Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |       
Autore: roro    27/06/2008    15 recensioni
«Kagome-chan? Ehi, Kagome? Guarda che è ora di andare».
«Mh?».
«Svegliati, dai. C’è InuYasha fuori dalla finestra!».
Spalancò gli occhi, si mise a sedere e per poco non cacciò un urlo – ah, sì, non che si aspettasse davvero di vedere InuYasha, eh. Era solo – niente di importante. Scosse il capo e guardò Sango. «Perché mi hai aspettata? Potevi andare. Non c’era bisogno di restare qui».
«Oh, invece sì. Era l'unica soluzione», sospirò l’altra, «non voglio che tu cada in un tombino perché impegnata a leggere quelle sciocche leggende. Sì, so che le ami visceralmente, ma riconoscerai anche tu che sono leggermente stupide. E una sacerdotessa non dovrebbe prendere tanto in considerazione certe storielle».

[Storia in revisione]
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Because of you.
[Prologo]


(Piccola, infima nota di inizio testo. Tanto per.
Questa storia, benché scritta male - a mio parere, se voi lettori la apprezzate mi fa piacere XD -, ha avuto l'onore di finire tra le Storie Scelte del sito.
Ora, mi sono trovata nell'imbarazzante situazione di, come dire? Insomma, la storia non è granché però c'è finita.
Mi sentivo un po' in obbligo, e ho pensato di rivederla. Almeno un pochino ino ino. <3
Ciò significa che questo testo è in revisione, e che ci resterà finché non terminerò il mio lavoro. Bon, grazie mille a tutti voi. U____U
Vi voglio bene, carissimi.)






«L’hanyou correva veloce per la foresta, inebriato dal profumo del vento – era un aroma dolce, delicato. L’hanyou lo inspirò con gusto.
Sorrise, fermandosi a guardare un albero secolare della foresta: era un ciliegio, antico, ben saldo nel terreno. Una pianta maestosa, bella a vedersi.
A un tratto, una cadenza di passi familiare attirò la sua attenzione. Lei, era lei! Era lei!
Si voltò di scatto, un sorriso sghembo sulla faccia, il suo nome sulle labbra; allungò una mano nella direzione della donna, invitandola ad avvicinarsi, e mormorò qualcosa sovrappensiero. Era lei, lei!

“Ehi”, la richiamò. “Cosa – l’arco?”.
La freccia saettò nell’aria prima che l’hanyou potesse controbattere – un istante, e il corpo del giovane sbatté con forza contro il tronco dell’albero, e ivi restò imprigionato.
“Kikyo”, fu il suo ultimo mormorio. Poi più nulla, era finita».




Kagome si zittì, alzando gli occhi dal libro e osservando di sottecchi la professoressa, una donna sulla quarantina, con vividi occhi celesti semichiusi e lunghi capelli castani tenuti fermi in un rigido e professionale chignon.
Era una donna frivola, quella, e priva del senso dell’umorismo. Una donna fastidiosa e poco propensa ad accettare gli scherzi, che per anni aveva cercato di sfondare come attrice e che s’era ritrovata abbandonata in un angolo, sola.
«Grazie, Higurashi», le disse. «Sei stata impeccabile, te lo concedo. Un buon lavoro, si nota il tuo affetto per quello stupido testo e il tuo sciocco attaccamento per quelle parole; lo si nota davvero».
Kagome annuì secca, gettando poi un’occhiata nervosa alla classe – meglio far silenzio, meglio.
Meglio non far notare alla professoressa che quel testo non era stupido, che quelle parole non erano sciocche, che amare quella leggenda non era ridicolo. Anzi, tutt’altro.
Ma era meglio tacere, oh sì. Meglio far finta di nulla.
«Decisamente brava, non capisco perché ti rifiuti di partecipare al corso di teatro».
Forse perché di non le interessava far parte di un gruppo di deficienti.
«La ringrazio», biascicò. «Posso tornare a posto, vero? Grazie».
Qualcuno azzardò un’occhiata compassionevole nella sua direzione, come a prenderla in giro, e qualcun altro le ridacchiò dietro. Nulla di straordinario, in effetti, dato che in ogni classe del mondo esistono deficienti simili.
E comunque, a lei non interessavano i commenti estranei. No di certo.
Si lasciò ricadere sulla sua sedia, socchiuse gli occhi e si impose di non ascoltare – il nuovo lettore non doveva aver studiato, oh no, perché balbettava incerto due parole su tre.
«Kagome-chan, mi presti una matita?».
«Eh? Sì, certo». Sorrise, incerta, poi allungò l’astuccio a Eri, la sua compagna di banco. Era simpatica, Eri, e anche piuttosto graziosa, e poi non la criticava mai per i suoi gusti anticonvenzionali.
Il fatto di amare visceralmente un libro per bambini non era poi così umiliante. O almeno, non avrebbe dovuto essere così umiliante.
“Leggende del regno di Goshinboku” era un libricino di trecentoventisette pagine, rilegato con cura, poco costoso ma molto interessante.
Parlava di hanyou, di youkai, di ningen e, beh, dei rapporti tra le diverse specie – descriveva i modi, barbari e inaccettabili, con cui gli hanyou erano torturati dalle loro stesse famiglie, e i loro assassinii.
C’erano tante storie, in quel libro, e molte di esse risultavano piacevoli, amabili; c’erano tante storie, in quel libro, e molte di queste turbavano il cuore del lettore, lo spaventavano.
Kagome ne amava una in particolare, ed era forse la più drammatica dell’intero volume.
InuYasha era il secondogenito dell’ultimo re del regno di Goshinboku, un hanyou dai capelli d’argento e gli occhi d’oro – lo si descriveva bello, spaventosamente avvenente, ironico, e si narrava che questi si fosse invaghito di una sacerdotessa umana, Kikyo.
Ma era un hanyou, lui, e poco importava che fosse l’erede di quel regno selvaggio e ormai disabitato: sarebbe morto, e sarebbe stata Kikyo ad eliminarlo.
Era la leggenda più triste, quella, e la più spaventosa, ma Kagome la adorava – sobbalzò, immaginando la scena. Sobbalzò quando vide le mani di Kikyo, di quella finta di Kikyo, stringere con forza l’arco e puntarlo contro il suo amato, e raggelò ancora quando l’InuYasha dei suoi sogni sbarrò gli occhi e si trovò conficcato all’albero.
«Ahi».
Oh. Uhm, un bigliettino.
Si guardò intorno, indecisa, e poi lo aprì di scatto. Era di Sango, ovvio – era di Sango e la incitava a far finta di nulla. Era di Sango, di quella Sango che era la sua migliore amica e le voleva un bene dell’anima, di quella Sango tanto dolce e simpatica.
Si voltò appena, sorridendo, e mimò un: «Grazie».
L’altra le fece appena un cenno del capo, poi si alzò. «Sì, professoressa, certo – leggo io, ovvio. Mi dia il tempo di raggiungere la cattedra».
Oh. Ah, era il suo turno di leggere.



Era stanca. Stanca.
E le doleva la testa. E aveva sonno. E la professoressa continuava a parlare e parlare e straparlare, come se fosse interessante.
Per la cronaca, le fischiavano anche le orecchie – perché sì, Eri era simpaticissima, ma leggeva da schifo. E che diamine, poi!
«Professoressa», rantolò, «mi gira la testa».
«Ah», commentò la donna, guardandola. Boccheggiò qualche istante, come se stesse cercando una risposta abbastanza soddisfacente, e poi le fece cenno di uscire. «Non voglio malati, qui».
Kagome non aveva nulla da obiettare. «Posso andare, uhm, a risposare, quindi?».
Non che non le facesse piacere. No davvero.
Poteva portarsi le Leggende dietro, e leggere. O sonnecchiare un po’ e pensare ad InuYasha, e concedere del meritato riposo ai suoi neuroni, stanchi e spossati.
«Certo», la professoressa alzò le spalle, «come no. Mica sto spiegando qualcosa di importante, oh no, certo che puoi andare!». Si portò teatralmente una mano sulla fronte e sollevò gli occhi verso il cielo. «Non mi si spezzerà il cuore, Higurashi, no davvero, va’».
«…grazie», azzardò Kagome, alzandosi. «Dopo chiederò gli appunti a Sango, glielo prometto».
La donna non disse nient’altro.



«Buongiorno, sono qui perché mi fa male la testa. La prof ha detto che posso restare».
«Ah».
L’infermiera era il classico tipo da le-ragazzine-più-giovani-di-me-mi-irritano.
Una bionda ossigenata con due occhi azzurri e una faccina piccola e coccolosa, di quelle che ti sembrano carine sì, ma solo per i primi cinque minuti, perché in breve di rivelano troie bastarde.
Non le chiese cosa avesse e non le propose alcun medicinale, ma si limitò ad indicarle un lettino vuoto e biascicare: «Fatti una dormitina, cara». Il fatto che l’affermazione ricordasse tanto una minaccia era preoccupante, in effetti.
«D’accordo». Kagome alzò le spalle e sollevò la coperta. «Resterò qui sino alla fine delle lezioni, credo. Potrebbe svegliarmi?».
L’infermiera la guardò appena. «Sì, certo. Proverò a ricordarmi che una piccola allieva riposa nel terzo lettino della fila a destra, certo. Ma tu riposa, piccola allieva; ah, cerca di non russare. Nel caso, mettiti a fare altro, preferirei non essere disturbata».
Bene, di male in peggio – Kagome tirò fuori dallo zaino il libro e lo depose sul comodino, indecisa sa aprirlo, e concedersi una meritata rilettura del testo, o provare a riposare.
Beh, provando a riposare rischiava di restare bloccata in infermeria.
…e non era piacevole, no davvero. Quindi aprì il tomo e se lo sistemò sulle gambe, osservando deliziata le illustrazioni: erano fatte bene, curate nei minimi particolari, ispirate a ritratti reali del sovrano e dei suoi figli.
Poteva andare a pagina due, e guardare il disegno di InuYasha da bambino.
Era un quadretto così carino, quello, che Kagome finiva sempre coll’osservarlo deliziata – un bambinetto con delle orecchie da cagnolino circondato da centinaia di giocattoli, ecco com’era l’InuYasha infante. Nient’altro che un neonato.
Lo immaginava gattonare per il castello, magari inseguire Sesshomaru, il suo detestato fratellastro, o addormentarsi tra le braccia della regina Izayoi, il respiro pesante di un bambino stanco e felice.
Forse avrebbe fatto bene anche lei a riposare. Oh, sì.
Forse avrebbe fatto bene ad prendere sonno, almeno per un po’. In fin dei conti, che male poteva farle, dormire un po’?
Chiuse gli occhi. Ecco.




«Kagome-chan? Ehi, Kagome? Guarda che è ora di andare».
«Mh?».
«Svegliati, dai. C’è InuYasha fuori dalla finestra!».
Spalancò gli occhi, si mise a sedere e per poco non cacciò un urlo – ah, sì, non che si aspettasse davvero di vedere InuYasha, eh. Era solo – niente di importante. Scosse il capo e guardò Sango. «Perché mi hai aspettata? Potevi andare. Non c’era bisogno di restare qui».
«Oh, invece sì. Era l'unica soluzione», sospirò l’altra, «non voglio che tu cada in un tombino perché impegnata a leggere quelle sciocche leggende. Sì, so che le ami visceralmente, ma riconoscerai anche tu che sono leggermente stupide. E una sacerdotessa non dovrebbe prendere tanto in considerazione certe storielle».
«Storielle?». Kagome inarcò un sopracciglio. «Non sono storielle. Sono leggende del regno di Goshinboku», guardò Sango intimandole di non interferire, «il regno di Goshinboku, il nostro confinante».
«Non deve importarci. Il nostro re si sta già occupando della situazione».
«Quell'incapace?», rantolò Kagome, sdegnata – il loro re, eh? Quel deficiente che non faceva altro se non ingozzarsi e ordinare all’esercito di procurarsi nuovi armamenti?
E cosa stava facendo, di grazia, per aiutare le sorti della dinastia Taisho?
«Sango, quello non sa fare nulla. Il regno di Goshinboku è allo sfascio e…».
«Ma noi siamo due adolescenti e non possiamo fare nulla, quindi smettila di fare la bambina».
«Parlerò con il re». Kagome strinse i pugni, poi rivolse un’occhiataccia all’amica. «Parlerò con il re, okay? E otterrò di poter fare qualcosa. Del resto, il mio tempio ha un forte ascendente su di lui-».
L’altra alzò una mano, interrompendola: «Non oserai! Non dire cavolate, non puoi. È inaccettabile. Se il regno di Yoshi, ovvero il nostro, si schierasse dalla parte di quello di Goshinboku, il regno di Asu avrebbe una ragione per sentirsi minacciato e dichiararci guerra».
«Il regno di Asu è un regno di barbari», commentò aspra Kagome, alzando gli occhi verso il cielo. «Non sanno neppure allacciarsi le scarpe. Se noi – siamo i più evoluti, no? – ci schierassimo dalla parte di Goshinboku, allora potremmo vincere».
«Anche il regno di Asu è adeguatamente evoluto».
«…e tu chiami evoluto un regno dove la libertà di culto è un’utopia?», rantolò.
Argh. Lei adorava Sango, la adorava tantissimo, ma a volte c’erano cose che proprio non le andavano giù, e quella era una cosa che proprio non riteneva giusta.
Insomma, consentire che vi fosse ancora un posto dove la legge del taglione era la cosa più importante, e dove gli hanyou erano considerati alla stregua di un criminale era inaccettabile.
Ed era inaccettabile che due amanti fossero costretti ad uccidersi l’un l’altro.
Non che a InuYasha non fosse successa la stessa cosa, eh. Ma almeno, il regno di Goshinboku aveva perso il suo ultimo sovrano duecento anni prima, ed era ormai allo scatafascio.
Sango sospirò. «Kagome, ti prego, sta’ calma. Siamo arrivate a casa tua, non vorrei che tuo nonno mi minacciasse con una scopa».
«Ah».
«Beh, io devo andare. E tu devi esercitarci con l’arco, se non erro».
Kagome le sorrise appena, poi fece un passo indietro – qualche attimo o giù di lì, ecco. Le ci vollero pochi istanti perché scomparisse oltre i confini del tempio.

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: roro