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Autore: Shirokuro    14/03/2014    2 recensioni
{ accenni namelessshipping | one-shot di 1250 parole circa | malinconico | si può definire fluff? | basata sul "raticate di oak" }
«Uccidere un Pokémon non è ritenuto illegale. E sai perché? Capita tutti i giorni, anche ora che noi stiamo discutendo, in qualche angolo del mondo, che lottando uno dei due compagni scesi in campo muoia» si giustificò il moro. Blu invidiava quella sua capacita di fingere che nulla fosse dovuto a lui, inconsciamente odiava anche quella sua capacità.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Green, Red
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Perdonatemi per postare questa one-shot. Cioè, dovrei perdonarmi da sola. Motivo? La verità è che non la amo come i testi che di solito posto. Intendo che non sono solita scrivere shonen-ai, ma volevo comunque provarci perché la NamelessShipping è entrata nei miei primi 20 OToP – che, per i più tardi, sarebbe “top” assieme ad “otp” –, volevo scrivere da tempo su loro e questa idea mi era parsa buona all’inizio. Però a tormentarmi è un dubbio: l’OOC. Dite quel che volete, ma sono ossessionata e questa volta sono quasi certa che sia Blu e sia Rosso siano OOC. 
Comunque, grazie a Class che ha gentilmente betato il testo, ricordi che senza di lei sono spacciata. 
Tornando alla storia, è un post della Poképasta del Raticate di Oak, che è e sarà sempre la mia preferita. Sempre e comunque. Quindi bho, auguri e figli maschi (?). Buona lettura.
In nome di un essere scomparso
   Poggiò il mazzetto di fiori gialli di fronte alla lapide di pietra fredda, morta quasi, che si confondeva perfettamente in mezzo al resto delle lastre incise o meno, mantenendo l’aspetto lugubre di cui Blu aveva tanta paura. Non trovava giusto che il suo Raticate fosse un corpo come gli altri, era il suo Pokémon, non quello di chiunque, era quel Raticate; contemplò in silenzio la tomba mentre la sua compagnia iniziava a stancarsi di attendere là, scostando lo sguardo e facendo notare il movimento del capo al castano.
   «Sì, Rosso, ora arrivo» disse mentre si inginocchiava per sistemare la bottiglia d’acqua nel quale c’erano i fiori ormai seccati che avevano sostituito quelli appena poggiati sulla lapide. Il moro si drizzò e bisbigliò semplicemente, «Se non fossi tanto timoroso non dovrei star qui a proteggerti dai tuoi fantasmi».
   Blu sentì le parole offendendosi, anche se era verità in un certo qual senso. In effetti gli aveva chiesto espressamente di non lasciarlo solo durante la visita della tomba del suo Pokémon, era anche vero che moriva dalla paura, ma non era per quello che doveva presenziare.
   Dopo aver posizionato i fiori nella bottiglietta di plastica, scattò in piedi e nella direzione di Rosso, sicuro, «Devo forse ricordarti chi l’ha ucciso?»
   L’Allenatore alzò lo sguardo fissando l’altro, senza mostrare particolari emozioni, impassibile, snervando il Capopalestra. Il castano strinse i pugni; stava parlando di un morto, di qualcuno che lui stesso aveva ucciso, ma nemmeno un senso di colpa, un piccolo rimorso, nulla.
   «Guarda che ne abbiamo già discusso» rispose semplicemente. Blu rimase comunque ostile. 

   «Non sono stato io a sfidarti, non lo volevo uccidere. Sei tu che ogni volta venivi a rompermi le scatole con le tue lotte» rispose. Era solo questo che proferiva ogni volta, aggiungendo strafottente «Pur sapendo che perderai».
   «Rosso!» Gridò il giovane, senza ritegno per i poveri clienti del Centro Pokémon, infastiditi da quel comportamento indecente. Non gli importava, comunque, perché in fondo loro non potevano giudicare senza sapere, tanto che ormai il castano li considerava a sua volta irrispettosi. Anzi, in quel periodo tutto per lui era superficiale e senza un motivo per esistere. 
   Era passato un anno dalla morte del suo Pokémon più fidato e ricordarlo lo faceva sentire debole, incapace di difendere qualsiasi cosa amasse. Il rivale era sempre così distaccato da quella realtà che avrebbe avuto il dovere di vivere. Che aveva il dovere di vivere, perché era tutto causa sua. 
   Il senso di angoscia, ombre che lo seguivano: Blu aveva sempre quelle lugubri sensazioni e doveva trovare un’origine a tali spettri: l'unica era proprio il Campione. Voleva che fosse lui, necessitava di questa certezza più di qualunque altra, più della consapevolezza di essere vivo; andava avanti solo con la speranza di non aver crimini per i quali sentirsi colpevole.
   «Uccidere un Pokémon non è ritenuto illegale. E sai perché? Capita tutti i giorni, anche ora che noi stiamo discutendo, in qualche angolo del mondo, che lottando uno dei due compagni scesi in campo muoia» si giustificò il moro. Blu invidiava quella sua capacita di fingere che nulla fosse dovuto a lui, inconsciamente odiava anche quella sua capacità.
   Scattò in piedi, facendo stridere la sedia sulla quale era seduto. Non aveva nulla da rinfacciargli perché sapeva sarebbe stato inutile. Voleva che tutto quello che accadeva attorno a lui, anche per un solo secondo, si fermasse, permettendogli di respirare. Era entrato in apnea, cercando disperatamente qualcosa da gridare in faccia a Rosso.
   In quell’arco di tempo trascorso ad odiare, non aveva mai avuto uno sfogo. Ogni volta che aveva il ragazzo vicino, sentiva la necessità di sputargli in pieno viso. Aveva un bisogno disumano di urlargli contro, benché iniziasse sempre una guerra che non vinceva mai.


   Il ragazzo che indossava il berretto rosso abbassò lo sguardo. Ora che Blu si mostrava tanto iracondo, come avrebbe potuto dirgli senza problemi cosa sarebbe accaduto di lì a poco? Era certo ne fosse all'oscuro.
   L’altro continuò a fissare Rosso senza muover ciglio, solo quando decise che sarebbe potuto bastare tornò alla lapide. Cercava sempre di passare più tempo possibile lì, affinché l’anima di Raticate lo perdonasse per esser stato un pessimo Allenatore. 
   «Tra non molto abbatteranno la Torre» sentì Blu. Per un attimo non badò all’effettivo significato di quelle parole, ma quando se ne rese conto sussultò, scattando verso il ragazzo che gli diede la notizia. Aveva gli occhi sgranati ed increduli, che pregavano perché si fosse trattato di un equivoco, sebbene fosse consapevole che più chiara di così, la faccenda non poteva essere. Da un po’ di tempo sentiva vociferare di una Torre Radio, un progetto ambizioso di un qualche riccone di Kanto. Non credeva che il fatto che sarebbe stata edificata lì dove al momento si trovava il cimitero dei Pokémon corrispondesse alla verità.
   «I corpi verranno bruciati se non decomposti e le ceneri verranno consegnate agli Allenatori precedenti» spiegò. Il castano sentì di morire anche lui. Per sperare cosa? Ormai il povero corpo del suo mostriciattolo era certamente indistinguibile, quindi le sue ceneri erano anche troppo.
   Improvvisamente il suo viso si rigò di lacrime. Che cosa avrebbe potuto amare incondizionatamente ora? Cosa avrebbe potuto cercare sapendo che non si sarebbe spiaciuto e che magari avrebbe gradito? Chi? 
   Impedì ad ogni rumore di uscire dalle sue labbra dischiuse, nemmeno un singhiozzo, restando penosamente immobile. Rosso fissava impotente; non odiava affatto Blu, anzi, per quanto l’altro continuava a ripetergli di odiarlo, non poteva non provare affetto verso di lui dopo tanti anni assieme. Ma c’erano occasioni nelle quali non poteva affatto mostrargli il bene che provava e questo era uno di quegli attimi.
   Si limitò ad attendere che Blu parlasse. Magari che si sfogasse, ma era troppo debole per farlo. Oak era sempre stato un incapace, con i Pokémon, con le ragazze, con i parenti, con la matematica, con la strategia. Non era in grado nemmeno di urlare il suo dispiacere: aveva sempre adorato il suo Raticate e la sua memoria era diventata un’ossessione, ma non riusciva ad esprimersi o, più semplicemente, non poteva. Voleva essere forte, non infangare la forza nata per il roditore. Non poteva.
   «Blu, io-». 
   «Zitto!» Riuscì a gridargli. La voce tremava, cercò di essere essenziale per non perderne il poco controllo. «Non hai nulla da dirmi!»
   Sconvolto. Rosso era solo sconvolto. A modo suo, ci stava riuscendo, a non essere un debole. Il moro si ritirò di qualche passo.
   «I-In tutto questo tempo le tue colpe sono ricadute su di me, le mie su di te e non abbiamo fatto altro che dipendere l'uno dall'altro. L'unico peccato che condividevamo realmente era la morte di Raticate! Se ora non avrò una tomba sulla quale piangere, sulla quale sfogare le mie frustrazioni, i miei pensieri... io...» no, non avrebbe mai voluto dire questo, eppure solo allora realizzava quanto stupido fosse che tutti i suoi rimpianti venissero confusamente a galla assieme in un’accozzaglia di parole.
   Rosso si avvicinò stavolta, facendo poggiare la testa dell'amico alla sua spalla. «Ora puoi piangere sulla mia spalla».
   «N-Non è affatto giusto! Raticate era la mia squadra, ora come potrò onorarlo? Che scusa avrò per averti affianco, a compiangerlo?»
   «E se ti fossi affianco e basta?» Chiese cercando di consolarlo. In fondo ambedue sapevano che ora il castano aveva un disperato bisogno di supporto. E Rosso lo sapeva meglio di tutti.

   «Blu» richiamò l'attenzione il moro. Indicò sorridente la lastra di pietra che recitava Raticate ed il nome del ragazzo chiamato. «Qui andrà bene» disse rimirando il Percorso Uno della regione. Era lì che Blu aveva catturato il Pokémon, a suo tempo.
   Il castano curvò all'insù le labbra leggendo l’epitaffio: Fulcro di grande affetto.
   
 
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