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Autore: Bocca Dorata    12/03/2014    1 recensioni
Allora doveva essere il secondo capitolo di un'altra storia. Ma non sono riuscita a metterla (colpa mia o del sito o del Signore? Boh) Comunque è l'ipotetico modo in cui si sono parlati per la prima volta Andromeda Black e Ted Tonks qua visto dal punto di vista di Dromeda, mentre nell'altra storia dal punto di vista di Ted.
Spero di aver presentato bene la secondogenita Black perchè mi ha dato parecchie grane ahahahahaha xD
Spero possa piacervi :D
Dalla Storia: “Cissy” Andromeda esordì così, una mattina a colazione, rivolta verso la sorella minore.
“Che c’è?” la ragazza si voltò lasciando perdere il ragazzo con cui stava parlando fino ad un attimo prima. Sua sorella era sempre circondata da ragazzi. E per questo Narcissa conosceva praticamente tutti gli studenti di Hogwarts che “valesse la pena di conoscere”.
“Conosci qualcuno di Tassorosso?” Andromeda decise che era meglio iniziare vagamente, giusto per darsi un’idea.
“Mah, qualcuno…” rispose, altrettanto vagamente Narcissa “Ti interessa un ragazzo?” gli occhi della sorella brillavano di curiosità, perché non aveva mai visto la maggiore interessarsi di sua spontanea volontà a qualcuno.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks | Coppie: Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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Ok, boh, ho detto tutto nell'introduzione quindi emh ecco, buona lettura *che vergogna ahahaha.



 Quel nevoso natale 1970

 
 
 
“Dromeda, si può sapere che stai guardando?” la minuta Narcissa, dalla pelle chiara tanto quanto i biondissimi capelli, lo stava chiedendo alla sua distratta sorella maggiore che si era misteriosamente incantata verso un punto non bene definito della Sala Grande.
“Mah, in realtà niente di particolare.” minimizzò Andromeda abbassando la forchetta che non si era ricordata di avere ancora in mano.
Era da un po’ che, ad essere sincera, aveva la spiacevolissima sensazione di essere osservata.
Quella sensazione quasi pruriginosa che le infastidiva spesso la nuca, lungo il collo o sull’attaccatura dei capelli.
Una cosa orribile.
Ma altrettanto inspiegabile. Non avrebbe mai saputo dire chi potesse mai essere ad osservarla o perché. E quindi si guardava bene dal parlarne con la sorella minore.
Perché Narcissa, nonostante avesse ben due anni in meno di lei, era una persona molto più pratica e pragmatica di quanto forse Andromeda sarebbe mai stata in tutta la vita.
La sorella minore aveva sempre avuto i piedi saldamente piantati a terra e sapeva benissimo cosa volesse dalla vita, cosa che non si sarebbe mai potuta dire di Andromeda.
Il fastidioso e acuto suono di una posata che cadeva rumorosamente sul pavimento la risvegliò dai suoi pensieri in tempo per voltarsi e notare la scura testa ricciuta di Stephen Sellers raccogliere imbarazzata la forchetta ormai stesa sotto il tavolo.
“Aggraziato come sempre eh, Sellers?” scherzò la ragazza scostandosi quell’odiosa ciocca di capelli che le ricadeva sempre in avanti buttandola insieme alle altre lungo alla schiena.
“Ovviamente, Black. Non noti la mia palese eleganza?” le rispose lui a tono come sempre, sorridendole con un ghigno sciocco che mostrava i suoi denti bianchissimi.
Stephen era diventato pian piano il suo compagno di banco per molte delle materie principali, dividevano il calderone a pozioni e spesso lavoravano insieme anche ad Erbologia.
Sarebbe potuto essere il suo migliore amico. Se non fosse stato che, purtroppo per lui, suo padre era un babbano.
Andromeda sapeva benissimo quanto Cissy non sopportasse la loro amicizia, quanto l’avesse disprezzata Bella e cosa avrebbe detto sua zia se lo avesse saputo. Qualcosa tipo: “Non devi assolutamente entrare in contatto con quel sudiciume! Con quegli orribili traditori del loro sangue! Quei luridi Sanguemarcio” e chi più ne ha più ne metta, come si suol dire.
Non che Andromeda ignorasse del tutto quello che i suoi parenti le dicevano di continuo, insomma sapeva benissimo che tra lei e Stephen ci sarebbe sempre stato un muro. Così come ci sarebbe sempre stato tra lei e un qualunque Natobabbano o Sanguemarcio, come li chiamavano con disprezzo e fra i denti i suoi genitori, i suoi zii, le sue sorelle e quasi tutti i Serpeverde che conoscesse.
Ma tanto lei e Stephen erano semplicemente amici, anzi, poco più che conoscenti visto quanto lei era più che decisa a mantenere le distanze, quindi non c’era proprio nulla di male. Mica doveva sposarlo!
Anche perché, considerati tutti i ragazzi di famiglie per bene e facoltose (come diceva sua madre) che le erano stati presentati ultimamente, dubitava fortemente che si sarebbe mai potuta permettere di scegliere da sola un marito.
Avrebbe dovuto fare come sua sorella maggiore, sposare senza battere ciglio un uomo che non amava affatto e che forse non aveva nemmeno mai conosciuto, un individuo viscido e untuoso come quell’orribile Lastrange.
Scosse la testa smettendo di pensarci e quando rialzò lo sguardo verso il resto della Sala credette di essersi immaginata quello sguardo e si tranquillizzò pensando che forse non fosse mai esistito.
 
Il giorno dopo, distratta da un ragazzo che mostrava a dei suoi amici una strana sfera opalescente che lui si ostinava a chiamare Ricordella spiegando come funzionava e come suo zio avesse iniziato da poco a progettarla, Andromeda andò a sbattere contro un alto ragazzone e vide tutti i suoi quaderni, le sue piume e la sua bacchetta riversarsi rumorosamente a terra.
“Per Morgana, scusa!” Esclamò il ragazzo con un filo di voce facendosi il più piccolo che poteva (missione difficile visto quanto, vicino a lei, sembrasse straordinariamente alto).
“Scusa, scusa, scusa” ripeté mentre le raccoglieva in fretta le cose e gliele buttava disordinatamente in braccio, rischiando di fargliele cadere di nuovo.
“Grazie.” Sibilò lei, infastidita dall’odioso comportamento di quell’idiota di un Tassorosso che in quel momento, mentre le lanciava impacciatamente le sue cose, le sembrava tanto alto quanto idiota.
Sbuffò scostandosi i capelli e scoccando un’ultima occhiataccia a quel ragazzo che, però, sembrava aver ricevuto da lei il più bel regalo del mondo invece che un sarcastico ringraziamento.
Quella sua espressione, dal sorriso che gli si allargava per tutto il viso illuminandogli gli occhi chiari, la fece quasi sorridere. Sembrava simpatico.
Si chiese per un attimo chi fosse, non credeva di averlo mai visto, però era quasi sicura che fosse del suo stesso anno. Forse l’aveva intravisto trai prefetti? No, non le pareva che indossasse la spilla che avrebbe indicato quel ruolo quindi era un ipotesi da scartare in partenza.
Chissà, magari l’aveva semplicemente notato alle riunioni di uno di quei club che aveva mollato da un anno a quella parte. Quello di scacchi magici. O di gobbiglie. O di duello.
Già, Andromeda poteva tranquillamente ammettere di non essere mai stata una persona molto coerente e, anzi, di risultare quasi lunatica viste tutte le volte che aveva cambiato idea.
I giorni seguenti passarono nella tranquillità più assoluta.
O almeno così le sarebbe piaciuto poter dire, ma quello che accadde purtroppo fu tutto, fuorché tranquillo.
Intanto Andromeda sentiva sempre più spesso quella strana e fastidiosa sensazione di prurito alla nuca che provava sempre quando si sentiva osservata e, come se non bastasse, le pareva anche di notare sempre più spesso quel biondo e alto ragazzo di Tassorosso ronzarle attorno senza alcun motivo.
Usciva nel parco e le sembrava di vederlo nascosto dietro qualcuno di quegli alberi a poca distanza da lei o a camminare verso il campo da Quidditch insieme ad un suo amico.
Andava in Sala Grande e sentiva sempre più spesso quello sguardo che si posava insistente su di lei e, se aguzzando lo sguardo verso il tavolo giallonero le pareva quasi di riuscirlo a vedere mentre la fissava.
Ormai anche prima delle lezioni, in corridoio, era quasi sicura di vederlo passare fin troppo spesso vicino a lei.
A quel punto Andromeda era ormai assolutamente convinta che quello sguardo che sentiva su di lei appartenesse a quel ragazzo.
Però non avrebbe saputo dire se la cosa la infastidisse o meno.
Sicuramente, se fosse stata una delle sue due sorelle, gli avrebbe subito detto di smetterla di essere così fastidioso perché lei non aveva di certo bisogno delle attenzioni di un pezzente qualsiasi come lui. (Anche se in effetti non aveva idea delle sue origini e sarebbe anche potuto appartenere a chissà che famiglia).
Ma lei non era nessuna delle sue sorelle. Non era né Bella né tanto meno Cissy. E quindi non sapeva affatto come reagire ad una situazione del genere
“Cissy” Andromeda esordì così, una mattina a colazione, rivolta verso la sorella minore.
“Che c’è?” la ragazza si voltò lasciando perdere il ragazzo con cui stava parlando fino ad un attimo prima. Sua sorella era sempre circondata da ragazzi. E per questo Narcissa conosceva praticamente tutti gli studenti di Hogwarts che “valesse la pena di conoscere”.
“Conosci qualcuno di Tassorosso?” Andromeda decise che era meglio iniziare vagamente, giusto per darsi un’idea.
“Mah, qualcuno…” rispose, altrettanto vagamente Narcissa “Ti interessa un ragazzo?” gli occhi della sorella brillavano di curiosità, perché non aveva mai visto la maggiore interessarsi di sua spontanea volontà a qualcuno.
Certo qualche ragazzo le si era anche dichiarato, ma lei non ci aveva mai dato tanto peso e, uno dopo l’altro, li aveva scaricati tutti.
Non che lo avesse fatto con cattiveria, Andromeda aveva sempre una certa gentilezza e delicatezza in tutto quello che faceva. Anche quando cercava di essere sgarbata. Soprattutto quando cercava di sembrare sgarbata.
Andromeda rispose con un riluttante e balbettante: “Mah, più o meno…allora conosci qualcuno del mio anno?”
“Beh, un paio di bei ragazzi li conosco, sono anche di famiglie piuttosto accettabili…” borbottò Narcissa avvicinandosi alla sorella e sporgendosi verso il tavolo di Tassorosso come se potesse capire di chi stessero parlando. “Devo descriverteli?” sogghignò la ragazza bionda stringendosi al braccio di Andromeda che, inspiegabilmente, si sentì le guance arrossire leggermente.
Narcissa iniziò uno sproloquio su tre o quattro ragazzi, piuttosto piacenti e altolocati, di Tassorosso (anche se secondo lei era una perdita di tempo, perché chi apparteneva a quella casa era quasi sempre un tizio fin troppo deboluccio per i suoi gusti), ma nessuno purtroppo era alto, biondo e con quell’espressione incantata stampata in faccia.
Andromeda fece punta su tutta la sua infinita pazienza, dote che aveva sempre dovuto coltivare per poter riuscire a sopravvivere con due sorelle come le sue, per non sbuffare nel sapersi ancora all’oscuro del nome di quel ragazzo che pareva perseguitarla.
“Allora è qualcuno di loro?” chiese con tono fin troppo eccitato Narcissa, sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio e rassettandosi un po’ la gonna in un gesto che qualunque ragazzo avrebbe trovato semplicemente attraente. Narcissa era sempre stata dell’idea di divertirsi con chiunque le piacesse prima di sposare chissà chi.
Andormeda scosse la testa con quella che, sperò, sarebbe sembrata studiata noncuranza.
“Ma come no?” esclamò delusa la sorella sbuffando “Allora è meglio che lasci perdere. I Tassorosso sono quasi tutti sudici Sanguemarcio. Meglio che non ci pensi neppure.”
Già, divertirsi con chiunque, ma solo se quel chiunque ne fosse stato degno. Non era questo che le aveva detto la sorella quando era iniziato quell’anno scolastico?
Ma Andromeda era quasi sicura che Narcissa quell’anno fosse diventata così perché era stufa di correre dietro sempre a quel Malfoy che sembrava totalmente incapace di notarla. O per lo meno di fare il primo passo. Anche perché secondo lei anche lui era innamorato di sua sorella, solo che era totalmente incapace di dimostrarlo in alcun modo.
Scosse la testa per riordinare in qualche modo i suoi pensieri, avrebbe davvero fatto meglio ad ignorare la cosa, magari era solo un caso.
La stessa cosa che si disse quando, mentre rispondeva ad una lunga lettera che le aveva inviato sua madre aveva sentito un terrificante scricchiolio alle sue spalle.
Andromeda, già infagottata in uno dei suoi mantelli più pensanti, sentì un brivido che non aveva nulla a che fare con la neve risalirle lungo la spina dorsale fino alla cima dei capelli.
Era in una guferia, si disse, sarebbe stato di sicuro un animale ad aver fatto quel suono. Un gufo, una civetta o magari un qualche sfortunato topo.
“C’è qualcuno?” chiese con una nuvoletta di fiato, nella speranza che nulla le rispondesse. Anche perché se mai avesse sentito una risposta sarebbe semplicemente morta di paura. Punto e basta.
Rimase un lungo, interminabile attimo in attesa di qualcosa. Ma non successe niente.  Niente di niente.
E, proprio quando aveva ormai deciso di andarsene il più in fretta possibile e ritornare nel suo caldo dormitorio, le parve di notare il baluginare di una bionda testa di capelli dietro una colonna.
Si trattenne con tutte le forze dal ridere, là dietro doveva esserci sicuramente nascosta Narcissa, pronta a farle chissà quale sorpresa cretina o che scherzo idiota. Ogni tanto capitava che anche la minore, di solito piuttosto pacata e matura (nonostante la sua indole fin troppo ficcanaso e pronta a studiare da capo ai piedi qualsiasi bel ragazzo le si parasse davanti) veniva presa da questi attacchi di “follia”.
Così si nascose appena fuori dall’ingresso e attese, al gelo, trattenendo il fiato e le risate più che poteva, finchè non sentì dei passi avvicinarsi nella sua direzione.
In effetti avrebbe dovuto capire che quei passi erano troppo pesanti per essere di sua sorella e che l’ombra che svettava sulla porta era troppo ampia per poter appartenere al minuto corpo di Narcissa.
Ma chissà forse fu colpa del freddo, forse era stanca di rimanere là fuori o forse era solo un po’ stupida, fatto sta che uscì fuori dal suo nascondiglio ed esclamò il più idiota: “Cissy! Allora eri davvero tu!” ma la frase non aveva ancora del tutto abbandonato le sue labbra che la ragazza si accorse di quanto fosse madornale il suo errore.
La figura che le si parava davanti sarebbe potuta essere chiunque, ma di sicuro non era sua sorella.
Era bionda, certo, ma la somiglianza con Narcissa (piuttosto sottile visto che erano due biondi completamente diversi) finiva lì. Le ci volle meno di un attimo per riconoscerla con orrore in quella del ragazzo di Tassorosso che continuava a perseguitarla.
Ma quello fu l’attimo di troppo.
Arretrò e si accorse di non avere più nulla sotto i piedi. Ecco e ora si sarebbe schiantata giù per un buon migliaio di scalini fino a schiaffarsi contro la neve con un tonfo. Gran bella prospettiva.
Ma, proprio quando ormai non vedeva alcuna speranza, Andromeda si sentì afferrare dalle mani di quel ragazzo, erano grandi e forti e facevano sembrare il suo polso ancora più sottile di quanto non fosse.
Andromeda si poté soffermare su quel pensiero per appena un attimo, prima di accorgersi che anche il ragazzo, nonostante cercasse con tutte le forze di trattenerla a sé, perdesse l’equilibrio e la seguisse nella caduta libera lungo la scalinata ghiacciata.
Che meravigliosa coppia di idioti. E lei manco sapeva il suo nome. Anzi, non sapeva proprio niente di quel tipo!
Ma, prima che potesse pensare a qualsiasi cosa si ritrovò improvvisamente al sicuro, comodamente seduta sul petto del ragazzo che affogava con il viso nella neve.
Avrebbe avuto un milione di cose da chiedergli, chi fosse, perché la seguisse o se fossero solo dei strani casi, chi fossero i suoi genitori o se per caso si fossero mai visti prima. Ma vedendolo così, inerme sotto quella gelida neve candida l’unica domanda che le sbuffò dalle labbra fu un timido e preoccupato: “Stai bene?”
Il ragazzo si sollevo dalla neve, rabbrividendo, e la sciarpa prima giallonera che gli si avvolgeva intorno al naso era diventata completamente candida, ricordando ad Andromeda uno strano mix tra quella che stava diventando la barba di Silente (prima ben più rossiccia) e quella del suo terribile nonno.
Per un attimo si ritrovò senza parole davanti a quella visione ridicola del ragazzo con quella sciarpa-barba e il rossore che gli imporporava le guance e il naso facendolo sembrare quasi un vecchio ubriacone.
Andromeda cercò di convincersi con tutta sé stessa a non ridere, ritrovandosi a fare una smorfia grottesca dopo l’altra, ma non voleva affatto che quello sconosciuto (perché questo era!) sentisse la sua orribile risata.
Purtroppo però la ragazza non riuscì a staccare gli occhi di dosso all’espressione scioccata e spaventata del ragazzo e, per questo, non resistette più ed esplose in quella risata sgraziata e grugnante che tanto le sue sorelle avevano preso in giro.
Era ancora scossa da quei goffi singhiozzi quando notò che il ragazzo, scostatasi la sciarpa dal volto, la fissava come ipnotizzato.
Andromeda si sentì arrossire e si ritrovò inspiegabilmente a ringraziare che il freddo le avesse già arrossato abbondantemente le guance.
“No-non guardarmi, ho una risata orribile.”
“No, no…io… è bellissima” le rispose lui unendosi stupidamente alla sua risata.
Ad Andromeda quasi non importò pensare se lui la stesse prendendo in giro o meno e non riusciva affatto a smettere di ridere mentre veniva colpita dalla cristallina risata contagiosa del ragazzo.
“Comunque io sono Andromeda Black” borbottò convinta comunque che lui lo sapesse bene.
“Io sono Ted Tonks” balbettò il ragazzo con un tono timido e impacciato che si adattava perfettamente alla sua risata sincera e al suo aspetto un po’ goffo e fuori posto.
Ted Tonks, finalmente sapeva come si chiamasse quello sconosciuto “Tonks…” Andromeda si ritrovò, forse per forza dell’abitudine, a pensare che quel cognome non lo avesse mai sentito, che suo padre fosse un babbano come quello di Stephen?
“Ah, sì…io, io sono un Natobabbano.” Continuò Ted stritolandosi le mani una nell’altra, forse era infreddolito o innervosito “Perché è… è un problema?”
Era un problema?
Andromeda non lo sapeva. Sentiva quel muro che, fino ad un attimo prima era stata più che sicura che esistesse, crollarle davanti agli occhi, mentre quel ragazzo ne superava le macerie senza faticare affatto.
Improvvisamente le sembrò proprio che di problemi non ce ne fossero. Quel muro non era un vero problema. Non in quel momento. Non mentre sedeva infreddolita nella neve con Ted Tonks.
“No.” Rispose con sincerità sorridendo a quel Tonks che trovava sempre più simpatico “Assolutamente no.”
E continuarono a parlare e straparlare delle cose più stupide, senza un filo logico, fermandosi per ridere almeno un minuto ogni due e senza alzarsi dalla neve nonostante il freddo che soffiava per il parco di Hogwarts in quel momento.
Finchè: “Ma…quindi che ci facevi nascosto nella guferia, Tonks?” domandò lei temendo già la risposta.
“Promettimi che non riderai!” la pregò lui con un ghigno stupido dipinto in faccia.
“Questo non posso promettertelo!” ridacchiò lei “Ma a mia discolpa posso dire che sei tu a farmi ridere.”
“…Seguivo te.”
A quelle parole la ragazza scattò in piedi, sentendosi rossa come un peperone.
Non sapeva cosa rispondere a quella dichiarazione così sciocca e sincera che si vedeva arrivare dritta in faccia.
E decise di fare quello che faceva sempre quando era confusa, agire d’istinto e così senza neanche capire come quelle parole potessero essere sue esclamò un: “Beh, vuoi alzarti o no? Qua si gela” porgendo la mano destra in direzione di Ted Tonks.
Il ragazzo la guardò un attimo stupito e confuso allo stesso tempo. Andromeda sapeva benissimo a cosa stesse pensando. A cosa stessero pensando entrambi.
Si stavano infognando in un guaio bello grosso, tutti e due.
Quel tocco, ora che entrambi sapevano benissimo a quale tipo di famiglia appartenesse l’altro, sarebbe stato qualcosa di vietato, tabù e molto pericoloso con la guerra che iniziava ad avanzare sempre più apertamente.
Andromeda decise che, però, non le importava che cosa sarebbe potuto succedere nel futuro. Tanto valeva vivere almeno un po’ il presente, no?
“Devo aspettarti tutto il giorno, signor Tonks?” Non poteva credere che fosse sua la voce che stava pronunciando quelle frasi.
“No, non direi” rispose Ted afferrandola con quella sua mano così grande e calda, nonostante il freddo gelido, ed ergendosi sopra di lei.
Per un lungo attimo le loro mani non parvero avere alcuna intenzione di lasciarsi, nonostante ora non ci fosse più bisogno che lei lo sostenesse in alcun modo.
Andromeda si ritrovò a sorridere stupidamente, scostandosi una ciocca di capelli castana (sempre la stessa) dal volto e sperando scioccamente che lui la invitasse al prossimo weekend ad Hogsmeade perché sentiva che, se glielo avesse chiesto in quel momento lei avrebbe sicuramente accettato.




 
  
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