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Autore: Tikal    08/03/2014    2 recensioni
Ne avevano passate tante e avrebbero continuato a farlo.
Insieme
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ok, prima di fucilarmi per l'inizio della storia leggetla fino alla fine.. scusate ma non potevo non sciverlo!
Ci vediamo sotto
Virgia99

Ricordi frammentati e confusi. Dolore. Risate. Morte. Vita. Odio. Amore. Baci. Sangue. Amici e nemici. Fratelli e parenti. Annabeth che lo chiamava Testa D’Alghe. Una collanina di cuoio con delle perle colorate. cinque perle. Cinque estati al Campo Mezzosangue. Un tatuaggio sul braccio. Sette imprese suicide per salvare il mondo*. Una battaglia violenta e feroce, forse più di una. La sua famiglia. La sua vita.
 
Percy riaprì gli occhi. Si trovava in una stanza piccola e con le pareti bianche. Su una sedia una donna dai capelli neri e le prime rughe della vecchiaia dormiva un sonno agitato, accanto a lei un uomo le teneva la mano mentre con l’altra giocherellava con i suoi capelli neri. Percy  si passò la lingua sulle labbra, era secche e screpolate, come se non bevesse un goccio d’acqua da anni. –Mamma.. Paul..- disse con voce flebile. L’uomo accanto a sua madre aprì gli occhi e svegliò con un tocco leggero la donna. Sally Jackson si svegliò, girò la testa verso suo figlio e gli occhi le si riempirono di lacrime mentre gli gettava le  braccia al collo. 
 –Percy!- gridò tra i singhiozzi. –Ti sei svegliato finalmente! Temevamo di non vederti mai più aprire gli occhi.- le lacrime sgorgavano calde e copiose sul viso segnato dalle piccole rughe di sua madre, mentre lei tornava a sorridere dopo tanto tempo, persino Paul aveva gli occhi lucidi, anche se non voleva darlo a vedere. Percy sorrise felice di vedere sua madre contenta come non mai dopo tutti quegli anni.
-Mamma..- disse il ragazzo. –Si figliolo?- Sally continuava a sorridere di gioia. –Cosa è successo? Dove sono tutti?- il sorriso della donna vacillò. –Tesoro cosa intendi per tutti?- disse Sally. –Insomma mamma.. Dov’è Annabeth?- chiese di nuovo il ragazzo, mentre l’espressione della madre si faceva sempre più confusa. –Percy..- il suo tono era lo stesso che usava per rimproverarlo quando era bambino e combinava qualche disastro come farsi espellere da tutte le scuole che aveva frequentato per esempio. –Sei stato in coma da quando avevi dodici anni, poco prima della gita in prima media.. Percy, non esiste nessuna Annabeth.- gli occhi della madre erano addolorati. Ma lui non riusciva a capire. Non era possibile che si fosse sognato ogni cosa, gli dei, il Campo Mezzosangue, il Campo Giove, la guerra contro Crono, la guerra contro Gea, l’Argo II, ma soprattutto Annabeth. Lei, c’era sempre stata per lui. Era quel minuscolo tassello che lo teneva agganciato alla realtà. Non poteva essersi immaginato ogni cosa, non era possibile. I suoi ricordi sembravano così.. reali che dovevano per forza essere veri. –No!- gridò lui. –Non mi sto immaginando tutto. Annabeth Chase.. è la mia fidanzata, l’hai conosciuta tu stessa.- Non poteva essere rimasto in coma tutti quegli anni. Non poteva essersi immaginato ogni cosa, la sua immaginazione non era così fervida. Era tutto vero, Annabeth, gli dei, gli altri ragazzi del Campo Mezzosangue e del Campo Giove. Tirò un sospiro, mentre gli occhi diventavano sempre più lucidi e le lacrime iniziavano a rigargli il volto.
Portò d’istinto una mano al collo dove pensava potesse esserci la collana con le perle del Campo, una per ogni anno. Ma non la trovò. Nessuna collanina in cuoio, nessuna perla con il tridente, il Vello d’Oro, un labirinto o l’Empire State Building e i nomi dei ragazzi caduti. Niente. Si guardò intorno disperato alla ricerca di una penna a sfera. La trovò, le tolse il cappuccio aspettandosi che diventasse pesante trasformandosi in una spada. Non accadde nulla, la penna restò una penna ma Percy giurò di vedere sua madre agitarsi per qualche istante prima che rimettesse il cappuccio.
-Mamma e Grover invece?- aveva paura a rivolgerle quella domanda. Temeva che anche quello che gli sembrava il suo migliore amico fosse solo frutto della sua fantasia, ma invece sentì una morsa di sollievo quando la donna gli disse che Grover abitava a New York e che stava organizzando una campagna per La salvaguardia degli alberi nella Grande Mela. –Se vuoi domani, o appena ti sentirai meglio Grover potrebbe venire a trovarti.- disse Paul. Percy annuì, se Grover esisteva forse non era completamente pazzo.
 
Passarono due mesi prima che lo dimettessero dall’ospedale. Quando finalmente lo lasciarono andare, Percy si sentiva più felice che mai. Grover lo aiutò a portare fuori le sue poche cose e insieme se ne andarono via. –Allora.. come ti senti Percy?- domandò il ragazzo in macchina. –Molto meglio, ora che sono finalmente fuori da quel posto.- Grover sorrise alla risposta dell’amico. –Che ti va di fare oggi?- chiese. Percy alzò le spalle, non ne aveva la minima idea. –Ve bene amico.- disse Grover. –Oggi è il tuo giorno, decidi tu. Pensaci un po’ su, ma fammi sapere prima di arrivare a casa tua.- Percy annuì di nuovo. Da quando si era svegliato era diventato più taciturno e aveva perso parte del suo sarcasmo. Mentre rifletteva si rese conto di quanto gli mancasse il mare. Si sentiva come se non lo vedesse da secoli, anche perché probabilmente era vero, stando a sentire ciò che gli avevano raccontato. –Ti va di andare al mare? Un salto a Long Island.- disse. Grover esitò prima di rispondere, c’era qualcosa sotto, qualcosa di grosso che c’entrava con lui, con Annabeth e con tutti i ricordi di Percy, ma che qualcuno non voleva rivelargli. –E va bene amico.- disse Grover con un sorriso forzato. –Andiamo a Long Island.-
 
Long Island era come Percy credeva di ricordarla. Ampia, con il profumo di salsedine che gli entrava prepotente nelle narici, i vasti campi di fragole che, essendo inverno, erano completamente gelati, e il mare. Gli era mancato così tanto, quando era vicino a lui si sentiva più forte, in grado di sterminare un esercito. La nostalgia di momenti che gli sembrava di aver vissuto prese il sopravvento e i ricordi che gli avevano detto che non erano veri gli si presentarono prepotenti. Sentì le lacrime premergli contro le palpebre, come poteva essere tutto finto? Come poteva quel dolore non essere reale? Quei ricordi erano veri. Era tutto vero. Lui ne era convinto, delle emozioni e dei sentimenti così forti non potevano essere frutto della sua immaginazione. Si sedette sulla sabbia, lasciando che i granelli gli scorressero tra le dita come acqua mentre la sua mente vagava altrove, come se fosse separata dal corpo. Fissò il mare, così vasto e misterioso, era sicuro di non essersi immaginato Annabeth, i suoi baci, i suoi abbracci, la sua voce calda e scherzosa di quando lo chiamava Testa D’Alghe, i suoi occhi grigi e tempestosi. Lei. Le lacrime si fecero più insistenti e lui le lasciò scorrere fuori dai suoi occhi verdi come il mare. Sentì una mano sulla spalla, Grover che gli parlava, gli diceva se voleva andare a bere qualcosa, la voce addolorata, non sapeva cosa fare. Percy annuì senza neanche accorgersi, restare vicino al mare lo faceva stare ancora più male.
 
Grover lo portò in un piccolo bar sulla spiaggia. Il locale era piccolo e semideserto, le pareti blu e bianche ricoperte da reti di conchiglie e piccoli tesori marini raccolti sulla spiaggia, in sottofondo un vecchio giradischi che suonava una canzone del quale nessuno si ricordava il titolo era l’unico rumore oltre allo sciabordio delle onde sulla spiaggia e il rumore di vecchi bicchieri sbeccati che venivano posati sul bancone. Poteva anche sembrare un posto deprimente ma in quel momento Percy si sentì a casa, c’era qualcosa, in quel posto, che per un attimo gli fece dimenticare i suoi problemi e gli diede l’impressione di essere solo un normale diciassettenne che era venuto per passare un pomeriggio con un amico e divertirsi. Si sedette a un tavolo vicino alla finestra, seguito a ruota da Grover. Il barista, un uomo dalle mani grosse e coperte di calli, si avvicinò. –Allora ragazzi- esordì squadrando Percy. –Cosa vi posso portare?- Grover ordinò per entrambi il suo piatto preferito dopo che si accorse che l’amico era distratto e non prestava la minima attenzione a ciò che accadeva attorno a lui. Quando l’uomo se ne fu andato Percy si alzò dalla sedia con la scusa di andare in bagno. Si avviò verso il locale perso nei suoi pensieri. Perché aveva voluto venire alla baia sapendo che tutti quei ricordi lo avrebbero di sicuro fatto stare peggio? Forse voleva la prova tangibile che tutto quello era solo un sogno bellissimo, che non esisteva nessun Campo Mezzosangue, che non ci sarebbe stato nessun centauro ad accoglierlo, nessun fratello ciclope, nessun campo romano, nessun dio burbero e irascibile che beveva Diet Coke, nessuna ragazza bionda con gli occhi grigi che lo baciava e lo chiamava Testa D’Alghe. Era talmente smarrito nei suoi pensieri che non si accorse della ragazza che apriva la porta del bagno e non fece in tempo a evitare che questa lo colpisse. Percy cadde a terra, frastornato dal colpo ricevuto e tenendosi il naso con una mano. Sentì una voce femminile rimproverare la ragazza che lo aveva colpito mentre questa si inginocchiava accanto a lui per aiutarlo. –Tutto a posto?- disse una voce familiare, troppo familiare mentre un profumo di shampoo al limone lo investiva. –Stai bene? Mi disp..- la voce si bloccò di colpo e le mani che lo stavano aiutando ad alzarsi rimasero ferme a mezz’aria. Per un attimo gli occhi del ragazzo si incontrarono con quelli della ragazza. Occhi verdemare in occhi grigi come una tempesta. –No..- mormorò la ragazza con un filo di voce. –Non può essere vero..- poi si rialzò e scappò fuori, nascondendo le lacrime nel cappuccio della felpa. Percy si rialzò anche lui e uscì fuori, sulla scia della ragazza. L’aveva vista. Era lei, ne era sicuro. Il modo in cui lo aveva guardato, i suoi occhi grigi, i capelli biondi che sapevano di limone. Annabeth. Assaporò quella parola sulla lingua, mentre una gioia lo invadeva. Era reale. Non si era immaginato tutto, gli dei erano reali, il Campo era reale. Annabeth era reale. La raggiunse, era seduta sulla sabbia il corpo scosso dai singhiozzi. –Annabeth..- disse piano, quasi temesse che pronunciando il suo nome quello perdesse tutto il suo significato e lei scomparisse di nuovo da lui. Lei sussultò nel sentire la sua voce, girò la testa, quando si accorse che era lui si alzò e fece per andarsene. Lui la prese per un braccio, tremava. Tremavano entrambi, il freddo, la paura, l’emozione, gli entravano sottopelle come un’iniezione. –Lasciami! Lasciami andare!- disse la ragazza. Gli occhi erano tristi e pieni di lacrime, di dolore che a Percy gli si strinse il cuore a vederla in quello stato. Ma non la lasciò anzi, rinforzò la presa sul suo braccio. Voleva stringerla a se, abbracciarla, baciarla, sentire il suo profumo sulla sua pelle. –Ti prego lasciami, ti prego.-
-Annabeth, sono io. Sono di nuovo qui.- lei scosse la testa. –Lasciami  Testa D’Alghe.- A Percy bastarono quelle poche parole. La strinse a se, l’abbracciò forte finché non si fu calmata. Non disse nulla, aveva paura di rovinare quel momento tra di loro. Quando sentì che aveva smesso di singhiozzare scostò un poco la testa di riccioli biondi dal suo petto e le prese dolcemente il volto tra le mani. -Annabeth- sussurrò piano. I loro occhi si incontrarono di nuovo ma questa volta non l’avrebbe lasciata andare. Percy posò piano le sue labbra screpolate su quelle piccole e delicate della ragazza e la baciò. Un bacio piccolo e semplice nel quale però infuse tutto il suo amore per lei e la felicità per averla ritrovata, di sapere che era reale. –Mi dispiace..- bisbigliò Percy. –Mi dispiace di averti fatto soffrire, di esserti stato lontano dopo la guerra contro Gea, di ogni cosa.- -Non serve che ti scusi Testa D’Alghe.- disse Annabeth. –Dopo la guerra.. gli dei dissero che sarebbe stato più sicuro se tu.. se tu.. te ne fossi andato da entrambi i campi.. hanno deciso che saresti stato meno in pericolo nel mondo mortale.. e che sarebbe stato meglio se tu non ti fossi ricordato niente.. avresti dovuto credere di essere rimasto in coma per cinque anni, di non aver mai conosciuto nessuno di noi..- la ragazza trasse un profondo respiro. -Hanno manipolato la Foschia facendo credere a tutti i mortali che ti conoscono o che ti hanno incontrato che tu sei stato in coma da quando avevi dodici anni.. volevano cancellarti la memoria..- Percy sorrise. –Ma, a quanto pare, non ci sono riusciti. Io mi ricordo ogni cosa. Ogni istante.- disse il ragazzo. Annabeth lo strinse ancora più forte. –Credo che, quando hanno provato a cancellarti la memoria, tu ti sia in qualche modo rifiutato di perdere i tuoi ricordi di nuovo. Le esperienze che hai vissuto sono la cosa più importante che hai, cancellare quei cinque anni sarebbe stato come distruggere il tuo intero essere..- Percy scosse la testa. –Hai ragione Sapientona, ma i miei ricordi, per quanto importanti, non sono nulla in confronto a te, abbiamo tutta la vita per costruirne dei nuovi. Insieme.- replicò stringendo ancora più forte la sua ragazza mentre il sole moriva piano sull’orizzonte tingendo il mare di rosso e di arancione. –Ti amo Sapientona- le sussurrò in un orecchio mentre la baciava. –Anche io Testa D’Alghe.- replicò lei mentre si raggomitolava sul suo petto osservando il tramonto.
Ne avevano passate tante insieme e avrebbero continuato a farlo.
Insieme.
 
Angolo autrice
Ok, scusatemi tantissimo, ma era da tempo che mi frullava in testa questa idea e non potevo non scriverla..
Loro due poi sono così dolci!!! :3
Vabbè, vado a scrivere il prossimo capitolo della mia long,
baci a presto (spero ;)
Virgiia99 ;)
   
 
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