Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Nika L Majere    11/03/2014    5 recensioni
SPOILER TERZA SERIE!!!
Moriarty è tornato. Londra trema. E Sherlock è prigioniero di Baker Street.
Il gioco ricomincia e gli scacchisti sono pronti. Ma questa volta c'è molto, molto di più da perdere.
Sherlock è cambiato: la sua corazza è stata scalfita e ora ne deve pagare le conseguenze.
Attenzione: Sherlolly incontrollata.
"Per questo è bene evitare con cura le emozioni e tutto ciò che vi gravita intorno. Meglio affrontare le cosa da un punto di vista freddo e distaccato. Non è per sentimento che si cambia, ma per il secondo principio della termodinamica.
Esso cita: «Questo principio tiene conto del carattere di irreversibilità di molti eventi termodinamici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo.»"
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno - in cui si espone il secondo principio
 
 
Errore umano.
Lo ripete così spesso da averlo reso un mantra sacro alle proprie orecchie. È la scusa preferita che porta a sostegno dell'altrui stupidità. Si vanta di esserne immune. O almeno questo è ciò che spera. Perché se questo errore dovesse abbattersi su di lui, non sarebbe in grado di attutirne il colpo. Quindi è meglio camminare a testa alta e lasciare il cuore a rotolarsi nel fango. Tuttavia non sempre è un bene confidare di essere superiori alla norma: la caduta fa male e lui lo sa bene.
Eppure si ripete, affidandosi troppo alla sua superbia.
Come dicevamo: errare è umano.
 
***
Sherlock è un fascio di muscoli e nervi tesi e incontrollati e neuroni sempre in movimento. Per quanto preferirebbe darla vinta alla mente, deve sempre e comunque fare i conti anche con quello che ci sta attorno: il fisico, il corpo, la materia. Inutile materia che deve mangiare, dormire e defecare senza che l'intelletto gli abbia dato il permesso. Per questo suona il violino. Lo aiuta a pensare. La risonanza del legno è famigliare e rassicurante. Lo costringe in una singola forma statica che lo fa vibrare insieme alle corde e lascia che il suono gli rimbombi nella cassa toracica. Si può dire che quella inutile materia sia in verità lo strumento che viene suonato. Così che il corpo è soddisfatto e la mente è libera di saltare tra connessioni e stanze. Ma soprattutto gli tiene impegnate le mani, che solo Dio sa cosa finirebbero a fare senza il controllo di qualcosa.
La musica è febbrile e graffiante. Urla e stride. Come lui. Una fiera in gabbia. Armonici artificiali Tormento Staccati Impotenza Corde vuote. Autodistruzione. Quanto vorrebbe una sigaretta.
Guarda fuori dalla finestra la neve che si posa senza indignazione sui tetti di una Londra schiantata dalla paura.
Moriarty è tornato.
Al lupo! Al lupo!
Che si dia inizio allo spettacolo.
In fondo gli deve un favore: se non è in galera o deceduto da qualche parte in Polonia il merito è suo. Perché loro due devono sempre avere un debito che li tenga legati. È il loro patto inespresso e vincolante fino alla morte. Una morte che a tutti e due, a quanto pare, piace ingannare. Dal momento che uno ha mancato di onorare l'accordo, l'altro si è sentito in dovere d'intervenire. E ora l'Inghilterra intera trema.
Com'è semplice creare scompiglio. Increspature sull'acqua. Basta qualcuno che getti un sassolino in un lago e finanche le rive più lontane avvertiranno il turbamento. Sherlock è una barca di carta che non può far altro che farsi trascinare. E si ritrova a pensare a quanto tutto ciò sia incredibilmente elegante.
Un vibrato profondo lo scuote. Chiude gli occhi e per una battuta asseconda l'estasi del momento. L'archetto scivola, accarezza le corde, non le rispetta. La cassa armonica diventa parte di lui fino allo spasmo. Rischiano di spezzarsi entrambi.
Poi tutto tace.
Il silenzio invade l'appartamento con violenza.
Esausto lascia cadere il violino sulla poltrona, prima di scivolare a sua volta verso la cucina. O almeno da qualche parte dovrebbe esserci una cucina, nascosta sotto becher colmi di liquidi sgargianti, cilindri graduati e pile di fogli fitti di appunti. Lo sguardo passa in rassegna tutto ciò che vede e con rammarico il cervello classifica più o meno ogni cosa dal "non commestibile" al "altamente tossico". Ha fame. Ha sempre fame dopo la musica (probabilmente avrebbe fame anche dopo il sesso. Se solo ne avesse mai fatto in vita sua) e in quella maledettissima cucina ci sono solo strumenti da piccolo alchimista. Magari troverà la tintura rossa ma si terrà i crampi allo stomaco. Troppo tardi per svegliare la signora Hudson. Troppo presto per chiamare John. Sarebbe stata la volta buona che Mary lo ammazzava per davvero.
In una delle credenze trova dei vecchi cracker stantii e se li fa bastare. Il frigorifero non si azzarda nemmeno ad aprirlo: per quanto a lui piacciano i cadaveri, c'è un limite che non va oltrepassato. Soprattutto se sono le tre di notte e hai lo stomaco vuoto da questa mattina.
Si lascia andare sul divano e prende a sbocconcellare il suo pasto con noncuranza, guardando un punto indefinito sul pavimento. Non potrà concedersi di rimanere inattivo ancora a lungo. In fondo è per questo che è stato risparmiato a quel misero destino. Ma d'altro canto, per quanto possa essere bravo, non può ancora operare miracoli: è ben difficile cercare indizi se non puoi indagare sul posto. Anzi, se non puoi nemmeno pensare di vedere la scena del crimine! Tutto ciò è oltremodo ridicolo e infantile. Il lupo è tornato apposta per lui e lui non può andare a tirargli la coda. E poi c'è il gioco, che è iniziato e lui non può giocare. Gli tocca guardare la partita da fuori e questo non gli va affatto bene. Si annoia a morte. Sherlock annoiato è un'arma di distruzione di massa che non andrebbe mai innescata, perché nessuno sa cosa sarebbe in grado di fare pur di mettere le mani sui puzzle che sicuramente la sua nemesi ha disseminato in giro apposta per lui. È così frustrante da portarlo al delirio. Vorrebbe conficcarsi le unghie nelle braccia e graffiare con forza pur di far cessare la fame che avvinghia la sua mente, mille volte peggiore dell'astinenza delle viscere. Ma non può. Per quanto vorrebbe, non può permettersi il lusso di andare al di là del bordo del marciapiede. Anche se ha fame e appena all'angolo successivo fanno un ottimo fish and chips.
Appunto mentale: mettere in conto a Moriarty un paio di cene.
Perché l'artefice della sua salvezza è anche il suo inconsapevole carceriere. Una prigionia che gli è stata costruita addosso e di cui i più ridono sapendo di ferire il suo orgoglio già abbastanza martoriato. Sovrano imprigionato nel suo stesso regno, dal momento che due giorni prima suo fratello si è presentato con due semplici, agghiaccianti parole:

"Arresti domiciliari"
"Come prego?"
Mycroft era una statua di cera. Nella penombra dell'appartamento sembrava uno di quei pupazzi da casa degli orrori messo a caso nel punto meno opportuno. Non faceva paura e al massimo poteva creare fastidio. Che era esattamente ciò che provava Sherlock in quel momento.
"Fratellino, hai piantato un proiettile nella testa di un uomo. Cosa ti aspettavi? Un cesto di fiori e una bottiglia di vino?"
"Sarebbe perfetto, grazie. Toscano, se possibile"
"Sherlock, non mi pare il caso" John si mosse a disagio sulla poltrona.
"Arresti domiciliari? Io?" il detective prese a misurare la stanza con falcate incalzanti "tanto varrebbe farmi rinchiudere, allora"
"Non tentarmi" il sorriso di Mycroft era fin troppo divertito. Tuttavia persino lui si rendeva conto quanto dovesse apparire opprimente la condizione che veniva imposta a suo fratello. Ed era solo l'inizio.
"Quindi?" Sherlock piantò gli occhi in quelli del maggiore degli Holmes "Mi metterete addosso uno stupido dispositivo con lucette verdi intermittenti?"
"Per lasciarti il piacere di manometterlo? Suvvia, non essere ridicolo! Sai che preferisco metodi più sofisticati: sarai posto sotto stretta sorveglianza. Ci saranno uomini fidati a controllare ogni tuo movimento. Se ti metterai le dita nel naso io lo saprò. È chiaro?"
Il minore cercò il modo più appropriato per ribattere, ma l'unica parola abbastanza fastidiosa che riuscì a trovare fu: "Feticista"
Mycroft arricciò il naso come se fosse stato punto da un cattivo odore.
"Non è tutto: non uscirai da qui senza il mio consenso scritto e ti potrai dirigere solo ed esclusivamente dove sarai necessario."
"E come pensi sarei in grado di portare avanti una qualsivoglia indagine?" Sherlock sapeva esattamente come, ma l'idea lo ripugnava a dir poco.
"Tutto ciò che ti servirà ti verrà fornito dalle sole persone che avranno il privilegio, o la sfortuna, di accedere a questo appartamento. Quindi no, i tuoi senzatetto non possono venire qui. Dovrai fidarti dei nostri occhi."
"Cominciamo bene, dato che escludi a priori gli altri quattro sensi" il disprezzo era palpabile nella sua voce.
"Mycroft, sai che questo è ridicolo vero?" Entrambi i fratelli si voltarono stupiti verso il dottore, che prese a balbettare preda all'imbarazzo "Cioè... È evidente che tu voglia proteggerlo, ma così mi sembra esagerato" John era conscio di aver fatto il passo di molto più lungo della gamba.
Mycroft storse nuovamente il naso.
Sherlock sorrise, incurante di ciò che pensava suo fratello.


Sherlock continua a sorridere, mentre il ricordo riaffiora alla mente. La semplice genuinità del dottor Watson è da sempre la sua personale ancora alla realtà. Lo costringe a stare con i piedi in questo mondo mentre il cervello se ne va chissà dove. E per quanto detesti dare ragione all'altro Holmes, Mycroft non sbaglia: l'entità "John" ha cambiato l'entità "Sherlock" in modi che il primo non può neanche immaginare. Si è ritagliato a forza una porta in quel castello di cartone che il detective usa per mascherare il vero se stesso, vuoto e fragile come solo la certezza che sia inespugnabile può essere. Lo ha fatto mettere in discussione. Anzi, lo ha costretto a rivalutare ogni singolo minuto della sua esistenza. Non riesce ancora a capire se tutto questo sia accettabile o meno.
Sherlock detesta da sempre i sentimenti perché aprono fessure e lasciano entrare spifferi. E gli spifferi, a lungo andare, possono far vacillare l'intera struttura e farla crollare. Una fortezza piena di buchi non serve a granché. Per questo è bene evitare con cura le emozioni e tutto ciò che vi gravita intorno. Meglio affrontare le cosa da un punto di vista freddo e distaccato. Non è per sentimento che si cambia, ma per il secondo principio della termodinamica.
Esso cita: «Questo principio tiene conto del carattere di irreversibilità di molti eventi termodinamici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo.»
È quindi innegabile che John, volente o nolente, nel momento in cui è entrato in collisione con Sherlock, ha cominciato a trasmettergli calore. Un calore che Sherlock, volente o nolente, ha dovuto accettare. Quindi il cambiamento. Quindi la reazione. L'argine della sua razionalità ha dovuto cedere sotto i colpi di una indefinita gamma di sfumature. Decisamente troppe da catalogare. Nessun archivio potrebbe permettersi un tale spreco di spazio. Per cui lui le lascia lì, fluttuanti nell'aria, compiendo lo struggente sforzo di ignorarle. Troppe variabili portano a confusione: semplificare, semplificare, semplificare. Trovare la giusta equazione.
John:Sherlock = ???
Porsi sempre la domanda sbagliata. Eppure, una domanda apre sempre una porta, per quanto difficile possa essere la risposta.
Il problema, invero, non è tanto quale porta abbia aperto John: il dilemma nascosto sta in una singola parola: irreversibilità. Non si torna indietro, questa è la regola. Sherlock è consapevole di essersi smascherato, permettendo agli altri di sbirciare nella fortezza. Cosa questo potrà comportare, solo il tempo ha il diritto di saperlo.
Il cellulare vibra, gettando luce sulla parete. Sherlock lo afferra e legge un numero che conosce bene. Un messaggio:

Dormi? Molly

Uno sguardo rapido alla finestra: dal buio profondo intuisce che sono le 3.45, forse già le 4.00. Per lui è un orario più che normale, per la patologa no: alle 8.00 dovrà essere al Bart's ad aprire cadaveri, a frugare tra le loro viscere e a scoprire il motivo che li ha resi vuoti corpi morti. Un lavoro che senza le adeguate ore di sonno può portare sull'orlo della pazzia.
Esita un attimo, quel tanto che basta a visionare tutte le possibili conseguenze se rispondesse ora al messaggio. Restringe la cerchia alle sole due veramente probabili: una preferibile; l'altra non nega che gli farebbe piacere, per quanto non sia di utilità a nessuno dei due. Però in fondo ci spera. Sherlock è incapace di mentire a se stesso. Le dita corrono veloci:

Sì. SH

Getta il telefono sul divano e si passa le mani sugli occhi in un gesto stanco.
Molly Hooper.
Sempre presente ai lati del suo campo visivo. Sempre invadente con i suoi vestiti assurdi e il suo profumo troppo dolce. La donna grazie alla quale lui può ancora permettersi notti insonni.
È colpa dell'equazione se il detective ha cominciato a vedere la patologa sotto altre sfaccettature. Tutta colpa del secondo principio della termodinamica. In definitiva, è colpa di John. Per come la vede lui, spesso e volentieri è colpa di John.
Il cellulare vibra di nuovo.

Vuoi parlare?

E di cosa? Del pazzo criminale zombie che potrebbe braccarli da un momento all'altro? Del fatto che, lei non lo sa, ma una squadra degli uomini di Mycroft la segue e la spia ovunque (non vuole pensare fino a che punto)?
Per proteggerla, dice Mycroft.
Non violarla, vorrebbe ribattere Sherlock.
E invece sta zitto, che il silenzio fa meno paura.
Si ritrova a stringere convulsamente il telefono. Non è da lui farsi problemi. Non è da lui lasciarsi scivolare così nei sentimentalismi. Ma la verità è che la diga ha già cominciato a scricchiolare tanto tempo fa. Si dice che una maschera diventi sempre più pesante ogni giorno che passa. Quanto forte bisogna essere per portare quella che Sherlock si è scelto?

Parlare non serve. SH

La verità è che se non ci fosse stata Molly Hooper lui sarebbe solo un mucchietto di nulla spiaccicato su un marciapiede. E se al Bart's ci fosse stata un'altra? Se non avesse mai incontrato quello scricciolo di donna?
- cosa diciamo noi delle coincidenze? Raramente l'universo è così pigro -

Allora fai finta che sia lì ad abbracciarti.

Eccola, la risposta infantile. Come se un abbraccio servisse veramente a qualcosa. Come se fosse, tra l'altro, gradito. Come se non fosse lei quella più terrorizzata tra loro due. È sempre Molly che tenta di proteggerlo, quando invece dovrebbe farlo lui, quanto meno per cavalleria. Ma la sola idea di non riuscirci - di rivivere quel terrificante momento di vertigine che provò scoprendo il corpo di una finta Irene Adler - lo fa bruciare di un gelo interiore che dallo stomaco si espande a ogni fibra del suo corpo. Più di vedere l'Inghilterra in ginocchio, più di pensarsi morto davvero, più di qualsiasi altra aberrazione. L'idea di non sentire più le stupidaggini di Molly Hooper lo fa accartocciare come carta gettata nel fuoco.
Si rialza. Porta il cellulare con sé. Riprende il violino. Menù -> strumenti -> registratore.
Suona come se l'alba non dovesse arrivare.

***

Molly si rigira nelle coperte troppo strette, in ansia.
Forse non doveva inviare quell'ultimo messaggio. Forse è stata un po' troppo audace. Ma lei cosa ci può fare se il cuore le trema al pensiero che lui sia da solo?
Quando John le raccontò ciò che era successo, di come Sherlock con un gesto tutt'altro che calcolato abbia puntato la pistola alla testa di Charles Augustus Magnussen e abbia premuto il grilletto, lei ebbe solo due pensieri. In primis: merda! Sì, perché a volte Molly è una scaricatrice di porto, anche se lo nasconde molto bene.
Il secondo fu di orgoglio: Sherlock si era dimostrato essere un uomo pronto a buttare tutto alle ortiche pur di proteggere quanto ha di più caro. Non le era mai passato per l'anticamera del cervello il pensiero che forse avrebbe dovuto essere disgustata da un assassino. Sherlock non lo è. Non va in giro a uccidere gente a random. Non è come...
Si blocca. Ogni muscolo in tensione. Anche solo il suo nome le fa paura.
Si stringe ancora di più nelle coperte, avvolta dal freddo che irradia il suo stesso corpo. La camera si dilata. Le ombre crescono. Si sente come una sperduta Gretel in cerca della propria casa nella fitta oscurità di un bosco senza confini. Non ci sono fatine, non ci sono dolciumi, non c'è lieto fine. Si ritrova a tremare così violentemente da aver paura di rompersi. E se le ossa si scardinano diventerà davvero una marionetta. E lui la farà ballare. La farà danzare sulle sue arie di dolore e di morte.
Ciò che più la spaventa è diventare lei stessa una lama puntata alla gola di Sherlock. Lei che vorrebbe solo far parte del suo mondo come ci è riuscito solo John. Che ruberebbe altri venti cadaveri se fosse necessario. Che diventerebbe lei stessa uno di essi se non ci fosse altra alternativa. Tutto. Tutto, pur di non deluderlo. Pur di non fargli provare altro dolore.
- Se dovessi morire, mi guarderesti come hai guardato lei? Fumeresti una sigaretta come se fosse la tua preghiera sussurrata a mezza voce? Se dovessi morire, comporresti musica struggente anche per me? -
Il cellulare suona. La suoneria dei messaggi troppo alta la fa sobbalzare. Afferra il telefono con mani tremanti.

NUOVO MESSAGGIO VOCALE

Lo osserva un attimo, interdetta. Poi apre il messaggio e preme il tasto play.
La musica invade la stanza. Le ombre si ritraggono. Per un secondo sembra che le pareti siano investite dalla luce del sole.
Sono le 4.45 del mattino e Molly bagna di lacrime il display, mentre ascolta la sua anima scomposta e ricomposta sulle corde di un violino.

***

Sherlock osserva la neve posarsi sul minuscolo terrazzino che da su Baker Street. Fa un freddo cane, ma ha deciso di fumarsi una sacrosanta sigaretta e quindi di non curarsene, anche se ammette che i piedi nudi nella neve non sono poi così male. Dopo bruceranno, adesso è lenitivo. Sigaretta post coito, direbbe John per schernirlo. Forse potrebbe essere vero. Prende atto di quanto gli sia stato facile comporre quel brano. Chiude gli occhi e inspira profondamente l'aria fredda.
Tra poche ore sarà l'alba.
E a quel punto l'unica musica che potrà permettersi sarà sul ritmo di una marcia incalzante.
 
 
 
 
 
 
Note
Quattro anni che non si scrive e poi la BBC ti costringe a farlo: prima con il Dottore, ora con Sherlock.
Chiedo venia, ma sono un po’ arrugginita. Spero però che il primo capitolo vi sia piaciuto ugualmente.
Questa storia è nata principalmente per sfogare la mia voglia di Sherlolly, che conoscendo Moffat rimarrà inappagata a vita. Quindi sapete chi andare a picchiare se comincerò a tirare fuori deliri senza capo ne coda.
È una storia in fieri, già parziale nella mia mente, ma chi può sapere dove si andrà a finire!
Tra parentesi: è Sherlolly, certo, ma non è detto che non salti fuori Irene Adler da qualche parte (so già il come, non quando e so dannatamente bene il perché!).
Spero rimaniate con me. È vero che ho fama di cominciare storie a capitoli e non finirle, ma questa giuro che sarà portata a termine. Lo devo a Sherlock.
 
  
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