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Autore: dunh8    15/03/2014    2 recensioni
"Non so con esattezza cosa mi avesse portato a quel punto.
Osservavo Ezio muoversi. Semplicemente. Con l'ammirazione di uno scudiero verso un cavaliere, perché poco più di quello eravamo."
Desmond era solo il diciassettesimo tentativo.
Era il prototipo meglio riuscito. Ma gli altri esperimenti?
Dorothea Vidic non sa chi è. Nella sua mente, i ricordi di troppe persone si affollano. E' ferma, immobile, in stato comatoso; dentro di lei un'altra persona alloggia.
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La storia non tiene conto di fatti al di là di Brotherhood.
I personaggi contenuti in questa storia vanno dal primo AC, ad ACB.
Genere: Azione, Dark, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Ezio Auditore, Maria Thorpe, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Chapter 3
Chapter 3. – Past.
“First.”
 
 
Roma, 1475 d. C.
 
Non aveva un nome. Non ne aveva assolutamente bisogno.
Sapeva a malapena sputare qualche frase in latino, un grottesco, sgraziato latino. Non che le piacesse parlare, dopotutto. Non era certa che le piacesse quella vita, era caotica, confusa, insensata per lei. Ma era assolutamente certa dell’intenso odore della sua gente, dei vecchi templi; era certa dei rituali, del sacro Romolo.
Pensava questo mentre, bruciando l’erba in quella che doveva essere una raffinata pipa, lunga e bianca, aspirava. Lentamente le si chiusero gli occhi, gettando dolcemente la testa indietro. Espirò, i volteggi di fumo davanti a suo viso, spirali cangianti, volubili e capricciose, di cenere più leggera dell’aria.
Forse lei l’aveva avuto un nome.
Chinò gli occhi azzurri sul fuoco scoppiettate, la luce dilatata dai sensi intorpiditi. Aspirò ancora, affondando quel pensiero, rapido e funesto, nelle nebbie della Sacra Pianta. Sparì come era giunto, ed ella sorrise.
Si strinse nella pelliccia scura e col mignolo grattò dove il canino del lupo la graffiava.
I Fori erano sempre stati il suo luogo preferito. Dispersivi, maestosi e così quieti. Il piccolo falò rischiarava le altre due figure, sedute di fianco a lei, più grosse e infossate nella pelliccia: poco più che adolescenti. Lei, la più piccola.
Strinse il ciondolo allacciato al collo, sentendo la mente girovagare senza meta, in un seguirsi di pensieri man mano sempre meno sensati. Si perse e si ritrovò sempre più stordita, e solo quando la vista iniziava a farsi traballante passò la pipa.
Era un rituale che adorava concedersi, perché odiava rimanere lucida.
Era un rituale a cui non avrebbe mai rinunciato, rasentando la dipendenza.
- Fuggiamo.
Lo disse così all’improvviso che i due sobbalzarono. Il più grande dei due rise. Rise di una risata amara, ricolma di rimpianti, di speranze soffocate dalla sua stessa pelliccia; l’altro, invece, la guardò con un misto di interesse e paura.
- Ma Roma è casa. – disse, con un fil di voce. Sarebbe stata una legittima obbiezione, se ci avesse creduto.
Lei lo guardò sottecchi e sorrise manipolatrice.
- Roma non è tutto. – ribatté, alzandosi.
Ed in quel momento, mentre si spolverava il sedere dalla terra, le si rovesciarono gli occhi.
 
- No, papà, ti prego, non voglio!
Si dibatteva fra le braccia degli uomini in bianco, guardando terrorizzata l’enorme ago che stava per trapassarle il braccio.
- Bimba mia, solo cinque minuti, ti prego. Non agitarti, ti farà solo più male…
- NO!
Continuava a lottare, perfettamente consapevole di aver già perso, ma con la tenacia di chi non ha più nulla su cui puntare. Guardava il padre, avvolto nella distanza che il camice bianco gli concedeva, lo scontro di due blu uguali, eppur opposti: nei suoi occhi le lacrime roventi divampavano orgogliose e fiere, disperdendo quella che doveva essere stata paura per lasciar posto ad un fulgida rabbia. Ma nell’uomo ammantato di bianco, non vi erano che lande di gelo e acqua immobile, piatta e illuminata dai lampadari con strane candele, senza fuoco, come un pallido sole autunnale riflette sul mare.
La ragazza gli lanciò ancora una supplica.
Quanti anni avrebbe potuto avere? Non più di quindici, già un’acerba donna.
- Solo cinque minuti. Te lo prometto.
Il sorriso che le concesse era agghiacciante.
Il metallo divenne immediatamente caldo a contatto con la pelle, e quasi ne gradì il tepore prima che il lancinante dolore al braccio la facesse gridare.
Si aggrappava ai propri sensi con le unghie e con i denti, lottando ancor di più per mantenersi sveglia. Non doveva andarsene.
- Ci vediamo fra cinque minuti, Dorothea.
Riuscì a pensare solo a quanto il sorriso del padre fosse simile al suo, prima di chiudere gli occhi.
 
Rinvenne nel suo giaciglio di paglia. Il secondo dei suoi compagni la guardava apprensivo, passandole sulla fronte della stoffa bagnata. Sentiva odore di verbena.
Mettendosi seduta sentì il capo girarle.
Grida confuse le penetrarono direttamente nel cranio, facendola gemere di dolore. Qualcosa non andava.
Le doleva il petto, e la pancia in maniera indicibile; la testa le pulsava, le sembrava di dieci libbre più pesante. Mosse piano le gambe, e sentì la stoffa della veste schioccare come se fosse bagnata. Guardò, trovando una larga macchia rossa di sangue, e l’urlo che ne seguì fece volare via uno stormo di piccioni.
Tutto quello che avvenne dopo non le fu molto chiaro. Le donne della tribù parlavano concitate, ma dai loro visi sembravano contente. Invece, i maschi la guardavano con meno apprensione di quanto si aspettasse, quanto più con uno sguardo che non riusciva a decifrare. Sembravano affamati, guardandola.
“Sono malata e mi mangeranno per rendere lode a Romolo.” Pensò. D’istinto, prese la mano del suo compagno.
- Cosa vogliono? Cos’ho che non va?
- Sei diventata donna.
Le spiegò lui, porgendole la pezza umida. E fu una mossa intelligente, perché il pianto che esplose fu ancor più fragoroso e intenso dell’urlo.
 
Le fu spiegato tutto. Era Romolo che concedeva alle donne di avere forti e sani Seguaci, uomini veri, e per questo una volta al mese, per cinque giorni, loro pagavano un tributo di sangue. Questo iniziava quando finalmente una bambina tramutava in donna.
- E cosa mi ha fatto svenire?
- Tu sei l’Oracolo di Romolo, e con il tuo primo ciclo è arrivata anche la tua prima visione.
La donna sorrise materna e la strinse un abbraccio. Probabilmente aveva capito quanto potesse confondere una notizia del genere.
Però lei ancora non capiva. Solitamente, quando una ragazza ha il suo primo ciclo, viene contesa e poi posseduta dal vincitore fino a che non rimane incinta.
Ma lei era un Oracolo. O così loro dicevano, per via dei suoi strani sogni. Era stata educata alla religione, aveva approfondito il culto, aveva servito con amore il suo dio e padrone prodigandosi fino al limite e per questo si era consumata. Eppure non si era mai chiesta quali tormenti poteva riservarle il futuro, a causa della sua carica.
- E ora?
Lo sguardo della donna si rabbuiò, come se nel profondo volesse non dire quello che pensava.
Infatti non rispose, la strinse più forte: e la piccola la circondò con le magre braccia, come se avesse capito, piangendo lacrime di rabbia.
Come Dorothea.
Il giorno seguente la ritrovarono a diecimila passi dall’accampamento, mentre vagheggiava sconfortata. Le mani che la riaccompagnavano, appesa prona alle spalle dell’uomo, erano saldamente poggiate sul suo didietro, mentre risa divertite seguivano movimenti che lei non vedeva. Il sangue le corse alle guance e vi ci restò per tutto il viaggio.
Non fu solo quel tentativo a fallire. Più provava a scappare, più era umiliante il viaggio di ritorno.
Stava per compiere il quattordicesimo anno, quando capì che la pazienza della tribù era al limite. Era una donna senza compagno, ma soprattutto era un Oracolo senza visioni.
Ci fu una riunione a cui lei fu proibito di partecipare, ma non di ascoltare: e quindi, nascosta, origliò.
L’orrore che ne trasse era molto più grande di qualsiasi orrore che lei avesse mai provato.
Al suo quinto ciclo, tre giovani Lupi la presero dalla sua tenda e la portarono al fiume. La lavarono con cura, pettinandole i lunghi capelli neri, e rivelando una spruzzata di efelidi sul piccolo naso. La vestirono come se dovesse partecipare ad un rituale, la adornarono con fiori e ramoscelli.
Continuava a non capire.
Le legarono le mani dietro la schiena, e le caviglie a due differenti catene.
La paura lentamente serpeggiò fra i suoi pensieri, e il suo sguardo si riempì di una venatura terrorizzata.
I fori erano vuoti, quando passarono. La fecero inginocchiare, legarono le catene a delle colonne.
E quando i suoi due compagni arrivarono, disarmati e senza pellicce, capì.
Il suo unico rimpianto fu la sua lucidità. Subì ogni singolo momento, dilatato e pesante dalla paura.
Le mani rudi e callose le strappavano le vesti di dosso, mentre altre, più leggere e quasi timorose, delineavano la bianca coscia, fino alla natica. La strinse leggermente, e sentì un respiro accelerare appena.
Guardò quello che considerava oramai un amico farsi beffe dell’affetto e calarsi le brache, e quasi piangendo serrò le gambe. Iniziò a urlare quando il più grosso provò a forzarla ad aprirle, e il secondo, ormai sopra di lei, le tappò la bocca con la lingua.
Sentì le catene scivolare tintinnando sul terreno e poi strattonarle le gambe, che si aprirono; sentì con chiarezza la sua virtù decadere e disperdersi in un grugnito di dolore, mentre il ritmo del ragazzo si faceva più sicuro ed incalzante. Non era la prima volta per nessuno dei due ragazzi, perché avevano già posseduto delle Lupe e stavano anche per avere dei cuccioli.
Perse la cognizione del tempo, cercando di pensare ad altro, ma c’erano troppe mani, e dita, e carne e sudore.
Smise di opporre resistenza. Si abbandonò alle carezze, semplicemente, che si fecero meno rudi. Quasi le piacque.
Iniziò a piacerle non appena il secondo, quello magro, le si riversò dentro.
E quasi si vergognò del turbinio di piacere che quello grosso le diede a forza, si vergognò dei gemiti e dei baci.
E fu vergognandosi che giacque con quelli che, seppe solo poi, erano già destinati a giacere con lei.
 
Mario Auditore era un uomo ben piazzato, un gran dongiovanni ai suoi tempi. Un uomo fisico, dedito più al filo delle armi che alle scartoffie; per questo letteralmente odiando quel viaggio a Roma, come se qualche firma in più potesse uccidere più Templari. Era notte fonda quando arrivò, e si concesse una lunga passeggiata, per rischiarare i pensieri.
Girava voce che suo fratello Giovanni avesse trovato modo per incastrare i Pazzi, ed era lì a Roma esattamente per quello: prendere documenti, portarli al fratello e poi sperare nella buona sorte.
Un urlo spezzò il silenzio della campagna rurale, e subito egli corse.
Vide un groviglio di corpi su quella che doveva essere stata fino a poco tempo prima una bambina, due uomini, seminudi, ansimanti.
Vide il panico sul suo volto divenire orrore, e poi disgusto, e poi disperazione. Poi, la rassegnazione. Divenne infine apatia, appena distorta da quello che era il naturale piacere. Nessun calore in quell’atto, nessun reale piacere, o passione, se non la stretta necessità di farlo e basta, consumando il bisogno in futilità.
Capì al volo che era un rituale, dalla quantità di fuochi accesi sulle colonne e da quelli che erano i resti delle vesti della ragazza. Vide teschi di lupi appesi.
Sentì qualche parola in latino, sentì le sue preghiere quando i due si addormentarono esausti ed il suo pianto sommesso, un pianto di vergogna e disperazione.
Rubò il primo cavallo che trovò e galoppò verso il covo, con un’unica idea in testa: al diavolo i documenti, avrebbe salvato quella ragazzina e distrutto la tribù di quei Seguaci.
 
Dopo il rituale, le fu impedito di vedere chiunque se non quei due, solo la notte, per consumare.
Fu durante una notte con quello più grosso che ebbe una seconda visione, più comprensibile ai suoi occhi. Ubriaca, annebbiata dalle Sacre Piante, annunciò il Verbo con voce tremante e distorta dal piacere, sussurrandolo nell’orecchio del suo amante, che quasi lo ignorò, concentrato nel cercare il suo centro di piacere e stimolarlo selvaggiamente.
- L’uomo ammantato giungerà e con lame invisibili il lupo caccerà, le tribù si scontreranno e solo una trionferà, nel nome di Romolo e della libertà.
Sorrise di estasi, mentre l’orgasmo disperdeva qualsiasi altra sensazione.




NdA
Okay. Sono imperdonabile.
... Non giudicatemi. Ho avuto problemi con quello che fu il mio ragazzo, stavo male e la pagella è stata un delirio, senza contare beghe varie tipo il blocco della Musa burlona.
Ma comunque eccoci qui, finalmente!
Questa è l'introduzione a un personaggio che, personalmente, io adoro. In seguito si capirà meglio, ma tanto lo sapete. Adoro lasciarvi col dubbio, mie dolci.
Spero vi piaccia, arrivedorci!

  
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