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Autore: Emrys_____    13/03/2014    8 recensioni
Sin dal primo momento Merlino gli aveva frantumato l’esistenza, dalla prima, arrogante parola fino all’ultimo gemito che gli aveva rilasciato in bocca, ore prima. Aveva incrinato il suo mondo come una lastra di ghiaccio. E adesso Artù aveva l’impressione di essere rimasto in bilico e di non poter andare da nessuna parte a meno di spezzare la lastra.
Solo che poi, sarebbe caduto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Quarta stagione
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Tornare da questi due è come rivedere qualcuno dopo tanto tempo. Non ti rendi conto che ormai ti si è attaccato dentro. O almeno non così spesso come dovresti.
 

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La notte è la prova che il giorno non è sufficiente.

                      Elizabeth Quin

 
Fa che il giorno non arrivi mai
 
 

Ci aveva provato a non fissarlo, davvero.
Artù si era alzato dal letto col fermo proposito di non fissarlo, di starsene alla finestra a riflettere sul da farsi, consapevole che mai sarebbe riuscito a trovare una soluzione ma col fermo, incrollabile proposito di privarsi del suo viso per almeno una decina di minuti.
Giusto il tempo di pensare.
In quella situazione, durante tutti quei mesi, aveva maturato una convinzione: Merlino lo aveva incatenato. E la cosa peggiore era che quella prigione gli era stata eretta intorno a poco a poco, aveva costruito invalicabili barriere sin dal primo giorno in cui i loro sentieri si erano incrociati.
Sin dal primo momento Merlino gli aveva frantumato l’esistenza, dalla prima, arrogante parola fino all’ultimo gemito che gli aveva rilasciato in bocca, ore prima. Aveva incrinato il suo mondo come una lastra di ghiaccio. E adesso Artù aveva l’impressione di essere rimasto in bilico e di non poter andare da nessuna parte a meno di spezzare la lastra.
Solo che poi, sarebbe caduto.
Appoggiato di schiena nel vano della finestra spostò lo sguardo dal cielo stellato alla figura snella, girata su un fianco, assopita da un po’, lo zigomo che neppure mentre affondava nei cuscini sembrava ammorbidire la spigolosità del suo viso. Le fiammelle che Merlino aveva creato con la magia fluttuavano ancora in giro, illuminando il profilo del suo corpo completamente nudo, eccetto per parte delle cosce, aggrovigliate alle lenzuola.
Un’unica linea bianca e sinuosa tracciata fra le coltri del suo vecchio letto: erano completamente sfatte, disgregate. Un po’ come loro.
Artù ricordava di averci affondato una mano mentre il piacere montava, il viso celato nel suo collo, l’altro braccio dietro la sua schiena che si inarcava, si inarcava, si inarcava…
Si sarebbe spezzato.
Merlino si sarebbe spezzato se gli avesse detto la verità.
Dirgli che nonostante non volesse, nonostante avesse provato disperatamente a non pensare mentre compiva il suo dovere, il suo maledetto corpo lo aveva tradito.
Era bastata una sequela di movimenti. Una disgustosa sequenza che per la prima volta lo aveva fatto sentire sporco e sbagliato, era bastata a far si che cedesse. Alla fine si era rivelata tutta una faccenda fisica, una cosa animale.
Distolse lo sguardo da lui, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere.
Si era svegliato stanco, un braccio attorno alla vita di Merlino, la bocca a un soffio dalla sua schiena. Si era districato lentamente da quel groviglio, si era alzato e infilato i pantaloni e aveva pregato e sperato, che quella sensazione di oppressione al centro del petto andasse via, scolorisse come quelle fiammelle avrebbero fatto davanti all’aurora. Ma non era successo. Lontano, oltre le montagne, il giorno stava arrivando e lui si sentiva ancora marcire dentro.
Doveva dirgli la verità.
Gwen aspetta un figlio. Sono stato con lei.
Non volevo. Non volevo eppure questo dannato corpo si è lasciato andare e io…

Chiuse gli occhi.
Non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Che avrebbe dovuto aggiungere? Non servivano parole. Non sarebbe servito nemmeno dirgli che aveva provato a pensare a lui mentre lei gemeva. Il suono della voce di Ginevra aveva sporcato così tanto il suo ricordo che l’illusione di toccare lui, i suoi capelli, la curva della sua spalla, il disegno del suo fianco, si era disfatta in mille pezzi.
Aveva serrato gli occhi e pregato che finisse, che quel patetico tentativo di salvare le apparenza servisse almeno a cancellare l’accusa dalla faccia di Gwen. Anche se non avrebbe zittito le voci che tutta Camelot ascoltava, che gli abitanti si passavano come un segreto, sgranandolo come un filo di perle. Caduta l’ultima, non sarebbe rimasto più niente da salvare. Solo un erede poteva ribaltare la situazione o quantomeno, addolcirne i contorni.
Non stava più con Gwen da mesi. Evitava ogni contatto prolungato, si lanciava in missioni, si allontanava dal regno continuamente pur di non dover soddisfare quell’aspetto del loro matrimonio.
Non sarebbe dovuto essere un dovere ma così facendo aveva fatto in modo che lo diventasse.
Allontanarsi da Camelot però aveva significato mettere da parte anche la ragione che lo riportava indietro.
E così ogni volta aveva finito per cedere. Tornare prima e lanciare sassi contro la sua finestra, aspettare che incantasse Gaius e lo facesse entrare e stringerlo e prenderlo contro una parete e raccontargli come andavano ricognizioni e battaglie che neanche esistevano, che si era inventato, ingigantendo faccende come villaggi razziati o piccole epidemie di influenza.
Non si era mai spinto tanto oltre ma tutto ciò di cui gli importava era non toccarla, non baciarla, non stringerla e il disgusto non c’entrava niente. Semplicemente aveva l’impressione di fare il doppiogioco, di tradire in qualche modo la fiducia di quel ragazzo che sopportava stoicamente le frecciatine, i commenti gli sguardi prolungati di Gaius.
Lo avevano perfino picchiato per essere il giocattolo del sovrano e Merlino aveva cercato di nasconderlo ma lui aveva scoperto i lividi lungo il fianco, scontrandosi con la sua umiliazione prima che avesse il potere di farla sparire.
Quindi si era detto che mai, mai, lo avrebbe tradito, fosse anche stato per lo spazio di uno sguardo.
Ma qualche mese prima Gwen lo aveva letteralmente supplicato. Senza parole. Solo con gli occhi.
E mentre si spogliava lentamente Artù aveva lottato contro tutti i propri demoni per non offenderla distogliendo lo sguardo dicendosi che glielo doveva.
La stava distruggendo. Le voci la distruggevano. La sua assenza la distruggeva  e pur sapendo che lei non glielo avrebbe mai chiesto aveva confermato tutto in silenzio: quando si era spogliata, e lui aveva distolto lievemente il viso.
C’era buio nella stanza ma i passi di Gwen si erano fermati per un momento. Poi gli si era avvicinata, gli aveva slacciato la cintura e aveva iniziato a toccarlo e in quel momento Artù aveva capito che forse, forse, far si che diventasse solo corpo sarebbe stata l’unica soluzione.
L’unico modo per farlo in fretta, come se il sesso fosse una ferita da ricucire.
Con Merlino non lo era mai. Con lui era calore, urgenza, voglia di sentirsi e di guardarlo schiudere le labbra e di vedere le sue dita stringere le lenzuola. Con lui non era una ferita ma un dolore dolce, la parte del senso di colpa aveva imparato a ignorarla.
Solo che ancora non capiva come fosse riuscito ad andare avanti senza dirglielo.
Forse ripetendosi che non era davvero colpa sua. 
A forza di sussurrarselo, in silenzio, in continuazione, aveva finito per crederci un po’. Probabilmente grazie al fatto che negli ultimi due mesi aveva praticamente vissuto fuori Camelot, tornando a una casa una decina di volte al massimo, impegnato sul serio in una battaglia, contro gli uomini di Lot che aveva assaltato i confini ad est del regno.
Grazie a quella assenza aveva evitato di parlare con Merlino per troppo tempo ma a cosa era servito, dato che qualche ora prima aveva ammutolito il suo cuore e la sua volontà con pochi gesti?
Lo aveva messo alle strette, facendogli realizzare che le sue omissioni non erano servite a niente.
Lo aveva raggiunto in quelle stanze e osservato per un istante mentre cercava di curare alla bell’e meglio le ferite, poi si era avvicinato, lo aveva spogliato con lentezza e fatto sparire ogni livido. Infine le mani si erano strette intorno alle sue spalle, le labbra gli avevano parlato all’orecchio.
-Spogliami-

Quei flash si dissolsero davanti agli occhi mentre li riapriva quasi di scatto, umidi di lacrime.
-Non riesci a dormire?-
Gli occhi saettarono verso di lui: era sempre nella stessa posizione, gli occhi vigili gli fecero capire che lo osservava da un po’.
Artù si passò una mano fra i capelli.
-No- rispose, andando a stendersi accanto a lui, le gambe allungate sulle coltri, le caviglie incrociate e le braccia dietro la testa.
Merlino si era messo a sedere. Sentiva i suoi occhi addosso.
-Pensavo una cosa- disse Artù.
-Pensavi? Lo sai che ti fa male-
Artù lo fulminò con lo sguardo ma di fronte a quelle labbra piegate si sentì per un momento, di nuovo oppresso. Solo che questa volta l’oppressione era pericolosamente simile all’imbarazzo.
-Spegni le candele- gli chiese.
Merlino sbatté le palpebre, poi sollevò una mano e con un guizzo d’iridi spense le fiammelle. La stanza piombò nel buio totale, solo briciole di luna illuminavano il pavimento. Poteva vedere il suo corpo più sfocato ma sentiva la sua presenza. Si girò su un fianco, con le dita gli sfiorò le costole.
-Io…-
La voce gli morì in gola. Se la schiarì.
-Io voglio… ecco…-
Silenzio.
Merlino si ridistese accanto a lui, appoggiando il volto su una mano.
Si sporse appena verso di lui, lo sguardo così limpido eppure così accusatorio che davvero Artù credeva di star impazzendo, non riusciva più a distinguere le cose. Sentì le sue dita giocherellare col tessuto dei  pantaloni, lungo la vita. 
-Voglio che…- chiuse gli occhi, trasse un respiro – voglio che tu mi…-
Silenzio.
Le dita di Merlino si serrarono sul suo fianco.
Di colpo.
Aveva capito.
Artù inghiottì a vuoto.
-Non mi devi niente-
Fu come una coltellata. O un pugno.
-Merlino….-
-Non mi interessa, io non… no. Non fraintendermi…- lo fissò, un po’ spaesato, incredulo quasi. –Tu non puoi chiedermelo davvero… tu non…-
Distolse lo sguardo per un momento, poi si scostò, sedendosi sul bordo del letto e cominciando a rivestirsi.
Artù si mise a sedere, una parte di lui spiazzata da quella reazione e anche un po’ intimorita. Non era esattamente quello che si era aspettato o almeno un diniego così palese non era proprio ciò che immaginava. Si sentì umiliato perché dare voce a quel desiderio gli era costato tanto.
E lui stava rovinando tutto.
Come se quel pensiero avesse raggiunto Merlino, quest’ultimo si voltò, guardandolo da sopra la spalla, fermandosi nell’atto di infilarsi uno stivale.
-Non posso. Non mi fraintendere Artù-
-E’ un po’ difficile a dire il vero-
Quelle parole gli uscirono velenose di bocca ma il veleno era più per se stesso che si stava dimostrando la parte debole cosa che odiava e per accettare la quale aveva impiegato del tempo, molto tempo.
Merlino raccolse la casacca ma la lasciò sospesa, i polsi sopra le ginocchia, il capo chino.
-Ti conosco e so perché lo faresti. E così non voglio. Il senso di colpa non è un vantaggio in queste cose-
Artù si morse il labbro. Il senso di oppressione che minacciava di sovrastarlo di nuovo.
Silenzio.
Silenzio.
SILENZIO.
-Detto da te- sussurrò. 
Merlino abbassò lo sguardo mentre lui serrava gli occhi.
-Scusa, non volevo dirlo-
Era vero ma era vero anche che il modo in cui Merlino gli si concedeva, delle volte lo atterriva per il coraggio implicito che lasciava trasparire. Certe volte non aveva remore. Certe volte sentiva l’impulso di gridare, Artù poteva vederlo impresso sulla sua bocca, intrappolato fra i denti serrati. Lo poteva sentire sottopelle quell’impulso, nella forma che Merlino aveva impresso di sé su ogni centimetro del suo corpo.
-No, puoi farlo- disse il mago, alzandosi e infilando la casacca rossa. Prese il fazzoletto e se lo rigirò un momento fra le mani prima di annodarlo attorno al collo. 
-Puoi dirlo Artù, nessuno sa meglio di me che vuol dire ma ti dirò una cosa: ogni singola volta in cui mi sono concesso a te è stato perché l’ho voluto. Non intendevo punirmi, anche se mi sento leggermente in colpa per aver stravolto il destino- 
I suoi occhi erano così limpidi nonostante il buio che Artù si sentì spaccato in due.
-Non mi sembra mai di espiare quando sei dentro di me- sussurrò Merlino, lo sguardo a terra –Semmai mi sembra di peccare, è diverso. Però nella lista di cose o persone verso le quali mi sento in colpa tu sei davvero l’ultima, credimi. Mi hai reso egoista-
Artù era ammutolito. Ogni parola gli vibrava dentro.
-Va bene… va bene, ho sbagliato a chiedertelo-
Come una coltellata. O un pugno. 
Sentiva la vergogna bruciargli le guance e la sola cosa che voleva fare era fuggire da quella stanza, da lui, da Camelot e da quelle dannate voci che gli sembrava di sentire perfino quando era solo, quando gli sembrava addirittura di sentire i passi di Gwen fermarsi oltre la soglia, come aveva fatto tante volte, costringendolo a sentire il piacere soffocandosi, a lasciarsi invadere dall’orgasmo con il viso affondato nel collo dell’altro e la sua bocca che gli mordeva la spalla.
Gwen lo puniva. Lo costringeva a non poterlo guardare proprio come non guardava lei.
Artù voleva solo smettere di pensare. Evidentemente aveva scelto la strada sbagliata per farlo.
La voce di Merlino che lo chiamava piano era un debole pigolio, attutita dal frusciare degli abiti che infilava alla rinfusa. 
-Artù senti…-
-Lascia stare, l’ultima cosa che voglio è litigare, davvero-
-Non voglio che pensi che io non…-
-Non penso niente. Se non che non mi azzarderò a chiedertelo mai più-
E con quelle parole lo lasciò solo, con il cigolio della porta che si chiudeva e le briciole di luna che incenerivano assieme al buio.

**

Quella sera nel laboratorio c’era silenzio.
Uno di quelli a cui Merlino era spaventosamente abituato, di quelli che tagliano, parlano e strappano la verità all’assenza delle parole.
Non gli importava più ormai.
Si udiva solo il mescolare del suo cucchiaio nella ciotola di zuppa.
-Sai Merlino, nonostante continui a rimestarla dubito che ti salterà in bocca per magia-
-Uh? Si, si certo Gaius-
Si rese conto di aver dato la risposta sbagliata un lungo minuto dopo, quando sollevò due occhi colpevoli dalla cena, affondandoli nei suoi, il viso su una mano.
-Ho risposto tutt’altro vero?-
La labbra del vecchio si incurvarono appena.
Merlino sentì un fiotto di nostalgia per quella complicità che negli ultimi tempi emergeva a tratti.
-Più o meno, ma lascia stare- disse il medico, cominciando a sparecchiare.
Lui invece prese alcune boccette dal tavolo da lavoro che necessitavano di essere disinfettate in acqua bollente prima  di essere riutilizzate.
-Sai, penso che ci saranno presto delle novità Merlino…- ciarlava intanto Gaius.

Artù gli aveva chiesto di possederlo.
Gli aveva chiesto di prenderlo, magari lì, fra quelle lenzuola.
Dire che non ci aveva mai pensato sarebbe stata una menzogna ma non aveva mai avuto il coraggio di provarci perché lo conosceva, sapeva che Artù non era persona da lasciarsi dominare, almeno non nel modo in cui lui, lo faceva Merlino. Graffiandogli le spalle, ansimandogli in bocca, dimenticando la virilità, l’orgoglio, tutte cose che non esistevano quando era con Artù. C’erano soltanto calore, movimento, la ferma certezza di essere nato per sentirlo dentro, per averlo dentro, nella mente, in ogni piega della pelle…


-…credo proprio che sia in stato interessante-
Vetro in frantumi.
Le boccette erano esplose, probabilmente prima ancora di toccare terra. Gli occhi di Gaius erano puntati nella sua direzione, lo sentiva.
-Credo che Gwen aspetti un figlio-
Stava ignorando il danno, lo sapeva. Stava calpestando quei pezzi di vetro. Volontariamente.
-Da-davvero?-
Dove aveva trovato la forza di stirare un sorriso?
-E’ una bella notizia…- disse, le parole che incespicavano, che non volevano uscire –Artù lo sa?-
-Certo che lo sa Merlino, a chi credi abbia comunicato per primo la lieta novella?-
Gaius continuò per qualche minuto a guardarlo raccogliere i cocci. Furono gli istanti più fasulli della sua esistenza. Quando finalmente sembrò averne abbastanza ricominciò a pulire le stoviglie e annuì appena quando lui gli disse che sarebbe uscito per un po’.
Non gli importava che avesse capito, probabilmente aveva dedotto tutto mesi prima, non aveva importanza neanche il fatto che lo giudicasse. Perché Gaius lo giudicava, tutti lo facevano. All’inizio quel particolare gli aveva fatto male. Dopo mesi, non più.
Corse.
Corse fino  a sentire dolore alle giunture, fino a che le ginocchia minacciarono di cedergli e il fiato non diventò una fiamma nell’esofago. Solo allora si fermò, nei campi oltre la città.
Cercò di riprendere a respirare con regolarità, ogni volta che i polmoni si riempivano d’aria era come sopportare il bruciore di una ferita. Cercò di ascoltare il vento che frusciava fra le spighe, così forse la tremenda cacofonia di voci che esplodeva nella sua testa si sarebbe attutita.
Si sedette in quel mare ingiallito dall’estate imminente, crollò all’indietro, le braccia ai lati del viso, le nuvole bruciate dal tramonto a portata di mano. Sembrava di poterle toccare. 
Un’ombra si avvicinò lentamente, quasi sovrastandolo: Merlino non avrebbe avuto bisogno che del suo lento incedere per riconoscerlo, anche se il suo viso non avesse coperto un poco il disco del sole.
-Posso stendermi vicino a te?-
-Si, certo-
Restarono in silenzio. Si erano sempre capiti senza troppe parole loro due, e Merlino lo aveva trovato sempre confortante. Infatti non ne erano servite molte di parole quando mesi addietro avevano capito di essere intrappolato nello stesso sentiero senza uscita.
Si girò un poco a guardarlo: gli occhi di Lancillotto erano lucidi, una lacrima gli rigava la guancia macchiata di barba. Per il resto, gli altri lineamenti erano immoti.
-Grazie Merlino- mormorò.
Lui tornò a guardare il cielo.
-Non c’è di che-

**

La stanza era ancora sottosopra il giorno dopo.
Merlino non aveva chiuso occhio, era rimasto a rigirarsi fra le lenzuola, confortato dal pensiero che da qualche parte, un cavaliere ferito gli faceva compagnia.
Era tornato nelle stanze di Artù e aveva chiuso lentamente la porta, sollevato le mani e ricreato la notte con la magia, come facevano sempre quando cercavano un po’ di tempo per loro.
Un sottile velo calò tutto intorno, sbiadì la luce emanata dal giorno attraverso i vetri, li coprì come brina ghiacciata, schermando il sole. Contemporaneamente il camino si accese.
Da quando lui e Artù condividevano un destino ben più complicato la notte era diventata un’amica, dava loro l’impressione di poter rubare un tempo che non esisteva realmente.
Andò a sedersi davanti al caminetto, le ginocchia piegate, la fronte poggiata sulle braccia incrociate.
Lo aveva intuito. 
Da settimane. 
Sapeva che qualcosa non andava, lo aveva capito dal fatto che le visite di Gaius a Gwen erano diventate più frequenti e da tanti atteggiamenti di Artù. Da certi gesti, da certe parole non dette. Sapeva leggerlo anche se negli ultimi mesi si erano visti pochissimo, anche se era rimasto a Camelot a rodersi l’anima perché se l’avesse seguito avrebbe alimentato di più quelle dannate voci. Non voleva ledere alla reputazione di Artù più di quanto già non avesse fatto. Era diventato egoista, ma non così tanto.
A volte quando facevano l’amore Artù evitava di guardarlo, lo teneva avvinto a sé senza realmente stare con lui, intrappolato in pensieri cui non riusciva a dare voce e la prima volta che aveva fatto ritorno dal confine est, circa due mesi prima, per lui era stata una fatica immane anche solo toccarlo.
Merlino aveva attribuito quell’atteggiamento alla stanchezza per la situazione in cui si trovavano, cercando di cancellare dalla mente l’espressione felice e rilassata che Gwen si era stampata in faccia per tutto il giorno.
Aveva capito, solo che non aveva voluto leggere nel suo modo silenzioso di fare le cose, nella linea delle spalle, curve, come se portassero un peso ogni giorno più grande.
Artù ce l’aveva scritta addosso la parola “segreto” e, ironia della sorte, nessuno poteva capirlo più di lui.
Aveva voluto illudersi.
Poi Artù gli aveva chiesto di prenderlo e ogni pezzo era andato al suo posto legittimo.
No. Non avrebbe fatto l’amore con lui per cercare di sbiadire la verità. Mettere da parte l’orgoglio non sarebbe servito, avrebbe reso lui, Merlino, una valvola di sfogo. Ed era l’ultima cosa che voleva.
Voleva solo continuare a fuggire, a rifugiarsi con lui fra quattro mura alla luce di una luna finta perché era tutto quello che avevano e dovevano farselo bastare.
Finché sarebbe stato possibile.
Non si mosse quando la porta si aprì. Gli venne solo da piangere di più.
Le lacrime erano lì lì per cadere, appese alle guance.
-Sapevo d trovarti qui-
Non rispose.
-Scusa Merlino. Lo so che le scuse non servono a niente ma è tutto ciò che ho adesso-
-Lascia stare. Non importa-
-Non ho mai voluto stare con lei- la voce di Artù era carica d’angoscia e di vergogna. Si sentiva vibrare come il bruciore di una ferita infetta. Pulsava nelle sue orecchie ma non era capace di alleviare niente.
-Non ho… io non… ho cercato di non pensare ma…-
-Non ti ho chiesto di non giacere con lei. Non mi sono mai aspettato che smettessi di farlo-
Lo aveva ferito. Riusciva a vederlo stringere le labbra.
-Adesso sei ingiusto. Questo non può essere vero, non puoi aver pensato questo di me-
-D’accordo non lo è!  - sbottò, girandosi finalmente a guardarlo. –Ma è ciò che avrei dovuto fare. Non ho il diritto di pretendere niente Artù-
Solo in quel momento si rese conto che era sporco e sudato, la cotta di maglia scurita dalla terra, i capelli sconvolti dal vento, le labbra indurite in una linea bianca, qualche graffio lungo il collo. Era stato ad allenarsi.
-Mi avevi detto che ti avevo reso egoista-
Merlino si voltò di nuovo verso il fuoco.
-Non importa più ormai, e comunque lo avevo capito-
Nel silenzio i passi di Artù risuonarono come rombi di tuono.
-Perdonami, ti prego-
-Non sono arrabbiato con te se è questo che ci tieni a sapere-
-Ho cercato di… di non…- la voce di Artù era roca. –Non ho provato niente-
Lo disse come se quella fosse la soluzione.
-Non puoi farci nulla, è una cosa normale- rispose Merlino, la vista sempre più sfocata, le fiamme apparivano come attraverso un vetro smerigliato.
Lo ascoltò fermarsi a un soffio da sé. 
L’altro si sedette sulle ginocchia, e appoggiò la fronte contro la sua schiena.
-Si, ma mi sento male comunque-
Cadde il silenzio. 
-Perché non mi vuoi?-
Gli occhi di Merlino si sgranarono, quella frase spalancò una voragine nel suo petto.
Era il modo, in cui Artù faceva le cose. Aveva una maniera di scavare dentro di lui che non aveva mai incontrato in nessun’altra persona. Erano quelli i momenti in cui capiva il senso di tutto quello, di un destino che li aveva legati, amanti o meno, prima ancora che nascessero.
Una linea.
Una sottile linea di connessione, e si percepiva appena, come una ragnatela in controluce.
-Ti disgusta così tanto il pensiero che l’abbia toccata da non riuscire a volermi?-
Le dita di Artù si serrarono alla stoffa della sua giacca, la sua fronte era calda contro la pelle del collo. La sentiva aggrottarsi disegnando rughe sulla sua stessa pelle.
Riusciva a vedere le sue labbra inumidirsi per la tensione, piegarsi verso il basso nell’atteggiamento spaesato di chi si scopre completamente e non ha più vie di fuga.
Poteva ricreare ogni tratto del suo viso fra le fiamme, dove il proprio sguardo si era incantato, quasi assente, le lacrime rese secche dal fuoco che tiravano sulle guance.
-E’ una cosa che voglio da tanto tempo… sapere cosa si prova. Voglio sentirmi in colpa e riuscire a dimenticarmene e potrà anche essere per la ragione sbagliata ma mi aiuterà. Una cosa sbagliata può anche aiutare. Guarda noi due, quello che abbiamo-
-Già. Ma può anche distruggere-
-Non m’importa- quel sussurrò spezzò qualcosa nel suo cuore, lo incrinò perchè riusciva a cogliere il lieve fremere della sua gola, per l’incertezza, per l’imbarazzo. Artù riusciva ad essere la parte debole pur mantenendo una forza d’animo che lo atterriva ogni volta.
-Non m’importa se ne uscirò spezzato. Voglio solo che il giorno non arrivi mai-
Di nuovo le fiamme si sfocarono. Merlino restò a fissarle senza vederle, paralizzato, la ciglia sgranate
-Voglio solo... restare qui- mormorò Artù. 
- Possiamo restare qui, Merlino?-



Ehhhhhhhhh quanto angst, giusto cielo. A volte me lo dico da sola.
E’ che per me sti due non potranno mai avere una storia arcobalenosa e piena di mini pony.
Devono soffrire. E non lo dico con cattiveria, ma secondo me ci sono delle storie che possono andare in una sola direzione, situazioni che in qualunque maniera le metti non smettono di essere come sono: complicate, difficili.
Questo è il merthur per me. Non posso farci niente.  T____T Per quanto riguarda Artù, uhm, magari siamo andati un po' nell'OOC però a me la cosa del top!Arthur non mi è mai andata giù, ma non solo per quanto riguarda il sesso in sé. Trovo che sia restrittivo catalogare lui come il tosto della situazione e Merlino come la donzella che si fa pare mentali. Ci ho messo tempo per elaborare meglio questa cosa ma secondo me entrambi hanno un ventaglio di sfumature che tutto fa tranne che relegarli in ruoli stabiliti. *la pianta con il pippone filosofico*
E poi Artù fragile mi piace un sacco *_*
*si eclissa*
   
 
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