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Autore: Sbasby    13/03/2014    1 recensioni
Cecilia Gallerani, un volto impresso nella storia dell'arte italiana.
Ma cosa si nascondeva in quello sguardo perso?
Alle sue spalle l'oscurità, di fronte a lei la luce.
Ma quale ombra ha conosciuto il suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nient’altro che luce


C’è troppo buio.
Fu l’unico pensiero che mi attraversò la mente quando, per la prima volta, varcai la soglia di quella casa.
Decisamente troppo buio per lei.
Non avevo mai visto un’ombra attraversare il suo volto, sempre illuminato da un sorriso, e quell’ambiente sembrava creato solo per fare da ossimoro ad ogni suo modo di essere.
Lei era luce pura: in ogni suo gesto sembrava risplendere di una serenità sconosciuta al resto del genere umano. Anche di primo acchito, e lo dico rischiando di risultare melenso, non avrei avuto nessuna difficoltà nel paragonare Cecilia Gallerani ad una stella. Avrei anzi detto, senza imbarazzo alcuno, che lei brillava quanto il più splendente degli astri.
Il suo animo era così pieno di allegria e di gioia per la vita da rischiarare il mondo intorno a lei. I suoi occhi, poi, brillavano della luce di chi ha scoperto la via del paradiso, e la serba nel cuore come il più prezioso dei segreti.
Fin dal giorno in cui la conobbi, quasi una vita fa, venni attirato da quello sguardo come una falena verso la fiamma.
Volevo scoprirne il mistero, carpire il segreto della sua felicità.
Non avevo previsto ciò che sarebbe successo in seguito: divenni, col tempo, il suo migliore amico, più caro confidente e complice in tutto.
Avevo finalmente scoperto il segreto di Cecilia.
Una sera, nel parco della tenuta che apparteneva alla sua famiglia, stesi sull’erba con lo sguardo volto alla luna, mi aveva confessato: “La vita è troppo breve per abbandonarsi alla tristezza, ho scelto di essere felice poiché non varrebbe la pena di spendere la propria esistenza in lacrime.”
Bastò quell’unica frase ad ammutolirmi, e tutt’oggi non riesco a capacitarmi della purezza di cui erano intrise quelle parole e dell’ingenuità che portavano con loro.
La giovane Cecilia era realmente convinta di poter controllare la propria felicità, e questo, sul momento, mi parve meraviglioso. Mi ero persuaso perfino io che nulla potesse toglierci la serenità, se non lo desideravamo.
Passarono solo pochi anni da quando pronunciò quelle dannate parole, poi il crudele destino decise di prendersi gioco di Cecilia e della sua ingenuità.
Non seppi mai come avvenne, né dove si incontrarono e non desideravo nemmeno scoprirlo, perché non aveva importanza ormai. Cecilia cadde nella trappola del fato, soccombendo alla forza più insensata, forte ed imprevedibile dell’universo, l’amore.
Quando mi confessò i suoi sentimenti per Stefano, un giovane soldato di cavalleria, scorsi nei suoi occhi un misto di gioia e malinconia che mi sconvolse.
In un primo momento, vidi questo suo amore come una perdita del controllo sui sentimenti di cui tanto si vantava, pensai fosse una debolezza, ma quando li vidi insieme, gli sguardi che si perdevano negli occhi dell’altro, capii.
Non importava quello che potevo pensare io, non importava ciò che li aveva portati ad incontrarsi e non importava nemmeno quello che, fino a poco tempo prima, Cecilia pensava dell’amore.
Quei due giovani, che sembravano estraniati dal mondo quando stavano insieme, erano l’unica cosa importante.
Quando lasciai la città per perseguire i miei studi, lo feci a cuor leggero, sapendo di lasciare Cecilia in buone mani. Ci scrivemmo poche lettere, negli  anni in cui stetti via, entrambi troppo impegnati a vivere, suppongo.
Solo quattro anni dopo la mia partenza, un messaggero bussò alla porta del mio studio con una missiva della mia amica. Aprii la busta in tutta fretta, impaziente di sapere quanto radiosa fosse la vita della ragazza con cui avevo condiviso la mia adolescenza.
Un sorriso mi si aprì in volto quando, rincorrendo le parole per la fretta di sapere, decifrai nella grafia tondeggiante e obliqua di Cecilia la parola matrimonio. Quella lettera era l’invito ufficiale alla cerimonia.
Il mio animo stava già esultando, quando lessi il nome dello sposo, il sangue mi si gelò nelle vene.
Fiorenzo De Carli.
Il mio cuore perse un battito e si fece strada in me la tremenda sensazione che qualcosa di davvero terribile fosse accaduto durante la mia assenza.
Tornai in città appena mi fu possibile, arrivando giusto il giorno prima del matrimonio.
Arrivato alla tenuta dei Gallerani, venni accolto con la solita cortesia, ma notai l’euforia che aleggiava sui genitori di Cecilia. In particolare su Madonna Gallerani, che sembrava particolarmente compiaciuta nel dirmi che bravo giovanotto fosse il signor De Carli.
Nella mia mente, tutte quelle belle qualità che la signora gli attribuiva si tradussero in un’unica parola.
Ricco.
Congedato dalla signora, mi precipitai da Cecilia, trovandola nelle sue stanze, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Appena la guardai negli occhi, capii cos’era  successo.
Avevo sentito che c’erano stati dei disordini, ma non pensavo che avrebbero chiamato Stefano alle armi. Non servirono molte parole, non per noi che ci conoscevamo da una vita.
Andai da lei e la abbracciai, sentendomi in colpa, sapendo di non poter fare di più.
La cerimonia ormai era fissata e Madonna Gallerani non avrebbe certo annullato le nozze, entusiasta com’era dello sposo.
Matrimonio combinato.
Era prevedibile, ma chissà per quale ragione, né io né Cecilia eravamo preparati ad una cosa simile.
Non potei fare niente, se non offrire sostegno alla mia amica di sempre.
Andai alla cerimonia, portando nel cuore sentimenti più adatti ad una funerale che ad un matrimonio.
Salutai Cecilia con la promessa di andare a trovarla appena terminata la luna di miele.
Mantenni la mia promessa e mi ritrovai nella buia casa a cui accennavo prima.
La dimora del signor De Carli e della sua consorte.
Attraversai quei corridoi bui con l’angoscia nel cuore, mi tranquillizzai solo quando vidi Cecilia.
Tentai in tutti i modi di consolare la mia amica, ma non riuscii mai a scacciare quell’ombra di tristezza dai suoi occhi.
Mi chiese di distrarla, di raccontarle dei miei studi, dei miei quadri, della mia vita lontano dalla città.
Vedevo un’ombra farsi spazio poco a poco nel suo sguardo e, cosa ancor più  tremenda, la speranza ch Stefano tornasse la divorava come un tumore maligno.
Il tempo corse così per lei, in un’apatia che faceva quasi desiderare la morte.
Fino all’arrivo della lettera.
Quella dannata missiva dettò la sconfitta definitiva per il povero cuore di Cecilia.

Alla signorina Gallerani,
mi rammarico nel doverle dare questa triste notizia, ma Stefano Delcolle è morto sotto le armi due giorni fa. Le sue ultime parole sono state il vostro nome, solo così abbiamo saputo a chi inviare le nostre più sentite condoglianze. I miei rispetti,
                                                                                                                 Generale Marco Vinardi


Quando il foglio le cadde dalle  mani tremanti, lessi con avidità quelle parole e la consapevolezza che qualcosa in Cecilia si era spezzato si fece strada in me. Alzai lo sguardo su di lei, che era di nuovo persa nell’osservare l’orizzonte fuori dalla finestra.
Non osai chiedere cosa vide, anche se dubito potesse scorgere qualsiasi cosa oltre la cortina di lacrime salate che le inumidiva gli occhi.
Passarono svariati minuti, o forse delle ore, o degli anni, prima che uno di noi rompesse il silenzio.
Fu lei.
“Devi dipingere per me.” Disse.
Non una richiesta, ma un ordine, intriso della disperazione di una supplica.
Inghiottii il groppo che mi si era formato in gola nel sentire la sua voce spezzarsi.
“Cosa vuoi che dipinga?”
Lei non rispose, mi guardò soltanto e nei suoi occhi vidi una grande determinazione.
Trattenni a stento la paura, perché quello sembrava non lo sguardo di chi vuole affrontare di petto la vita, quanto quello di chi è deciso a porvi fine.
“Seguimi” disse dopo qualche istante.
Feci ciò che mi chiedeva e la seguii, senza obbiettare, attraverso stanze e corridoi.
Mi portò fuori, nel giardino, e lì si fermò.
Si guardò intorno, quasi attendesse qualcosa e dopo pochi minuti vidi una piccola creatura bianca farsi strada tra i fitti cespugli gelati dal freddo invernale.
La timida imitazione di un sorriso si tese  sulle labbra di Cecilia, quando la bestiolina arrivò ai suoi piedi e si lasciò prendere in braccio.
Solo ad un’occhiata ravvicinata mi resi conto di che animale avessi davanti.
“Un ermellino? Come hai fatto ad addomesticarlo? È impossibile, sono selvatici!”
Ero sinceramente scioccato, ma capii d’aver posto la domanda sbagliata, quando il sorriso sul suo volto si spense.
“Quest’estate, prima di partire, Stefano lo trovò nel bosco, aveva una zampa ferita. Lo prese e lo curò e il piccolino non se ne è più andato. Anch’io ero sconvolta, lui mi disse che con l’amore si può ottenere tutto … certo, è evidente che si sbagliava, l’amore non gli ha certo salvato la vita.”
Distolsi lo sguardo dalle lacrime di Cecilia, lo volsi su quell’esserino candido e non ebbi più bisogno di altre parole.
Seppi cosa dovevo fare.
“Ti ritrarrò con quell’ermellino in braccio, sarà come vedervi ancora insieme.”
Passammo i giorni seguenti chiusi in una stanza, lei alla finestra con l’ermellino tra le braccia, io a dipingere i tristi tratti del suo volto.
Furono giornate strazianti, ogni tratto del pennello mi pareva una stilettata al cuore.
Quando il ritratto fu completo, lo mostrai alla mia modella d’eccezione e, per la prima volta dall’arrivo di quella lettera di morte, la vidi piangere, mentre un sorriso nostalgico le solcava le labbra.
Da quel giorno, Cecilia andò avanti, sapendo di aver visto la via del paradiso e serbandola nel cuore come il più prezioso dei segreti.
  
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