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Autore: Odiblue    09/03/2014    9 recensioni
"Si sentiva strana, con le farfalle nello stomaco, come una stupida ragazzina di dodici anni, con il terrore di svenire stile Hinata Hyuuga. Tratteneva il respiro e sperava che Sasuke non si accorgesse della sua stranezza, del fiato irregolare, delle guance che si scaldavano, quando gli passava un piatto per sciacquarlo. Sperava non notasse gli sguardi con cui lo mangiava, ogni volta che alzava il braccio, per mettere una padella sullo sgocciolatoio. Era un gesto semplice, ma con quella maglietta che mostrava i muscoli e senza Naruto, di là, sul divano..." Sasuke/Sakura; cenni Naruto/Hinata.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Team 7 | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Premessa: è davvero una super-super-super-cavolata. Ho fame, il frigo è vuoto e il mio coinquilino ha appena finito di illuminarmi sull'efficienza dei suoi metodi di conquista. In più ho scordato a casa il computer con le bozze della long che sto scrivendo e quindi... ecco a voi un cliché tra i più beceri dei clichés. Purtroppo per voi, avevo voglia di scribacchiare senza impegno, e l'originalità non è dalla mia parte. Buona lettura.


Nuovi nemici, nuove vendette

I.

    A Sasuke piaceva lavare i piatti. Quando era piccolo, prima che il clan venisse sterminato, aiutava sempre sua madre in cucina. Prendeva lo sgabello di plastica bianca, si metteva sulle punte, indossava i guanti di lattice e giocava ad incastrare la spugna nei bicchieri, a tagliuzzarla con coltelli troppo affilati. Per lui, lavare i piatti, in due, passare una stoviglia a un'altra mano, asciugare un tagliere di legno e riporlo sullo sgocciolatoio, aveva un significato preciso: voleva dire famiglia.  

Naruto e Sakura lo fissavano, come se accanto alla sua testa, fosse sbucato dalla spalla il volto cadaverico di Orochimaru.

Fuori pioveva. Un fiume sgorgava dal canale di gronda e il suo rumore si confondeva con il getto d'acqua, che usciva dal rubinetto. Nel salotto, la radio era ancora accesa. Le voci di Naruto e Sakura – stranamente - non coprivano la canzone di sottofondo. Perché Naruto e Sakura erano fermi. Sulla porta della cucina. Zitti. E lo fissavano con i menti abbassati, gli occhi fuori dalle orbite.

 «Che...» Sakura boccheggiava pure. «Che... che stai facendo?» Balbettava.

Doveva essere un nuovo jutsu della Yamanaka, uno scambio di personalità tra l'Haruno e la Hyuuga, uno stratagemma messo a punto dal clan, nel periodo della sua “breve, giustificata e per nulla vendicativa” assenza da Konoha. Sakura non poteva essere così stupida.

«Non si vede?» aveva ribattuto.

Di malavoglia e piuttosto scocciato, perché i due esseri davanti a lui non riuscivano a leggere i sottotitoli del grande mistero, chiamato Sasuke Uchiha. Anni e anni a pregarlo di tornare a casa, secoli su secoli a imporre la loro presenza, e ora che stava lavando i piatti, nel monolocale di Sakura, in attesa che lei si avvicinasse ad aiutarlo, non capivano.

«Ma, Sas'ke-kun!» squittì Sakura. Corse da lui, decisa a riprendere la spugna gialla e a riconquistare il piatto sporco. «E' casa mia e sei mio ospite. Gli ospiti non lavano i piatti.»

Ospite. Quando la gentilezza diventa una katana pronta a mietere vittime. Ospite. A ventiquattro mesi dal suo ritorno, Sasuke credeva di aver varcato il confine delle formalità, raggiunto il livello, per cui non vi era più distinzione tra “ciò che è mio”, “ciò che è tuo”, “chi è ospite di chi”. Sasuke era sicuro che, se fosse stato la nonna di Sakura, lei non avrebbe protestato, lasciandole l'onore di guerreggiare con pile di piatti e valanghe di forchette. Perché l'eventuale nonna rientrava in automatico nella categoria “famiglia”. Non che lui volesse essere la nonna di Sakura, per carità. Voleva solo sapere...

“In che categoria sono io?”

La vena sulla fronte pulsava, pronta ad esplodere davanti a tanta cecità, punzecchiata dalla caparbietà con cui Sakura cercava di impossessarsi della spugna.

«Andiamo, Sas'ke-kun» diceva. «Lascia che ai piatti ci pensi io. Non sarebbe carino farli lavare a te. Perché ti ostini tanto?»

Sasuke le mise una mano sulla spalla, la costrinse a stare ferma e si girò verso il lavello. Già, perché si ostinava tanto? Giusto un'ora prima, quando erano entrati nel monolocale di Sakura, aveva iniziato a pensare alla sua famiglia. Suo padre, dopo cena, leggeva il giornale, mentre Itachi saliva al piano di sopra, lasciava la porta socchiusa e studiava nuove tecniche d'attacco. Sasuke si accovacciava sull'uscio e restava ad ascoltare lo sfrusciare delle pagine, capitolo dopo capitolo, nella speranza che il libro finisse in fretta, e suo fratello corresse ad allenarsi con lui. Ben presto aveva imparato che Itachi Uchiha leggeva solo volumi di cinquecento pagine: aspettare fuori dalla porta lo avrebbe condannato alla noia. Allora si precipitava in cucina da sua madre, la aiutava con le ultime mansioni domestiche. Quando lei gli sorrideva e gli diceva che era un bravo bambino, sbocciava in lui una sensazione impareggiabile: si trovava al posto giusto. Un posto che gli apparteneva.

Così, quando Sakura aveva apparecchiato la tavola e Naruto si era buttato sul divano, quello strano senso - aria di casa - gli aveva scaldato un punto nel petto, che per un assurdo motivo si trovava dalle parti del cuore.

Ma ora come poteva spiegarlo ai due esseri sulla porta, senza perderci dignità e faccia? E in quale modo avrebbe potuto dire a Sakura di averla immaginata accanto a sé, davanti al lavandino, mentre le loro dita, insaponate, si sfioravano e allontanavano, giocando a prendersi e a lasciarsi?

Ridicolo. Un Uchiha non si rende ridicolo.
 
«Mi rilassa» disse in un sospiro.

Fu in quell'istante che Sakura dichiarò sconfitta e cedette la spugna gialla al vincitore. Fu in quell'istante che Naruto, ancora alla porta, sghignazzò sotto i baffi da volpe:   

«Il teme fa la bella lavanderina!»   

Fu in quell'istante che Sasuke gli spaccò il piatto in testa. Considerato che Sakura viveva sola e al massimo mangiavano in tre, che se ne faceva di un servizio da dodici?
 
*

Sasuke non sapeva perché, e soprattutto quando, avesse accettato di cenare con quegli esseri di dubbia intelligenza, una sera sì e l'altra pure. Di tanto in tanto, cercava di risalire all'origine della maledizione, ma ad ogni sessione di pensieri, concludeva di non avere mai acconsentito. Non per sua decisione - figurarsi volontà o iniziativa - il demone biondo e la furia rosa lo avevano iscritto al progetto “recupero tempo perduto”. Non c'era stata occhiata truce, ghigno omicida o risata satanica a smuoverli dalla loro decisione.

Il novantanove percento delle sere, la scelta ricadeva su Ichiraku, se non che, quando pioveva, cenare all'aperto diventava una vera scocciatura. L'acqua imbrattava il telo della veranda, cadeva in grandi goccioloni sulle loro teste, oppure, nel peggiore dei casi, si infilava nel colletto della divisa da Jounin e percorreva la spina dorsale.

In quei giorni di freddo, pioggia e umido, c'era la casa di Sakura, ad accoglierli.

Dopo la prima sera, coronata dall'assunzione di Sasuke a lavapiatti, divenne un'abitudine rintanarsi nel monolocale al quarto piano, un tacito accordo che vedeva protagoniste tre parti, con tre ruoli ben distinti, ma sempre uguali. Nessuno osava spezzare quel rituale che li teneva uniti e che, giorno dopo giorno, rafforzava il loro legame. Naruto mangiava, si buttava sul divano, si grattava la pancia, fantasticava sul ramen di Ichiraku e sul suo futuro da Hokage.

“Come se avesse una sola possibilità di diventarlo!”

Il ruolo di Sakura era più complesso, se non per il fatto che le spettava cucinare, picchiare Naruto, sparecchiare, lavare i piatti. Sasuke si teneva in disparte, un disparte che, suo malgrado, minacciava di diventare il centro, con il Dobe che lanciava stupide sfide e Sakura che lo riempiva di attenzioni. Ti piace? Ne vuoi ancora? Troppo sale? Vuoi del tè? Un goccio d'acqua?

“Temono forse che a lasciarmi in disparte me ne vada di nuovo?”

Una volta lo aveva chiesto ad alta voce. Se ne era pentito, non appena le parole avevano finito di rotolargli da sotto la lingua. Naruto e Sakura erano diventati bianchi come due ceci. Bingo. Silenzio di tomba. Finché entrambi, demone e furia, si erano sentiti ridicoli, per la mancanza di fiducia. Il Dobe lo aveva sfidato a bere un intruglio d'acqua e ketchup; Sakura era fuggita in cucina con la scusa dei piatti; Sasuke aveva piantato in asso Naruto e l'aveva seguita.

Nella routine del team 7, nei giorni di pioggia, lavare i piatti creava una bolla gigantesca, nella quale solo Sasuke e Sakura potevano entrare, senza correre il rischio di scoppiarla. Era il loro attimo d'intesa, un piccolo universo, breve nello spazio e nel tempo, segreto al resto dell'umanità. Per lui, in quella mezzora passata a insaponare stoviglie e a sciacquare, non esisteva minaccia o preoccupazione che potesse scuoterlo. Non le sfide di Naruto dal salotto. Non la rabbia di essere guardato male per strada. Non il rimpianto per ciò che aveva perso. Quando le mani di Sakura, senza guanti, sfioravano le sue, quando dietro uno strato di sapone sentiva il caldo delle sue dita, quando entrambi si scontravano per recuperare lo stesso bicchiere, Sasuke era finalmente in pace con il mondo. Era in pace con se stesso.

*

Sakura non capiva come Sasuke Uchiha - il vendicatore, ultimo membro di un clan rinomato, rigido di natura, glaciale più di un iceberg, tagliente più di un iceberg - potesse avere un'ossessione tanto malsana per i piatti. Anzi, per i suoi piatti, visto che si teneva alla larga dalla cucina di Naruto. All'inizio aveva creduto fosse un moto di gentilezza, quindi pensato si trattasse di semplice educazione. Ben presto aveva cancellato la prima ipotesi: Sasuke Uchiha non conosceva gentilezza. Eliminato la seconda teoria: per Sasuke Uchiha educazione era non inceneriti, se ti incrociava per strada, con la luna di traverso.

Sakura sapeva che Sasuke ci teneva, a lei e a Naruto. Una piccola particina nel suo cuore credeva addirittura che lavare i piatti fosse un espediente per riallacciare un rapporto perduto, difficile da ricucire. Era una piccola particina ingenua e illusa, e Sakura stava attenta a non lasciarle prendere il sopravvento. Su ventiquattro ore, le permetteva di uscire allo scoperto una media di cinque minuti a giorno, quando doveva rilassarsi, dopo un turno di lavoro all'ospedale, o peggio, dopo la morte di un paziente.

Finché un giorno Sasuke le piombò in casa, dopo pranzo, scardinando direttamente la porta, perché, si sa, bussare è demodè e il campanello non lo hanno inventato per un motivo che non sia estetico.

“Fa pure come se fossi a casa tua!” pensò lei, ma non ci fu tempo di dirlo.

Sasuke Uchiha, grembiule bianco, guanti di lattice gialli, spugna nella destra, detersivo nella sinistra, era passato all'azione. Sgrassava pentole incrostate, annientava strati di unto dalle teglie, sbatteva forchette contro coltelli, bicchieri contro piatti, alzando per la stanza bolle di detersivo.

«Sas'ke-kun?» Sakura sentì i nervi a pezzi.

La tensione aumentò quando lui non le rispose. Era irritante. Terribilmente irritante. La vecchia Sakura lo avrebbe guardato con occhi a cuoricino, la nuova Sakura sentiva lo stomaco borbottare di fastidio: e se avesse avuto visite? E se ci fosse stato un uomo nel suo letto? Solo perché non usciva con nessuno, non significava che casa sua fosse aperta ventiquattro ore su ventiquattro. Domò un impeto di nervoso, prendendo una boccata d'aria.

«Sas'ke-kun, che stai facendo con i miei piatti?»

In tutta risposta, lui aumentò la pressione nel gomito, sfregò con più veemenza. Sakura si concesse un paio di respiri. Realizzò che Sasuke non intendeva cedere e che lei non aveva voce in capitolo. Era insensato innervosirsi, ma, eccezion fatta per le cene con il team 7, loro due equivalevano al nulla: la sua presenza, in quella cucina, in quell'istante, restava ingiustificata.

«Sas'ke» disse, togliendo l'onorifico. «Che stai facendo con i miei piatti?»

“Oltre a portarmi alla pazzia” pensò, distrutta dalla stanchezza e dalla fatica che comportava trattenere troppi sentimenti. “Tu, qui, senza Naruto, senza Team 7, rompi lo schema, infrangi l'equilibrio che abbiamo creato”.

Distruggeva piatto dopo piatto, forchetta dopo forchetta, la giusta distanza tra di loro. Vicini come compagni di squadra, amici, forse. Lontani, per non diventare il qualcosa che non potevano essere. Perché esserlo avrebbe crepato il pavimento di cristallo sul quale si muovevano.

«Sas'ke, ti prego.» Sakura arrivò persino a supplicarlo. «Mi spieghi?»

E Sasuke grugnì, un grugnito tanto forte che non venne coperto dallo scroscio dell'acqua.

«Missione. Due giorni»  disse. «Dobe. Inuzuka. Coso verde.»

Bastò il suono della sua voce a cancellare l'irritazione. Bastò associare “coso verde” a Rock Lee, per strapparle un sorriso. E così Sasuke c'era riuscito, pur non sapendolo. Con solo una frase, senza curarsi di inserire un verbo, aveva fatto breccia nel suo cuore. Ma Sakura fu veloce a rialzare le barriere. Rimase composta, attenta a non farsi illudere. Sasuke non si trovava davanti al lavandino per lei, ma per se stesso. Per rilassarsi.

«Ti aiuto» gli disse, sorvolando sul fatto che i piatti erano suoi.

Si rimboccò le maniche e si mise al suo fianco. Le sembrò che le spalle di Sasuke si sciogliessero, liberandosi di tutta la frustrazione che aveva immagazzinato, ma al tempo stesso quella tensione, fuggendo da lui, fluiva in lei. Si sentiva strana, con le farfalle nello stomaco, come una stupida ragazzina di dodici anni, con il terrore di svenire stile Hinata Hyuuga. Tratteneva il respiro e sperava che Sasuke non si accorgesse della sua stranezza, del fiato irregolare, delle guance che si scaldavano, quando gli passava un piatto per sciacquarlo. Sperava non notasse gli sguardi con cui lo mangiava, ogni volta che alzava il braccio, per mettere una padella sullo sgocciolatoio. Era un gesto semplice, ma con quella maglietta che mostrava i muscoli e senza Naruto, di là, sul divano... Sakura si sentì svenire. Doveva resistere. Poteva resistere.

Si creò così un nuovo equilibrio, che non prevedeva il nome di Naruto Uzumaki. Terminata la missione con "Dobe, Inuzuka e Coso Verde", Sasuke iniziò ad andare a casa di Sakura ogni giorno, dopo pranzo, per lavare i piatti, senza giustificazioni. E Sakura sapeva solo che ad ogni incontro il suo cuore batteva sempre più e sempre più in fretta, e che lei aveva diciotto anni ed era dannatamente troppo giovane per morire di infarto. Sasuke Uchiha aveva un'ossessione per i suoi piatti? Ebbene, questa ossessione andava annientata. Subito.

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Salve a tutti!
Probabilmente fuggirò da EFP per un po', in cerca di un corso che mi insegni a diventare sintetica e a risparmiarvi le paranoie mentali dei personaggi. In principio, questa doveva essere una one-shot, massimo tre pagine word e, invece, la cosa si è evoluta, ma mi impegnerò per non farli diventare più di tre-quattro mini capitoletti. È abbastanza scontato quel che succederà (l'avevo detto che è un cliché), ma spero comunque possa interessarvi il seguito (che prima o poi scriverò) ;-)

Grazie per l'attenzione

e, a questo punto, buona serata.

Odiblue <3
   
 
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