San Mungo, come si era ripromesso di fare quando aveva aperto gli occhi e si
era visto circondato da una quantità di persone non del tutto adatta ad una
stanza d’ospedale.
Troppi
tristi ricordi gli erano ancorati addosso, ma ne aveva anche di felici per
quanto potesse essere strano per uno come lui, e non era ancora pronto a rinunciare
ad essi, e poi non aveva mai saputo negarsi alle richieste delle persone per le
quali provava affetto.
Lo
sapeva fin troppo bene, e aveva pagato con ciò che gli rimaneva dell’anima, per
quello.
«Non
sei in ritardo.»
«Ah
no? Credevo di sì, Ginny mi ha urlato un’ora che mi ha fatto credere…» non
appena capì che la giovane Weasley si era presa gioco di lei, si bloccò di
colpo stringendo con rabbia i libri che aveva tra le mani – del tutto esagerati
persino per lei, anche se ormai era del tutto abituato a vederla così carica di
tomi – e il suo viso assunse un’espressione irritata che ai suoi occhi la
rendeva quasi adorabile.
“Adorabile?
Al San Mungo devono avermi dato qualcosa di strano che sta distruggendo il mio
equilibrio.”
«Il
crescere non ti ha distrutto le poche buone abitudini che hai sempre avuto.»
«Poche?»
adesso sembrava veramente indignata, eppure dopo tutti quegli anni avrebbe
dovuto conoscerla meglio, aveva più che “poche buone abitudini”, ma in fondo
non doveva esser sorpresa, lui era sempre il solito Severus Snape.
Almeno
lo era agli occhi del mondo.
«Ho
accettato di aiutarti per i tuoi studi da Medimaga, non per conversare,
signorina Granger.» Forse il suo autocontrollo non era del tutto perso e il suo
corpo non lo stava tradendo, immobile e rigido come se fosse una statua, non
mostrava nulla di ciò che aveva scoperto agitarlo da parecchio tempo; spesso
rimaneva sveglio la notte figurandosi un qualcosa che non sarebbe mai potuto
diventare reale.
«Ha
accettato di aiutarmi perché è stato costretto dalla professoressa McGonagall»
gli rispose facendo un passo avanti con i libri ancora stretti tra le mani,
mentre gli occhi del mago la fissavano senza alcuna emozione apparente.
«Non
vedo che differenza possa fare la cosa.»
«Per
lei forse nessuna, è in ogni caso una perdita di tempo, ma per me cambia: c’è
differenza tra il volere e l’esser costretti, dovrebbe saperlo. Io lo so.»
«Questo,
cosa significa?»
ALLIEVA:
sì, maestro.
«Siamo
qui per i miei studi da Medimaga, non per conversare, ricorda?» e poggiò i
libri su di un tavolo, mentre cercava di sistemare ciò che le sarebbe servito
quel giorno.
In
quel momento non lo stava guardando, i suoi occhi erano fissi al legno e non
riusciva a scorgere ciò che stava provando, ma aveva intuito che in lei c’era
qualcosa che non andava, la sentiva strana, quasi assente.
«Hermione,
tutto bene?» era la prima volta che pronunciava il suo nome, la prima volta che
lo faceva davanti a lei, perché in quegli ultimi giorni aveva provato più volte
a sussurrarlo nel silenzio della notte.
«Sì,
tutto bene. Possiamo iniziare se vuole» la vide sospirare prima di scorgere
l’ombra di un sorriso sulle sue labbra, ma sapeva che gli stava nascondendo
qualcosa.
MAESTRO:
corregga la posizione dell'archetto, bene così
FA,
LA, MI
RE, MI, FA
«D’accordo.
Lascia tutta la tua roba sul tavolo, oggi non ti servirà. Oggi dovrai fare
affidamento sulle tue conoscenze, ma soprattutto sui tuoi sensi, devi sentire
ciò che ti circonda. Per fare il Medimago è necessario che tu sia rapida nel
capire ciò che succede e nel riconoscere i problemi e cosa ti è necessario.»
Hermione
lo guardò un po’ perplessa, cosa voleva dire che doveva affidarsi ai suoi
sensi? Da giorni era confusa e non riusciva a concentrarsi al meglio, per
questo fece fatica a trovare una risposta, ma sapeva di potersi affidare
completamente a Snape, quei giorni erano stati ognuno una scoperta, ma non le
aveva mai dato motivo di non fidarsi di lui.
«Va
bene. Che cosa devo fare?»
attenzione
al MI
«Vieni
qua.» In un attimo la sua scrivania e un piccolo scrittoio poco distante,
furono ricoperti da varie quantità d’ingredienti e pozioni che la lasciarono
senza parole e in molti casi nemmeno ricordava di aver mai visto: cos’è che
doveva fare con quelli?
Severus
la guardò quasi divertito vedendola smarrita come mai le era capitato di essere
di fronte a qualsiasi materia di studio.
Hermione
si posizionò davanti ai due tavoli, scrutando con attenzione ogni cosa c’era
sopra e pronta a ciò che avrebbe dovuto fare: con lui ogni lezione era stata una
sfida e questo le piaceva, trovava che in quello vi fosse un fascino del tutto
particolare, qualcosa che andava al di là del semplice studio, era un
arricchimento sotto diversi aspetti.
In
un attimo le fu dietro, così rapido che non aveva neppure avvertito i suoi
passi e la sua presenza così vicina, la metteva piuttosto a disagio, ma cercava
di non darlo a vedere e di restare il più possibile tranquilla e inerte, in
attesa.
Sentì
all’improvviso una stoffa scivolarle vicino agli occhi e sentì le mani di Severus
che con assoluta calma gliela legarono dietro la testa, oscurandole ogni
possibile visuale e per un attimo il panico l’assalì, facendola sentire
completamente spaesata, come se fosse stata trasportata in un altro luogo.
«Tocca
questa pianta e dimmi che cos’è» e le mise una strana piantina sulle mani.
«Cosa?
Io…»
«Su,
avanti, fallo e non discutere come tuo solito.»
«Io
non discuto!»
«Sì.
Discuti. E lo fai spesso, anzi, lo hai sempre fatto, ma adesso tocca questa
pianta e dimmi di cosa si tratta.»
Hermione
prese la piantina e se la rigirò tra le mani, ma doveva averla stretta con
troppa forza perché la sentì sbriciolarsi tra le dita e avvertì un grugnito di
disapprovazione provenire da poco lontano.
«Non
così» e le strinse le mani tra le sue. «Devi essere delicata. Percepirla non
disintegrarla.»
ALLIEVA: mi scusi.
«Ehm…
va bene, mi scusi,» ma Hermione faceva fatica persino a respirare, essere
ripresa da Snape era un aspetto al quale non si era mai abituata in tutti
quegli anni e neppure in quei mesi passati a stretto contatto con lui: si
sentiva sempre una ragazzina di undici anni che metteva piede per la prima
volta nell’aula di Pozioni.
Severus
le strinse ancora di più le mani, accompagnandole con delicatezza lungo tutta
la superficie della pianta, facendola soffermare sullo stelo per poi risalire
alle foglie e toccarne infine i fiori.
«Allora,
cos’è?» le chiese in un sussurro troppo vicino al suo viso.
MAESTRO:
SI, FA
SOL, LA, SI
LA, SI, DO, LA, FA
che cosa mi sta succedendo?
Severus
Snape aveva capito che qualcosa in lui non andava da giorni, si sentiva strano,
come se ci fosse un vuoto ad accompagnare le sue giornate, un vuoto che svaniva
solamente quando lei entrava dalla pesante porta di legno con il suo sorriso
che spazzava via l’oscurità di quella stanza e della sua solitudine.
Eppure
era un uomo abituato a sentirsi così deserto che aveva fatto dell’amore per una
donna ormai morta, la sua unica ossessione, la sua unica ancora di salvezza che
lo tenesse a galla nell’ombra in cui era scivolato.
Sapeva
che il suo amore per Lily era nient’altro che un fiore destinato a marcire
sulla terra, ormai si era fatto una ragione di quello e cercava di convivere
con il suo essere inadatto per quei sentimenti.
Invece
adesso qualcosa era diverso, lui stesso si sentiva diverso, ed era colpa di quelle
mani che stava ancora stringendo, di quel profumo che gli inebriava l’anima
stessa e di quella luce che aveva portato con sé quando aveva varcato quella
soglia la prima volta.
una tenerezza che
io non ho provato mai.
Le
dita di Hermione si posavano lente sulla pianta, ma involontariamente
sfioravano la sua pelle, le sue pallide mani che aveva visto ricoperte di
sangue per troppo tempo, avevano stretto troppa sofferenza, ma quel tocco così
gelido e caldo gli parve sciogliere quelle immagini, quel dolore, fu come
vedere una marea rossa ritirarsi metro dopo metro.
Per
un attimo la giovane strega strinse le sue dita, e si sentì mancare il respiro,
si sentì precipitare in un abisso per poi venirne di nuovo fuori senza essere
più solo.
Cos’era
quella sensazione?
Cos’era
quel tocco dolce che non aveva mai sentito, quell’emozione che non aveva mai
provato?
Neppure
Lily lo aveva mai sfiorato in quel modo, ma in fondo era normale, per lei non
era mai stato nulla, un amico forse, un tempo, quel bambino che l’aveva
condotta per mano in un mondo di cui non conosceva assolutamente nulla.
Per
Lily non era stato mai niente, mentre lei era stata tutto per lui.
E
scoprirsi a parlare al passato, di lei, lo faceva sentire strano, una parte di
lui avvertiva che ne fosse felice, mentre la sua essenza più profonda ancora
sanguinava per quell’amore mai vissuto e mai dimenticato che ancora lo
accompagnava nella solitudine della sua vita.
Eppure
in quel momento c’era qualcosa che gli stava urlando di guardare avanti, come
il grido lontano che si perde in una foresta gli colpiva la testa ovattato, ma
risuonava forte dentro di sé.
Gli
sembrava che fosse quel tocco a produrre quel clangore, tenue per la sua mente,
ma forte per la sua anima.
Lo so
che mi sto innamorando
ma non ho il coraggio di confessarlo neanche a me.
Aveva
finalmente capito qual era la natura di quelle emozioni che gli erano nate nel
petto, scoppiate nella sua anima come un’infinità di bolle fumanti provenienti
da un calderone, quel fumo che per giorni aveva velato il suo sguardo verso di
lei, nascosto nella nebbia oscura come un traditore che osserva un oggetto che
gli è proibito osservare.
E
lui si sentiva esattamente in quel modo, si sentiva che ogni cosa gli sarebbe
di nuovo crollata addosso, abbattuta con forza come un’onda d’inverno che
sbatte con violenza sulle coste frastagliate; e lui era uno scoglio che sarebbe
stato distrutto, inghiottito dall’acqua e consumato pian piano per quei
sentimenti che era destino per uno come lui tenersi dentro senza mai poterli
manifestare.
Innamorato
di te, ed ho trent'anni di più.
Il
destino lo aveva di nuovo messo davanti alla possibilità di amare qualcuno,
qualcuno che non poteva amare e che non sarebbe mai stato destinato a lui, perché
la giovane strega che aveva davanti era la persona più inadatta di cui avrebbe
potuto innamorarsi.
Era
troppo giovane per lui, era stata una sua allieva e ancora lo era, anche se non
formalmente, l’aveva vista crescere, piangere e combattere, l’aveva persino
derisa per il suo aspetto, e adesso se ne era innamorato?
No,
non poteva essere, stava completamente sbagliando strada da percorrere.
Lui
era l’uomo che ancora riceveva sguardi d’odio nonostante la verità fosse
fuoriuscita come l’acqua di un bicchiere troppo colmo, era l’uomo che aveva
ucciso Dumbledore, servito il male, era colui che sarebbe dovuto morire sul
pavimento polveroso della Stamberga.
Lei
era tutto il suo contrario, era l’opposto della sua ombra.
«Hai
deciso di dirmi qualcosa, o stiamo qui fino a domani?»
«Mm…
questa pianta potrebbe essere un milione di piante. Ce ne sono tante ad avere
le foglie grosse e i fiori piccoli. Un Medimago dovrebbe guardarli i suoi
pazienti e gli ingredienti che gli sono necessari.»
«Perché
devi sempre discutere.»
«Io
non…»
«Sei
tu che sei venuta a chiedermi aiuto, non il contrario, quindi mi aspetto che tu
faccia ciò che ti dico.»
«Chiederti?
Praticamente mi hai costretto ad implorarti!» Hermione scostò con forza le mani
del mago da sé e in un attimo si tolse la benda che le oscurava la vista per
fronteggiarlo con determinazione. «Se non te lo avesse “chiesto” la
professoressa McGonagall, mi avresti scacciata come una mosca fastidiosa, o
peggio, avresti continuato ad ignorarmi!»
Tu, perché, guardi me? Hai capito già.
Gli
occhi della strega erano fissi ai suoi, con una strana luce dentro, e nel
guardarla provò un’insolita sensazione, un brivido che gli percorse tutto il
corpo per poi condensarsi in un unico punto nel suo petto, quel luogo che stava
cercando di mantenere calmo mentre il suo equilibrio veniva sempre meno.
Perché
lo stava guardando in quel modo?
Si
ritrovò a pensare che lei non lo aveva mai guardato con odio, neppure per un
secondo, e le aveva sempre visto lo stesso sguardo che riservava agli altri,
mentre adesso…
«Non
ti ho concesso il permesso di darmi del tu, signorina Granger.»
Io vorrei dirti che, forse tu lo sai.
Forse
c’era qualche possibilità che non comprendeva: che fosse riuscita a capire i
suoi sentimenti per lei e adesso lo guardava in quel modo? Non c’era, però
disgusto in lei, non sentiva nulla di negativo, percepiva soltanto incertezza e
curiosità nella giovane strega.
Iniziò
a muovere lentamente qualche passo nella stanza mentre lei continuava ad
osservarlo, ad osservare il suo viso, il suo corpo che stava cercando in tutti
i modi di mantenere stabile, anche se non era facile con i suoi occhi addosso.
Un bene segreto e profondo.
Una cosa dolce che io nascondo dentro me.
L'amore più grande del mondo nato troppo tardi ormai per un uomo come me.
E
avrebbe voluto che gli penetrasse l’anima, che gli stringesse tra le dita quel
suo cuore avvizzito perché in quel modo avrebbe capito ogni cosa e sarebbe
stato più facile.
Sarebbe
stato tutto più semplice se lei non fosse entrata nella sua vita in quel modo,
ma era troppo tardi ormai, troppo tardi per porvi rimedio, troppo tardi per
aprire gli occhi ad un amore che sarebbe rimasto un dono segreto nel suo cuore,
nel suo io più profondo.
Troppo
tardi per gettarlo via.
E
lei era lì, davanti ai suoi occhi, davanti e dentro la sua anima e sarebbe
stato difficile mandarla via da quel luogo, cacciare via quei sentimenti nati
per caso nel silenzio della sua solitudine e sbocciati all’improvviso, senza
che avesse potuto fermarli.
Perché
si sa che l’amore ti colpisce come un vento e ti lascia spoglio di tutto, e a
lui era rimasto nient’altro che ciò che restava della sua anima, ed era troppo
tardi per donare qualsiasi cosa di sé ad un’altra persona.
Innamorato di te, ed ho trent'anni di più.
«No.
Non me l’hai dato, ma me lo sono
presa da sola perché tu sei
impossibile e rendi impossibile ogni
cosa!»
«Nessuno
ti ha mai insegnato che ogni tanto l’opera più misericordiosa che puoi compiere
è stare in silenzio?»
«Sì,
avevo un insegnante che ha provato ad insegnarmelo, ma evidentemente non era
così bravo perché non mi è mai entrato in testa.»
«Forse
eri tu a non essere brava ad apprendere, non il tuo insegnante che dovrebbe
essere sicuramente un martire per aver sopportato per anni il tuo parlare.»
Hermione
Granger scoppiò a ridere, mentre il mago la studiava con espressione piuttosto
contrariata.
«Gli
manderò una pianta per scusarmi. Forse proprio questa,» e alzò il braccio per
guardare meglio la piantina che ancora teneva stretta tra le dita, «che tra l’altro
è Alchemilla e le sue proprietà
cicatrizzanti sono utili per guarire le ferite della pelle,» e la sfiorò con
tocco delicato e per un attimo Severus immaginò che quelle che stava carezzando
fossero le sue dita, o la sua, di pelle. «Forse, però, prima dovrei regalargli
una pianta carnivora che gliele procuri quelle ferite sulla pelle. O un
animaletto irascibile.»
La
giovane strega iniziò a ridere di nuovo e le labbra di uno Snape decisamente
seccato, divennero levigate nel marmo, ma questo non la scoraggiò minimamente
nel continuare a beffarsi di lui.
In
quel momento l’avrebbe Schiantata volentieri, così per un po’ non avrebbe
sentito la sua voce e non gli sarebbe cresciuta l’irritazione.
Poi,
però, si rese conto che non voleva ascoltare nient’altro che quella voce, non voleva vedere
nient’altro che lei.
Perché
Severus Snape si era veramente innamorato della giovane strega.
Bene allora ci vediamo dopodomani signorina.
«Credo
che per oggi sia meglio se finiamo qui e ci vediamo alla prossima lezione.»
Hermione
smise di ridere e rimase per un attimo immobile, non riuscendo più a sostenere
il suo sguardo per un motivo che non le era chiaro – oppure sì? –, iniziò a far
vagare lo sguardo nella stanza, soffermandosi su tutto ciò che conteneva, sul
mondo di Severus Snape custodito da quelle pareti; e osservarlo con attenzione
era come scrutare lui, scrutare nel suo profondo anche se sapeva bene che era
del tutto difficile farlo.
ALLIEVA: no, maestro.
«Non
credo che alla prossima lezione ci vedremo.»
Severus
si mise seduto alla sua scrivania da dove aveva fatto sparire tutto quello che
avrebbe dovuto servirgli per la lezione se solo quell’esasperante strega non
avesse puntualizzato ogni sua singola parola o azione.
A
volte sapeva essere davvero irritante, ma doveva ammettere persino a se stesso
che in quei mesi la sua compagnia gli era piaciuta parecchio, era intelligente,
sveglia, sempre pronta a mettersi in gioco e per lui era stata un’assoluta prova
avere a che fare con lei, ma quella collaborazione nata quasi per caso, era
stata molto stimolante persino per lui.
MAESTRO:
giovedì, allora?
«D’accordo,
se hai degli impegni, possiamo rimandare.»
Era
diventato difficile rinunciare anche solo ad una di quelle lezioni in cui lui
aveva imparato molte più cose di quelle che aveva insegnato alla strega; aveva
imparato a scacciare la solitudine, a disgregare l’oscurità nella sua anima.
Aveva imparato a vivere di nuovo.
ALLIEVA:
no, maestro, non verrò più.
«No,
non hai… non ha capito. Non ci vedremo più né alla prossima lezione né alle
altre. Abbiamo finito qui, lei non sarà più il mio insegnante ed io non sarò
più la sua perdita di tempo.»
E
quello, cosa significava?
Perché
adesso quelle parole?
Aveva
davvero capito i suoi sentimenti verso di lei e adesso non aveva più intenzione
di vederlo e di passare del tempo in una stanza sola con lui?
Avrebbe
dovuto immaginarsi che avrebbe potuto reagire in quel modo, era stato uno
stupido anche solo a sognare una realtà simile, in fondo i suoi sogni erano
sempre stati dei vetri in frantumi.
MAESTRO:
e perché? Ha deciso di non continuare a studiare?
«Io
non ho mai detto che sei una perdita di tempo, ma se hai deciso che le tue
conoscenze nella mia materia sono sufficienti, allora non ho obbiezioni, sono i
tuoi studi, non i miei.»
Hermione
raccolse le sue cose sistemando i libri in una pila che avrebbe trasportato più
facilmente; anche se le sarebbe bastato un semplice incantesimo per far
levitare ogni tomo, a lei piaceva la sensazione del peso sulle braccia, la
faceva sentire più vicina a ciò che era scritto dentro, al mondo che
custodivano, in quel modo ne sentiva tutta la forza dentro di sé.
ALLIEVA:
no, maestro.
«Non
ho deciso che la mia sete di
conoscenza in Pozioni è placata. Ho solo capito che ormai non è più il caso che
io continui a venire qua. In queste stanze. Da lei.»
Severus
inclinò appena la testa da un lato, vide un’espressione di interesse per quelle
parole, anche se il suo volto era così difficile da decifrare.
MAESTRO:
ma perché allora?
«Non
capisco.»
La
giovane strega sospirò e per un attimo poggiò nuovamente i suoi libri sul
piccolo scrittoio e si avvicinò a Severus che seduto la scrutava con
attenzione, sentiva il suo sguardo bucarle l’anima.
In
fondo cosa sarebbe successo se gli avesse detto la pura e semplice verità?
L’avrebbe
scacciata da lì com’era chiaro che avrebbe sempre voluto fare, ma almeno si
sarebbe tolta quel macigno che le premeva sul cuore non permettendole di
respirare.
ALLIEVA:
perché…
«Non
deve capire. È meglio così per tutti.»
«Per
me non lo è ed io voglio capire.» Severus si alzò di scatto dalla poltrona
facendola cadere a terra mentre Hermione sobbalzava per quel rumore improvviso,
ma ormai era lì, e avrebbe dovuto trovare il coraggio di dire quelle poche
semplici parole.
Avrebbe
dovuto farlo.
«Severus
Snape. Io sono innamorata di lei» e lo fece. «Io sono innamorata di te.»
Severus
Snape rimase pietrificato a quelle parole che credeva provenissero da un sogno,
da quel sonno che, pesante, lo aveva abbracciato la sera prima, cullato dalla voce
di Hermione.
Rimase
immobile, ma le sue labbra si piegarono e la sua bocca disegnò uno splendido e
luminoso sorriso, un sorriso che, forse, non aveva mai creato nella sua vita, non
per quel motivo e lo fece perché quell’amore che lui provava non era destinato
a vivere nel buio del suo cuore, non più ormai.
Severus
Snape sorrise, ma rimase immobile, profano di ciò che avrebbe dovuto fare.
sono innamorata di lei.