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Autore: Ichizomi    11/03/2014    1 recensioni
Semplicemente una fanfiction in omaggio ai doppiatori del gruppo di ODS che operano su Youtube, condita con piccoli riferimenti a varie cose di tanto in tanto e scritta con quel tono classicheggiante che non guasta mai. Non sarà la miglior introduzione del mondo, ma non mi riescono molto bene. Spero che vi incuriosiate e che proverete a leggere.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gianandrea trafisse il cuor della Grande Piaga che si accasciò al suolo apparentemente priva di soffio vital. Il cavalier le si avvicinò, il suo animo, pervaso di titubazion, sussultava ad ogni passo compiuto verso la bestia. Era innanzi alla carcassa et con punta di spada in ausilo lenì ripetutamente lo spesso strato di pelle per istigar reazion in caso lo mostro della morte fingesse aspetto per trarre in inganno uno sprovveduto. Dopo un legger lenir la punta della spada venne affondata sempre più in profondità, lasciando profondi squarci nella pelle corazzata della carogna. Ad ogni squarcio la bocca di Gianandrea tirava le labbra sempre più in su finché non gli comparve un grande sorriso da cui faceva sfoggio d'ogni dente. Guardò il cadavere un'ultima volta, poi si rivolse ad Andrea e mostrò ad egli il volto insanguinato in cui spiccava un sorriso dettato da pazzia. “Andrea! Mio fido amico! Ci siam infine riusciti! Eccola! La Grande Piaga, infine è ai nostri, miei, piedi. Abbiam atteso per settimane, abbiam rinunciato a sonno, abbiam accumulato fame e sete, ma infin eccola qui, che giace prostrata ai miei calzari. - qui proruppe in una fragorosa risata - Vedi? Oramai è così inerme che la posso calciare sanza farmi iscrupolo di venir ferito da sue fauci – e così disse e così fece, calcio sanza pietà l'inerme testa dello mostro – Vedi? Son io il solo che è riuscita ad abbattere la Piaga, io sono il più gran cavalier di tutti i tempi! Nessun mai eguaglierà le mie gesta; si scriverà e si parlerà di me in eterno, al pari dell'opere dedicate a nostro signore Iddio.” E continuò in una risata 'sì lunga che il pover Andrea credette che presto lo suo padron sarebbe soffocato per mancanza d'aria. Mentre Grandenaso era intento nei suoi festeggiamenti e nelle sue esultanze quasi dimenticò il suo intento di mozzar il capo della ripugnante creatura per offrirlo alla donzella che nel suo cuore avea preso posto. Sguainò la spada e la calò con ferocia sul collo della Piaga tranciandolo e facendo riversar sull'erba lo sangue violaceo che a gran velocità si spanse disegnando una figura che al nostro cavalier sfuggì ma che lo spaventato Andrea non mancò di notar: un cuor spezzato al centro. Così come Gianandrea issò sul suo capo la testa mozzata essa si tramutò in cenere che volò nel vento, ciò tramutò la gioia di Grandenaso in rabbia che avrebbe presto sfogato insul corpo abbattuto al suolo se questo non avesse iniziato a brillar di violacea lux. Il corpo della bestia si decompose lasciando apparire al suo interno una longilinea figura di femminino et humano parvenza. Ancora avvolta in lux la figura si alzò e parlò al prode cavalier:
“La ringrazio mio buon cavalier
di aver posto fine allo mio tormento,
le mie pene or son più legger
e il tanto a lungo atteso momento
infin giunse per me: da puro di cuor perir
sotto sua mano, sotto suo ingegno.
La mia maledizion incontra suo fin,
per ringraziarvi vi lascerò di mio amor un pegno.”
E Gianandrea riconobbe in quelle dolci parole il suon della voce della sua cara Chiara, che pronunciato il suo discorso si gettò al collo di lui regalandogli un bacio, lo primo bacio nella vita del grande cavaliere; suo cuore fu colmo di gioia et angoscia in stesso tempo. Si rallegrò dello bacio ma ben presto si preoccupò per la salute di lei et ella parve intuirlo dal momento che parlò:
“So quali son tuoi pensier che in tua testa
si scontran con buon senso e ragion.
Ti dico che ciò che più temi or si manifesta,
la Piaga ero io e tanti uccisi, ma non sanza cagion.
Breve sarà la mia storia come breve di me è ciò che resta;
principessa son e fui d'un regno vicino
da mago malvagio mutata perché a lui molesta,
di dimonio mi diè l'aspetto, di bestia il raziocino.
Con scarso intelletto dovei viver
al suo soldo per lo sterminio,
i suoi ordini prontamente eseguir
per perpetuar di morte un abominio.”
Dalla voce di Chiara Gianandrea capì che ella volea rivelar altro sul suo passato ma le ferite che le eran state inflitte in vita e in morte eran troppe e pian piano la figura della fanciulla di acqua assumea aspetto e consistenza. Infin si dissolse con le lagrime che scorrevan ma in volto era serena e prima che il nulla l'inghiotesse rivolse il suo ultimo pensiero e il suo ultimo sorriso al prode giovane che l'aveva salvata dalla maledizion del vecchio e arcigno mago. Gianandrea la guardò svanir sanza potervi porre rimedio alcuno e quando al fin nel nulla andò le lagrime rigaron il suo volto. E pianse. E pianse per giorni. E pianse finché le lagrime non finiron. E pianse finché la voce non gli si spezzò in gola. E pianse fin quando l'ultimo rantolo lo sostenne. E tacque. Tacque per sempre, mentre tutto in nero mutò.

  
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