Sono
un carcerato.
Sono nel corpo di un carcerato ed ho un coltello in
mano.
Cammino accanto alla ringhiera che delimita il carcere; al
di là c'è una foresta di alberi caducifoglie ed
è fitta, tanto che
non si riesce a vedere oltre alla coltre di foglie.
Il sole emana
una forte luce, quasi accecante, ed io cammino all'ombra del manto
verde.
Idilliaco.
Credo sia estate, perché fa molto caldo e la
natura è rigogliosa, ma mi spaventa; troppo silenzio. Non
capisco se
questo sia l'inferno o il paradiso.
Sono malinconico.
Non
ricordo cosa ho fatto per finire qui, ma mi pento.
Voglio
andarmene.
Smetto di camminare, mi fermo e dietro di me appare un
altro uomo in tuta arancione.
Anche lui ha un coltello.
Il mio
sguardo torna nella sua precedente posizione e nel suo viaggio trova
una donna.
È una donna in bianco e nero, come nelle vecchie
televisioni.
Veste con una gonna a quadri che le arriva al
ginocchio, di quelle a ruota; la giacca è abbinata a essa.
I
suoi capelli sono ondulati e le arrivano a metà del collo,
mentre un
ciuffo è portato delicatamente all'indietro e tenuto da una
forcina.
Mi guarda e poi parla.
«Mio figlio sta male,
lui sta male. Fate qualcosa» dice, ma senza lasciar trapelare
sentimenti. È fredda.
Due bambini stanno giocando sotto il sole,
forse hanno la stessa età. Forse sono fratelli.
Uno dei due si
avvicina a noi; sembra più... innocente.
«Aiutatelo»
Il
secondo uomo alza il coltello e si incammina verso il bambino.
«No.
Fermo, non lo fare» adesso posso sentire tristezza nella mia
voce.
Agita il coltello, ma non riesco a vedere. Sento delle
urla.
La madre guarda. Come può assistere ad una cosa del
genere?
Adesso ricordo del coltello che ho in mano.
Corro.
Ormai
sono a pochi centimetri dall'uomo.
La lama affonda nella carne
morbida del collo ed il sangue schizza ovunque, esce a fiotti.
Ormai
una pozza rossa ed una figura stesa a terra rovinano il paesaggio,
che è stato perfetto fino a quel momento.
I miei occhi sono
accecati dalla rabbia e non sono riuscito a vedere.
Il bambino è
ancora vivo e macchiato di sangue. Il suo sangue.
La punta di
indice e pollice è stata tagliata e le lacrime gli rigano le
guance.
Il secondo bambino è sotto il sole, steso in una pozza di
sangue.
Il suo morbido e fragile collo è ormai
massacrato.
«Grazie, adesso mio figlio è guarito» la
madre mi
guarda e per la prima volta sorride, prima di svanire nel
nulla.
«Cosa ho fatto?» il bambino da voce al mio
pensiero, come
se potesse leggermi dentro.
Mi guardo le mani.
La punta di
indice e pollice è stata tagliata.