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Autore: _Princess_    30/06/2008    16 recensioni
Quando metti piede sul palco, tu non sei più tu, individuo a sé stante con sentimenti e pensieri autonomi, ma parte integrante di un gruppo che forma un’unica entità, e quando i tuoi tre compagni ti guardano atterriti ed ansiosi, anche tu ti accorgi di essere atterrito ed ansioso, e respiri esattamente come respirano loro, ti senti soverchiato dall’adrenalina esattamente come loro, e non ha nessuna importanza se solo un istante prima il mondo sembrava sul punto di sbriciolarsi sotto ai tuoi piedi: sei sul palco, hai pubblico al tuo cospetto, in ogni possibile senso, e tutto deve andare alla perfezione, perché il mondo ora sei tu, e devi saper creare la vita.
Genere: Generale, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gustav Schäfer, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Remember me when you're the one you always dreamed.

[Placebo, Special Needs]

 

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Mi rigiro le mie bacchette tra le mani, seduto alla batteria sul palco vuoto. Mi sembra di trovarmi in un set in fase di ristrutturazione, immerso in una realtà solo parziale, in cui l’effetto speciale della concretezza è stato spazzato via con il defluire della folla soltanto un’ora fa. L’arena sembra un gigante sventrato, vuota, silenziosa e quasi spettrale, e io la guardo con occhi un po’ smarriti, come se questo non fosse il mio ambiente, come se non fossero ormai anni che salgo e scendo da palchi come questo con la stessa disinvoltura con cui salgo e scendo dal letto ogni santo giorno.

Lo stage è il nostro piedistallo dorato, il luogo in cui siamo tenuti a dare sempre e solo il meglio di noi, qualunque cosa accada, e non ci sono scuse che tengano, anche se le braccia ti fanno così male da riuscire a stento a muoverle, o la testa ti sembra sul punto di scoppiare, o se c’è una voce dentro di te che ti dice ‘Ma chi te lo fa fare’?.

Anche se la voce ha ragione, e tu forse lo sai, ma non lo ammetti.

Quando metti piede sul palco, tu non sei più tu, individuo a sé stante con sentimenti e pensieri autonomi, ma parte integrante di un gruppo che forma un’unica entità, e quando i tuoi tre compagni ti guardano atterriti ed ansiosi, anche tu ti accorgi di essere atterrito ed ansioso, e respiri esattamente come respirano loro, ti senti soverchiato dall’adrenalina esattamente come loro, e non ha nessuna importanza se solo un istante prima il mondo sembrava sul punto di sbriciolarsi sotto ai tuoi piedi: sei sul palco, hai pubblico al tuo cospetto, in ogni possibile senso, e tutto deve andare alla perfezione, perché il mondo ora sei tu, e devi saper creare la vita.

Mi sembra quasi di sentire ancora qualche residuo di eco risuonare tra le vertiginose pareti della struttura, come se il pubblico avesse lasciato qui qualcosa di sé dopo la fine dello show, ma forse sono solo le mie orecchie che ancora avvertono il frastuono, il caos, la carica elettrica che non molti minuti fa faceva vibrare la terra sotto i miei piedi.

Rabbrividisco, ma è un brivido di soddisfazione, di orgoglio.

Non si può spiegare una sensazione come questa se non ci si è mai trovati in una situazione simile, è qualcosa che non si può comunicare. Mi sembra di essere ancora accaldato e sudato dopo la grande performance di stasera, anche se sono ormai fermo da più di un’ora. Georg, Bill e Tom saranno sicuramente alle prese con qualche sfida a pingpong nei camerini, e solitamente lo sarei anch’io, ma ora come ora non mi va di rincorrere una pallina a destra e a manca, non dopo questa sera così piena di spettacolo ed emozione.

Vengo spesso accusato di essere quello chiuso e schivo, quello introverso che appena può si dilegua dalla compagnia, qualsiasi essa sia, e si rifugia nel suo mondo isolato.

Be’, è vero.

Il fatto è che amo cercare la solitudine, dopo ore o anche giorni che trascorro completamente braccato da decine – se non centinaia o migliaia – di persone, e trovo giustificabile il mio bisogno di tempo solo per me stesso.

Trovo il silenzio una pratica giusta, un segno di rispetto verso se stessi piuttosto che di autoesclusione dalla realtà circostante. Che poi una fuga dalla realtà sia meritata, è un’altra faccenda.

Quando tutto si spegne e il pellegrinaggio pagano finisce, mi estranio con piacere da tutto e da tutti, e, sì, forse sono un solitario, ma se non pensi un po’ a te stesso, in certe condizioni, finisce che ti dimentichi chi sei e quello che sei stato prima di arrivare quassù, in cima, al di sopra di tutti, dove tutto il resto sembra piccolo e insignificante, ma non lo è, e tu te ne devi ricordare, o rischi di sentirti più grande di quel che sei, e peccare di vanità e presunzione.

Per quanto mi riguarda, cammino a testa bassa e senza pretese, dico ‘grazie’ e ‘prego’ e ‘per favore’, perché sarò anche una rockstar nota in tutto il mondo, ma nulla di ciò che ho mi è dovuto, e se voglio continuare a sentirmi ricco – ricco non come un multimilionario, ma come uno che ha tutto ciò che potrebbe desiderare, e anche di più – allora devo avere l’umiltà di dimostrare la giusta riconoscenza a chi mi ha dato le ali per volare fin qui, e tenere a mente che non sono nato per essere superiore a nessuno, ma è una condizione a cui mi hanno eletto, e che mi può essere tolta in qualunque momento.

Piedi per terra, dunque, e una buona dose di realismo: che muoia di fame o che si crogioli nell’opulenza, un uomo è sempre un uomo, e noi non siamo da meno.

Be’, forse Bill e Tom hanno bisogno di sentirselo ricordare, di tanto in tanto, per sicurezza.

Sarà che, dei quattro, io sono quello che trova forse più semplice non montarsi la testa. Non sono il più appariscente, né il più spavaldo, e nemmeno il più sicuro di sé. Amato, acclamato, idolatrato e venerato, proprio come gli altri, ma loro sorridono e ringraziano, io arrossisco, sorrido e penso che nessuno mi avrebbe mai notato per strada se non fossi diventato famoso.

Ma va bene così, infondo, niente amici o falsi amici è più o meno la stessa cosa, e la fortuna vuole che di veri amici ne ho, e non passano mai. Come si suol dire: pochi ma buoni.

“Gustav, alza il culo da lì e vieni a festeggiare!”

Buoni, dicevo.

Obbedisco al delicato e cordiale ordine di Tom, un mezzo sorriso stampato sulle labbra, e mi trascino via dal palco innaturalmente silenzioso, le gambe intorpidite e dolenti dallo sforzo. Scendo lentamente e a fatica i pochi grandini che portano la backstage, i tendini tesi come non mai. Lavoro duro, quello del batterista. Sono quello che fatica di più e quello che si vede di meno. Se fossi uno come Bill, probabilmente rosicherei di rabbia dalla mattina alla sera, ma a me piace il mio angolo personale, e comunque mi prendo anch’io le mie soddisfazioni.

“Aspetta, ti aiuto.”

Georg è spuntato dal nulla. Mi fa appoggiare a lui e mi sorregge, zoppicando assieme a me verso gli altri, riuniti attorno ad una bottiglia di champagne e una torta già mezza divorata.

Bill se ne sta appollaiato su una specie di alto sgabello e si pavoneggia come solo lui sa fare, ma non appena mi scorge, salta subito in piedi e mi fa sedere, tutto premuroso. È proprio adorabile, quando ci si mette.

“Cosa diamine ci sei rimasto a fare lassù fino ad ora?” mi chiede Tom, passandomi un bicchiere. “Hai avuto un’apparizione mistica?”

Vuoto il mio champagne in un sorso e lo ignoro. Non mi aspetto che capisca il mio bisogno di consumarmi nelle mie riflessioni – stupide, magari – anche perché tra tutti, qui dentro, penso di essere il solo con uno spirito abbastanza romantico da commuoversi di fronte ad un’arena deserta. Non so che poesia ci sia un uno spazio vuoto disseminato di rifiuti – probabilmente qualche macabra sfumatura decadente – ma è stato più forte di me, ne sono rimasto incantato. Forse per la metaforica morale che una vista simile può comunicare: tutto si spegne, niente ha senso senza qualcuno che ti sostiene.

“Partita a pingpong!” annuncia Bill, battendo le mani con il suo tipico entusiasmo da bambino. “Di corsa nei camerini!”

Sto già per puntualizzare che io di corsa non sono in grado di andare da nessuna parte, quando Georg e Tom mi si avvicinano e mi afferrano un braccio a testa, facendomi appoggiare alle loro spalle e tirandomi su.

“Che cazzo state facendo?” chiedo, vagamente allarmato, mentre sopraggiunge anche Bill, che mi prende per i piedi come se fossi una carriola umana. Con la forza che ha nelle braccia – leggasi: nessuna – mi sorprende che riesca a sostenermi.

“Bill, dicevamo?” fa Georg, con un sorriso che mi preoccupa. Bill si volta con lo stesso identico sorriso, esibito anche da Tom.

“Di corsa nei camerini!” ripete a squarciagola, e all’improvviso tutti e tre si mettono a correre come folli verso il corridoio, con me in spalla che urlo, non so bene se di divertimento o di terrore, o tutte e due le cose.

Dicevo: niente ha senso senza qualcuno che ti sostiene. Se poi chi ti sostiene, in modo variabilmente letterale, sono i tuoi tre pazzi migliori amici, allora non ti resta che chiudere gli occhi, ridere, e sentirti la persona più fortunata del mondo.

 

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Note: non ha molto senso questa oneshot, lo so. Fregatevene, se potete, altrimenti sentitevi liberi di linciarmi o quello che preferite. Il fatto è che fa caldo e ho qui Gustav che mi fa i massaggi alle spalle con oli profumati, a torso nudo (lui, non io… io magari più tardi XD)… E, insomma, la sua meravigliosità mi ha ricordato che non è solo un tocco di carne che mi sbranerei d’amore in qualunque momento, ma anche un adorabile cuore tanto sensibile, e questo è quanto la mia mente ha partorito (e, se il massaggio continua così, non sarà solo la mia mente a partorire, fidatevi). Cavolate a parte, il titolo si riferisce ovviamente alla metaforica chiusura di sipario che avviene a concerto finito, dietro alla quale abbiamo dato una sbirciatina curiosa, mentre la citazione a inizio capitolo è un po’ un promemoria che riferito ad un ‘me’ che racchiude tutte le cose che si possono dimenticare quando si acquisisce la fama che hanno conquistato i Tokio Hotel, e che questo Gustav (ma anche quello reale, a mio modestissimo parere), evidentemente non ha dimenticato. Mi auguro abbiate gradito e abbiate voglia di sfidare il caldo, l’afa e checchessia per lasciare una recensioncina tutta per me (e per Gustav che mi massaggia tanto amorevolmente). Detto ciò, vado a darmi da fare con The Truth Beneath The Rose, o rischio l’esecuzione se non posto in fretta (voi pregate).

Tschüss, bella gente!

   
 
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