20. She Falls
Asleep – Part Two
Un
rumore di passi veloci si avvicinò al camerino.
“Dan?
Sei lì dentro?”, domandò la voce di Harry, al di là della porta, “Salta fuori. Dobbiamo fare
altri due pezzi.”
Il batterista continuava a sbuffare, lo sentivano aggirarsi
nervosamente per il corridoio ma, indipendentemente da quella chiamata
dalla realtà, non riuscivano a distogliersi l’uno
dall’altra.
Le
loro menti, andate in black out per un breve ed infinito lasso di tempo, dovettero tornare comunque
ad attivarsi in modalità Pianeta Terra.
“Daniel
Alan David Jones?”, chiamò ancora il batterista “Se sei lì dentro batti un colpo!”
Joanna
non potè fare a meno di sorridere; Danny, che le teneva il
viso con entrambe le mani, alzò un dito e lo posò sulle sue labbra.
“Sshh...”,
le fece .
Una
sonora imprecazione di Harry seguì il suono dei suoi passi in allontanamento.
“Se
trovate quella testa di cazzo di Jones.... Portatemelo, e gli infilo una bacchetta su per il
culo!”
Joanna
trattenne a fatica una risata, Danny contrasse la bocca in una smorfia.
“Dovresti
tornare sul palco.”, gli suggerì, allontanando il viso dalle sue mani, "Harry sembrava abbastanza inviperito."
“Tra un due minuti...”, le rispose Danny.
“E’
l’unico vostro concerto italiano, non puoi fare aspettare i vostri fan.”, continuò lei, “Chissà
quando tornerete.”
“Quando
vogliamo.”, disse lui.
“No,
Danny, vai sul palco e finisci lo spettacolo.”, insistette Joanna, “Non è
giusto nei confronti di chi ha pagato il biglietto.”
"Odio quando fai la bacchettona!", disse lui, scherzosamente.
Nonostante avesse davvero voluto farlo rimanere, non glielo avrebbe mai permesso: doveva concludere lo
show insieme agli altri, senza far aspettare nessuno. Punto e basta.
“Non
ti chiedo di venire a sentirci, so che non mi accontenterai.”, le
disse poi Danny, "Però canterò comunque la tua canzone
preferita."
“Grazie...”,
disse lei, arrossendo di nuovo fino alla punta dei piedi.
“Mi
aspetterai qui?”, le domandò e lei gli annuì.
Si
avvicinò e la baciò ancora.
“A
dopo.”, le disse.
Si
buttò seduta a peso morto sul divano, che sbuffò aria dalle
cuciture. Lasciò
libere le mani sulle imbottiture e, dopo qualche attimo, vi si stese
sopra in cerca di relax. Così come era successo quando Danny l’aveva presa in
braccio, prima di portarla lì dentro, si stava sentendo di nuovo svuotata delle forze.
Quelle che aveva nello stomaco erano migliaia di farfalle che
svolazzavano, oppure era il suo apparato digerente che si ribellava per
non
essere stato sfamato a dovere?
E’ tutto incredibile...
Inimmaginabile
e surreale. Forse
il primo bacio era accaduto in un momento decisamente troppo delicato e confuso
per potersi permettere di gongolare nel ricordo, con il cuore che batteva
veloce e lo stomaco sottosopra. Ma
il secondo era stato decisamente, totalmente...
Non lo sapeva descrivere. Non trovava parole, e sarebbe comunque stato inutile
continuare a dargli una forma verbale. Ricordava ogni singolo fotogramma di
quel bacio, di quello che era successo prima e dopo, tutto scorreva fluidamente
davanti a lei come un film ogni volta inedito.
Quando
lui l’aveva abbracciata, e le aveva cantato di nuovo quel piccolo verso della canzone che portava il suo nome,
aveva sentito qualcosa borbottare alla bocca dello stomaco. Era stato un dolce
fastidio, di quelli che facevano un delizioso solletico, e si era subito sentì calma.
Non aveva mai provato quelle cose, erano
sensazioni del tutto nuove, addirittura difficili da razionalizzare.
Ma sentiva un brusio di fondo nella sua testa, incessante e fastidioso.
Non sognare, Jo, non
sognare. Lo hai già fatto una volta e sei stata tradita.
Avrebbe
voluto che per un attimo, un solo istante, un secondo quella voce si
zittisse. Almeno una volta nella sua vita, avrebbe voluto provare a dondolarsi su un’altalena
fatta di aria e di nuvole, dove avrebbe potuto sentire un profumo sconosciuto
ma che sapeva di buono, ascoltare una
dolce canzone di cui non aveva mai sentito il ritornello e vedere
intorno a lei tutte le cose dipinte delle sfumature di un colore che non
esisteva. Voleva sognare.
Provava
ad impegnarsi con tutte le sue forze ma non ne era capace.
Domani
tutto quello sarebbe finito.
Domani
tutto quello sarebbe salito su un aereo diretto chissà dove in Europa.
Domani
tutto quello avrebbe avuto una conclusione e lei, scaraventata con forza giù
dalla sua altalena di nuvola e d’aria, sarebbe tornata di nuovo a soffrire.
E
poi c’era Dougie...
Maledetto Poynter!
Si
era sentita soddisfatta della sua piccola personale vendetta, aveva
gioito nel
distruggere il suo basso ed provato un senso di liberazione che
non era
riuscita a contenere. Ma...
Le
aveva fatto male dirgli quelle cose. Un male che non si era aspettata
di
provare. Aveva
pensato che non ci sarebbe stato niente di difficile nel rendegli pan
per
focaccia, arrabbiandosi con lui nel più furioso e teatrale dei
modi possibili. Non le ci era voluta molta fatica nel fracassare il suo
basso davanti due migliaia di persone, sotto lo sguardo atterrito
di tutti.
Le
complicazioni erano sorte dopo l’aver visto la sua faccia. Era
stupefatta, sbigottita, ma glielo aveva letto negli occhi: quel momento
se lo era aspettato. C’era rimasta male, aveva sbuffato contro di
lui e se n’era andata
via. Gli aveva vomitato sopra la sua rabbia, costringendolo a
partecipare ad un
dibattito senza diritto di replica.
Non
voleva sentire le sue scuse, sarebbero state tutte banali e stupide.
“Jones!”,
tuonò alle sue spalle Harry.
Danny si
mise a correre più forte che poteva: Harry era una persona troppo di parola per non fargli
ciò aveva promesso, e personalmente non desiderava aver alcun tipo di oggetto in entrata nelle
cavità più recondite del suo corpo. Aveva imparato a memoria tutti quei corridoi
e, ben prima che lui avesse potuto acciuffarlo, si era trovato sul palco dove
una valanga di urla di gioia lo colsero in pieno.
“Ehm...
scusate il ritardo.”, disse al microfono, “Ma si era rotta una lampadina e i
tecnici hanno avuto bisogno di me.”
Battuta
pessima e scadente.
“Ragazzi,
venite sul palco o mi fate fare la scimmia solitaria?”, fece, richiamando
all’ordine i suoi compagni, ancora dietro le quinte.
Uno
per volta arrivarono tutti, accolti da applausi, flash e fischi. Osservò per un
attimo la faccia di Dougie: come da sempre, quando si trovava in pubblico non
trasmetteva niente di quello che gli passava davvero per la testa. Il
ricordo improvviso del bacio dato a Joanna tornò a pulsargli in testa,
scacciato via durante la fuga da un alterato Harry. Il cuore subì una lieve
accelerazione.
Era stato giusto farlo
Jones?
Quel
bacio l’aveva voluto, non era stato come l’altro. Non era stato causato da un
mix tra serata effervescente, bel panorama e festa nell’aria. Era nato perchè
era giunto il suo momento di venire alla luce.
E Dougie?
Già...
Dougie. Anche
sotto tortura sarebbe sempre stato fedele all’amicizia e al gruppo. Sempre,
comunque, fino in fondo, anche a costo di se stesso. Gli aveva già chiesto
scusa per le incomprensioni sorte e non era il caso di farne nascere altre. Eppure,
dopo l’aver conosciuto una Joanna così fragile, così dura, così impaurita, così
forte, le convinzioni dentro di lui avevano traballato sonoramente.
L’aveva
voluta baciare e lo aveva fatto. L’unica cosa certa era stato
l’aver sentito il
bisogno di posare le proprie labbra sulle sue, come se fosse stata la
cosa più
naturale e spontanea del mondo... Come se non si fossero mai parlati su
quel
ponte, dopo il gelato, promettendosi amicizia senza complicazioni;
come se non ci fosse stato nessuno tra i suoi migliori amici che
provava qualcosa per lei.
Era
nella confusione più totale.
Quando
Joanna era corsa via, dopo il suo sfogo nei corridoi del backstage, non
aveva trovato il coraggio di correrle
dietro, ed aveva lasciato che Danny lo facesse al posto suo,
avrebbe pensato lui al suo benessere. Si
sentiva ormai completamente tagliato fuori dalla scena, scacciato via,
come era
giusto che fosse accaduto. Si era meravigliato del gesto del basso, non
avrebbe mai pensato che la ritorsione di Joanna sarebbe stata
così spettacolare, ma se lo era aspettato e meritato: era quello
che
aveva voluto, che aveva desiderato e in cui ancora credeva.
Si sentiva una
merda per quello che le aveva fatto, per averla fatta soffrire in quel modo ma
soprattutto per averla fatta piangere, e nonostante tutto era stata la cosa giusta da fare, non se ne sarebbe mai pentito. La
faccenda era da dimenticare, da riporre in un cassetto della memoria. Domani
sarebbero ripartiti, tutto quello stava per finire.
Sarebbe tornato tutto come
prima.
“Che
cosa c’è in scaletta?”, domandò a Danny,
cercando di sovrastare le urla della
folla e la voglia di sapere dove fosse Joanna, se stesse bene, se fosse
riuscita a trovare l’uscita prima che il suo amico chitarrista
l'acciuffasse, in quel dedalo di corrodi tutti simili tra
loro. Molto probabilmente sì.
“Uhm...”,
disse lui, incerto, “Don’t wake me up.”
“Ma
l’abbiamo già fatta.”, gli disse, "Qualcos'altro?"
"No, quella.", disse Danny, che
distolse rapidamente sguardo ed interesse da lui, imbracciando la sua chitarra e
andando verso il suo microfono. Era
sfuggente.
Non gli dette importanza: non era del tutto fuori dal comune, per loro,
fare il bis di un pezzo già suonato, ed a lui non faceva nessuna
differenza suonare quella canzone piuttosto che un'altra. Con un altro
basso tra le mani, era pronto per esibirsi ancora: sotto di lui, il
pubblico sembrava ancora scosso dal fatto, e prima di tornare in azione
cercarono di sdrammatizzare, scambiandosi qualche battuta per tagliare
la tensione.
Sicuramente, la voce tra le fan si sarebbe sparsa velocemente, quante storie sarebbero nate per dare una spiegazione a tutto?
Comunque, non
l’avrebbe dimenticata con molta facilità: Joanna era una di quelle persone che
lasciavano una scia tutto sommato non molto delebile nelle vite degli altri. E,
molto probabilmente, non solo nella sua. Dougie allungò
lo sguardo oltre il pubblico, in cerca di un paio di trecce bionde. Non ne vide
nessuna, la luce puntata sul palco era troppo forte per andare oltre la decima
fila del pubblico.
Gli
venne un dubbio: Joanna se ne era veramente andata?
Era
riuscita ad intrufolarsi tra il pubblico, sgomitando con forza e beccandosi
qualche tirata di capelli... ma ce l’aveva fatta. Era arrivata alla prima fila
sudando una ventina di camice, perdendo altrettante vite da gatta e infangando
il buon nome di qualche santo decomposto da millenni.
Aveva
visto tutta la scena, dal primo attimo in cui Joanna era entrata sotto le luci
della ribalta, tra le braccia di Danny, allo sfacelo del basso e alla fuga della
ragazza. Aveva sentito i commenti scandire quei rapidi minuti, resistendo alla
voglia di voltarsi verso quelle adolescenti galline senza cervello per zittirle
con una rispottaccia a tono, e le ci era voluta tutta la sua forza d’animo...
Non
era rimasta nella bolgia, appena aveva visto Joanna nascondersi dietro le
quinte si era precipitata verso la montagna umana che controllava l’ingresso al
backstage. L’uomo, nonostante il pass in bella vista, non le aveva premesso di
andare in suo soccorso, trattenendola per diversi minuti finchè il gruppo
non fu tornato sul palco.
Una
volta dentro, cercò di comprendere dove si potesse trovare
Joanna. La descriveva
a chiunque incontrasse per la sua strada ed il novantanove percento dei
tecnici, dopo aver sentito i tratti somatici più caratteritici
della ragazza, la riconosceva subito come ‘la distruggi-bassi'
cosa che la fece andare lievemente sulle furie. Nessuno
di loro, comunque, l’aveva più notata dopo la sonora
strigliata che aveva fatto a
Dougie, e la volevano convincere a cercarla tra la folla. Fosse
stata il capo di quella combriccola di inglesi squinternati, li avrebbe
licenziati tutti: come era possibile per loro perdere di vista
qualcuno, nonostante fossero pagati migliaia di sterline per tenere
tutto sotto controllo?
Fuori sul
palco, i ragazzi avevano appena concluso una delle canzoni che Joanna preferiva, Don’t wake me up, e sembravano in
procinto di farne un’altra. Li avrebbe attesi, sicuramente sapevano qualcosa di
più degli stipendiati inutili che lavoravano per loro. Con
il pass in bella vista, attaccato alla maglia con una delle spille da balia che
teneva sempre in borsa per le emergenze sartoriali, prese a passeggiare con una certa
apprensione per quelle corsie, fermandosi davanti alla porta di una stanza su cui,
come se fossero stati in mezzo ad Hollywood, stava appesa una stella dorata con
il nome ‘Harry Judd’. Sembrava fatta
da un bambino dell’asilo, e c’era una chewingum secca appiccicata sopra la y; notò anche che nessuna delle altre porte esibiva un segno del genere.
Alla faccia del super ego.
Oltretutto
era storta e, data la sua femminilità, si preoccupò
subito di aggiustarla. La stella, però, cadde inanimata a terra.
“Ecco... Le mani in quel posto, eh?”, disse a se stessa.
Con
tono indifferente si accucciò e la raccolse, preoccupandosi di appiccicarla di
nuovo sul legno. Nonostante i suoi ripetuti sforzi, quella continuava a cadere
imperterrita.
“Milioni
di euro nei conti in banca e appiccica il suo nome sul camerino con lo scotch del discount...”,
borbottava nervosamente.
Stancatasi,
afferrò la stella e la sbattè con decisione sul legno.
"Cavolo!”,
esclamò qualcuno dietro di lei, facendola trasalire, “Ho sentito male per la
porta.”
Si
voltò.
Mani
sui fianchi, lo sguardo altrui era divertito ma perplesso allo stesso momento.
Dio, per favore, fa’ che
non sia il proprietario della stella... Se mi accontenti verrò tutte le
domeniche in chiesa, lo prometto...
Le
vide il pass sulla maglia e lo indicò con un rapido gesto della mano.
“Sei
venuta con Jojo, vero?”, le domandò.
“Sì...
e mi stavo chiedendo dove fosse.”, rispose.
“Non
lo so nemmeno io.”, rispose il ragazzo, incrociando le braccia.
“Ok...
allora aspetterò.”, gli disse.
“Comunque
io sono Harry.”, le fece il ragazzo, porgendole la mano con cortesia.
Harry
come Harry Judd, proprietario e sicuramente artigiano di quella schifezza
dorata, con la chewing gum per decorazione.
Dio, ti sei giocato una pia
fedele.
“Ma
non ci siamo già visti?”, le domandò, appena un attimo prima che lei potesse smaterializzarsi.
“Sono
il capo di Joanna, la proprietaria del locale. Magari mi hai visto lì.”, gli
spiegò imbarazzata.
“Ah
sì!”, fece lui, “Ora ricordo... Meno male che sei venuta tu, e non suo
fratello!”
L’improvvisa
illuminazione la fece trasalire.
Dovevi chiamare Miki!
Guardò
l’orologio: erano le undici e mezza passate, doveva assolutamente telefonare a
quel rompipalle oppure sarebbero sorti casini incommensurabili.
“Ehm...
vuoi scusarmi?”, fece al ragazzo, “Devo fare una chiamata!”
“Uhm...
sì, certo!”, rispose lui, “Fai pure!”
Lo
salutò frettolosamente e si allontanò di qualche
metro, frugando nell’enorme borsa in cerca del suo telefono.
Compose il numero, ed incrociò le dita
nell’attesa della risposta di Miki: era pronta a subirsi tutti le
sue urla e le
prediche, ma se fosse stato necessario gli avrebbe addirittura chiuso
la
chiamata in faccia.
“Dimmi che Joanna è con te.”, disse con aria spenta la voce bassa di Miki.
“Sì...
è qua, siamo al... concerto.”, disse, titubante.
“Sì, mi ha lasciato un biglietto informativo.”, disse l’altro,
“State bene?”
“Beh... sì...”, rispose.
“Sapevo che non sarebbe rimasta a casa, che
sarebbe venuta al concerto.”, disse lui, con tono abbastanza quieto, “Speriamo che sia stato bello, almeno quello.”
Arianna
rimase perplessa. Stava capendo bene?
Stava
parlando con Miki o con la sua versione drogata? Dove erano le urla, le grida,
la furia del torturatore di professione che conosceva...
“E
non sei incazzato?”, gli fece, in automatico.
“Certo che lo sono. E molto!”, lo sentì
sbuffare. “Ma l’errore
è suo.”
Arianna
controllò il cellulare. Doveva esserci un disturbo nella linea, non poteva aver
sentito quelle parole da lui.
“Miki...
sei tu vero?”, gli chiese, tanto per essere sicura, “Non
vuoi che riporti tua sorella a casa?”
“Mi basta solo sapere che non
combinerà guai..”, disse lui. Era riluttante, ma comunque fermo nelle sue
parole, “Se vuole rimanere a dormire a
casa tua... che faccia pure... così non mi disturbate...”
“Ok...”
E
lo salutò. Meglio chiudere la telefonata prima che cambiasse idea.
Arianna
guardò nel vuoto perplessa.
Che
Miki avesse imparato qualcosa da tutta quella storia? Aveva per caso
compreso
che Joanna era una persona reale, in carne ed ossa, non solo una cara
bambolina
alle sue dipendenze? In quegli otto giorni era stato capace di
afferrare tutto
quello? Oppure era solo una rassegnazione stanca al fatto che non
poteva più tenere sua sorella al guinzaglio, pensando che fosse
un docile cagnolino da compagnia...
Fate subito santi i McFly!
Ora
doveva solo trovare quella scema.
“E
comunque bello spettacolo, Jones!”, esclamò Tom, dandogli una sonora pacca
sullo spalle.
“Complimenti
davvero!”, gli rispose, “Il pubblico era piccolo ma... cavolo!”
“Sembrava
di essere tornati agli inizi, quando non veniva nemmeno un cane ai nostri
concerti!”, disse Dougie, “Ve lo ricordate?”
“Pochi
ma buoni!”, esclamò Danny, aumentando discretamente il suo passo e anche la distanza dai suoi amici
“Cos’hai
Jones?”, gli chiese Tom, “Perdi il treno?”
“Rischio
di trovarlo nei miei pantaloni!”, rispose, ridendo.
Abbandonò
i due dietro di sé: speditamente, passò davanti alle tre porte consecutive
dei camerini a loro destinati e raggiunse la quarta, appena
svoltato l’angolo, che altro non era che la propria, dove aveva lasciato Joanna
in attesa. Incrociò le dita, sperò che lei non avesse approfittato di quel
quarto d’ora in solitudine per andarsene.
Controllò
che nessuno fosse in ascolto, o in vista, e bussò piano.
“Sei
sempre lì?”, fece.
Nessuna
risposta.
Cosa ti aspettavi che
facesse, che rimanesse in attesa?
Abbassò
la maniglia ed entrò nella stanzetta, fermandosi non appena vide il divano.
Di
fianco, rannicchiata contro la superficie del sofà, dormiva con le mani giunte
sotto la testa. La bocca lievemente aperta, il respiro regolare ed
impercettibile, una treccia traballava sulla sua guancia. Chiuse la porta, si
accucciò su di lei e tolse il codino da lì, lasciando che le si posasse sulla
schiena.
Quel
piccolo cambiamento sembrò infastidirla: borbottò qualcosa, o forse approfondì
solo il respiro, e si voltò supina. Per qualche attimo le mani sostarono lungo
i suoi fianchi, poi le raccolse sul petto lasciando la testa cadere di lato,
appoggiata sul bracciolo del divano. Doveva svegliarla.
Prima,
però, ne approfittò per darsi una sistemata: cercando di fare meno rumore
possibile, aprì la cerniera del suo borsone e ne tirò fuori una t-shirt pulita,
qualcosa per togliersi di dosso lo sgradevole odore del lavoro e un cappellino,
per nascondere i capelli arruffati. La breve sosta in bagno non l’aveva
minimamente svegliata, benchè fosse stata scandita dalla caduta per terra del
deodorante e dal fracasso che ne era conseguito.
Questo sì che è un dolce
dormire...
Si
sedette sul bordo del divano.
“Little
Joanna...”, la chiamò piano.
Posò
una mano sulle sue.
“Svegliati
ghiretto...”, le fece ancora.
Vide
le palpebre muoversi e, con uno sforzo abissale, aprirsi con difficoltà. La
luce bianca della stanza, infatti, era abbastanza forte, doveva darle molto fastidio.
Mugolò
qualcosa e imbronciò le labbra.
“Oh,
povera Little Joanna!”, le fece, “Ma quanto sonno che hai!”
Solo
in quel momento lei parve realizzare di non essere proprio in camera sua, come
si aspettava.
“Danny...”,
disse lei.
“Sì...”, le fece sorridendole, “Sono proprio io.”
Sbadigliò
vistosamente, cercando di coprirsi con una mano, e le lacrimarono gli occhi.
“Ti
sei calmata ora, spero.”
Annuì
con un gesto della testa, sebbene sembrasse comunque pensierosa, o forse era la sua espressione ad essere solo sonnolenta.
“Dove
sono gli altri?”, chiese, con voce flebile.
“Sono
tutti nel camerino di Harry, ci scommetterei un plettro.”, rispose,
sorridendole.
Lei
alzò gli occhi al soffitto, fissandolo.
“Cos’hai?”,
le chiese.
“Niente.”,
rispose lei, con un sospiro.
“Sei
sicura?”, provò ad insistere.
“Beh...”,
esitò Joanna, “Dovrei andarmene.”
Eh
sì, sicuramente era l’ora per lei di tornarsene a casa. Sperò che non fosse
venuta lì da sola, e comunque senza suo fratello, non aveva molta voglia di
trovarselo di nuovo davanti.
“C’è
Arianna con me.”, fece Joanna, anticipando una sua domanda al riguardo.
“Perfetto.”,
le disse, “Sai dove sia?”
“No...”,
fece lei, sospirando, “Ma spero che non si sia preoccupata troppo per me.”
“Sei
in buone mani.”, la assicurò, “Può stare tranquilla.”
“Lo
so...”, rispose la ragazza, “E prego anche che abbia
chiamato Miki per dirgli...”, si appoggiò sui gomiti per
sedersi, “Che avrei dormito da lei.”
“Non
ci rimane altro che trovarla.”
Doveva
tornare a casa, e allo stesso non voleva lasciarla. Oltretutto, data la delicata situazione, era
meglio che nessuno si accorgesse della sua presenza: piuttosto che gettare benzina su un pontenziale
incendio, era il caso agire con cautela. Era certo che tutti
l’avessero data per fuggita.
Danny
si alzò e le tese una mano per aiutarla, gesto che Joanna accettò
volentieri. Un improvviso bussare lieve alla porta li distrasse.
“C’è
per caso Joanna lì dentro?”, disse una voce femminile, “Sono Arianna, una sua
amica.”
“Eccola.”,
disse la ragazza, abbozzando un sorriso di sollievo.
Fece
per muoversi ma lui la bloccò.
“Vado
io.”, le disse, “Gli altri non sanno che sei qui dentro. Non mi hanno visto
mentre ti portavo qui.”
Joanna rimase a guardarlo perplessa, ma accettò comunque di
lasciargli in mano la situazione. Prima di aprire uno spiraglio di
porta ed affacciarsi, Danny le fece segno di
togliersi dalla visuale altrui.
Con una rapida occhiata vide la donna, alle sue
spalle Tom... e Dougie.
Per un lungo attimo, non fu capace di distogliere lo sguardo dal bassista: stava cercando in lui un segno, una
risposta, o anche solo uno stupido battere di ciglia che gli
volesse far capire
‘Ok Jones, no problem’. Ma era
forse già avvenuto? Quando Joanna era corsa via non aveva forse voluto cedergli
il passo, esitando nel seguirla per permettergli di farlo al posto suo? Oppure Dougie
non aveva semplicemente avuto il coraggio di agire... Qual
era la risposta giusta?
Davanti
alle occhiate dubbiose dei tre uscì dal camerino, chiudendo la porta dietro di
sè.
“Poynter,
ti devo parlare. In privato.”, gli fece, con tono sicuro.
La
risposta corretta a tutto quello la poteva trovare solo in una semplice domanda: Posso? Non
sapeva quali reazioni aspettarsi da lui, certamente non buone, ma doveva
farlo. Se lui avesse risposto con un secco no alla sua domanda, fine della
questione.
Dipendeva
tutto da Poynter.
“Perchè?”,
domandò Dougie, sembrava imbarazzato.
Tom
agganciò Arianna per un braccio.
“Andiamo
a cercarla di qua. Molto probabilmente è tornata fuori.”, le fece. Si
allontanarono insieme.
Ora siamo soli.
“Poynter...”,
esordì, cercando forza e concentrazione.
“Ho
già capito.”, disse subito lui, incrociando le braccia.
Rimase spiazzato.
“Jones,
non ho speranze e non ne voglio avere.”, disse Dougie, “La mia decisione è
quella e rimarrà tale.”
Per l’ennesima volta sono
io a non capirti.
“Dougie...”,
gli disse, “Non puoi farla così semplice.”
“Puoi
stare tranquillo.”, disse l’altro, sorridendogli, “Sono io che ho causato tutto
questo, quindi non posso lamentarmene. Hai
tutto il mio appoggio.”, continuò “Non vedo perchè non dovrei dartelo.”
Danny
scrutò a fondo il suo viso in cerca di una piccola piega, di una rughetta, di
un segno tangibile della maschera che stava indossando. Si sarebbe accorto
subito se gli stava vendendo fumo. E
invece...
Era
vero. Era convinto di ciò che gli diceva.
“Ho
perso il mio treno ancora prima di fare il biglietto.”, ironizzò il bassista,
“E forse non avrei mai avuto le palle di salirci sopra, neanche se lo avessi avuto.”
Danny
gli sorrise, abbassò la testa.
“Ti
chiedo solo una semplice cosa.”, fece ancora Poynter.
“E
cioè?”
Dougie
sospirò.
“Non ha bisogno di altre persone che la
confondano, ne ha avute già troppe nella sua vita.”
Danny
si sentì in dovere di mettere le cose ancor di più in chiaro.
“Non
so cosa succederà.”, disse, “Forse niente. Anzi, quasi
sicuramente...”
“Beh...”,
fece l’altro alzando le spalle, “Questo non è più di mia competenza...”
Dougie
gli porse la mano.
“Dai,
stringila.”, lo invitò.
Accostò
l’orecchio alla porta. Non era una deficiente, sapeva benissimo cosa stava
succedendo là fuori, benchè non stesse afferrando una sola delle parole che i
due si stavano dicendo.
Si
sedette sul divano in riflessione.
Danny,
Dougie. Si era
trovata, senza il suo consenso, in mezzo a due fuochi.
Da una parte Danny: l’aveva corteggiata, poi baciata. Con lui
aveva scherzato e, dopo aver accantonato saggiamente ogni
complicazione, si era
divertita ad essere sua amica . E si erano di nuovo baciati.
Dall’altra Dougie: dal nulla al tutto. Dal non avere alcun tipo
di
rapporto con lui a fidarsi quasi ciecamente, raccontandogli come non
aveva mai
fatto prima quello che le aveva segnato l’esistenza nel profondo.
E porre fine
a tutto quello nel modo più squallido possibile.
Se pensava a Danny, la sua bocca si
piegava in un lieve sorriso e un formicolio le solleticava la nuca. Se pensava
a Dougie, le labbra si storcevano in una smorfia di rabbia e il formicolio si
presentava ad infastidirle le mani.
Appoggiò
i gomiti sulle ginocchia e unì le mani sotto al mento.
E dire che non ti ha mai
filato nessuno.
Entrambi
i ragazzi si erano interessati a lei, che non
voleva sentirsi assolutamente responsabile di aver creato problemi tra loro. Forse
era meglio togliere le tende da lì, chiudere ogni rapporto prima che fosse troppo
tardi.
E' già troppo tardi...
Nascose
la faccia nelle mani, in cerca di conforto.
“Little
Joanna!”, sentì esclamare da Danny, preoccupato, “Che cos’hai?”
Non
lo aveva nemmeno sentito tornare lì dentro.
“Oh
no, niente.”, gli fece, “Stavo solo pensando.”
“A
cosa?”, chiese lui, sedendosi accanto a lei.
“Uhm...”,
esitò Joanna, in cerca delle giuste parole, “Quanti casini ho creato?”
Danny
la guardò incuriosito ma perplesso.
“In
che senso?”, le domandò, accomodandosi sul divano.
“Beh...”,
si grattò la testa, “Non è che vi ho fatto litigare... vero?”
Danny
abbozzò un sorriso, passò velocemente una mano sul naso.
“Non
è che abbiamo litigato.”, disse poi, “Abbiamo avuto modo di scontrarci, ma non
devi sentirti in colpa per questo. Eravamo noi a discutere, tu non c’entravi
niente.”
“Ma
lo facevate per causa mia!”, ribattè.
Fuggire, voleva solo fuggire via
Scappa allora, corri via
come una scema.
“Little
Joanna.”, le fece Danny, con tono rassicurante. Le passò una mano intorno alla
vita e, abbracciandola in quel modo, la costrinse ad avvicinarsi a lui.“Ti
impedisco di farti dei sensi di colpa su cose a te estranee.”
Non sei convincente.
“Quello
che è successo è stato solo frutto di mancata comunicazione.”, continuò lui, “Se
ci fossimo parlati di più, addirittura forse non saremmo qui adesso.”
Sei quasi convincente.
“Danny...”,
gli disse, “Dovrei anche parlarti di un’altra cosa.”
“Dimmi
pure.”, fece lui, con calma.
Prese
un profondo respiro. Era giusto che gli spiegasse quali paletti era il caso di
fissare.
“Non
voglio prenderti sul serio.”, iniziò, “Domani te ne andrai, fine.”
Breve,
concisa, diretta. E
Danny non aveva colto una sola parola.
“Domani
tu tornerai ad essere Danny dei McFly", si spiegò, "terminerai con il gruppo gli ultimi
concerti che avete in programma e poi ti rilasserai forse in qualche meta
esotica tra mille altre ragazze. Domani io tornerò ad essere Joanna, che vive
con il fratello giocatore di rugby, con un mucchio di problemi, in una stanza
piena di poster dei suoi musicisti preferiti.”
Solo
a quel punto lui sembrò comprendere. A dire il vero aveva contato sul fatto che
Danny stesse già pensando quelle medesime cose.
“Beh...
non hai torto, Joanna.”, disse, facendosi serio, “Quello che hai detto è la
pura verità.”
“Per
questo non vedo il motivo di rimanere ancora qui.”, fece lei, allontanandosi da
lui.
“La
ragione è semplice.”, disse Danny.
Essergli così tanto vicino ed oscurare il continuo sfarfallare dello stomaco che si
accendeva ad ogni sua lievissima mossa, le stava costando uno sforzo altissimo in
concentrazione.
“Siamo
certi che fino a domani non me ne andrò.”, continuò lui, “Quindi perchè pensare
a domani quando ancora non è nemmeno arrivato?”
Non essere troppo
convincente, ti prego.
“Vuoi
stare con me, stanotte?”, le chiese.
...
Black out.
Out of order.
Corto
circuito.
Purtroppo
la fuga dei cervelli era un problema dell’Italia contemporanea e lei, per
motivi del tutto estranei a quelli che cagionavano questa deficienza
intellettuale peninsulare, non era stata da meno.
Finalmente ce l'ho fatta, ho corretto questo capitolo tremila volte... due palle!!! E sono comunque tristarella, questo è il penultimo capitolo -.-
Per prima
cosa, voglio dare una spiegazione semplice: so che il gesto di Joanna
è fin troppo teatrale e irreale, e so che stona perfettamente
con il resto della storia, soprattutto con il suo personaggio. Yep, lo
sapevo anche prima di scriverlo. E allora perchè l'ho
scritto?
Aspettate, chiedo informazioni al mio cervello... Ora sta elaborando
dati e variabili... Risposta: Perchè mi sono divertita XD
Suvvia, dato che è il penultimo capitolo, lascio i ringraziamenti in grande stile al prossimo XD Cooomunque, in breve, abbraccio tutte voi! Dalla prima all'ultima, chi legge e recensisce, ch legge e basta, chi mi mette tra i preferiti... Insomma, chiunque dia un'occhiata alla storia XD
Alla prossima!