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Autore: karlsonn    14/03/2014    4 recensioni
Quando la lama affondò nel suo sterno il primo pensiero fu: “Ho fatto una cazzata”. E il secondo: “Mycroft”.
Gli amici di Lestrade alle prese con il suo ferimento, e Mycroft Holmes tra questi, naturalmente.
(Mystrade)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

Quando la lama gli affondò nello sterno primo pensiero di Lestrade fu: “Ho fatto una cazzata”. E il secondo: “Mycroft”. Quest’ultimo forse non fu proprio un pensiero, ma un misto di ricordi, immagini, sensazioni e un disperato desiderio di averlo accanto. “Mycroft” disse quando riconobbe Donovan nella sagoma che gli si era avvicinata e  gli apriva la camicia intrisa di sangue. Lei rimase perplessa: “Devo far chiamare il signor Holmes, Ispettore?” ma lui non riuscì a rispondere, avvolto da una sonnolenza densa e appiccicosa che lo trascinava verso il fondo della sua anima. “Mycroft”, si disse ancora, per trovare qualcosa a cui aggrapparsi e non affondare.
 
Quando spinse la lama nello sterno dell’Ispettore, Jan Rensen, 37 anni, nativo di York, disoccupato, giocatore d’azzardo e forte bevitore, non sapeva di stare trascinando l’Inghilterra sull’orlo di un conflitto che avrebbe potuto assumere un respiro mondiale. Quello fu il momento in cui ebbe più potere in tutta la sua vita, ma non lo seppe mai.
 
Perché Mycroft Holmes venne a sapere delle gravi condizioni in cui versava l‘Ispettore Lestrade mentre sedeva a un delicatissimo tavolo diplomatico. Gli astanti videro la sua assistente personale chinarsi all’orecchio di Holmes e sussurrargli qualcosa. Lo videro stringere appena la mascella e con gesti misurati e calmi, senza alterare la sua espressione facciale, alzarsi dalla sedia di mogano e chinare leggermente il capo. “Purtroppo mi devo allontanare” comunicò seccamente prima di allontanarsi a passo veloce.
 
John nella sua poltrona leggeva il giornale e Sherlock, in cucina, era a un punto cruciale per il suo esperimento sulla coagulazione; Mrs. Hudson si asciugava una lacrima impertinente davanti alla sua fiction preferita, e Molly Hooper era in mensa a chiedersi se prendere anche il pudding di riso oppure no. Ognuno stava facendo qualcosa di insignificante o di significativo, e in ogni caso quel qualcosa sarebbe rimasto congelato e fermo come una fotografia, per sempre, nella memoria di ciascuno. Perché quello era il momento in cui avevano saputo che Gregory Lestrade stava, davvero, molto male.
 
L’Ispettore Investigativo Gregory Lestrade, classe  1963, nato a Londra, un divorzio alle spalle e uno stipendio alquanto modesto, era un ottimo poliziotto. Era quanto di meglio Scotland Yard potesse offrire a Londra e, probabilmente, all’intera nazione: e tuttavia si era lasciato accoltellare da quel balordo di Yan Rensen, come un principiante...
 
“Oh Gesù…” disse John. E “Che idiota!” sbottò Sherlock. E “Un così bell’uomo…” sospirò torcendosi le mani Mrs. Hudson. Mentre solo lacrime di incredulità e paura scendevano silenziose lungo le guance di Molly Hooper.  Mycroft Holmes, invece, rimase impassibile, mentre abbandonava l’Europa sull’orlo della terza guerra mondiale per raggiungere Lestrade.
 
Gregory Lestrade aveva molte qualità che facevano di lui un buon poliziotto: era coraggioso, e onesto e intuitivo, e intelligente, e sapeva essere un buon capo, coordinando quegli “inetti senza cervello” della sua squadra, come li definiva Sherlock Holmes. Era anche umile, e questa, è risaputo, è una qualità rara. Motivo per cui non si vergognava di chiedere aiuto al consulente investigativo di cui sopra, quando non riusciva a venire a capo dei suoi casi. “Cioè sempre” avrebbe aggiunto Sherlock, se solo non fosse stato ammutolito da quanto stava accadendo.
 
Perché Gregory Lestrade aveva anche e soprattutto molte qualità che facevano di lui un ottimo amico:  beveva birra, andava a pesca e tifava Manchester United, ma soprattutto era una di quelle persone che sapevano entrarti nel cuore; non solo nel cuore tenero e malleabile di Molly Hooper, al quale bastava bussare per essere accolti, o in quello cordiale e protettivo di Mrs. Hudson, o in quello onesto e generoso di John, ma anche nei cuori più inospitali, fragili e insicuri, quelli davanti alla cui porta bisogna sostare con enorme pazienza, delicatezza e tatto prima di vedersi aprire; i cuori, insomma, come quello di Sherlock.
 
E poi, naturalmente, c’era l’impenetrabile cuore di ghiaccio di Mycroft Holmes.
 
Ricordo n. 13, sez.B
“Rammentami perché sono qui, Mycroft”
“Non lo so, non me l’hai detto”
Sorriso di Gregory. Quel sorriso che spacca in due il cielo e illumina la giornata.
“Allora te lo spiego adesso: perché siamo amici”
“Ah.”
 
Ricordo n.14, sez.B
“Mycroft no! Non lo farò e basta, non sono alle tue dipendenze!”.
“Se gli uomini alle mie dipendenze fossero cocciuti come te questa nazione sarebbe perduta!”
Silenzio. Freddo e ostile.
Ticchettio dell’orologio.
Occhi bassi di Gregory. Perché non se ne va? Incomprensibile.
“Mycroft? Sei arrabbiato? Voglio dire, non lo farò lo stesso, ma non voglio che tu sia arrabbiato con me…”
“…”
Sorriso, di nuovo, che si pianta dentro al cuore.
 
Ricordo n.15, sez.B
Ristorante. Un ginocchio di Lestrade tocca il mio. Ne sento il calore sotto la stoffa. Mi distrae e mi confonde.
Devo aver sussultato: “Scusami” dice. Lo allontana.
Accade di nuovo.
Per rimanere fermo blocco quasi il mio respiro.
Silenzio.
Ricambio leggermente la pressione, facendo finta di cambiare la posizione sulla sedia.
E il suo ginocchio resta lì.
 
Ricordo n.16, sez.B

 
“Mycroft?” la voce di John interrompe la disamina dei suoi ricordi, perfettamente catalogati per data e per sfumatura di colore, raccolti sotto l’etichetta “GL”.
 “Mycroft, sei già qui?” lui alza un sopracciglio con sufficienza, ma non replica alla stupida domanda del dottore. Poi siedono insieme agli altri, e insieme trascorrono minuti e ore nel bianco abbagliante del S. Barth. Finchè tutti se ne vanno, e rimane solo lui, rigido e impassibile sulla sedia accanto al letto di Gregory. E’ rimasto ad aspettare, guardando le macchine, e i tubi, e le flebo, e quell’uomo dalle lunghe ciglia abbassate sui grandi occhi scuri.
 
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L’indomani mattina un incredulo John Watson lo trova ancora lì, la barba sfatta e i vestiti stropicciati…
“Aspetto che si svegli, c’è una cosa che gli devo dire”.
“Mycroft, non è detto che…” l’altro sbatte qualche volta le palpebre: sembra turbato dalla sua mezza frase, toccato in qualche punto di sé incomprensibile e indefinibile, in un punto che, se non si trattasse di Mycroft Holmes, sarebbe l’anima.
“Voglio dire” si corregge in fretta “che non sappiamo tra quanto tempo si sveglierà”.
 Mycroft annuisce.
 “Ora ho da fare. Ma ho un messaggio per lui, se si svegliasse mentre ci sei tu”.   
 
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Passano lentamente i giorni, uno sull’altro.
E si sveglia, infine, dopo essersi strappato di dosso quel peso opprimente,
quella fatica che lo teneva, che lo trascinava sempre più giù.
 
“E tuo fratello?” chiede debolmente a un tratto.
“E’ stato qui spesso e a lungo, molto spesso e molto a lungo, in effetti. Direi che era molto preoccupato, se non sapessi che non si preoccupa di nessuno…” risponde Sherlock.
E quando lui accenna a un sorriso John continua.
“Dice di dirti: Ricordo n. 43, sezione R. E’ necessario cambiare la risposta”.
Sorride davvero, ora, nonostante il malessere e la sofferenza: di un sorriso che spaccherebbe in due il cielo e illuminerebbe la giornata a Mycroft Holmes, se fosse qui a vederlo.
 
Perché l’Ispettore Investigativo Gregory Lestrade non ha idea di che cosa significhi “Ricordo n.43, sezione R” ma conosce, senza il minimo dubbio, qual è la risposta che Mycroft vuole cambiare.   
 
  
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