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Autore: writinglove    10/03/2014    0 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Between the Hungry


  Tra sangue e caos

Aprii gli occhi a fatica,con il sole ancora tiepido di metà mattina che filtrava dalle tende socchiuse. Avvertii il lenzuolo avvolto sulla pelle nuda e mi girai verso lui,che dormiva con quell’aria di pace e serenità sul volto. C’era un clima così calmo e piacevole,era come se il mondo intero ci avesse escluso per un momento da quella folle corsa,come se il tempo ci avesse concesso una pausa. Accarezzai i capelli neri ed arruffati di Josh e lui aprì appena appena gli occhi. Mi guardò,sorrise,e riaffondò la testa nel cuscino.

«Che ore sono?» biascicò contro la federa.

Gettai un’occhiata alla sveglia sul comodino.

«Le 9 : 30. Sarebbe ora di alzarsi».

Josh si lasciò scappare un lamento.

Facemmo colazione con del caffè,qualche toast e delle uova strapazzate,poi lui si fece una doccia,si preparò e scappò nell’officina dello zio. Io mi buttai a peso morto sul letto,ancora stanca,priva di forze,priva di cose da fare. Non avevo più un lavoro e ,di conseguenza, più nulla che mi tenesse occupata. Mandy mi aveva fatto un paio di chiamate il pomeriggio precedente,ma non avevo risposto e dopo un po’ si era stancata di tentare. L’avrei fatto anch’io : avrei smesso anch’io di chiamare perché in fondo avrei saputo di non aver proprio nulla di cui scusarmi. Se avessi avuto l’occasione di tenermi stretto quello schifosissimo impiego,non l’avrei di sicuro sprecata e a Mandy serviva,così come era servito anche a me. Ci avevo pensato a lungo quella notte,prima di riuscire a prendere sonno : di cosa nella mia vita sarei andata fiera?Cos’era mio?Quali erano le certezze di cui non avrei mai dubitato?Era un argomento piuttosto impegnativo,e forse proprio per quel motivo avevo impiegato così tanto ad addormentarmi. Ma era lecito chiederselo,no?Ero stata appena licenziata e mi ritrovavo senza nulla…senza obbiettivi,senza sogni,senza niente da fare se non oziare su un divano mangiando patatine e guardando la tv. Non era quella la vita che volevo ; cavolo,io ero Santana Lopez!La regina del McKinley,ex capitano delle cheerios,ex studentessa non proprio modello,ma temuta ed invidiata da tutti. Era quella la fine che una tipa tosta come me meritava?Uno squallido impiego poi perso piuttosto in fretta,una vita monotona e un senso di insoddisfazione che metteva il magone?No,non ci stavo! Forse il licenziamento era stato un segno,un indizio che mi avrebbe condotta a qualcosa o a qualcuno che avrebbe fatto parte del mio destino. Così avevo preso una decisione : presto avrei lasciato Lima,magari anche l’Ohio. Sarei andata in posti come New York o Los Angeles e avrei tentato la fortuna,anche se chissà con quali soldi. Insomma,ero una brava cantante,una ballerina accettabile,e una bella ragazza. Avrei potuto provare a recitare,mi sembrava una gran bella idea. Avrei portato Josh con me,ci saremmo ambientati e avremmo vissuto come una vera e propria coppia di innamorati. Non potevo continuare a restare lì,in quella merda di situazione,impassibile,aspettando che un nuovo e disgustoso lavoro mi cadesse dal cielo,e continuare la mia vita in quel modo. Avevo diciannove anni,porca miseria! Diciannove anni ed una vita noiosa come quella di un vecchio di settanta. Mi ci sentivo un po’ come una vecchia,un po’ ….un po’ morta,spenta,inattiva. Non era quello che volevo e sapevo che non era quello che volevano i miei genitori per me. Ce l’avrei fatta,certo che ce l’avrei fatta!Sarei andata a New York e avrei intrapreso una professione che potesse esser chiamata tale ; avrei ricominciato a vivere e avrei continuato ad avere al mio fianco una delle persone più importanti della mia vita : Josh.

                                                                                                                         *

«Sto tornando. Che c’è?» chiesi scocciata a mia madre,continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada.

«Tuo fratello,ecco che c’è!» urlò lei esasperata.

«Cos’è successo?»

Ero allarmata. La voce di mia madre mi allarmava,così come la sua chiamata. Lei non era una tipa particolarmente tecnologica,se si escludeva l’uso del suo amato televisore. Se poteva evitare di adoperare un aggeggio come il cellulare,l’avrebbe fatto.

«Mi hanno chiamata dalla scuola,si è lussato una spalla giocando a basket!»

«Merda» borbottai.

«Puoi andare a prenderlo e portarlo in ospedale?Io vi raggiungo lì» .

«Certo,nessun problema».

Riagganciai e frenai di colpo effettuando poi una delle mie inversioni ad U un po’ folli. Lucas non riusciva a tenersi fuori dai guai,non c’era mai riuscito. A sette anni si era spaccato un incisivo giocando a calcio,a nove si era rotto un dito litigando con un altro ragazzino più grande di lui,ad undici si era procurato un taglio sulla mano da tre punti cercando di rompere un pezzo di vetro con un pugno,poi a quindici si era slogato una caviglia,e infine quello. Un ragazzino molto fortunato,mi dissi tra me e me. Il vero problema era che non riusciva a stare fermo,non riusciva a riposare come ero stata costretta a fare io in quei giorni,non riusciva a stare chiuso in casa. Dire che fosse iperattivo sarebbe stato minimizzare.

 

Nel giro di cinque minuti raggiunsi il Lima Hospital,ma c’era qualcosa di strano : era pieno di macchine. Non avevo mai visto quel parcheggio così colmo prima di allora ; era come se la metà degli abitanti di Lima si fosse recata lì per una qualche urgenza. Allucinante,era a dir poco allucinante. Continuavo a girare in cerca di un parcheggio con mio fratello che dolorante si lamentava al mio fianco,ma di posto non ce n’era neppure volendolo. Girai a vuoto a lungo,avevo fretta,cominciavo ad entrare nel panico.

«Dio,come fa male!» esclamò singhiozzando Lucas.

«Sta’ tranquillo,» lo rassicurai «presto ti sistemeranno la spalla».

«Sbrigati,maledizione…è dolorosissimo!»

Gli occhi impazzivano alla ricerca di uno spiazzo vuoto,ma sembrava impossibile trovarlo. Dopo qualche altro minuto,e un ultimo sofferente lamento di mio fratello,decisi di lasciare la macchina dove capitasse. Quanto ci sarebbe voluto per sistemare una lussazione?Non potevo continuare a girare a vuoto. Lasciai l’auto dietro ad una BMW dall’aspetto lussuoso e curato,e scesi alla svelta.

«Muoviamoci!»

Camminavamo quasi correndo,inseguiti da una sorta di agitazione inspiegabile,di ansia,di paura. Tutte quelle macchine,i lamenti di mio fratello…c’era un’atmosfera tetra,strana. D’un tratto i miei pensieri corsero a mia madre ; chissà se era riuscita a trovare un parcheggio,chissà se era già là. Avevo impiegato più tempo per cercare una piazza vuota,che per andare a riprendere mio fratello da scuola e portarlo in ospedale. Forse era dentro che ci aspettava ansiosa,chiedendosi dove fossimo finiti.

Aprii la porta dell’edificio con mio fratello al seguito che piangeva tenendosi una mano sulla spalla sinistra.

«Resisti,adesso chiamo un dottore» dissi,cercando di tranquillizzarlo.

Era fatta,ormai mancava poco e la situazione si sarebbe risolta. Accompagnai Lucas in sala d’attesa e mi accorsi che era piena di gente. Forse c’erano quaranta persone,forse anche cinquanta ; non c’era spazio per sedere e probabilmente neppure per respirare. Che diavolo stava succedendo?! Si sentiva solo il suono del tossire,di pianti disperati,urla,lamenti,cose che facevano accapponare la pelle. La visione era molto peggio : alcune persone erano sedute sul pavimento,con il busto poggiato al muro,la pelle diafana e velata da gocce di sudore,le occhiaie marcate e la bocca aperta,come se stessero cercando disperatamente di respirare.

«Mi ha morso!» urlava una signora pallida,agitandosi verso un altro gruppetto di persone «Il mio vicino mi ha morso!»

Sbarrai gli occhi. Non capivo il senso delle sue parole,non capivo il senso di quel “mi ha morso”.

«Santana,dove sono i dottori?Perché c’è tutta questa gente qui?» mi chiese mio fratello,con un filo di voce rauca e disperata,che aveva perso improvvisamente il colorito.

Avrei voluto rispondergli qualcosa di sensato,ma non sapevo cosa dire,non sapevo darmi spiegazioni. Avevo solo un gran brutto presentimento,uno di quelli che ti esplodono dentro e che spingono le gambe a muoversi veloci,velocissime per aiutarti a sopravvivere.

«Non lo so».

Tutto quel groviglio di gente mi inquietava,mi metteva una gran paura e non potevo fare a meno di gettare una qualche occhiata disperata ai bambini che stringevano le mani dei propri genitori moribondi a terra,o agli anziani che stringevano un pezzo di stoffa insanguinata attorno ad un braccio o ad una gamba. C’era però una cosa che tutti avevano in comune : delle ferite. Presi in mano il cellulare e composi il numero di mia madre.

«E’ tutto ok?Sto arrivando. Come sta Lucas?»

«No!» esclamai immediatamente «Torna a casa,mi hai capita?!»

«Santana,che succede?» domandò con la voce preoccupata come non l’avevo mai ascoltata.

«Non venire qui!E’ pieno di gente,pieno come non puoi nemmeno immaginare. Ci penso io,ok?Torna a casa e aspettaci lì».

«Non se ne parla!» rispose lei alterata.

Respirai a fondo,ma la mia mano stringeva il telefono così forte che avrebbe potuto romperlo. Volsi lo sguardo a Lucas che con gli occhi pieni di lacrime mi guardava sofferente,preoccupato,pieno di paura.

«Non ti azzardare a venire!» urlai con rabbia,sopraffacendo in parte i lamenti rumorosi che assediavano la sala «Non devi venire!Hai sentito?Non devi venire» ripetei furiosa, scandendo bene le parole.

Seguirono alcuni secondi di silenzio,e allora mi preoccupai ancora di più.

«Va bene» rispose la donna arresa «vi aspetto a casa».

Era rimasta senza parole. Avevo alzato la voce in modo esagerato,ma la rabbia mi era esplosa in gola,incontrollabile e devastante. Forse non era rabbia,forse era…forse era disperazione,paura. Lucas piangeva appoggiato al muro del corridoio adiacente alla sala d’attesa,ed i suoi occhi mi chiedevano aiuto ; stava soffrendo.

«Si puoi sapere dove cazzo sono i dottori?!Si può sapere che diavolo succede?!» strillai con quanta più forza avessi.

Le persone meno malandate e sofferenti si voltarono verso di me,e la cosa strana fu che mi compatirono con lo sguardo. Loro compativano me,quando sarebbe dovuto essere il contrario. Una donna con le lacrime agli occhi,ma priva di ferite,mi si avvicinò con l’aria afflitta ed una mano sul petto.

«Io e mio marito siamo qui da due ore» mi disse,aspettandosi che facessi la domanda giusta.

«Che cosa è successo?» la mia voce tremava,era debole,così come le mie gambe.

«Eddy è stato aggredito a lavoro.» rispose piangendo e portandosi le mani sui capelli biondi ed arruffati «lo ha morso un uomo!Gli ha staccato parte del polpaccio e nessuno ci assiste!Sta morendo…mio marito sta morendo e nessuno ci assiste!» urlò tra i singhiozzi e la disperazione.

Dio,mi sentivo male. Mi sentii girare la testa e mancare le forze. Ero impietrita.

«L-l-lo ha m-morso?»

Mi fece cenno di sì con la testa.

«Tutti qui sono stati morsi,ed ora hanno la febbre. Mio marito dice che non sono dei veri uomini,ma che sono una specie di mostri e che hanno cercato di divorarlo. Lui ha provato a difendersi,ma sarebbe morto se non fosse intervenuto un suo collega. Dice che gli ha sparato un paio di colpi di pistola sulla schiena,ma quella cosa non moriva,così ha iniziato a prenderlo a pugni sul cranio e l’ha allontanata da Eddy».

Scossi la testa scioccata «n-non è po-possibile».

«Perché dovrei mentire?» mi chiese lei piangendo,con la voce acuta ed interrotta dai singhiozzi «Presto morirà!Presto morirà!» urlò gettandosi con le ginocchia a terra, impazzendo dal dolore.

Spostai gli occhi dalla donna ; quello era l’unico movimento che ero in grado di fare. Sentivo i pianti,le urla,tutto creava un gran frastuono,un caos nocivo che faceva tremare le gambe,che trasformava le ossa in gelatina. Il cuore mi scoppiava nel petto,le tempie mi pulsavano,mi faceva male lo stomaco. Ma fu un attimo prima che il vero disastro avvenisse,un piccolissimo e terribile attimo.

«E’ morto!O mio Dio!Qualcuno mi aiuti!Qualcuno mi aiuti!» gridò una voce femminile alla mia sinistra,accanto il muro.

Mi voltai di scatto verso Lucas,che continuava a piangere forse più per la paura che per il dolore,e gli ordinai severamente di non muoversi di lì. Poi trovai la forza,non so come,di avvicinarmi a quella voce la cui fonte era coperta da un gruppo di persone. I piedi neppure volevano muoversi,così come le gambe. Sudavo,sudavo freddo e pensavo al mio cuore dai battiti impazziti. Con cautela mi feci avanti e trovai uno spazietto in cui infilarmi per dare un’occhiata. C’era una donna dai capelli rossi che piangeva sul corpo di un signore che era privo di vita. Il petto dell’uomo non si muoveva,la pelle era morta,spenta e gli occhi erano chiusi.

«Aiutatemi!» gridò ancora la ragazza,scuotendo il cadavere inerme «Qualcuno faccia qualcosa!»

Soltanto dopo che la rossa si voltò in cerca di uno sguardo rassicurante,disposto ad assecondare la sua follia,mi accorsi di chi si trattasse : era Mandy. In quel momento il mio cuore si strinse e le lacrime cominciarono ad uscire,come se avessero avuto bisogno,dopo tanto,di tornare ad avere vita propria. Provai a gridare il nome della ragazza una volta,poi una seconda,ma la voce risuonava sorda e priva di consistenza. Quando decisi di avvicinarmi per parlarle,vidi qualcosa che mi raggelò il sangue nelle vene,qualcosa di mostruoso,di disumano. L’uomo aprì gli occhi vitrei,sembrò scrutare il sorriso umido della figlia,poi le afferrò un braccio e si portò la carne alla bocca. Affondò i denti e ne staccò una grossa porzione con la stessa facilità con quale si taglia il burro. Le urla si levarono,il sangue cominciò ad uscire a fiotti,e in breve l’uomo fu sopra la ragazza e continuò a divorare il braccio,indisturbato. Cercai di respirare più e più volte,ma l’ossigeno pareva essersi rarefatto e il mio cervello era andato in tilt. Ero ferma,immobile,ed osservavo il mostro divorare quella che forse era stata la mia unica amica da dopo il diploma. Non la fissavo perché volessi fissarla,ma perché non ero in grado di spostare lo sguardo,di muovermi,e quindi ero in trappola. Non sentivo nemmeno i rumori ; forse c’erano urla,la gente correva,scappava,pur sapendo in fondo che non esisteva fuga. Io fissavo quel che restava di Mandy,ma intanto la situazione degenerava.

«Dobbiamo andarcene!Andiamocene Santana!» gridava mio fratello disperato,scuotendomi per un braccio.

Ma io non riuscivo a muovermi,non potevo muovermi.

«Dall’ingresso stanno arrivando altre di quelle cose!Ti prego!Andiamocene!»

La sua paura fu l’unica cosa che riuscì a sbloccarmi. Lo guardai per qualche secondo,mentre tornavo a prendere coscienza del resto del mondo,battei le palpebre un paio di volte e feci a stento qualche passo,trascinata per il braccio. Mentre percorrevamo il corridoio mi voltai indietro una sola volta,e quella bastò. C’erano delle sagome in fondo che camminavano trascinandosi,e i loro lamenti annientavano la poca lucidità che mi era rimasta. Erano forse in cinque,o di più,non avevo neppure la capacità di contarli ; erano lenti,con parti di carne mancanti,gli occhi vitrei e la pelle dello stesso colore del marcio,ma cosa più importante : erano affamati,erano davvero affamati.


Salve a tutti!

Vi chiedo scusa se non mi sono presentata nello scorso capitolo,ma ho pensato che forse sarebbe stato meglio farlo in questo (è stupido,lo so). Sono "writinglove" e ho finalmente deciso dopo tempo di dar vita ad un qualcosa che potesse essere frutto di una folle ispirazione. 'Beetween the Hungry" nasce da una mia grande passione per le serie televise,in particolare quelle di The Walking Dead e Glee,e quella invece per la scrittura. Dunque,con questo mix un po' azzardato, mi presento a tutti voi lettori assieme alla viva speranza che questo piccolo lavoro di una piccola persona possa essere di vostro gradimento.

Dopo questo palloso discorso (è vero,sono pesante) vi dico solo un'ultima cosa : al prossimo capitolo! (spero)

  
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