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Autore: RubyChubb    28/06/2008    8 recensioni
Inserì cinquanta centesimi di euro nella macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette alcuni pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little Joanna’, suonò a basso volume nel locale. “Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei, “Mi piacciono molto i McFly!” Rise sornione. Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per chiedergli un autografo e… “Piacciono anche a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei, sorridendogli. No… La sua vita stava lentamente peggiorando. Lei non lo stava riconoscendo… --- Una città come le altre, una sosta dal lavoro. Quattro spigliati ragazzi inglese ed una cameriera timida... --- RubyChubb & McFly!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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20. She Falls Asleep – Part Two

 

Un rumore di passi veloci si avvicinò al camerino.
“Dan? Sei lì dentro?”, domandò la voce di Harry, al di là della porta, “Salta fuori. Dobbiamo fare altri due pezzi.”
Il batterista continuava a sbuffare, lo sentivano aggirarsi nervosamente per il corridoio ma, indipendentemente da quella chiamata dalla realtà, non riuscivano a distogliersi l’uno dall’altra.
Le loro menti, andate in black out per un breve ed infinito lasso di tempo, dovettero tornare comunque ad attivarsi in modalità Pianeta Terra.
“Daniel Alan David Jones?”, chiamò ancora il batterista “Se sei lì dentro batti un colpo!”
Joanna non potè fare a meno di sorridere; Danny, che le teneva il viso con entrambe le mani, alzò un dito e lo posò sulle sue labbra.
“Sshh...”, le fece .
Una sonora imprecazione di Harry seguì il suono dei suoi passi in allontanamento.
“Se trovate quella testa di cazzo di Jones.... Portatemelo, e gli infilo una bacchetta su per il culo!”
Joanna trattenne  a fatica
una risata, Danny contrasse la bocca in una smorfia.
“Dovresti tornare sul palco.”, gli suggerì, allontanando il viso dalle sue mani, "Harry sembrava abbastanza inviperito."
“Tra un due minuti...”, le rispose Danny.
“E’ l’unico vostro concerto italiano, non puoi fare aspettare i vostri fan.”, continuò lei, “Chissà quando tornerete.”
“Quando vogliamo.”, disse lui.
“No, Danny, vai sul palco e finisci lo spettacolo.”, insistette Joanna, “Non è giusto nei confronti di chi ha pagato il biglietto.”
"Odio quando fai la bacchettona!", disse lui, scherzosamente.
Nonostante avesse davvero voluto farlo rimanere, non glielo avrebbe mai permesso: doveva concludere lo show insieme agli altri, senza far aspettare nessuno. Punto e basta.
“Non ti chiedo di venire a sentirci, so che non mi accontenterai.”, le disse poi Danny, "Però canterò comunque la tua canzone preferita."
“Grazie...”, disse lei, arrossendo di nuovo fino alla punta dei piedi.
“Mi aspetterai qui?”, le domandò e lei gli annuì.
Si avvicinò e la baciò ancora.
“A dopo.”, le disse.

  


Si buttò seduta a peso morto sul divano, che sbuffò aria dalle cuciture.
Lasciò libere le mani sulle imbottiture e, dopo qualche attimo, vi si stese sopra in cerca di relax. Così come era successo quando Danny l’aveva presa in braccio, prima di portarla lì dentro, si stava sentendo di nuovo svuotata delle forze.
Quelle che aveva nello stomaco erano migliaia di farfalle che svolazzavano, oppure era il suo apparato digerente che si ribellava per non essere stato sfamato a dovere?
E’ tutto incredibile...

Inimmaginabile e surreale. Forse il primo bacio era accaduto in un momento decisamente troppo delicato e confuso per potersi permettere di gongolare nel ricordo, con il cuore che batteva veloce e lo stomaco sottosopra. Ma il secondo era stato decisamente, totalmente... 
Non lo sapeva descrivere.  Non trovava parole, e sarebbe comunque stato inutile continuare a dargli una forma verbale. Ricordava ogni singolo fotogramma di quel bacio, di quello che era successo prima e dopo, tutto scorreva fluidamente davanti a lei come un film ogni volta inedito. 
Quando lui l’aveva abbracciata, e le aveva cantato di nuovo quel piccolo verso della canzone che portava il suo nome, aveva sentito qualcosa borbottare alla bocca dello stomaco. Era stato un dolce fastidio, di quelli che facevano un delizioso solletico, e si era subito sentì calma. 
Non aveva mai provato quelle cose, erano sensazioni del tutto nuove, addirittura difficili da razionalizzare.

Ma sentiva un brusio di fondo nella sua testa, incessante e fastidioso.

Non sognare, Jo, non sognare. Lo hai già fatto una volta e sei stata tradita.
Avrebbe voluto che per un attimo, un solo istante, un secondo quella voce si zittisse.  Almeno una volta nella sua vita, avrebbe voluto provare a dondolarsi su un’altalena fatta di aria e di nuvole, dove avrebbe potuto sentire un profumo sconosciuto ma che sapeva di buono, ascoltare una  dolce canzone di cui non aveva mai sentito il ritornello e vedere intorno a lei tutte le cose dipinte delle sfumature di un colore che non esisteva. Voleva sognare.
Provava ad impegnarsi con tutte le sue forze ma non ne era capace.
Domani tutto quello sarebbe finito.
Domani tutto quello sarebbe salito su un aereo diretto chissà dove in Europa.
Domani tutto quello avrebbe avuto una conclusione e lei, scaraventata con forza giù dalla sua altalena di nuvola e d’aria, sarebbe tornata di nuovo a soffrire.
E poi c’era Dougie...

Maledetto Poynter!
Si era sentita soddisfatta della sua piccola personale vendetta, aveva gioito nel distruggere il suo basso ed provato un senso di liberazione che non era riuscita a contenere. Ma... 
Le aveva fatto male dirgli quelle cose. Un male che non si era aspettata di provare. Aveva pensato che non ci sarebbe stato niente di difficile nel rendegli pan per focaccia, arrabbiandosi con lui nel più furioso e teatrale dei modi possibili. Non le ci era voluta molta fatica nel fracassare il suo basso davanti due migliaia di persone, sotto lo sguardo atterrito di tutti.
Le complicazioni erano sorte dopo l’aver visto la sua faccia. Era stupefatta, sbigottita, ma glielo aveva letto negli occhi: quel momento se lo era aspettato. C’era rimasta male, aveva sbuffato contro di lui e se n’era andata via. Gli aveva vomitato sopra la sua rabbia, costringendolo a partecipare ad un dibattito senza diritto di replica.
Non voleva sentire le sue scuse, sarebbero state tutte banali e stupide. 

 

 

“Jones!”, tuonò alle sue spalle Harry.
Danny si mise a correre più forte che poteva: Harry era una persona troppo di parola per non fargli ciò aveva promesso, e personalmente non desiderava aver alcun tipo di oggetto in entrata nelle cavità più recondite del suo corpo. Aveva imparato a memoria tutti quei corridoi e, ben prima che lui avesse potuto acciuffarlo, si era trovato sul palco dove una valanga di urla di gioia lo colsero in pieno.
“Ehm... scusate il ritardo.”, disse al microfono, “Ma si era rotta una lampadina e i tecnici hanno avuto bisogno di me.”
Battuta pessima e scadente.
“Ragazzi, venite sul palco o mi fate fare la scimmia solitaria?”, fece, richiamando all’ordine i suoi compagni, ancora dietro le quinte.
Uno per volta arrivarono tutti, accolti da applausi, flash e fischi. Osservò per un attimo la faccia di Dougie: come da sempre, quando si trovava in pubblico non trasmetteva niente di quello che gli passava davvero per la testa. Il ricordo improvviso del bacio dato a Joanna tornò a pulsargli in testa, scacciato via durante la fuga da un alterato Harry. Il cuore subì una lieve accelerazione.

Era stato giusto farlo Jones?
Quel bacio l’aveva voluto, non era stato come l’altro. Non era stato causato da un mix tra serata effervescente, bel panorama e festa nell’aria. Era nato perchè era giunto il suo momento di venire alla luce.
E Dougie?
Già... Dougie. Anche sotto tortura sarebbe sempre stato fedele all’amicizia e al gruppo. Sempre, comunque, fino in fondo, anche a costo di se stesso. Gli aveva già chiesto scusa per le incomprensioni sorte e non era il caso di farne nascere altre. Eppure, dopo l’aver conosciuto una Joanna così fragile, così dura, così impaurita, così forte, le convinzioni dentro di lui avevano traballato sonoramente.
L’aveva voluta baciare e lo aveva fatto. L’unica cosa certa era stato l’aver sentito il bisogno di posare le proprie labbra sulle sue, come se fosse stata la cosa più naturale e spontanea del mondo... Come se non si fossero mai parlati su quel ponte, dopo il gelato, promettendosi amicizia senza complicazioni;  come se non ci fosse stato nessuno tra i suoi migliori amici che provava qualcosa per lei. 

Era nella confusione più totale.

 

Quando Joanna era corsa via, dopo il suo sfogo nei corridoi del backstage, non aveva trovato il coraggio di correrle dietro, ed aveva lasciato che Danny lo facesse al posto suo, avrebbe pensato lui al suo benessere. Si sentiva ormai completamente tagliato fuori dalla scena, scacciato via, come era giusto che fosse accaduto. Si era meravigliato del gesto del basso, non avrebbe mai pensato che la ritorsione di Joanna sarebbe stata così spettacolare, ma se lo era aspettato e meritato: era quello che aveva voluto, che aveva desiderato e in cui ancora credeva. 
Si sentiva una merda per quello che le aveva fatto, per averla fatta soffrire in quel modo ma soprattutto per averla fatta piangere, e nonostante tutto era stata la cosa giusta da fare, non se ne sarebbe mai pentito. La faccenda era da dimenticare, da riporre in un cassetto della memoria. Domani sarebbero ripartiti, tutto quello stava per finire. 
Sarebbe tornato tutto come prima.
“Che cosa c’è in scaletta?”, domandò a Danny, cercando di sovrastare le urla della folla e la voglia di sapere dove fosse Joanna, se stesse bene, se fosse riuscita a trovare l’uscita prima che il suo amico chitarrista l'acciuffasse, in quel dedalo di corrodi tutti simili tra loro. Molto probabilmente sì.
“Uhm...”, disse lui, incerto, “Don’t wake me up.”
“Ma l’abbiamo già fatta.”, gli disse, "Qualcos'altro?"
"No, quella.", disse Danny, che distolse rapidamente sguardo ed interesse da lui, imbracciando la sua chitarra e andando verso il suo microfono. Era sfuggente.
Non gli dette importanza: non era del tutto fuori dal comune, per loro, fare il bis di un pezzo già suonato, ed a lui non faceva nessuna differenza suonare quella canzone piuttosto che un'altra. Con un altro basso tra le mani, era pronto per esibirsi ancora: sotto di lui, il pubblico sembrava ancora scosso dal fatto, e prima di tornare in azione cercarono di sdrammatizzare, scambiandosi qualche battuta per tagliare la tensione.
Sicuramente, la voce tra le fan si sarebbe sparsa velocemente, quante storie sarebbero nate per dare una spiegazione a tutto?
Comunque,
non l’avrebbe dimenticata con molta facilità: Joanna era una di quelle persone che lasciavano una scia tutto sommato non molto delebile nelle vite degli altri. E, molto probabilmente, non solo nella sua. Dougie allungò lo sguardo oltre il pubblico, in cerca di un paio di trecce bionde. Non ne vide nessuna, la luce puntata sul palco era troppo forte per andare oltre la decima fila del pubblico. 
Gli venne un dubbio: Joanna se ne era veramente andata? 

 

Era riuscita ad intrufolarsi tra il pubblico, sgomitando con forza e beccandosi qualche tirata di capelli... ma ce l’aveva fatta. Era arrivata alla prima fila sudando una ventina di camice, perdendo altrettante vite da gatta e infangando il buon nome di qualche santo decomposto da millenni.
Aveva visto tutta la scena, dal primo attimo in cui Joanna era entrata sotto le luci della ribalta, tra le braccia di Danny, allo sfacelo del basso e alla fuga della ragazza. Aveva sentito i commenti scandire quei rapidi minuti, resistendo alla voglia di voltarsi verso quelle adolescenti galline senza cervello per zittirle con una rispottaccia a tono, e le ci era voluta tutta la sua forza d’animo...
Non era rimasta nella bolgia, appena aveva visto Joanna nascondersi dietro le quinte si era precipitata verso la montagna umana che controllava l’ingresso al backstage. L’uomo, nonostante il pass in bella vista, non le aveva premesso di andare in suo soccorso, trattenendola per diversi minuti finchè il gruppo non fu tornato sul palco. 
Una volta dentro, cercò di comprendere dove si potesse trovare Joanna. La descriveva a chiunque incontrasse per la sua strada ed il novantanove percento dei tecnici, dopo aver sentito i tratti somatici più caratteritici della ragazza, la riconosceva subito come ‘la distruggi-bassi' cosa che la fece andare lievemente sulle furie. Nessuno di loro, comunque, l’aveva più notata dopo la sonora strigliata che aveva fatto a Dougie, e la volevano convincere a cercarla tra la folla. Fosse stata il capo di quella combriccola di inglesi squinternati, li avrebbe licenziati tutti: come era possibile per loro perdere di vista qualcuno, nonostante fossero pagati migliaia di sterline per tenere tutto sotto controllo? 
Fuori sul palco, i ragazzi avevano appena concluso una delle canzoni che Joanna preferiva, Don’t wake me up, e sembravano in procinto di farne un’altra. Li avrebbe attesi, sicuramente sapevano qualcosa di più degli stipendiati inutili che lavoravano per loro. Con il pass in bella vista, attaccato alla maglia con una delle spille da balia che teneva sempre in borsa per le emergenze sartoriali, prese a passeggiare con una certa apprensione per quelle corsie, fermandosi davanti alla porta di una stanza su cui, come se fossero stati in mezzo ad Hollywood, stava appesa una stella dorata con il nome ‘Harry Judd’. Sembrava fatta da un bambino dell’asilo, e c’era una chewingum secca appiccicata sopra la y; notò anche che nessuna delle altre porte esibiva un segno del genere.

Alla faccia del super ego.
Oltretutto era storta e, data la sua femminilità, si preoccupò subito di aggiustarla. La stella, però, cadde inanimata a terra.
“Ecco... Le mani in quel posto, eh?”, disse a se stessa.
Con tono indifferente si accucciò e la raccolse, preoccupandosi di appiccicarla di nuovo sul legno. Nonostante i suoi ripetuti sforzi, quella continuava a cadere imperterrita.
“Milioni di euro nei conti in banca e appiccica il suo nome sul camerino con lo scotch del discount...”, borbottava nervosamente.
Stancatasi, afferrò la stella e la sbattè con decisione sul legno.
"Cavolo!”, esclamò qualcuno dietro di lei, facendola trasalire, “Ho sentito male per la porta.”
Si voltò.
Mani sui fianchi, lo sguardo altrui era divertito ma perplesso allo stesso momento.

Dio, per favore, fa’ che non sia il proprietario della stella... Se mi accontenti verrò tutte le domeniche in chiesa, lo prometto...
Le vide il pass sulla maglia e lo indicò con un rapido gesto della mano.
“Sei venuta con Jojo, vero?”, le domandò.
“Sì... e mi stavo chiedendo dove fosse.”, rispose.
“Non lo so nemmeno io.”, rispose il ragazzo, incrociando le braccia.
“Ok... allora aspetterò.”, gli disse.
“Comunque io sono Harry.”, le fece il ragazzo, porgendole la mano con cortesia.
Harry come Harry Judd, proprietario e sicuramente artigiano di quella schifezza dorata, con la chewing gum per decorazione.

Dio, ti sei giocato una pia fedele.
“Ma non ci siamo già visti?”, le domandò, appena un attimo prima che lei potesse smaterializzarsi.
“Sono il capo di Joanna, la proprietaria del locale. Magari mi hai visto lì.”, gli spiegò imbarazzata.
“Ah sì!”, fece lui, “Ora ricordo... Meno male che sei venuta tu, e non suo fratello!”
L’improvvisa illuminazione la fece trasalire.

Dovevi chiamare Miki!
Guardò l’orologio: erano le undici e mezza passate, doveva assolutamente telefonare a quel rompipalle oppure sarebbero sorti casini incommensurabili.
“Ehm... vuoi scusarmi?”, fece al ragazzo, “Devo fare una chiamata!”
“Uhm... sì, certo!”, rispose lui, “Fai pure!”
Lo salutò frettolosamente e si allontanò di qualche metro, frugando nell’enorme borsa in cerca del suo telefono. Compose il numero, ed incrociò le dita nell’attesa della risposta di Miki: era pronta a subirsi tutti le sue urla e le prediche, ma se fosse stato necessario gli avrebbe addirittura chiuso la chiamata in faccia.
Dimmi che Joanna è con te.”, disse con aria spenta la voce bassa di Miki. 
“Sì... è qua, siamo al... concerto.”, disse, titubante.
Sì, mi ha lasciato un biglietto informativo.”, disse l’altro, “State bene? 
“Beh... sì...”, rispose.
Sapevo che non sarebbe rimasta a casa, che sarebbe venuta al concerto.”, disse lui, con tono abbastanza quieto, Speriamo che sia stato bello, almeno quello.
Arianna rimase perplessa. Stava capendo bene?
Stava parlando con Miki o con la sua versione drogata? Dove erano le urla, le grida, la furia del torturatore di professione che conosceva...
“E non sei incazzato?”, gli fece, in automatico.
Certo che lo sono. E molto!”, lo sentì sbuffare. “Ma l’errore è suo.
Arianna controllò il cellulare. Doveva esserci un disturbo nella linea, non poteva aver sentito quelle parole da lui.
“Miki... sei tu vero?”, gli chiese, tanto per essere sicura, “Non vuoi che riporti tua sorella a casa?”
Mi basta solo sapere che non combinerà guai..”, disse lui. Era riluttante, ma comunque fermo nelle sue parole, “Se vuole rimanere a dormire a casa tua... che faccia pure... così non mi disturbate...
“Ok...”
E lo salutò. Meglio chiudere la telefonata prima che cambiasse idea.
Arianna guardò nel vuoto perplessa.
Che Miki avesse imparato qualcosa da tutta quella storia? Aveva per caso compreso che Joanna era una persona reale, in carne ed ossa, non solo una cara bambolina alle sue dipendenze? In quegli otto giorni era stato capace di afferrare tutto quello? Oppure era solo una rassegnazione stanca al fatto che non poteva più tenere sua sorella al guinzaglio, pensando che fosse un docile cagnolino da compagnia...

Fate subito santi i McFly!
Ora doveva solo trovare quella scema.

 

Dopo aver fatto finta di andarsene per tre volte e tornare poi sul palco saltellando, concluse lo show schioccando un bacio sulla guancia di Tom e palpando le chiappe di Dougie, per la felicità dalle fans più fantasiose. Tra i corridoi del backstage ebbero modo di ripassare tutti i momenti del concerto.
“E comunque bello spettacolo, Jones!”, esclamò Tom, dandogli una sonora pacca sullo spalle.
“Complimenti davvero!”, gli rispose, “Il pubblico era piccolo ma... cavolo!”
“Sembrava di essere tornati agli inizi, quando non veniva nemmeno un cane ai nostri concerti!”, disse Dougie, “Ve lo ricordate?”
“Pochi ma buoni!”, esclamò Danny, aumentando discretamente il suo passo e anche la distanza dai suoi amici
“Cos’hai Jones?”, gli chiese Tom, “Perdi il treno?”
“Rischio di trovarlo nei miei pantaloni!”, rispose, ridendo.
Abbandonò i due  dietro di sé: speditamente, passò davanti alle tre porte consecutive dei camerini a loro destinati e raggiunse la quarta, appena svoltato l’angolo, che altro non era che la propria, dove aveva lasciato Joanna in attesa. Incrociò le dita, sperò che lei non avesse approfittato di quel quarto d’ora in solitudine per andarsene.
Controllò che nessuno fosse in ascolto, o in vista, e bussò piano.
“Sei sempre lì?”, fece.
Nessuna risposta.

Cosa ti aspettavi che facesse, che rimanesse in attesa?
Abbassò la maniglia ed entrò nella stanzetta, fermandosi non appena vide il divano.
Di fianco, rannicchiata contro la superficie del sofà, dormiva con le mani giunte sotto la testa. La bocca lievemente aperta, il respiro regolare ed impercettibile, una treccia traballava sulla sua guancia. Chiuse la porta, si accucciò su di lei e tolse il codino da lì, lasciando che le si posasse sulla schiena.
Quel piccolo cambiamento sembrò infastidirla: borbottò qualcosa, o forse approfondì solo il respiro, e si voltò supina. Per qualche attimo le mani sostarono lungo i suoi fianchi, poi le raccolse sul petto lasciando la testa cadere di lato, appoggiata sul bracciolo del divano. Doveva svegliarla.
Prima, però, ne approfittò per darsi una sistemata: cercando di fare meno rumore possibile, aprì la cerniera del suo borsone e ne tirò fuori una t-shirt pulita, qualcosa per togliersi di dosso lo sgradevole odore del lavoro e un cappellino, per nascondere i capelli arruffati. La breve sosta in bagno non l’aveva minimamente svegliata, benchè fosse stata scandita dalla caduta per terra del deodorante e dal fracasso che ne era conseguito.

Questo sì che è un dolce dormire...
Si sedette sul bordo del divano.
“Little Joanna...”, la chiamò piano.
Posò una mano sulle sue.
“Svegliati ghiretto...”, le fece ancora.
Vide le palpebre muoversi e, con uno sforzo abissale, aprirsi con difficoltà. La luce bianca della stanza, infatti, era abbastanza forte, doveva darle molto fastidio.
Mugolò qualcosa e imbronciò le labbra.
“Oh, povera Little Joanna!”, le fece, “Ma quanto sonno che hai!”
Solo in quel momento lei parve realizzare di non essere proprio in camera sua, come si aspettava.
“Danny...”, disse lei.
“Sì...”, le fece sorridendole, “Sono proprio io.”
Sbadigliò vistosamente, cercando di coprirsi con una mano, e le lacrimarono gli occhi.
“Ti sei calmata ora, spero.”
Annuì con un gesto della testa, sebbene sembrasse comunque pensierosa, o forse era la sua espressione ad essere
solo sonnolenta.
“Dove sono gli altri?”, chiese, con voce flebile.
“Sono tutti nel camerino di Harry, ci scommetterei un plettro.”, rispose, sorridendole.
Lei alzò gli occhi al soffitto, fissandolo.
“Cos’hai?”, le chiese.
“Niente.”, rispose lei, con un sospiro.
“Sei sicura?”, provò ad insistere. 
“Beh...”, esitò Joanna, “Dovrei andarmene.”
Eh sì, sicuramente era l’ora per lei di tornarsene a casa. Sperò che non fosse venuta lì da sola, e comunque senza suo fratello, non aveva molta voglia di trovarselo di nuovo davanti.
“C’è Arianna con me.”, fece Joanna, anticipando una sua domanda al riguardo.
“Perfetto.”, le disse, “Sai dove sia?”
“No...”, fece lei, sospirando, “Ma spero che non si sia preoccupata troppo per me.”
“Sei in buone mani.”, la assicurò, “Può stare tranquilla.”
“Lo so...”, rispose la ragazza, “E prego anche che abbia chiamato Miki per dirgli...”, si appoggiò sui gomiti per sedersi, “Che avrei dormito da lei.”
“Non ci rimane altro che trovarla.”
Doveva tornare a casa, e allo stesso non voleva lasciarla. Oltretutto, data la delicata situazione, era meglio che nessuno si accorgesse della sua presenza: 
piuttosto che gettare benzina su un pontenziale incendio, era il caso agire con cautela. Era certo che tutti l’avessero data per fuggita.
Danny si alzò e le tese una mano per aiutarla, gesto che Joanna accettò volentieri. Un improvviso bussare lieve alla porta li distrasse. 
“C’è per caso Joanna lì dentro?”, disse una voce femminile, “Sono Arianna, una sua amica.”
“Eccola.”, disse la ragazza, abbozzando un sorriso di sollievo.
Fece per muoversi ma lui la bloccò.
“Vado io.”, le disse, “Gli altri non sanno che sei qui dentro. Non mi hanno visto mentre ti portavo qui.”
Joanna rimase a guardarlo perplessa, ma accettò comunque di lasciargli in mano la situazione. Prima di aprire uno spiraglio di porta ed affacciarsi, Danny le fece segno di togliersi dalla visuale altrui. 
Con una rapida occhiata vide la donna, alle sue spalle Tom... e Dougie.

Per un lungo attimo, non fu capace di distogliere lo sguardo dal bassista: stava cercando in lui un segno, una risposta, o anche solo uno stupido battere di ciglia che gli volesse far capire ‘Ok Jones, no problem’. Ma era forse già avvenuto? Quando Joanna era corsa via non aveva forse voluto cedergli il passo, esitando nel seguirla per permettergli di farlo al posto suo? Oppure Dougie non aveva semplicemente avuto il coraggio di agire... Qual era la risposta giusta?
Davanti alle occhiate dubbiose dei tre uscì dal camerino, chiudendo la porta dietro di sè.
“Poynter, ti devo parlare. In privato.”, gli fece, con tono sicuro.
La risposta corretta a tutto quello la poteva trovare solo in una semplice domanda: Posso? Non sapeva quali reazioni aspettarsi da lui, certamente non buone, ma doveva farlo. Se lui avesse risposto con un secco no alla sua domanda, fine della questione.
Dipendeva tutto da Poynter.
“Perchè?”, domandò Dougie, sembrava imbarazzato.
Tom agganciò Arianna per un braccio.
“Andiamo a cercarla di qua. Molto probabilmente è tornata fuori.”, le fece. Si allontanarono insieme.

Ora siamo soli.
“Poynter...”, esordì, cercando forza e concentrazione.
“Ho già capito.”, disse subito lui, incrociando le braccia.
Rimase spiazzato.

“Jones, non ho speranze e non ne voglio avere.”, disse Dougie, “La mia decisione è quella e rimarrà tale.”
Per l’ennesima volta sono io a non capirti.
“Dougie...”, gli disse, “Non puoi farla così semplice.”
“Puoi stare tranquillo.”, disse l’altro, sorridendogli, “Sono io che ho causato tutto questo, quindi non posso lamentarmene. Hai tutto il mio appoggio.”, continuò “Non vedo perchè non dovrei dartelo.”
Danny scrutò a fondo il suo viso in cerca di una piccola piega, di una rughetta, di un segno tangibile della maschera che stava indossando. Si sarebbe accorto subito se gli stava vendendo fumo. E invece...
Era vero. Era convinto di ciò che gli diceva.
“Ho perso il mio treno ancora prima di fare il biglietto.”, ironizzò il bassista, “E forse non avrei mai avuto le palle di salirci sopra, neanche se lo avessi avuto.”
Danny gli sorrise, abbassò la testa.
“Ti chiedo solo una semplice cosa.”, fece ancora Poynter.
“E cioè?”
Dougie sospirò.
“Non ha bisogno di altre persone che la confondano, ne ha avute già troppe nella sua vita.”
Danny si sentì in dovere di mettere
le cose ancor di più in chiaro.
“Non so cosa succederà.”, disse, “Forse niente. Anzi, quasi sicuramente...”
“Beh...”, fece l’altro alzando le spalle, “Questo non è più di mia competenza...”
Dougie gli porse la mano.
“Dai, stringila.”, lo invitò.

 

Accostò l’orecchio alla porta. Non era una deficiente, sapeva benissimo cosa stava succedendo là fuori, benchè non stesse afferrando una sola delle parole che i due si stavano dicendo.
Si sedette sul divano in riflessione.
Danny, Dougie.
  Si era trovata, senza il suo consenso, in mezzo a due fuochi.
Da una parte Danny: l’aveva corteggiata, poi baciata. Con lui aveva scherzato e, dopo aver accantonato saggiamente ogni complicazione, si era divertita ad essere sua amica . E si erano di nuovo baciati. Dall’altra Dougie: dal nulla al tutto. Dal non avere alcun tipo di rapporto con lui a fidarsi quasi ciecamente, raccontandogli come non aveva mai fatto prima quello che le aveva segnato l’esistenza nel profondo. E porre fine a tutto quello nel modo più squallido possibile.
Se pensava a Danny, la sua bocca si piegava in un lieve sorriso e un formicolio le solleticava la nuca. Se pensava a Dougie, le labbra si storcevano in una smorfia di rabbia e il formicolio si presentava ad infastidirle le mani.

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e unì le mani sotto al mento.
E dire che non ti ha mai filato nessuno.
Entrambi i ragazzi si erano interessati a lei, che non voleva sentirsi assolutamente responsabile di aver creato problemi tra loro.  Forse era meglio togliere le tende da lì, chiudere ogni rapporto prima che fosse troppo tardi.
E' già troppo tardi...
Nascose la faccia nelle mani, in cerca di conforto.
“Little Joanna!”, sentì esclamare da Danny, preoccupato, “Che cos’hai?”
Non lo aveva nemmeno sentito tornare lì dentro.
“Oh no, niente.”, gli fece, “Stavo solo pensando.”
“A cosa?”, chiese lui, sedendosi accanto a lei.
“Uhm...”, esitò Joanna, in cerca delle giuste parole, “Quanti casini ho creato?”
Danny la guardò incuriosito ma perplesso.
“In che senso?”, le domandò, accomodandosi sul divano.
“Beh...”, si grattò la testa, “Non è che vi ho fatto litigare... vero?”
Danny abbozzò un sorriso, passò velocemente una mano sul naso.
“Non è che abbiamo litigato.”, disse poi, “Abbiamo avuto modo di scontrarci, ma non devi sentirti in colpa per questo. Eravamo noi a discutere, tu non c’entravi niente.”
“Ma lo facevate per causa mia!”, ribattè.
Fuggire, voleva solo fuggire via

Scappa allora, corri via come una scema.
“Little Joanna.”, le fece Danny, con tono rassicurante. Le passò una mano intorno alla vita e, abbracciandola in quel modo, la costrinse ad avvicinarsi a lui.“Ti impedisco di farti dei sensi di colpa su cose a te estranee.”
Non sei convincente.
“Quello che è successo è stato solo frutto di mancata comunicazione.”, continuò lui, “Se ci fossimo parlati di più, addirittura forse non saremmo qui adesso.”
Sei quasi convincente.
“Danny...”, gli disse, “Dovrei anche parlarti di un’altra cosa.”
“Dimmi pure.”, fece lui, con calma.
Prese un profondo respiro. Era giusto che gli spiegasse quali paletti era il caso di fissare.
“Non voglio prenderti sul serio.”, iniziò, “Domani te ne andrai, fine.”
Breve, concisa, diretta. E Danny non aveva colto una sola parola.
“Domani tu tornerai ad essere Danny dei McFly", si spiegò, "terminerai con il gruppo gli ultimi concerti che avete in programma e poi ti rilasserai forse in qualche meta esotica tra mille altre ragazze. Domani io tornerò ad essere Joanna, che vive con il fratello giocatore di rugby, con un mucchio di problemi, in una stanza piena di poster dei suoi musicisti preferiti.”
Solo a quel punto lui sembrò comprendere. A dire il vero aveva contato sul fatto che Danny stesse già pensando quelle medesime cose.
“Beh... non hai torto, Joanna.”, disse, facendosi serio, “Quello che hai detto è la pura verità.”
“Per questo non vedo il motivo di rimanere ancora qui.”, fece lei, allontanandosi da lui.
“La ragione è semplice.”, disse Danny.

Essergli così tanto vicino ed oscurare il continuo sfarfallare dello stomaco che si accendeva ad ogni sua lievissima mossa, le stava costando uno sforzo altissimo in concentrazione.
“Siamo certi che fino a domani non me ne andrò.”, continuò lui, “Quindi perchè pensare a domani quando ancora non è nemmeno arrivato?”

Non essere troppo convincente, ti prego.
“Vuoi stare con me, stanotte?”, le chiese.
...
Black out.
Out of order.
Corto circuito.
Purtroppo la fuga dei cervelli era un problema dell’Italia contemporanea e lei, per motivi del tutto estranei a quelli che cagionavano questa deficienza intellettuale peninsulare, non era stata da meno.


 

Finalmente ce l'ho fatta, ho corretto questo capitolo tremila volte... due palle!!! E sono comunque tristarella, questo è il penultimo capitolo -.- 

Per prima cosa, voglio dare una spiegazione semplice: so che il gesto di Joanna è fin troppo teatrale e irreale, e so che stona perfettamente con il resto della storia, soprattutto con il suo personaggio. Yep, lo sapevo anche prima di scriverlo. E allora perchè l'ho scritto? 
Aspettate, chiedo informazioni al mio cervello... Ora sta elaborando dati e variabili... Risposta: Perchè mi sono divertita XD 

Suvvia, dato che è il penultimo capitolo, lascio i ringraziamenti in grande stile al prossimo XD Cooomunque, in breve, abbraccio tutte voi! Dalla prima all'ultima, chi legge e recensisce, ch legge e basta, chi mi mette tra i preferiti... Insomma, chiunque dia un'occhiata alla storia XD

Alla prossima!

   
 
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