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Autore: AsiaPianezzi    15/03/2014    8 recensioni
Arieccomi! Ci ho messo un po' ma sono tornata. Ho cercato di esplorare nuovi ambienti (oltre la Arrow Cave e l'appartamento di Fel..chi mi ha letto in precedenza capirà ;) ) e ho cercato di cambiare un po' le carte in tavola. Per intenderci..se nel Tf è Oliver che non ammette a se stesso di provare qualcosa per Felicity, qui, ho cercato di destare dal sonno il nostro caro Vigilante. Che dire, spero vi piaccia e buona lettura :)
Dal testo:
Come pesavano quei cinque anni. Non riusciva neanche più a flirtare come si deve. Ma forse non era il tempo sull'isola, forse era la bellezza della ragazza di fronte a lui, che fissava imbarazzata l'asfalto, forse era la sua volontà di farla sua, di possederla il più presto possibile, forse era la voglia matta delle sue labbra, che gli sembravano acqua nel deserto, forse era il desiderio di averla sotto tutti gli aspetti.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La musica rimbombava regolare sulle pareti del Verdant. La folla rumoreggiava e beveva e ballava fino allo sfinimento. Non era decisamente il suo ambiente. Si sentiva fuori posto, inadeguata, imbarazzata. Avanzò verso il bancone, cercando di non inciampare nei suoi tacchi estremamente alti, cercando di evitare tutti i corpi che, in precario equilibrio rischiavano pericolosamente di rovinarle addosso. Si fecce spazio tra le tante braccia allungate in cerca di attenzione e, riconoscendo il volto familiare del barista, sorrise svogliatamente. Gli occhi del ragazzo la scrutarono attentamente, dalla testa ai piedi, nascondendo un leggero velo di malizia. Stranita da quello sguardo, la bionda prese posto su uno degli sgabelli liberi. Non riusciva ancora a capire perché si fosse presentata. Forse il giorno precedente era così di buonumore che non le era passato minimamente per la testa di dire di no, forse il giorno precedente aveva pensato che alla fine non sarebbe stato tanto male staccare per un attimo dal lavoro, e allora aveva risposto con un allegro "Si, certo!" a quell'invito. Mai scelta era stata più sbagliata.
Scosse la testa frustrata e prese un respiro profondo. 

"Per me una vodka, per lei un bicchiere di vino rosso."

Eccolo il vero motivo. Riconobbe subito la sua voce, ferma, profonda, gentile. Sentiva i suoi occhi scrutarla da cima a fondo, e un brivido caldo le percorse la schiena. 

"Hey, come va?"

Le rivolse un sorriso smagliante, con le labbra, con gli occhi. Forse non l'aveva mai visto così felice, cosa era successo? 

"Hey, tutto bene, come un'oretta fa quando ci siamo visti l'ultima volta, più o meno. Come mai così gioioso?"

Lo guardò sorpresa, non sapeva dire se piacevolmente o meno, la testa leggermente inclinata, i gomiti poggiati sul bancone, le mani giunte, le dita saldamente intrecciate.

"E tu come mai questa faccia da funerale?"

Rispose a tono. Doveva aspettarselo, quando mai aveva trovato impreparato e a corto di parole Oliver Queen? Nonostante fosse bravo a mentire e nascondere le sensazioni che veramente provava, non riuscì a non far trapelare un leggero senso di fastidio. La bionda lo notò immediatamente, e si affrettò a cercare di sistemare la situazione. 

"Io...Oliver, mi dispiace. Non sono al massimo oggi, in tutti i sensi, e la musica, la gente, i balli... Non sarei dovuta venire."

Come in preda ad un improvviso attacco d'ansia, si sollevò dallo sgabello, guardandosi intorno in cerca di un uscita. Non era sua intenzione fare da guasta feste. Lui era così apparentemente sereno, e non per causa sua, come le altre volte, ma magari per Laurel, o per Sara, o per qualche altra. Non aveva voglia di vedere il suo sorriso sapendo di non esserne la causa, la luce. Ma non perché non le piacesse, il suo sorriso, ma perché sotto sotto era avida di questo, avida di procurargli quella serenità che gli altri nemmeno pensavano potesse raggiungere. Fece qualche passo indietro, rischiando di inciampare, ancora una volta sulle sue scarpe vertiginosamente alte, e si sforzò di non girarsi a guardare la sua espressione. Aveva questo desiderio irrefrenabile che lui dipendesse da lei, in tutto e per tutto. Era strano, e forse un po' morboso, ma lo desiderava con tutta se stessa. Non fece in tempo a voltarsi verso l'uscita che, una mano grande e possente, la fermò. 

"Hey...Che succede?"

Ora la guardava. Sentiva i suoi occhi profondi penetrare e bruciare di intensità il suo viso, i suoi lineamenti estremamente delicati. 

"Felicity."

Scandì il suo nome, ogni sillaba, ogni lettera. La tirò delicatamente verso di se, la presa salda sul suo braccio non le dava la possibilità di muoversi. 

"Facciamo due passi."

Ovviamente non era una richiesta. Le sue dita scesero lentamente lungo la sua pelle, disegnandone le linee perfette, e si fermarono una volta incontrata la sua mano. Il cuore di Felicity accelerò e, come in uno scambio di calore tra i due corpi, le sue gote arrossirono violentemente. 
Nascose il viso per evitare altro imbarazzo, sicura però che gli occhi del Vigilante lo avessero notato. Oliver si mosse agilmente tra la folla e, con estrema gentilezza , la trascinò con se. 


L'aria fredda le riempì immediatamente le narici quando, con una spinta secca e violenta, Oliver aprì la porta permettendole di uscire da quel posto. Un brivido la colse di sorpresa e fu costretta a coprirsi le braccia e stringersi in cerca di calore. Arrow non fece a meno di notare il suo comportamento, e con un solo, abile gesto, si sfilò la giacca da dosso, poggiandola con cura sulle spalle di Felicity. 

"Allora? Che succede?"

Ora la guardava, di nuovo. I suoi occhi trasudavano preoccupazione e frustrazione. Quegli immensi specchi celesti che ora erano facilmente leggibili, prima non lo erano stati affatto. Non si ricordava il momento esatto, il come, il perché. Era successo. Si erano sgretolati, come un muro di mattoni, e con essi ogni sua convinzione che sarebbe stato meglio tenere tutto per se, ogni vittoria, ogni sconfitta, ogni peso, minuscolo o enorme che fosse. Forse per sua concessione, o forse no, da quel momento Felicity riusciva a scorgere ogni piccolo pezzo della sua anima: tenebroso, dolce, protettivo. Non c'era nulla che le sfuggisse, se non quando si trattava di lei. 

"Niente. Ti..ho visto così felice, e io...non lo so, non voglio fare la guastafeste. Molto probabilmente oggi sarò il terzo incomodo e non voglio assolutamente esserlo perciò .."

"Ti sei chiesta il motivo del mio ..sorriso?"

La interruppe alzando il tono di voce sopra il suo. Non era davvero bravo con le parole. Prima dell'isola, le bastava un cenno del capo per avere ciò che voleva, comprese le donne, e poi... Bè, poi cinque anni passati a cercare una via di fuga da quell'inferno. Non l'avevano certo aiutato con le relazioni sociali. 
Felicity non rispose, per la prima volta lasciata senza parole.

"Io ...ti ho visto, dal fondo della sala. Non credevo saresti davvero venuta, perciò mi ha fatto piacere la tua presenza qui." 

Come pesavano quei cinque anni. Non riusciva neanche più a flirtare come si deve. Ma forse non era il tempo sull'isola, forse era la bellezza della ragazza di fronte a lui, che fissava imbarazzata l'asfalto, forse era la sua volontà di farla sua, di possederla il più presto possibile, forse era la voglia matta delle sue labbra, che gli sembravano acqua nel deserto, forse era il desiderio di averla sotto tutti gli aspetti. 


"Volevo solo dirti che sei bellissima stasera."

Ma non aveva fretta. Non con lei. 




  
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