Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Harriet    13/03/2014    1 recensioni
In un mondo simile al nostro, dove la storia ha preso tutto un altro corso, in un ipotetico inizio Novecento, c'è una città indipendente sulla costa egiziana, dove ogni giorno c'è qualche storia che vale la pena di raccontare.
Queste sono le storie della città, e di quattro dei suoi figli più bizzarri. Gente particolare, dal passato oscuro o doloroso, gente dai modi singolari e dai principi a volte discutibili. Ma una cosa è sicura: quando vogliono aiutare la città, hanno uno stile inconfondibile e molto efficace.
{Raccolta di 4 storie, delle quali la prima e l'ultima sono leggibili da sole. Ambientazione vagamente steampunk + magia.}
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Almiressa'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Licenza Creative Commons
Abusivi - Adottivi di Harriet (Francesca C.) è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.




Abusivi – Adottivi

 

 

 

 

Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo.

(Fabrizio De Andrè, La città vecchia)


 

There's a place where you become

What you have always been

(Thea Gilmore, Lightning)

 

 

- D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

- O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere.

(Italo Calvino, Le città invisibili)

 

 

I

Devi vedertela con la città

 

7 febbraio. Un giorno dopo l'evento

 

Mi chiamo Adi e sono di Almiressa. Mi sento in diritto di dire due parole sulla guerra finita ieri.

Va bene, passo indietro.

Non mi chiamo Adi. Il mio vero nome l'ho lasciato da qualche parte, dove non mi interessa tornare a cercarlo. Adi è una parola inventata. C'è stato un tempo in cui ero chiusa nella mia testa e non avevo parole per nessuno, così ho dovuto immaginare una lingua per farmi capire da me stessa. Adi era una delle mie parole preferite. Forse un giorno dirò a qualcuno cosa significa.

D'accordo, non sono esattamente di Almiressa. Da due anni e mezzo abito su una nave che per la maggior parte del tempo è ormeggiata qui al porto di Almiressa.

Forse troverò un punto fermo che sia vero, dal quale cominciare.

Non è che io sia una grande amante dei punti fermi. Ho lasciato casa mia un millennio fa, proprio perché avevo voglia di non avere punti fermi. Non è finita molto bene. Poi mi sono trovata un'altra casa, ed è una nave. Molto da me.

Riproviamo. Potete chiamarmi Adi. Conosco la città quanto basta per sopravviverci. Conosco i retroscena della guerra. Può andare?

 

Dove sei, tu che stai ascoltando questa storia? Da quale angolo della città mi guardi? Sei un abitante, un turista, uno che si è perso?

Cominciamo a piazzare qualche riferimento. Questo agglomerato di tre milioni di persone, un paio di millenni di storia e un'urbanistica criminale, questa è Almiressa. Se ne sta sulla costa mediterranea, è un frammento rubato all'Egitto, ma è una città-stato indipendente. Gran parte dei suoi abitanti sono egiziani, arabi, africani di tutto il continente – soprattutto etiopi, naturalmente: i figli dell'Impero che domina mezzo mondo sono ovunque, di questi tempi, e i sovrani d'Etiopia hanno provato più volte nei secoli a conquistare Almiressa. L'unica impronta davvero forte che hanno lasciato è la lingua. Qui si parla una strana cosa che somiglia all'amarico, infarcito di pezzi di arabo, egiziano, un po' di turco, greco, spagnolo e italiano.

Almiressa è un'accozzaglia prodigiosa. Attraversi una strada di palazzoni e finisci in un anfiteatro romano. Passi sotto un filo da cui pendono pezzi di vetro colorato, che la magia fa accendere, di notte, e poi nella strada accanto ti perdi in un mercatino di oggetti a carica, a molla, batteria: un campionario delle tecnologie di tre continenti. Dietro la sede del Consorzio della Scienza c'è il Vicolo degli Indovini. C'è un pezzo di tutto, qui, e niente funziona esattamente come dovrebbe.

L'accozzaglia umana della città supera di gran lunga quella degli stili, delle religioni e delle culture, portate qui da chi c'è arrivato, piantate senza pensarci troppo, stratificate a caso e senza progetto. C'è chi viene con una casa da costruire o con una canzone da regalare. C'è chi ci finisce senza niente, pronto a prendersi qualcosa, qualsiasi cosa: un briciolo per non morire di fame, un posto da chiamare casa, una credenza, una leggenda... E Almiressa si lascia saccheggiare con amore e si offre a tutti, perché è di tutti. È la sua vocazione.

È un bel posto? Non lo so. Non sono un'esperta di città. Sono nata in un piccolo accampamento in riva all'Illinois e ci ho passato ventitré anni di vita, prima di partire. Poi ho vissuto su un paio di isole e infine su una nave. Insomma, Almiressa è la prima città con la quale abbia avuto un rapporto significativo, e mai mi sarei aspettata di imparare ad amarla tanto, con tutte le sue contraddizioni.

Del resto, non si tratta solo di me. Guardate quelli con cui vivo. Nessuno di loro è di qui, ma tutti e tre si comportano da padroni della città. È che Almiressa fa questo effetto.

Ecco, parliamo di questi tre. Il primo è magro e lungo, bianco, con un ammasso di riccioli rossi e una distesa infinita di lentiggini ovunque. Lo vedrete poco in giro, perché ha devoluto la sua esistenza alle scienze e alla sperimentazione. Si chiama Mirick. Se gli avete detto buongiorno, è probabile che non vi abbia sentiti.

Il secondo l'avete visto di sicuro. Parlo di quell'arabo molto alto e robusto, con i capelli lunghi, che risponde al nome di Dara. È sempre in giro. Non riesce a non passare giornate intere tra le braccia della città, immergendosi in tutto quel che Almiressa ha da offrire: storie, caldo, chiacchiere, musica, chiese, alcol, bordelli, guai. E disperati. I disperati gli piacciono più di tutto. Raccontategli la vostra tragica storia e lo avrete dalla vostra parte.

L'ultimo dei tre è lì che disegna, osservando cose che vede solo lui. Un bambino con i capelli scuri e l'aria sempre concentrata su qualche particolare. Si chiama Aurel. Non vi risponderà, se lo chiamate. Non subito. Poi, forse, si fiderà di voi, e allora addio: vi sommergerà con le sue domande. Vi sembreranno strane. Non lo sono: sono esattamente le domande che tutti noi vorremmo fare, solo che non troviamo il coraggio.

Io sono quella donna alta e strana, che sorride ma non parla.

Sì, avete sentito dire svariate cose su di me. Che non parlo (vero.) Che non posso parlare (vero.) Che sono muta dalla nascita (non vero.) Qualcuno azzarda anche la fantasiosa ipotesi che talvolta io riesca a far sentire la mia voce nella testa delle persone. Andiamo, vi sembra una cosa logica e sensata?

No, non lo è. Però è vera. È che sono amica di uno scienziato. Ve l'ho detto che Mirick sperimenta con qualsiasi cosa gli capiti tra le mani, no? Viti, molle, alchimia, ingranaggi, chimica, magia. Un giorno mi ha regalato un cerchietto per i capelli. (Niente di particolarmente carino. Non un gran senso estetico, quello di Mirick.) È una via per la mia voce, per farvela arrivare direttamente in testa. Bello, eh? Non che mi renda più normale. Ma non è male. A volte hai bisogno di farti sentire, per quanto poco tu possa considerare i tuoi ascoltatori.

Ora che avete più o meno presente la città, i miei curiosi familiari e me, mi sento in dovere di dirvi un'ultima cosa. Vi servirà per decidere se disprezzarmi o assolvermi.

(Per la cronaca: qualunque sarà la vostra decisione, non me ne fregherà niente.)

L'ultimo punto da considerare è che io non ho mai odiato Leda Makris. Non ho energie da sprecare nell'odio. E se la signora Makris ha una lista dei danni che include furto, incendio, diffamazione e ostracismo dalla città, beh, questo dipende da molte cose, ma non dal mio odio.

Certe persone non sanno proprio vedersela con Almiressa.

 

C'è sempre qualcuno che cerca di comprarsi un pezzo della città. L'ho notato in questi due anni di adozione, ma mi hanno detto che è così da sempre. Arrivano da tutto il Mediterraneo, a volte anche da più lontano, e si insediano. Hanno la pretesa e la speranza di fare soldi e costruirsi una reputazione, che sia in campo legale, illegale, o entrambi. In genere appartengono a due categorie: mercanti e briganti. Io preferisco la seconda.

Non ho mai pensato che Leda Makris fosse da biasimare per il suo tentativo di inserirsi a forza nel tessuto cittadino. Voglio dire, lo fanno in tanti. Nel nostro piccolo, anche noi quattro ci siamo autoproclamati cittadini di Almiressa, degni di ammorbarne l'aria con le nostre presenze mai troppo silenziose. Qui c'è posto per tutti, che siano quattro profughi dell'esistenza raccolti per il mondo, oppure una mercante di cose superflue come Leda.

Ho assistito all'ascesa di Leda, durante lo scorso anno. Da proprietaria di una rivendita di inutilità spacciate per nuove tecnologie europee a piccola autorità del quartiere del Porto. Aveva quest'aura di persona potente, disposta a risolvere guai in cambio del pagamento giusto. Ce ne sono tanti, così: creano una rete di amicizie e clientele, scambiano favori e consolidano la propria posizione.

Da un giorno all'altro commercianti, guardie e nullafacenti entravano a far parte della cerchia di Leda, e non c'era verso di sapere cosa avessero ottenuto o cosa avessero pagato, per esserci. Ma la sua rete cresceva. Sembrava destinata a restare. Sembrava che cominciasse a conoscere Almiressa.

E se davvero era così, allora io penso che Leda lo sapesse, che non era una buona idea mettersi nei guai con l'Ordine delle Macchine da Cucire. Lo so che molti pensano che l'Ordine sia una specie di storiella divertente. Ma se davvero cominci a sviluppare un buon rapporto con la città, o perlomeno con i quartieri sul mare, il Porto e Alessandria, dove avvengono tutte le cose più interessanti, allora dovresti saperlo, che l'Ordine è da prendere sul serio.

 

Avevo sentito parlare di Leda Makris: sia le brave persone affaccendate che il sottomondo ambiguo dell'illegalità cittadina avevano molte cose da dire su di lei. Qualche volta la vedevo passare tra i banchi di un mercato, o sotto il portico di un tempio: una bella donna sulla quarantina, che aveva rinunciato alle vesti greche per sposare il gusto impazzito della città, e si ricopriva di cinture, scialli con ciondoli sonanti, gonne e sottogonne, pizzo a profusione, cappelli carichi di ornamenti. Non spiccava: ad Almiressa chiunque si veste così. Una delle cose che amo di questa città è quanto sia difficile distinguere a colpo d'occhio i ricchi dai poveracci.

La signora Makris mi era piuttosto indifferente, e così anche a quasi tutta la mia famiglia. Insomma, per Mirick sono tutti piuttosto indifferenti, a meno che non parlino lo scienziatese, e per quanto riguarda Aurel, lui ha una percezione molto particolare del mondo. Dara invece era sospettoso – come sempre, quando si tratta di potenti. Non gli piace la gente che ha la facoltà di imporre il proprio volere, con l'autorità o con i soldi.

- Io non la tollero.- Mi disse, un giorno che la vedemmo passare lungo il molo. Eravamo io, lui e Aurel, carichi di spesa e piacevolmente spensierati.

Ignorala, se non la tolleri, gli dissi, mandando la voce tra i suoi pensieri. La gente mi guarda male, quando parlo con qualcuno. Cioè, guarda male quel qualcuno, perché sembra che parli da solo.

- Non è giusto che pensi di poter venire qui a fare quello che vuole!

Che è esattamente quel che abbiamo fatto noi.

- Noi eravamo semplicemente senza casa. Non ci siamo stabiliti qui per fare fortuna.

No, fortuna non la faremo mai, visto che siamo sempre senza un soldo...

Mi interruppi quando Leda cambiò bruscamente direzione e ci venne incontro.

- Salve. Mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Leda Makris, e sono in città da poco tempo. Mi hanno detto che voi siete... Persone notevoli di Almiressa. Pare che conosciate un po' tutti, almeno nel quartiere del Porto.

Non siamo notevoli, le comunicai. La vidi stupita per un istante nel sentire la mia voce in maniera non convenzionale. Un istante solo, però. Dovevano averla informata della mia particolarità. Non credo che abbiamo niente di speciale. Costruiamo cose, ripariamo cose e beviamo parecchio.

- Vedremo. Magari mi dimostrerete di essere notevoli, invece. Mi auguro di rivedervi presto. E, chissà, magari di collaborare con voi.

Se ne andò senza aspettare risposta – e non ne avrebbe avuta comunque, a parte un paio di sorrisi non troppo convinti.

- Io non ho capito niente di quello che ha detto.- Commentò Aurel.

- Niente di interessante.- Rispose Dara, incupito. - Dimenticala. Non diventeremo amici.

- Menomale.

Aurel è una persona molto chiara, nell'esprimere i propri sentimenti sulle cose.

- Lo vedi?- Mi disse Dara. - Va in giro, chiede informazioni sulla città, si presenta e pretende di aver già capito come funziona tutto quanto, qui. E spera di guadagnarci.

È vero. Ma se per te è giusto che gente come noi possa venire ad Almiressa e sentirsi a casa, allora devi concederlo anche a quelli come la signora Makris.

- Io voglio un posto dove stare, non una città da piegare alla mia volontà.

Sei prevenuto. Magari Leda Makris ci stupirà con la sua munificenza e magnanimità.

 

Ebbi l'occasione di parlare di nuovo con Leda solo sei mesi fa. Ero andata con Dara a bere qualcosa alla locanda di Rebecca Cross, quell'irlandese grossa e ridanciana che mi rende allegra al solo sentirla nominare. C'era poca gente, e nessuno di quelli che solitamente passano di lì solo per rovinare la serata a qualcun altro. Non c'erano neanche quei personaggi squallidi che sputano commenti volgari quando passo, convinti che muta sia un sinonimo di sorda oppure di idiota. (Come se la volgarità mi toccasse. Potrei dare lezioni di volgarità a tutti loro. Di tutte le cose disgustose che mi hanno borbottato dietro, ho sentito di peggio. Ho visto di peggio. Mi è stato fatto di peggio. Sono equipaggiata contro il peggio.)

Insomma, niente porci né attaccabrighe, e Rebecca era incline a concedersi a noi in quell'arte rara della barzelletta sporca, che va raccontata con la giusta gestualità e il tempismo corretto, altrimenti diventa solo un esercizio triviale. Se lo fai bene, è arte. E Rebecca è un'artista. E poi c'era Noah, il suo cuoco, quell'anima in pena che dimostra mille anni più della trentina che dovrebbe avere, ed era così stranamente in pace col mondo da offrire un paio di bicchieri gratis a tutti.

Eravamo io, Dara, Elie l'orologiaio, Mariam, la dolciaia ambulante, e Micol, la libraia, un'affarino di ragazza che non ti aspetteresti di vedere lì, eppure intratteneva spesso noialtri gentaglia con la sua sorprendente cultura. Gente di casa, insomma.

All'improvviso entra lei, accompagnata da due tipi cupi che si capisce subito che sono guardie del corpo. Situazione strana, sì. È che eravamo tutti noi fedelissimi della locanda, e all'improvviso c'era anche Leda Makris. Come la consideri? Una di noi? No, troppo presto. Una straniera? Ma esiste davvero qualcuno che sia straniero, ad Almiressa? Non lo so. Forse questa è una città al contrario: arrivi cittadino, diventi straniero se non riesci a integrarti.

L'atmosfera era cambiata, però Leda fu abile nell'inserirsi nella casualità della conversazione.

- Il fatto che una città la si impari vivendola può sembrare scontato, ma per me è una novità.- Ci informò, facendo cenno a Noah di versare una bevuta a tutti. - Ero abituata ad affrontare ogni luogo studiandolo bene prima di andarci. Ma la vostra città è diversa. Non puoi studiarla.

- La nostra?- Chiese Dara (che fu incerto per tre secondi se accettare o no la bevuta, visto che veniva da qualcuno che non gli piace. Poi il richiamo dell'alcool vinse sulla coerenza.) - Non è anche tua, adesso?

Lei bevve un sorso e inarcò un sopracciglio scuro, incerta su come prendere quell'osservazione.

- Una persona che abita ad Almiressa da sei mesi e non si sente ancora di casa...- Spiegò Rebecca. - Lo troviamo strano.

- Sono lenta a imparare, è vero.- Rispose Leda. - Ma sto conoscendo la città, pian piano.

- E cos'hai imparato?- Mariam smise di baloccarsi con un archetto da violino decrepito recuperato chissà dove (ha una spiccata passione per l'antiquariato) e parve interessarsi alla conversazione.

- Per esempio, ho imparato le peculiarità dei commercianti. E ho imparato che i locandieri spesso non sono di qui e hanno qualcosa da nascondere.

E io incrociai lo sguardo di Noah, gli occhi azzurri enormi e terrorizzati dietro gli occhiali incrinati, le mani piccole strette convulsamente attorno a uno straccio per pulire i tavoli. Lo vidi guizzare via dalla stanza, a rifugiarsi nelle cucine, e gli andai dietro.

- Sa di noi!- Esclamò, non appena mi vide. - Quella donna sa di noi! È chiaro! Quell'allusione... Oh, Adi, tu lo sai che... Non ti abbiamo mai detto che...

Avete un passato da tenere segreto. Si capisce. E non me ne frega nulla di conoscerlo. Ma perché credi che Leda sappia qualcosa su di voi?

- L'hai sentita. Quella battuta sui locandieri...

Era solo una battuta idiota. Chi andrebbe a parlare male dei locandieri in una locanda?

Lui scosse la testa e non trovò la forza di dirmi altro.

Qualche settimana dopo seppi che Rebecca aveva accettato un'affiliazione con Leda Makris.

 

Avrei dovuto arrivarci subito. Tutte quelle parole strane, quei momenti di disagio germogliati tra gente che si conosceva da una vita, quei graffi di malizia che all'improvviso intravedevi nelle parole, negli sguardi di coloro che ritenevi dalla tua parte. Amicizie storiche incrinate, rimescolamenti di alleanze sia tra gli onesti che tra i criminali. C'era qualcosa di diverso nell'aria.

Mi ricordo quella volta in cui ero nel negozio di stoffe di Alia. Leda aveva provato ad acquisirlo, ma Alia aveva rifiutato. Quella mattina Alia parlava di cose leggere a me e a Ruth, una delle guardie portuali. A un certo punto Alia disse a Ruth il prezzo di un pizzo stupendo, una cosa che non poteva in alcun modo costare poco. Gli occhi di Ruth si fissarono sul viso di Alia solo per un secondo, ma bastò a farla indietreggiare di un passo. Se uno ti aggredisce, lo senti subito.

- Non ho voglia di farmi fregare da una che lavorava per Ellissa!- Sibilò Ruth, prima di uscire, premurandosi di sbattere la porta.

Mi ricordo il viso di Alia che si frammentava in una maschera di pianto. Provai a confortarla, anche se con pochi risultati. Volevo farle capire che per me non c'era niente da perdonare. Aveva lavorato nel bordello di Ellissa. E allora? È un mestiere difficile, e chi lo pratica ha di sicuro delle strabilianti doti di pazienza e capacità di gestire gli esseri umani.

Io non sapevo che Alia avesse lavorato lì, prima di sposare suo marito, sei o sette anni prima. Alia era sempre dimessa, mai truccata, una di quelle persone che fanno di tutto per non essere notate dall'universo. Nessuno, prima, l'aveva ricollegata a una delle ragazze di Ellissa, e se qualcuno l'aveva riconosciuta, se l'era tenuto per sé, perché mai prima d'ora qualcuno le aveva gettato in faccia il suo passato. Com'era venuto fuori il segreto, e perché ora?

Uscii dal negozio turbata e arrabbiata. Mi fermai al banco dei dolci di Mariam, che esaminava un mappamondo malridotto e pareva non accorgersi che il mondo vero continuava a girare.

- Freddino, eh?- Mi disse, incartando un dolce diverso da quello che le avevo indicato.

In realtà ci sono diciotto gradi.

- Parlavo del clima umano del Porto.

Oh. Sì. C'è qualcosa di strano. Non mi piace per niente.

- Già. Non piace neanche a me. Ma finché questo qualcosa di strano non viene a bussare alla mia porta, lo lascerò perdere.

Mi allontanai mangiando distrattamente, pensando ad Alia, e alla capacità di questa città di fagocitare il tuo passato e farlo sparire. Chi si stava divertendo a scavare?

 

I pezzi andarono a posto quattro giorni fa, quando Bushra, quell'anima santa che manda avanti la Mensa dei Poveri da quindici anni, venne a cercarmi alla nave. Era agitata, con i capelli che le scappavano fuori dal velo e le occhiaie di chi non dorme bene da un po'.

- Io so che non sei stata tu, a dirlo in giro. Ma chi è stato, allora? Sono così pochi a saperlo...

Sapere cosa, Bushra?

- La mia storia.

La sua storia. Un figlio morto piccolino, un marito che non si era mai ripreso dalla tragedia e si era ammazzato di alcool. Storia di circa diciotto anni prima, quando Bushra era molto giovane. Storia che lei aveva deciso di tenere solo per sé e per pochi altri, perché non sai mai come certa gente ti giudicherà, se guardandoti vedrà il tuo dolore e l'oscurità del tuo passato.

Chi è venuto a saperlo?, chiesi, sentendomi fiera di essere esclusa dalla lista dei sospettati.

- Leda Makris. È venuta da me e mi ha detto che devo ritirare la mia offerta per quel magazzino vicino alla Mensa, oppure lei farà sapere in giro i fatti miei. Volevo comprarlo per allestire un centro di distribuzione di abiti e altre cose per i poveri. Io non voglio che la gente sappia di me. Tu mi dici sempre che è una storia di cui non devo vergognarmi, ma è comunque mia. Decido io chi deve saperla e chi no. E quella donna...

Quella donna è brava a scoprire cose sulla gente. E con quello che sa, ricatta e ottiene quel che vuole. Che hai fatto, con il magazzino?

- Ho ritirato l'offera. Che altro potevo fare?

Che altro poteva fare?

 

L'indomani stavo mangiando un dolce di miele e pistacchi appena comprato dal banco di Mariam. Lei era tutta presa dalla lettura di una copia malridotta di Tutti i tè dell'India, di Jackie Blackpool, e non era disturbata da niente, neanche dai rumori provenienti dalla vicina bottega di Noemi ed Eliezer, i fornai peggiori di Almiressa. Dara era dentro, intento a riparare un crollo del soffitto. Si era offerto di sistemare il danno a un prezzo stracciato, dopo che la gente del Porto si era lamentata dei calcinacci nelle focacce. Già erano pessime senza tracce di calcestruzzo. Aurel cercava di affrontare una bici senza una ruota poco distante dal banco di Mariam (doveva essere un altro dei suoi ritrovamenti archeologici.) Io ero tranquilla e leggera, e stavo pensando a cose riposanti.

In quel momento arrivò Leda Makris. Salutò tutti con grazia e fece per passare oltre.

Le facce di Alia, Bushra e Noah attraversarono la mia mente.

Inseguii Leda e afferrai un lembo del suo scialle, poi la presi sottobraccio e la feci allontanare da lì.

- A cosa devo questa improvvisata?- Mi chiese.

Ho capito il tuo gioco e voglio giocare anch'io, le comunicai telepaticamente.

- Non capisco di cosa tu stia parlando.

Tu commerci in informazioni, che poi usi per manipolare la gente di Almiressa.

Fui felice di vederla stupita.

- Sì.- Mi disse, riacquistando subito tutta la sua sicurezza. - E tu, che conosci tutti e sei così discreta, mi saresti di grande aiuto.

Sono qui per questo. Te l'ho detto, voglio giocare. Ti passerò informazioni, ma in cambio ti chiederò alcune cose. Piccoli favori. Roba senza importanza.

- Perché no? Potremmo fare una prova. Dammi qualcosa di valore, e io cercherò di fare qualcosa per te. Ma attenta, Adi: non cercare di fregarmi, o potrei cercare segreti su te e i tuoi amici.

D'accordo, le risposi. Eccoti una cosa che non sa nessuno. Nessuno di onesto, almeno. Amal, il sarto che ha la bottega sopra il teatro in Via Rossa: è lui che ha cucito le tuniche grigie di quella banda di rapinatori che ha assaltato tre negozi nel quartiere della Giustizia, negli ultimi due mesi.

Di nuovo ebbi la soddisfazione di vederla incredula, quasi ammirata.

- Tu come diavolo l'hai scoperto?

Ho avuto occasione di vedere una di quelle tuniche da vicino. Sono una sarta anch'io. Ho riconosciuto lo stile. Amal è un autodidatta: geniale e fantasioso, ma con dei difetti evidenti, se hai occhio. Ora, se un sarto qualunque lavora con dei rapinatori piuttosto bravi... Forse non è un sarto qualunque. O forse può metterti in contatto con loro. Potrebbero lavorare per te.

- Lascia che ci pensi da sola, a pesare i meriti della tua informazione. Tu limitati a prepararmi qualcos'altro, tra un po' di tempo.

Lei si allontanò, evidentemente soddisfatta. Io cominciai a contare.

 

Cinque.

Torniamo a due giorni fa, il cinque febbraio. Io non ho visto nulla: sono rimasta sulla nave per tutto il tempo. Parlo per sentito dire. Racconto le storie raccontate dalla gente. Sono bizzarre, sì, ma questa è Almiressa.

L'inizio della guerra è stato un appendiabiti lanciato da una finestra mentre passava il carro di Leda. Un avvertimento, pare, ma il risultato è stato comunque un bello schianto.

 

Quattro.

- La signora Abenet dice che hanno incendiato il negozio di cose tecnologiche di Leda Makris.

Sono venuta a saperlo così, da Aurel, che era uscito a fare un giro insieme a Dara. Mi si è seduto sulle ginocchia, sparpagliandomi il lavoro a maglia, e mi ha mostrato i biscotti che aveva comprato.

- Non sono quelli di Mariam.- Mi ha detto. - Oggi il suo banco non c'è. Non capisco perché.

Io sì.

L'ho lasciato sbriciolare sulle mie gonne, immaginando il negozio in fiamme, e tutti i segreti rubati alla città che bruciavano insieme alla merce.

 

Tre.

Una vecchietta dall'identità ignota ha assalito Cinzia, la miglior pellettiera del Porto, stendendola con un colpo di mappamondo. Cinzia era stata una delle prime ad affiliarsi alla signora Makris.

Una ragazzina con un cappuccio in testa ha fatto piombare un grammofono da un buco nel muro dell'edificio in ristrutturazione delle Gilde Riunite dei Mercanti. Ha centrato un poliziotto che, si dice, aveva una tresca con Leda. Pare gli abbia rotto diverse ossa.

Un gruppo di personaggi con indosso delle tuniche tutte uguali hanno assediato il magazzino che Leda aveva soffiato a Bushra. Poi sono andati alla Mensa dei Poveri e hanno portato a Bushra la chiave di quel posto.

 

Due.

Alle sette di sera del cinque febbraio ormai era guerra aperta. È stato Dara a portarmi notizie.

- Hai sentito cos'è successo? Pare che Leda Makris sia nei guai con l'Ordine delle Macchine da Cucire!

E dov'è il problema?

- Saranno anche una banda di disgraziati affascinante, ma sono pur sempre una lega criminale. Per quanto li trovi migliori di tanta altra gente, ho paura che questa guerra finisca male.

Non uccideranno Leda o i suoi collaboratori, se è questo che temi. Uccidono solo quando non possono distruggerti in altro modo. Sono discreti.

- Discreti non è proprio la parola giusta, visto che razza di armi utilizzano.

Riciclare oggetti di antiquariato come arma ha qualcosa di artistico.

- Dal vago brillare nei tuoi occhi deduco che sai molte più cose di me, su questa storia.

Nessuno dovrebbe mettersi contro la città.

- Sai che non ho mai sopportato Leda. Ma l'Ordine...

L'Ordine non va in giro a ricattare le persone indifese, usando i loro segreti contro di loro. L'Ordine se la prende con chi è forte quanto loro. La guerra con Leda è ad armi pari. Più o meno.

- Adi, ho quasi paura a chiederti cosa sai, esattamente.

Sono qui sulla nave da due giorni. So soltanto le cose che mi raccontate voi.

 

Uno.

E così l'impero è crollato. In un trionfo di assalti bizzarri e rappresaglie incomprensibili ai più, la banda di mercenari più leggendaria di Almiressa ha cacciato Leda Makris.

Ieri, sei febbraio, Leda e il grosso dei suoi collaboratori hanno lasciato la città. Per chiudere le attività e sbaraccare le postazioni ci vorranno ancora settimane, probabilmente. La cosa importante è che non tornerà. Ha perso moltissimo: soldi, merce, il suo nome. Noi abbiamo perso un po' di fiducia e stabilità, ma confido che presto le ritroveremo, in qualche modo.

 

Sono rimasta sulla Noor tutto il giorno, insieme a Dara e Aurel. Mirick invece è fuori da stamattina, e mi sto chiedendo quando tornerà, visto è che davvero tardi. Gli altri due dormono già. Io comincio a essere stanca. Organizzare la caduta di Leda è stato faticoso.

Sento i passi di Mirick, poi me lo vedo comparire sulla soglia della cucina. Ha un fagottino in mano e sembra preoccupato.

- Adi, ascoltami. Tu c'entri qualcosa, in questa faccenda della signora Makris?

Perché dici così?, gli chiedo, mentre metto sul tavolo tazze e bevande alcoliche e non.

- Oggi mi hanno fermato almeno dieci persone, dicendomi di ringraziarti per aver cacciato Leda. Mariam, la dolciaia, mi ha persino regalato questi.- Lui finalmente si siede e posa sul tavolo l'involtino di juta dal quale proviene un odore speziato.

Io cerco di ignorare il brivido che mi percorre la schiena.

- Adi, per favore: spiegami cos'hai fatto.

Strano che mi affronti direttamente. Mirick non è un uomo troppo coraggioso, nei rapporti umani. Preferisce che le cose gli siano dette con delicatezza. Preferisce saltellare intorno ai problemi, piuttosto che la verità senza tanti ornamenti. Purtroppo io e Dara siamo i suoi legami più stretti, e nessuno dei due vince il premio per la delicatezza. Dara è onesto, io sono brutale. Non mi stupisco del fatto che spesso Mirick mi faccia sapere cosa vuole e cosa pensa tramite Dara.

Stavolta non ha avuto paura, quindi gli devo la verità.

Tu hai capito come mai negli ultimi mesi c'era un clima così teso, al Porto? Vecchi partner divisi, amicizie in pezzi, delazioni, truffe...

- In realtà non me n'ero accorto.

Scusa, dimenticavo che esci dalla tua cabina solo se ti tiriamo fuori noi.

- Se potessi evitare queste frecciate... D'accordo? Vai avanti.

Gli racconto di Leda. Provo a dargli un'idea della vita segreta della città, di quei posti e quei legami che l'avvento della signora Makris ha turbato. Lui capisce: è un recluso della scienza, ma è pur sempre un cittadino di Almiressa. Gli dico di Noah e di Bushra, che hanno dovuto cedere a Leda per proteggere il loro passato, e di Alia, che ha rifiutato e ha perso il suo segreto.

- Una persona spregevole. Ma a te non aveva fatto niente.

No. Ma non mi piace la gente che viene qui e incasina la mia città.

- Sembri Dara, adesso. Sempre a infamare i potenti.

Per nulla. Dara tuona contro i cattivi, ma poi impiega il suo tempo e le sue energie per aiutare i disgraziati. Io non sono come lui. Io ho trovato un modo per danneggiare Leda.

- Ovvero?

Le ho dato un'informazione. Una piccola cosa che sapevo solo io: Amal, il sarto, è in combutta con i rapinatori del quartiere della Giustizia.

- E tu come lo sai?

Lo so e basta. Così Leda è andata da lui, sperando di ricattarlo. Però c'è qualcosa che non le ho detto. Ovvero che Amal è l'amante del capo dell'Ordine delle Macchine da Cucire.

- Il fantomatico ordine di sicari e mercenari che usa come armi solo oggetti di riciclo e ha per capo un'ex-suora? Stai scherzando? Io pensavo che fosse una leggenda metropolitana!

È per questo che prosperano da anni e nessuno li ha mai smascherati. Tutti credono che sia uno scherzo. Ma loro esistono, e il loro capo si è infuriato per il ricatto ad Amal. A quel punto è scattato il gioco delle alleanze: il capo ha chiamato in causa tutti quelli che collaborano con lei, e hanno organizzato l'uscita di scena di Leda.

- Adi, chi accidenti è il capo dell'Ordine?

Ti ha regalato dei dolci.

- Mariam? Mariam, quella donnina svanita che non è capace di parcheggiare il suo carretto due volte nello stesso posto...

È una tattica. Si sposta dove serve. E quasi tutti gli ambulanti del Porto sono al suo servizio.

- Come hai scoperto l'identità di Mariam?

Oh, lo so da un po'. Ho rimesso insieme gli indizi. Mi incuriosivano i suoi spostamenti, così ho detto ad Aurel di tenerla d'occhio. Gli ho detto che era una specie di gioco. Sai com'è metodico e fissato con tabelle e misure, no? L'ha seguita per un mese, segnandosi ogni minimo particolare dei suoi movimenti, e mi ha portato i risultati. Ho capito che c'era uno schema.

- Hai mandato un bambino di dieci anni a indagare sul capo di un'organizzazione criminale?

Nove anni. È stato l'anno scorso.

- Adi, sei un'incosciente. E poi, che altro? Un carretto spostato ti è bastato per identificarla?

No, certo. Ci sono voluti altri dettagli. Ma una volta che sai che qualcuno ha qualcosa di speciale, non lo guardi più con lo stesso occhio. Diciamo che Dara mi ha aiutata a raccogliere i pezzi.

- Hai coinvolto anche Dara?

Senza spiegargli troppe cose. Gli ho fatto cercare informazioni nei posti che frequenta di più.

- Chiese e bordelli.

Esatto. Per esempio, è stato lui a scoprire che Mariam e Amal sono amanti. Oh, e poi c'era la questione del libro.

- Che libro?

Tutti i tè dell'India”, di Jackie Blackpool. La lettura preferita di Mariam. Solo che non è un libro normale: è una raccolta di cifrari. Ed è scritto in codice, naturalmente. Pensi di leggere un trattato sui tè e invece stai imparando a nascondere i tuoi messaggi.

- E questo dove l'hai imparato?

Me l'ha raccontato Micol, la libraia. Membro dell'Ordine.

- Perché ti avrebbe svelato un segreto del genere?

Perché mi ha proposto di entrare nell'Ordine.

- Ti ha proposto...

Storia lunga. Lascia perdere. Insomma, lo sai che se uno ascolta nei posti giusti, impara un sacco di cose sulla città, no? Sono arrivata a saperne abbastanza sull'Ordine. Sono cauti, e non uccidono mai, se possono evitarlo. Non per motivi di buon cuore, ovviamente: è per avere meno grane possibile. Ma sono potenti e hanno alleati in tutta la città.

- E così tu sei andata da Leda e le hai rivelato un segreto che avrebbe danneggiato direttamente Mariam, ovvero le attività criminali del suo amante?

Esatto. E devi ammettere che ha funzionato. Però mi chiedo come si sia sparsa in giro la voce che è partito tutto da me. Beh, in ogni caso, credo che dovremmo buttare quei dolci: se Mariam ha scoperto che l'ho trascinata io in questa storia, come minimo li avrà avvelenati.

- Ne ho già mangiati due e sono vivo. Per ora. Ma li ho ingeriti ore fa, e non ho avvertito sapori strani. Né sintomi.

Apro il pacchettino, un po' turbata (anche se so che Mirick ha una certa conoscenza dei veleni, e che probabilmente ha ragione: non c'è da preoccuparsi.) Ma se Mariam non vuole uccidermi per la mia sfacciataggine, allora cosa...

Dentro l'involto c'è un biglietto, nascosto tra i dolci, appiccicoso di miele e cosparso di briciole di biscotto e pistacchi. Lo tiro fuori e lo distendo sul tavolo, permettendo a Mirick di leggere.

 

Cara Adi,

come saprai, in questi ultimi due giorni ho avuto qualche problema con una fastidiosa mercante greca. Mi ci è voluto poco a buttarla fuori dalla nostra città. Ma prima di lasciarla andare, l'ho interrogata per capire dove avesse preso l'informazione su un certo sarto. Mi ha rivelato che sei stata tu, a dirglielo. Sei andata da lei e ti sei offerta di venderle notizie preziose sulla gente di Almiressa.

Inizialmente sono rimasta delusa: non ti facevo tipo da cose tanto spregevoli. Poi ho cominciato a fare domande in giro. Ho scoperto che alcune persone ti avevano rivelato di essere state ricattate da Leda. Ho indagato su di te e ho saputo che sai molte cose su di noi. Ho iniziato a capire cos'hai fatto: non hai venduto la tua gente, no. Hai dato a Leda un'informazione che l'avrebbe messa nei guai. Attaccando Amal, avrebbe attaccato me. Leda non lo sapeva, ma tu sì. Tu speravi che io me la prendessi con lei.

Adi, sappi una cosa: se io non trovassi ammirevole la tua faccia tosta, saresti morta. Ma mi hai usata bene, e hai liberato la città da una parassita maldicente. Invece di ucciderti, premierò la tua impertinenza. Da oggi in poi tu e i tuoi familiari avrete sempre un bello sconto sui dolci.

Mi sono permessa di far sapere in giro a chi dobbiamo la partenza di Leda. La gente ha bisogno di esprimere la propria riconoscenza. E poi, è meglio che si sappia che tipo sei.

Provati di nuovo a usarmi in qualche piano e te ne pentirai.

Con ammirato stupore,

M

 

Scoppio a ridere, un po' sollevata e un po' spaventata: sono una che rischia, sì, ma mi rendo conto che stavolta ho rischiato grosso. Ho gettato Leda Makris tra le fauci di una criminale. Ho fatto scoppiare una guerra tra potenze. Ho rischiato vite altrui, e anche la mia, probabilmente.

Ma io lo sapevo, lo sapevo di aver calcolato bene. Sapevo che non sarebbe morto nessuno, che nessuno si sarebbe fatto troppo male (e dal male comunque si guarisce.) Sapevo che potevo permettermi di osare.

È che io la conosco bene, la città, e conosco i suoi figli più cattivi, perché anch'io sono una di loro.

- Avremo conseguenze a causa delle tue azioni?- Mi chiede Mirick.

Sì. Lo sconto sui dolci.

- Sai, Adi, qualche volta... Qualche volta mi fai paura.

L'avresti fatto anche tu, Mirick. Prima o poi lo farai. Giocare sporco per tenere pulita la città.

 

Perché questo è quello che facciamo noi: ci prendiamo cura di Almiressa, ognuno a suo modo. Vediamo le ferite della città e agiamo di conseguenza. Mirick nota i problemi, e con precisione chirurgica elabora una soluzione. Aurel parla, parla, parla fino a farti dimenticare che ti sei fatto male. Dara cerca di mettersi tra te e i colpi in arrivo, con la sua allegria incosciente.

Io sono quella con il coltello in mano, nell'angolo. Non posso evitare che tu ti faccia male. Ma stai tranquillo: dopo che sarò intervenuta io, nessuno proverà a ferirti un'altra volta.

Anche loro hanno delle storie divertenti su tutte quelle volte in cui hanno aiutato la città. Fatevele raccontare, se vi capiterà l'occasione.

Questa era la storia di come l'Ordine delle Macchine da cucire scatenò un guerra contro una pretenziosa mercante che sperava di dominare la città. Il mio ruolo in tutto questo si limita a qualche frase, ma è stato fondamentale, e quindi mi godo immodestamente il risultato.

Ci ho anche guadagnato uno sconto perenne sui migliori dolci al miele di Almiressa.

 
   
 
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Harriet