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Autore: tableforone    06/03/2014    6 recensioni
Le mani arroganti come solo chi sa di avere il controllo può essere.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Bisogna amarsi,
e poi…
bisogna dirselo,
e poi…
bisogna scriverselo,
e poi…
bisogna baciarsi sulla bocca,
sugli occhi… ovunque…
 
Victor Hugo
 
 
Allungo leggermente le gambe intorpidite, cercando di riacquistare circolazione, e mollo la penna sul tavolo mentre faccio rotare il polso dolorante. Mai più portarsi il lavoro a casa. No, mai più. Quando, circa un’ora fa, sono uscita dal distretto, ho pensato che finire il rapporto a casa non fosse un’idea malvagia, così lunedì non lo avrei trovato ad aspettarmi e non mi avrebbe fatto cominciare malissimo la settimana.
 
Ma no, no, assolutamente no. Scrivere a casa, il sabato pomeriggio, mentre il Sole ti sbatte in faccia la sua luce e la realtà, è un altissimo spreco di tempo. Ho pensato anche bene di non cambiarmi: ho tolto i tacchi, ma ho ancora addosso la camicetta bianca che hai fissato tutto il giorno.
 
Che stupido, Rick. Pur di avermi intorno ti sei infilato in casa mia, starò buono mi hai detto, mi hai abbracciato ridendo quando ti ho fatto entrare, mi hai quasi sollevato e in quel momento mi hai fatto sentire la persona più generosa dell’universo. E adesso stai seduto davanti a questo tavolo, mi volti le spalle e credo tu stia leggendo qualcosa. Sei pazzo, completamente pazzo. Tutto questo solo perché “stamattina non sei venuto al distretto e non mi hai visto e ti mancavo”. Sposto lo sguardo alle mie carte e noto che mi mancano sono alcune frasi. Riprendo la penna e riabbasso la testa.
 
Sto firmando, quando noto che ti muovi, porti le braccia dietro la testa dopo aver appoggiato il libro sul tavolino e rimani lì, a mostrarmi la pelle che la maglietta a maniche corte non riesce a nascondere. I muscoli sono segnati adesso, perfettamente definiti e staccati gli uni dagli altri, ognuno finisce nel punto preciso dove comincia quello successivo. Sorrido e, senza rendermene conto, allungo la mano e ti sfioro il collo con due dita.
 
“Kate…?”, ti sento tremare leggermente mentre pronunci il mio nome e, non so, non riesco a togliermi. Tremo anche io, all’altezza dei polmoni, mentre ricordo la prima volta in cui mi sono accorta di quanto mi stessi bene sotto le mani. Era la prima notte che condividevano un letto, ti reggevi su di me e mi guardavi come se lo avessimo sempre fatto, come se ci fossimo sempre guardati negli occhi nudi e spogli di tutto. Ti sostenevi sulle braccia e ti costava fatica, notavo che tremavano per lo sforzo, ma non ti lasciavi andare. I muscoli erano tesi e, quando ho portato le mani sulle spalle e ho stretto, una scarica di adrenalina mi è passata lungo la schiena alla sensazione della carne dura che resisteva alla pressione delle mie dita.
 
“Shh. Ti sto guardando”, ti rispondo. Sono sicura che tu abbia sentito nella voce la presenza di questo stupido sorriso che non riesco a togliermi dalla faccia. E mi sento ridicola, perché sono assolutamente inerme davanti a questa voglia che non riesco a frenare. E non è voglia di fare l’amore (anche se poi sarà inevitabile). Non lo è. È una voglia più semplice, più innocente, senza pretese.
 
È voglia di pelle, di contatto, di toccare e non ritrarsi.
 
Lasci ricadere un braccio, mentre tieni in alto quello che sto sfiorando; le tue dita accarezzano le mie mentre continuo verso il bicipite, fin quando non riesci più a raggiungerle. È assurdo come il tuo corpo risponda subito a me. Quasi inconcepibile quanto la tua reazione sia immediata. Basta che ti passi davanti per avere i tuoi occhi e che ti stringa il polso per avere la tua completa attenzione.
 
So che a volte è intenzionale. E me ne accorgo da come non mi lasci andare un attimo, da come continui insistentemente a osservarmi, finché non ti arrendi e vieni a baciarmi. E, Dio, come mi baci quelle volte… mi sembra quasi di sentire tutto il tuo corpo in bocca.
 
Ma queste piccole reazioni, questi brividi quasi impossibili da notare, non sono voluti. E mi fanno impazzire, Rick. Perdere la testa.
 
Mi alzo e lasci cadere anche il secondo braccio, mentre io resto in piedi, dietro di te. Mi sposto i capelli sulla spalla destra e ti accarezzo lungo la mascella, fino al mento. Non so cosa tu mi stia facendo, e credo di averlo appena detto ad alta voce perché improvvisamente alzi la testa e mi sorridi guardandomi dal basso, con quegli occhi azzurri che neanche un bambino. Mi piego su di te e sento ancora il tuo sorriso quando le mie labbra entrano in contatto con le tue.
 
La bocca, la pelle, il tessuto tra le dita, tu che non forzi e tu che assecondi, tu che ascolti, tu che aspetti.
 
“Mi sento esagerata”, ti rivelo quando mi rimetto dritta. Torni a guardare avanti e non ho il tempo di continuare che la tua voce sovrasta la mia.
 
“Forse intendi esageratamente bell-”.
 
“No. Intendo esattamente quello che ho detto. Esagerata. Infinita. Mi sento immensa”. Resti in silenzio, fermo immobile, so che stai aspettando, mentre ti tolgo le mani dalle spalle e mi allontano leggermente. “Ancora mi stupisco di quanta attenzione presti alle mie parole ogni volta. Sei sempre così logorroico che ogni volta che mi dedichi il silenzio mi manca il fiato. Mi stai dando più importanza di quanto tu creda ed è per questo che mi fai sentire esagerata”.
 
Credo che tu non abbia sentito il frusciare della camicia mentre mi scende lungo le braccia, e nemmeno il reggiseno che si apre e mi lascia a petto nudo dietro di te. Ma te ne sei accorto adesso: adesso che ti ho appoggiato la mano destra sugli occhi, facendoteli chiudere, e ti ho fatto appoggiare la testa sul seno. Stai sorridendo.
 
“Che fai?”, mi chiedi, quando sfioro il collo della maglia con le dita dell’altra mano, e il tuo tono è di nuovo serio, leggermente eccitato.
 
“Esattamente questa, è tutta la forza che ho su di te, quella che tu mi concedi di avere. Questa specie di strano legame che ci obbliga ad avvicinarci per ogni più stupido dettaglio e ci impedisce di staccarci. E una volta che quel particolare è notato, non c’è assolutamente modo di tornare indietro. Una volta che ha avuto la nostra attenzione, si crea una successione di altre piccole, piccolissime voglie che, per quanto piccole, non possono essere ignorate”.
 
La mia mano si spinge sotto il tessuto bordeaux della maglia e adesso ho i brividi e adesso tu hai i brividi. Schiudi la bocca alla sensazione delle dita gelide sulla pelle calda. Sento la pelle d’oca sotto i polpastrelli e il petto alzarsi e abbassarsi velocemente mentre mi godo il tuo calore sotto il palmo. Sospiri e mi sembra quasi di non aver mai condiviso qualcosa di più intimo.
 
“Tremo anch’io, Rick. Sento l’aria fredda lungo la schiena, e sento il Sole, sulle braccia, e sento la testa che mi grida di smetterla e le mani che si oppongono, arroganti come solo chi sa di avere il controllo può essere”. Calco con forza quello che mi è appena uscito dalle labbra, stingendoti ancora più addosso e spingendo la mano sinistra lungo il petto finché sento il tessuto ruvido dei jeans sopra le dita.
 
E tutta l’attenzione e tutta l’incertezza che prima avevo nel parlare e nel toccarti sembrano improvvisamente sparite. Ti sento sospirare a voce alta e adoro quando lo fai. Ma non esagero, non oso troppo, ritiro la mano e ti libero gli occhi.
 
E poi invece non è vero niente, perché torno a toccarti, sopra il tessuto, solo per arrivare al bordo della maglia e stingerlo fra le dita. La testa preme contro il seno quando mi piego in avanti, per poi tornare leggera quanto mi rialzo sfilandoti la maglietta.
 
Mh. Devo ricordarmi di fregartela.
 
Farò come tutte le altre volte. Una mattina mi alzerò, cercherò qualcosa per andare in cucina e, quando mi accorgerò di lei, me la infilerò. Mi dirai Sta meglio a te quando ti porterò il caffè, farai l’amore con me senza togliermela e poi mi odierai perché “Kaaate, non ho più maglie da mettere”.
 
La premo contro il petto in modo da coprirmi e aggiro la sedia. Mi guardi attento, le mani sulle tue stesse cosce, mentre rimango in piedi davanti a te. Allento volontariamente la presa e lascio cadere le braccia lungo i fianchi. Abbassi lo sguardo solo qualche istante e poi lo rialzi verso il viso, e non perché ti senti obbligato o perché non vuoi mettermi in imbarazzo: è come se mi stessi dicendo “sì, il tuo corpo è bello, ma voglio gli occhi”.
 
E quindi
 
Guardiamoci.
 
Siamo qui, siamo schietti, siamo nudi, siamo aperti agli occhi, siamo vivi. Abbiamo perso la voglia di essere timidi e adesso ci accontentiamo di essere sfacciati. Siamo con qualche cicatrice di troppo e qualche possibilità in meno, siamo a cuore aperto e a bocca chiusa. E siamo stupidi, siamo imperfetti, siamo testardi, siamo inadatti, siamo rotti. Siamo impossibili e insopportabili. E, forse, oserei dire perfetti. E forse invece non oserei per niente. Siamo sufficienti a noi e mai sufficienti al mondo, siamo-
 
Siamo solo due amanti a New York.
Con le magliette a terra.

Di fronte a una finestra aperta.
  
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