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Autore: karlsonn    14/03/2014    7 recensioni
Lestrade lo ha lasciato perché a Mycroft non importa niente di lui.
O almeno, lui dice così.
Il dolore è un baratro in cui Mycroft sta per precipitare…
(Mystrade) (tematiche delicate: tentato suicidio)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole…

F. de Andre’
 
 
Mycroft.
 
Non ho mai amato nessuno.
Non che questo sia un problema, anzi ho addirittura teorizzato, a questo proposito: avere a cuore le persone non è un vantaggio.
Meglio non avere legami.
Nessuno mi ha voluto bene,
perché io non l’ho mai desiderato e non l’ho permesso: sarebbe stato solo un fastidio e una seccatura, e magari avrei anche dovuto ricambiare….
 
(Piove. Appoggio la fronte al vetro freddo della finestra.
Come facevo da bambino seguo col dito qualche goccia che, all’esterno, scivola giù…).
 
In realtà… non è proprio così.
Ho cercato di permettere ad alcune persone di volermi bene, ho cercato di facilitare loro il compito, addirittura.
Ma ho fallito.
Non sono capace di farmi amare.
Questo è quanto.
E non so perché mi sono illuso di potercela fare a questo punto della mia vita.
Sono uno stupido.
 
Comunque ho una lista. Eccola.
 
Voglio bene a Sherlock e lui prova solo rabbia e diffidenza per me.
Voglio bene a mamma e papà e loro non se ne accorgono nemmeno.
 
Lista finita.
 
No, non è vero: voglio bene a Lestrade.
 
Ma non so quanto sia importante, ormai, perché Lestrade mi ha lasciato.
Mi ha lasciato perché non me ne importa niente di lui.
O almeno, lui dice così.
Mi ha lasciato perché è stanco e stufo di quello che sono.
 
(Piove ancora più forte.
L’aria è grigia, il cielo è grigio.
Ho sollevato la fronte dalla finestra e continuo a guardare fuori.
C’è un albero battuto e tormentato dalle staffilate della pioggia.
Le sue foglie sono inermi sotto i colpi.
È come me.)
 
Sono rimasto inerme sotto le parole di Greg.
Sono inerme adesso sotto ai colpi del dolore della sua perdita.
Sono inerme sotto ai colpi di questa vita.
Vita che odio.
Mi dovrei uccidere, lo so.
 
(Ci sono tuoni che scuotono l’aria e lampi che trafiggono il cielo).
 
Una vibrazione sul cellulare.
No, è solo lavoro.
Non rispondo. Non mi interessa.
 
---
Gregory.
 
John lo guarda intensamente.
“Stai bevendo troppo, Greg”.
“Troppo per che cosa?”
“Per la tua salute.”
“E allora?”
Silenzio.
“E’ per Mycroft?”
“E’ per quel bastardo di Mycroft, sì. Non gli importa di me.”
Sherlock alza un sopracciglio.
“Sì, lo so, non c’è da stupirsi… sono stato un idiota”.
 
---
Mycroft.
 
(Piove… incessantemente, continuamente… piove…)
 
Pioveva e ti stringevo sotto un glicine in fiore.
Pioveva e ti baciavo sotto un glicine in fiore.
Credevo che mi scoppiasse il cuore nel petto mentre ti stringevo, mentre ti baciavo.
Avevi il volto, le labbra, gli occhi, bagnati dalla pioggia, e su ogni goccia avrei voluto posare un bacio, per ogni goccia fredda avrei voluto darti calore col mio corpo…
E credevo che non avrei potuto sopportare tanta felicità,
stipata e chiusa dentro di me, muta, meravigliata, senza parole.
 
(La pioggia si è fatta muro,
un muro grigio e scrosciante,
un muro impenetrabile, attraverso cui non riesco più a scorgere nulla)
 
Ma è questo dolore invece che non posso e non voglio sopportare,
questo dolore senza nome e senza fine, impenetrabile, ineluttabile,
come il muro di pioggia davanti a me.
 
---
Gregory.
 
“Ispettore…?” Donovan fa capolino nel suo ufficio.
“Va tutto bene?”
“No, niente va bene, e tutto va male. Lasciatemi in pace, tutti!”
 
---
Mycroft.
 
Ricordi la prima volta che mi hai chiamato “My”?
Ero passato dal tuo ufficio con una delle solite scuse, qualcosa riguardo a Sherlock, non ricordo più. Quando mi hai visto sulla soglia “Ehi, My…” mi hai detto, e mi hai sorriso: sembravi felice… sembravi felice di vedermi, addirittura.
No, certo, questo è troppo, ma in ogni caso mi è piaciuto pensarla un poco anche così…
Poi mi hai parlato di un caso, ma io non ascoltavo più niente, sentivo solo la tua voce che mi diceva “Ehi, My”.
 
Era il 13 dicembre e tu indossavi un maglione blu acciaio.
 
(Sorrido a me stesso: non male per uno a cui non importava niente di te, vero Gregory?
Che cosa dici, indugio troppo nell’ autocommiserazione?
Sì, forse sì.
È ora di finirla, allora, finirla con questo stupidi pensieri nella pioggia, finirla con tutto).
 
Mi avvicino alla scrivania di mogano.
Tutto è in ordine.
La carta da lettere.
La penna stilografica.
Il tagliacarte.
Il mio cellulare.
Ogni cosa esattamente nella posizione in cui dovrebbe essere.
Mi guardo allo specchio. Sono in ordine, sì presentabile.  
 
Tu eri sempre bello, anche quando eri scarmigliato e impossibile, anzi, forse lo eri ancora di più.
Io no.
Mi sarebbe anche piaciuto prendere qualcosa dalla tua semplicità nel vestirti e nell’apparire,
ma credimi, non me lo sono mai potuto permettere: avevo bisogno di abiti perfetti, su misura, per essere, appena, guardabile.
 
E tu mi guardavi, e non giravi lo sguardo altrove, no, anzi.
Mi guardavi come se ti piacessi davvero.
 
Mi bruciano gli occhi, ma non devo piangere, ora, ho delle cose da fare.
 
---
Gregory.
 
I gomiti sulla scrivania, affonda la testa tra le mani, passa le dita tra i capelli.
“Dio santo, My… come puoi essere così… ti ho assalito, ti ho insultato, ho urlato fino a farmi male alla gola pur di vedere una tua reazione, un segno di qualcosa, di una qualsiasi cosa che mi dicesse che no, che non è vero, che un poco anche tu tieni a me…
Ma no, niente, niente di niente.
E da quanti giorni dura, ora, questo tuo silenzio?
Ho perso il conto…
Sei davvero di ghiaccio, My, come tutti dicono,
come io non ho voluto credere mai.”
 
---
Mycroft.
 
Il mio portatile… mi viene quasi da ridere se penso a quanta importanza ho dato a questo stupido portatile e a tutte le informazioni che contiene…
E invece, quando morirò non scoppierà la terza guerra mondiale, e l’Inghilterra non sarà distrutta da un attacco terroristico, e tutto andrà avanti e ti accorgerai che, davvero, la mia vita non serviva proprio a niente, che sono solo un fallito, come molti altri…
Ma a differenza di molti altri non riesco più a portarne il peso,
ora che ho fallito con te.
 
---
Gregory.
 
“…Ispettore?”
 “Fuori!!”
 
---
Mycroft.
 
Sistemare la corda è stato difficile.
Ma ci sono riuscito.
La sedia l’ho messa proprio sotto.
 
(Fuori è buio.
Sento che la pioggia è più sottile.
E si è fatto freddo nella stanza).
 
Ho paura.
E nausea.
Nausea e paura.
Devono essere la stessa cosa…
Salgo sulla sedia e mi tremano le gambe.
Ho le dita gelate.
Questa solitudine che sento intorno e dentro mi agghiaccia fino nelle ossa.
Non posso più vivere così.
 
Mentre afferro la corda un brivido mi passa lungo la schiena.
E ancora torno, di nuovo, sempre, con ancora più intensità, se possibile, a te.
 
Gregory.
 
Voglio pensare a te ancora un momento.
Voglio stringermi ancora un momento al ricordo di te.
Come se il tuo semplice pensiero e ricordo potessero riempire questa solitudine folle,
spazzare via questo senso di vuoto e insignificanza,
che mi terrorizza e mi raggela,
proteggermi da tutto il male intorno a me e dentro di me,
proteggermi da me stesso.
 
Scendo, mi avvicino alla scrivania e prendo il cellulare: mi concedo qualche istante di tempo, ancora, per scriverti, per trovare le parole…
 
---
Gregory.
  
“Non posso. Perdonami. MH”
 
E’ l’intuito del poliziotto, il fiuto della bestia da strada che gli fa capire tutto in una piccolissima frazione di secondo.
Poi chiamare Anthea, gli uomini della sorveglianza, Sherlock, la sua squadra,
mentre si infila il cappotto, mentre si precipita fuori,
e coordinare gli uomini, e far arrivare l’ambulanza,
mentre piomba a casa sua, a sirene spiegate,
tutto questo è un gioco da ragazzi,
quasi non se ne accorge nemmeno,
consapevole solo di una parola che gira vorticosamente nella sua testa
“Dio, Dio, Dio…”.
 
E Dio deve averlo ascoltato,
se alla fine di tutto, di quel folle intervento, dei momenti più convulsi e disperati della sua vita, quando rivede Mycroft non è in una camera mortuaria…
E non è costretto a  guardarlo dalla giusta inclinazione per non scorgere i segni viola sul collo…
E non deve aspirare l’odore acre della formaldeide, che riempie le narici e fa pulsare le tempie...
 
Sì, Dio deve averlo ascoltato, perché quando rivede Mycroft è, semplicemente, in una stanza d’ospedale.
 
---
Mycroft
 
“My…”
“Era il 13 dicembre e tu indossavi un maglione blu acciaio…”
“Che cosa…?”
“Niente”.
Cerco di sorriderti mentre sposto lo sguardo dalla finestra al tuo viso: è pallido.
Sono tanto stanco che non ho nemmeno la forza di pensare.
Potrei chiedermi quanto male mi devi giudicare, ora, ma sono sfinito, e confuso, e pieno di vergogna per ciò che ho fatto, anzi per ciò che non sono nemmeno riuscito a fare…
non riesco a fermare le idee su niente.
 
Mi sento così debole, che lascio che gli occhi si chiudano e poi…
sento la tua mano prendere la mia.
 
E mi faccio tutto mano, tutto pelle, tutto dita,
perché voglio sentire solo la tua mano, la tua pelle, le tue dita,
perché voglio essere soltanto e completamente e totalmente
dentro alla tua mano.
Per sempre.
 
Sollevo le palpebre e ti guardo e vorrei dire qualcosa,
per una volta soltanto,
di quello che tu sei per me,
di quello che per te mi fa tumultuare il cuore,
di quello che per te mi si agita dentro,
sbattendo contro le pareti della mia anima disgraziata…
 
…ma io non sono come te, non so dare forma a tutto questo con le parole,
non riesco, stupido e inetto che sono, non ci sono mai riuscito.
 
E sento una piccolissima lacrima che rotola giù, bruciante, all’angolo di un occhio.
E te che ti chini su di me.
E le tue labbra che la fermano contro la mia tempia.
E le tue parole:

“Nemmeno io posso vivere senza di te, My”.   
 




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NOTA: spero di non aver turbato nessuno, so che la tematica è pesante. Ma avevo bisogno di scriverne: dedicata a una persona che non ha avuto nessun Lestrade al momento giusto.
  
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